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II

 

 

Proletari e comunisti

 

 

Che relazione passa tra i comunisti e i proletari in generale? I comunisti non costituiscono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai.

Essi non hanno interessi distinti dagli interessi del proletariato nel suo insieme.

Non erigono principi particolari,[39] sui quali vogliano modellare il movimento proletario.

I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solamente per il fatto che da un lato, nelle varie lotte nazionali dei proletari, essi mettono in rilievo e fanno valere quegli interessi comuni dell'intiero proletariato che sono indipendenti dalla nazionalità; d'altro lato per il fatto che, nei vari stadi di sviluppo che la lotta tra proletariato e borghesia va attraversando, rappresentano sempre l'interesse del movimento complessivo.

In pratica, dunque, i comunisti sono la parte più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, quella che sempre spinge avanti; dal punto di vista della teoria, essi hanno un vantaggio sulla restante massa del proletariato pel fatto che conoscono le condizioni, l'andamento e i risultati generali del movimento proletario.

Lo scopo immediato dei comunisti è quello stesso degli altri partiti proletari: formazione del proletariato in classe, rovesciamento del dominio borghese, conquista del potere politico da parte del proletariato.

Le posizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto sopra idee, sopra principi che siano stati inventati o scoperti da questo o quel rinnovatore del mondo.[40]

Esse sono soltanto espressioni generali dei rapporti effettivi di una lotta di classe che già esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi. L'abolizione dei rapporti di proprietà che si sono avuti finora non è cosa che caratterizzi propriamente il comunismo.

Tutti i rapporti di proprietà sono sempre stati soggetti a un continuo mutamento storico, a una continua trasformazione storica.

La rivoluzione francese, ad esempio, abolì la proprietà feudale in favore della proprietà borghese.

Ciò che distingue il comunismo non è l'abolizione della proprietà in generale, bensì l'abolizione della proprietà borghese.

Ma la moderna proprietà privata borghese è l'ultima e la più perfetta espressione di quella produzione e appropriazione dei prodotti, che poggia sugli antagonismi di classe, sullo sfruttamento degli unì per opera degli altri.

In questo senso i comunisti possono riassumere la loro dottrina in quest'unica espressione: abolizione della proprietà privata.

È stato mosso rimprovero a noi comunisti di voler abolire la proprietà acquistata col lavoro personale, frutto del lavoro di ciascuno; quella proprietà che sarebbe il fondamento di ogni libertà, di ogni attività e di ogni indipendenza personali.

Proprietà acquistata, guadagnata, frutto del proprio lavoro! Parlate voi forse della proprietà del piccolo borghese o del piccolo agricoltore, che precedette la proprietà borghese? Noi non abbiamo bisogno di abolirla; l'ha già abolita e la abolisce quotidianamente lo sviluppo dell'industria.

Oppure parlate voi della moderna proprietà borghese privata ?

Ma che forse il lavoro salariato, il lavoro del proletario, crea a quest'ultimo una proprietà? In nessun modo. Esso crea il capitale, cioè crea la proprietà che sfrutta il lavoro salariato e che non può aumentare se non a condizione di generare nuovo lavoro salariato per nuovamente sfruttarlo. La proprietà nella sua forma odierna è fondata sull'antagonismo fra capitale e lavoro salariato. Esaminiamo i due termini di questo antagonismo.

Essere capitalista non vuol dire soltanto occupare nella produzione una posizione puramente personale, ma una posizione sociale. Il capitale è un prodotto comune e non può essere messo in moto se non dall'attività comune di molti membri della società, anzi, in ultima istanza, soltanto dall'attività comune di tutti i membri della società.

Il capitale, dunque, non è una potenza personale; esso è una potenza sociale.

Se dunque il capitale viene trasformato in proprietà comune, appartenente a tutti i membri della società, ciò non vuol dire che si trasformi una proprietà personale in proprietà sociale. Si trasforma soltanto il carattere sociale della proprietà. Esso perde il suo carattere di classe.

Veniamo al lavoro salariato.

Il prezzo medio del lavoro salariato è il minimo del salario, ossia la somma dei mezzi di sussistenza necessari a mantenere in vita l'operaio in quanto operaio. Quello dunque che l'operaio salariato si appropria con la sua attività, gli basta soltanto per riprodurre la sua nuda esistenza. Noi non vogliamo punto abolire questa appropriazione personale dei prodotti del lavoro necessari per la riproduzione della vita immediata, appropriazione la quale non lascia alcun profitto netto, che possa dare un potere sul lavoro altrui. Noi vogliamo soltanto abolire il miserabile carattere di questa appropriazione, per cui l'operaio esiste soltanto per accrescere il capitale e vive quel tanto che è richiesto dall'interesse della classe dominante.

Nella società borghese il lavoro vivo è soltanto un mezzo per aumentare il lavoro accumulato. Nella società comunista il lavoro accumulato è soltanto un mezzo per rendere più largo, più ricco, più progredito il ritmo di vita degli operai.

Nella società borghese, dunque, il passato domina sul presente; nella società comunista il presente sul passato. Nella società borghese il capitale è indipendente e personale, mentre l'individuo operante è dipendente e impersonale.

E la borghesia chiama l'abolizione di questo stato di cose abolizione della personalità e della libertà! E ha ragione. Perché si tratta, effettivamente, di abolire la personalità, l'indipendenza e la libertà del borghese!

Per libertà si intende, entro gli attuali rapporti borghesi di produzione, il commercio libero, la libera compra e vendita.

Ma tolto il commercio, sparisce anche il libero commercio. Le frasi sul libero commercio, come tutte le altre vanterie liberalesche della nostra borghesia, hanno un senso soltanto rispetto al commercio vincolato e all'asservito cittadino del Medioevo, ma non ne hanno alcuno rispetto all'abolizione comunista del commercio, dei rapporti borghesi di produzione e della borghesia stessa.

Voi inorridite all'idea che noi vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nell'attuale vostra società la proprietà privata è abolita per nove decimi dei suoi membri; anzi, essa esiste precisamente in quanto per quei nove decimi non esiste. Voi ci rimproverate dunque di voler abolire una proprietà che ha per condizione necessaria la mancanza di proprietà per l'enorme maggioranza della società.

In una parola, voi ci rimproverate di voler abolire la vostra proprietà. E vero: è questo che vogliamo.

Dall'istante in cui il lavoro non può più essere trasformato in capitale, denaro, rendita fondiaria, insomma, in una forza sociale monopolizzabile, dall'istante cioè in cui la proprietà personale non si può più mutare in proprietà borghese, da quell'istante voi dichiarate che è abolita la persona.

Voi confessate, dunque, che per persona non intendete altro che il borghese, il proprietario borghese. Ebbene, questa persona deve effettivamente essere abolita.

Il comunismo non toglie a nessuno la facoltà di appropriarsi dei prodotti sociali; toglie soltanto la facoltà di valersi di tale appropriazione per asservire lavoro altrui.

È stato obiettato che con l'abolizione della proprietà privata cesserebbe ogni attività, si diffonderebbe una neghittosità generale.

Se così fosse, la società borghese sarebbe da molto tempo andata in rovina per pigrizia, giacché in essa chi lavora non guadagna e chi guadagna non lavora. Tutta l'obiezione sbocca in questa tautologia:[41] che non c'è più lavoro salariato quando non c'è più capitale.

Tutte le obiezioni, che si muovono al modo comunista di appropriazione e di produzione dei prodotti materiali, sono state estese anche alla appropriazione e produzione dei prodotti intellettuali. Come per il borghese la cessazione della proprietà di classe significa cessazione della produzione stessa, così cessazione della cultura di classe è per lui lo stesso che cessazione della cultura in genere.

La cultura di cui egli deplora la perdita è per l'enorme maggioranza degli uomini il processo di trasformazione in macchina.

Ma non polemizzate con noi applicando all'abolizione della proprietà borghese le vostre concezioni borghesi della libertà, della cultura, del diritto, ecc. Le vostre idee sono anch'esse un prodotto dei rapporti borghesi di produzione e di proprietà, così come il vostro diritto non è che la volontà della vostra classe innalzata a legge, una volontà il cui contenuto è determinato dalle condizioni materiali di vita della vostra classe.

Questa concezione interessata, grazie alla quale voi trasformate i vostri rapporti di produzione e di proprietà, da rapporti storici com'essi sono, che appaiono e scompaiono nel corso della produzione, in leggi eterne della natura e della ragione, questa concezione voi l'avete in comune con tutte le classi dominanti scomparse. Ciò che voi comprendete quando si tratta della proprietà antica, ciò che voi comprendete quando si tratta della proprietà feudale, voi non potete più comprenderlo quando si tratta della proprietà borghese.

Abolizione della famiglia! Persino i più avanzati fra i radicali si scandalizzano di così ignominiosa intenzione dei comunisti.

Su che cosa si basa la famiglia odierna, la famiglia borghese? Sul capitale, sul guadagno privato. Nel suo pieno sviluppo la famiglia odierna esiste soltanto per la borghesia; ma essa trova il suo complemento nella forzata mancanza di famiglia dei proletari e nella prostituzione pubblica.

La famiglia del borghese cadrà naturalmente col venir meno di questo suo complemento, e ambedue scompariranno con lo sparire del capitale.

Ci rimproverate voi di voler abolire lo sfruttamento dei figli da parte dei loro genitori? Noi questo delitto lo confessiamo.

Ma voi dite che sostituendo l'educazione sociale all'educazione domestica noi sopprimiamo i legami più intimi.

Ma non è anche la vostra educazione determinata dalla società, dai rapporti sociali entro ai quali voi educate, dall'intervento più o meno diretto o indiretto della società per mezzo della scuola, ecc.? Non sono i comunisti che inventano l'influenza della società sulla educazione; essi ne cambiano soltanto il carattere; essi strappano l'educazione all'influenza della classe dominante.

Le declamazioni borghesi sulla famiglia e sull'educazione, sugli intimi rapporti fra i genitori e i figli diventano tanto più nauseanti, quanto più, in conseguenza della grande industria, viene spezzato per i proletari ogni legame di famiglia, e i fanciulli vengono trasformati in semplici articoli di commercio e strumenti di lavoro.

Ma voi comunisti volete la comunanza delle donne - ci grida in coro tutta la borghesia.

Il borghese vede nella propria moglie un semplice strumento di produzione. Egli sente che gli strumenti di produzione debbono essere sfruttati in comune e, naturalmente, non può fare a meno di pensare che la sorte dell'uso in comune colpirà anche le donne.

Egli non s'immagina che si tratta appunto di abolire la posizione delle donne come semplici strumenti di produzione.

Del resto, nulla è più ridicolo del moralissimo sgomento dei nostri borghesi per la pretesa comunanza ufficiale delle donne nel comunismo. I comunisti non hanno bisogno d'introdurre la comunanza delle donne: essa è quasi sempre esistita.

I nostri borghesi, non contenti di avere a loro dispozione le mogli e le figlie dei loro proletari - per non parlare della prostituzione ufficiale - trovano uno dei loro principali diletti nel sedursi scambievolmente le mogli.

Il matrimonio borghese è, in realtà, la comunanza delle mogli. Tutt'al più si potrebbe rimproverare ai comunisti di voler sostituire alla comunanza delle donne, ipocritamente celata, una comunanza ufficiale, palese. Si comprende del resto benissimo che con l'abolizione degli attuali rapporti di produzione scompare anche la comunanza delle donne che ne risulta, vale a dire la prostituzione ufficiale e non ufficiale.

Si rimprovera inoltre ai comunisti di voler sopprimere la patria, la nazionalità.

Gli operai non hanno patria. Non si può toglier loro ciò che non hanno. Ma poiché il proletariato deve conquistarsi prima il dominio politico, elevarsi a classe nazionale, costituirsi in nazione, è anch'esso nazionale, benché certo non nel senso della borghesia.

L'isolamento e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno via via scomparendo con lo sviluppo della borghesia, con la libertà di commercio, col mercato mondiale, con l'uniformità della produzione industriale e con le condizioni di vita ad essa rispondenti.

Il dominio del proletariato li farà scomparire ancora di più. L'azione unita almeno nei paesi civili è una delle prime condizioni della sua emancipazione.

A misura che viene abolito lo sfruttamento di un individuo per opera di un altro, viene abolito lo sfruttamento di una nazione per opera di un'altra.

Con lo sparire dell'antagonismo fra le classi nell'interno della nazione scompare l'ostilità fra le nazioni stesse.

Le accuse che vengono mosse contro il comunismo partendo da considerazioni religiose, filosofiche e ideologiche in generale, non meritano d'essere più ampiamente esaminate.

Ci vuole forse una profonda perspicacia per comprendere che, cambiando le condizioni di vita degli uomini, i loro rapporti sociali e la loro esistenza sociale, cambiano anche le loro concezioni, i loro modi di vedere e le loro idee, in una parola, cambia anche la loro coscienza?

Che cos'altro dimostra la storia delle idee, se non che la produzione spirituale si trasforma insieme con quella materiale? Le idee dominanti di un'epoca furono sempre soltanto le idee della classe dominante.[42]

Si parla di idee che rivoluzionano tutta una società; con ciò si esprime soltanto il fatto che in seno alla vecchia società si sono formati gli elementi di una società nuova, che con la dissoluzione dei vecchi rapporti di esistenza procede di pari passo il dissolvimento delle vecchie idee.

Quando il mondo antico stava per tramontare, le vecchie religioni furono vinte dalla religione cristiana. Quando nel secolo XVIII le idee cristiane soggiacquero alle idee dell'illuminismo, la società feudale stava combattendo la sua lotta suprema con la borghesia, allora rivoluzionaria. Le idee di libertà di coscienza e di religione non furono altro che l'espressione del dominio della libera concorrenza nel campo della coscienza.

"Ma - si dirà - non c'è dubbio che le idee religiose, morali, filosofiche, politiche, giuridiche, ecc., si sono modificate nel corso dell'evoluzione storica; la religione, la morale, la filosofia, la politica, il diritto però si mantennero sempre attraverso tutti questi mutamenti.

Ci sono, inoltre, verità eterne, come la libertà, la giustizia, ecc., che sono comuni a tutte le situazioni sociali. Il comunismo, invece, abolisce le verità eterne, abolisce la religione, la morale, in luogo di dar loro una forma nuova e con ciò contraddice a tutta l'evoluzione storica verificatasi finora."

A che cosa si riduce questa accusa? La storia di tutta la società si è svolta sinora attraverso antagonismi di classe, che nelle diverse epoche assunsero forme diverse.

Ma qualunque forma abbiano assunto tali antagonismi, lo sfruttamento di una parte della società per opera di un'altra è un fatto comune a tutti i secoli passati. Nessuna meraviglia, quindi, che la coscienza sociale di tutti i secoli, malgrado tutte le varietà e diversità, si muova in certe forme comuni, in forme di coscienza che si dissolvono completamente soltanto con la completa sparizione dell'antagonismo delle classi.

La rivoluzione comunista è la più radicale rottura coi rapporti di proprietà tradizionali; nessuna meraviglia, quindi, se nel corso del suo sviluppo avviene la rottura più radicale con le idee tradizionali.

Ma lasciamo stare le obiezioni della borghesia contro il comunismo.

Abbiamo già visto sopra come il primo passo nella rivoluzione operaia sia l'elevarsi del proletariato a classe dominante, la conquista della democrazia.

Il proletariato si servirà della sua supremazia politica per strappare alla borghesia, a poco a poco, tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, vale a dire del proletariato stesso organizzato come classe dominante, e per aumentare, con la massima rapidità possibile, la massa delle forze produttive.[43]

Naturalmente sulle prime tutto ciò non può accadere, se non per via di interventi dispotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione, vale a dire con misure che appaiono economicamente insufficienti e insostenibili, ma che nel corso del movimento sorpassano se stesse e spingono in avanti, e sono inevitabili come mezzi per rivoluzionare l'intero modo di produzione.

Com'è naturale, queste misure saranno diverse a seconda dei diversi paesi.

Per i paesi più progrediti, però, potranno quasi generalmente essere applicate le seguenti:

1. Espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della rendita fondiaria per le spese dello Stato.

2. Imposta fortemente progressiva.

3. Abolizione del diritto di eredità.

4. Confisca della proprietà di tutti gli emigrati e ribelli.

5. Accentramento del credito nelle mani dello Stato per mezzo d'una banca nazionale con capitale di Stato e con monopolio esclusivo.

6. Accentramento dei mezzi di trasporto nelle mani dello Stato.

7. Aumento delle fabbriche nazionali e degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano comune.

8. Eguale obbligo di lavoro per tutti, istituzione di eserciti industriali, specialmente per l'agricoltura.

9 Unificazione dell'esercizio dell'agricoltura e di quello dell'industria, misure atte ad eliminare gradualmente l'antagonismo[44] tra città e campagna.

10. Educazione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli. Abolizione del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche nella sua forma attuale. Unificazione dell'educazione e della produzione materiale, ecc.

Quando, nel corso dell'evoluzione, le differenze di classe saranno sparite e tutta la produzione sarà concentrata nelle mani degli individui associati, il potere pubblico perderà il carattere politico.[45] Il potere politico, nel senso proprio della parola, è il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra. Se il proletariato, nella lotta contro la borghesia, si costituisce necessariamente in classe, e per mezzo della rivoluzione trasforma se stesso in classe dominante e, come tale, distrugge violentemente i vecchi rapporti di produzione, esso abolisce, insieme con questi rapporti di produzione, anche le condizioni d'esistenza dell'antagonismo di classe e le classi in generale, e quindi anche il suo proprio dominio di classe.

Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e coi suoi antagonismi di classe subentra un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti.

 

III

 

 

Letteratura socialista e comunista

 

1. - Il socialismo reazionario

 

 

a) Il socialismo feudale.

 

Per la sua condizione storica, l'aristocrazia francese e inglese era chiamata a scrivere libelli contro la moderna società borghese. Nella rivoluzione francese del luglio 1830 e nel movimento per la riforma elettorale inglese l'aristocrazia era, ancora una volta, soggiaciuta all'odiata classe dei nuovi venuti.[46] Non era più il caso di parlare di una seria lotta politica. Le rimaneva soltanto la lotta letteraria. Ma anche nel campo della letteratura il vecchio frasario del periodo della Restaurazione[47] era diventato impossibile. Per crearsi delle simpatie, l'aristocrazia doveva fingere di perdere di vista i propri interessi e formulare il suo atto d'accusa contro la borghesia unicamente nell'interesse della classe operaia sfruttata.

Si procurava così la soddisfazione di intonare canzoni ingiuriose contro i suoi nuovi padroni, e di sussurrare, loro nell'orecchio profezie di più o meno sinistro contenuto.

In questo modo nacque il socialismo feudale, mezzo geremiade e mezzo pasquinata, per metà eco del passato, per metà minaccia del futuro, che talora colpisce al cuore la borghesia con giudizi amari e spiritosamente sarcastici, ma che è sempre di effetto comico per la totale sua incapacità di comprendere l'andamento della storia moderna.

Per tirarsi dietro il popolo, questi aristocratici sventolavano a guisa di bandiera la bisaccia da mendicante del proletariato. Ma ogni qualvolta il popolo li seguì, vide sulle loro parti posteriori impressi gli antichi blasoni feudali e si sbandò scoppiando in rumorose e irriverenti risate.[48]

Una parte dei legittimisti[49] francesi e la Giovane Inghilterra offrirono questo allegro spettacolo.

Quando i feudali dimostrano che il loro modo di sfruttamento era diverso nella forma dallo sfruttamento borghese, dimenticano soltanto che essi esercitavano il loro sfruttamento in circostanze e condizioni affatto diverse e ora superate. Quando dimostrano che sotto il loro dominio non esisteva il proletariato moderno, dimenticano semplicemente che appunto la moderna borghesia è stato un necessario rampollo del loro ordinamento sociale.

Del resto essi nascondono così poco il carattere reazionario della loro critica, che la loro principale accusa contro la borghesia è precisamente quella che sotto il suo regime si sviluppa una classe che manderà per aria tutto quanto il vecchio ordinamento sociale.

Essi rimproverano alla borghesia non tanto di produrre un proletariato in generale, quanto di produrre un proletariato rivoluzionario.

Perciò nella prassi politica essi partecipano a tutte le misure di violenza contro la classe operaia, e nella vita di tutti i giorni si adattano, malgrado il loro gonfio frasario, a cogliere le mele d'oro[50] e a barattare fedeltà, amore e onore con lana, barbabietola e acquavite[51].

Come il prete andò sempre d'accordo coi feudali, così il socialismo clericale va d'accordo col socialismo feudale.

Nulla di più facile che dare all'ascetismo cristiano una vernice socialista. Il cristianesimo non ha forse inveito anche contro la proprietà privata, contro il matrimonio, contro lo Stato? Non ha forse predicato in loro sostituzione la beneficenza e la mendicità, il celibato e la mortificazione della carne, la vita claustrale e la Chiesa? Il socialismo cristiano[52] è soltanto l'acqua santa con la quale il prete benedice il dispetto degli aristocratici.

 

b) Il socialismo piccolo-borghese.

 

L'aristocrazia feudale non è la sola classe che sia stata rovesciata dalla borghesia, che abbia visto le proprie condizioni di vita paralizzarsi e morire nella moderna società borghese. I borghigiani medioevali e il piccolo ceto rustico furono i precursori della borghesia moderna. Nei paesi in cui il commercio e l'industria sono meno sviluppati, questa classe vegeta ancora accanto alla borghesia che sta sviluppandosi.

Nei paesi dove la civiltà moderna si è sviluppata, si è formata una nuova piccola borghesia, che oscilla tra il proletariato e la borghesia e si viene sempre ricostituendo come parte integrante della società borghese, i cui componenti però, continuamente ricacciati nel proletariato per effetto della concorrenza, per lo sviluppo stesso della grande industria, vedono avvicinarsi un momento in cui spariranno completamente come parte autonoma della società moderna e saranno sostituiti nel commercio, nella manifattura e nell'agricoltura da ispettori e agenti salariati.

In paesi come la Francia, dove la classe rurale forma più di metà della popolazione, era naturale che gli scrittori i quali scendevano in campo contro la borghesia a favore del proletariato applicassero nella loro critica del regime borghese la scala del piccolo borghese e del piccolo possidente contadino, e che pigliassero partito per gli operai dal punto di vista della piccola borghesia Si formò così il socialismo piccolo-borghese. Sismondi[53] è il capo di questa letteratura non soltanto per la Francia, ma anche per l'Inghilterra.

Questo socialismo anatomizzò molto acutamente le contraddizioni esistenti nei moderni rapporti di produzione. Esso mise a nudo gli eufemismi ipocriti degli economisti. Esso dimostrò in modo incontestabile gli effetti deleteri dell'introduzione delle macchine e della divisione del lavoro, la concentrazione dei capitali e della proprietà fondiaria, la sovrapproduzione, le crisi, la rovina inevitabile dei piccoli borghesi e dei piccoli contadini, la miseria del proletariato, l'anarchia della produzione, le stridenti sproporzioni nella distribuzione della ricchezza, la guerra industriale di sterminio fra le nazioni, il dissolversi degli antichi costumi, degli antichi rapporti di famiglia, delle antiche nazionalità.

Quanto al suo contenuto positivo, però, questo socialismo, o vuole ristabilire i vecchi mezzi di produzione e di scambio e con essi i vecchi rapporti di proprietà e la vecchia società, oppure vuole per forza imprigionare di nuovo i moderni mezzi di produzione e di scambio nel quadro dei vecchi rapporti di proprietà ch'essi hanno spezzato e che non potevano non spezzare. In ambo i casi esso è a un tempo reazionario e utopistico.

Le corporazioni nella manifattura e l'economia patriarcale nell'agricoltura, queste sono le sue ultime parole.

Nella sua evoluzione ulteriore questa scuola finisce in un vile piagnisteo.

 

c) Il socialismo tedesco o il "vero" socialismo[54].

 

La letteratura socialista e comunista della Francia, nata sotto la pressione di una borghesia dominatrice ed espressione letteraria della lotta contro questo dominio, fu importata in Germania in un periodo in cui la borghesia aveva appena incominciato la sua lotta contro l'assolutismo feudale.

Filosofi, semifilosofi e begli spiriti tedeschi s'impadronirono avidamente di questa letteratura e dimenticarono semplicemente che con gli scritti francesi non eran in pari tempo passate in Germania le condizioni della vita francese. In rapporto alle condizioni tedesche la letteratura francese perdette ogni significato pratico immediato e assunse un aspetto puramente letterario. Essa doveva apparire come una oziosa speculazione sulla vera società[55], sulla realizzazione della essenza umana. Similmente, pei filosofi tedeschi del secolo XVIII le rivendicazioni della prima rivoluzione francese avevano semplicemente avuto il senso di rivendicazioni della "ragion pratica"[56] in generale, e le affermazioni della volontà della borghesia francese rivoluzionaria avevano assunto ai loro occhi il significato di leggi del puro volere, del volere quale deve essere, del vero volere umano.

Il lavoro dei letterati tedeschi consistette esclusivamente nel metter d'accordo le nuove idee francesi con la loro vecchia coscienza filosofica o piuttosto nell'appropriarsi le idee francesi dal loro punto di vista filosofico.

Questa appropriazione si compì nello stesso modo in cui ci si appropria in generale di una lingua straniera: traducendo.

È noto come i monaci scrivessero insipide storie cattoliche di santi su manoscritti contenenti le opere classiche dell'antico mondo pagano. I letterati tedeschi .procedettero in senso inverso con la letteratura profana francese. Scrissero le loro assurdità filosofiche sotto all'originale francese. Per esempio, sotto la critica francese dei rapporti monetari scrissero "alienazione della essenza umana", sotto alla critica francese dello Stato borghese scrissero "superamento del dominio dell'universale astratto", ecc.

La interpolazione di questa fraseologia filosofica agli svolgimenti del pensiero francese fu da essi battezzata "filosofia dell'azione"[57], "vero socialismo", "scienza tedesca del socialismo", "dimostrazione filosofica del socialismo", ecc.

Così la letteratura francese socialista-comunista venne letteralmente castrata. E siccome in mano ai tedeschi essa cessò di esprimere la lotta di una classe contro un'altra, i letterati tedeschi erano convinti d'aver superato la "unilateralità francese", d'aver difeso, invece di bisogni veri, il bisogno della verità, e invece degli interessi del proletariato, gli interessi dell'essere umano, dell'uomo in generale, dell'uomo che non appartiene a nessuna classe, anzi che non appartiene neppure alla realtà, ma solo al cielo vaporoso della fantasia filosofica.

Questo socialismo tedesco, che pigliava così solennemente sul serio i suoi goffi esercizi scolastici strombazzandoli all'uso dei saltimbanchi, perdette a poco a poco la sua innocenza pedantesca.

La lotta della borghesia tedesca, massime prussiana, contro i feudali e la monarchia assoluta, in una parola, il movimento liberale, si fece più serio.

Al "vero" socialismo si offrì così l'auspicata occasione di contrapporre al movimento politico le rivendicazioni socialiste, di lanciare i tradizionali anatemi contro il liberalismo, contro lo Stato rappresentativo, contro la concorrenza borghese, la libertà di stampa borghese, il diritto borghese, la libertà e la uguaglianza borghesi, e di predicare alle masse come esse non avessero niente da guadagnare da questo movimento borghese, ma piuttosto tutto da perdere. Molto a proposito il socialismo tedesco dimenticò che la critica francese, di cui esso non era se non un'eco meschina, presupponeva la moderna società borghese con le corrispondenti condizioni materiali di vita e la corrispondente costituzione politica, tutte premesse che in Germania bisognava ancora conquistare.

Esso servì ai governi tedeschi assoluti, col loro seguito di preti, maestri di scuola, gentiluomini di campagna e burocrati, come un utile spauracchio contro la borghesia che si levava minacciosa.

Esso fu il complemento dolciastro delle amare sferzate e fucilate con cui quei governi accoglievano le sommosse degli operai tedeschi.[58]

Se in tal modo il "vero" socialismo divenne un'arma in mano dei governi contro la borghesia tedesca, esso rappresentava anche immediatamente un interesse reazionario, l'interesse della piccola borghesia tedesca.[59] In Germania la piccola borghesia, trasmessa dal secolo XVI e sempre da allora in poi rinascente in forme diverse, costituisce la vera base sociale delle attuali condizioni del paese.

La sua conservazione significa conservazione delle presenti condizioni della Germania. Questa piccola borghesia teme che il dominio industriale e politico della borghesia le arrechi una sicura rovina, da un lato in conseguenza del concentramento del capitale, dall'altro lato in conseguenza del sorgere di un proletariato rivoluzionario. Il "vero" socialismo le sembrò ottimo espediente per prendere due piccioni con una fava. Ed esso si diffuse come una epidemia.

Il manto ordito su una ragnatela speculativa, ricamato di spiritosi fiori oratori e stillante dolce rugiada sentimentale febbricitante di amore, questo manto di mistico entusiasmo, nelle cui pieghe i socialisti tedeschi nascondevano le loro quattro stecchite "verità eterne", servì solo ad aumentare lo spaccio della loro merce in mezzo a un tal pubblico.

Dal canto suo il socialismo tedesco riconobbe sempre meglio la sua missione, che era quella di essere l'ampolloso rappresentante di questa piccola borghesia.

Esso proclamò che la nazione tedesca è la nazione normale e il piccolo borghese tedesco l'uomo normale. A ogni bassezza di questo uomo dette un significato nascosto, sublime, socialista, in modo che apparisse il contrario di quello che era. Conseguente fino all'ultimo, prese direttamente posizione contro la tendenza "brutalmente distruttiva" del comunismo, e si proclamò imparzialmente superiore a ogni lotta di classe. Salvo pochissime eccezioni, tutti gli scritti pretesi socialisti e comunisti che circolano in Germania appartengono a questa letteratura sordida e snervante[60].

 

 

2. - Il socialismo conservatore o borghese

 

 

Una parte della borghesia desidera di portar rimedio ai mali della società per assicurare l'esistenza della società borghese. Ne fanno parte gli economisti, i filantropi, gli umanitari, gli zelanti del miglioramento delle condizioni delle classi operaie, gli organizzatori della beneficenza, i membri delle società protettrici degli animali, i fondatori di società di temperanza e tutta la variopinta schiera dei minuti riformatori. Di questo socialismo borghese si sono elaborati persino dei veri sistemi. Citiamo ad esempio la Philosophie de la misère  di Proudhon[61].

I borghesi socialisti vogliono le condizioni di vita della società moderna senza le lotte e i pericoli che necessariamente ne risultano. Vogliono la società attuale senza gli elementi che la rivoluzionano e la dissolvono. Vogliono la borghesia senza il proletariato. È naturale che la borghesia ci rappresenti il mondo dove essa domina come il migliore dei mondi. Il socialismo borghese trae da questa consolante rappresentazione un mezzo sistema o anche un sistema completo. Ma quando invita il proletariato a mettere in pratica i suoi sistemi se vuole entrare nella nuova Gerusalemme, gli domanda, in fondo, soltanto di restare nella società presente, ma di rinunciare alla odiosa rappresentazione che si fa di essa.

Una seconda forma di questo socialismo, meno sistematica ma più pratica, ha cercato di distogliere la classe operaia da ogni moto rivoluzionario, dimostrando che ciò che le può giovare non è questo o quel cambiamento politico, ma soltanto un cambiamento delle condizioni materiali di vita, dei rapporti economici. Questo socialismo però non intende menomamente per cambiamento delle condizioni materiali di vita l'abolizione dei rapporti di produzione borghesi, che può conseguire soltanto per via rivoluzionaria, ma dei miglioramenti amministrativi realizzati sul terreno di questi rapporti di produzione, che cioè non cambino affatto il rapporto tra capitale e lavoro salariato, ma, nel migliore dei casi, diminuiscano alla borghesia le spese del suo dominio e semplifichino l'assetto della sua finanza statale.

Questo socialismo borghese raggiunge la sua più esatta espressione quando diventa semplice figura retorica.

Libero commercio! nell'interesse della classe operaia; dazi protettivi! nell'interesse della classe operaia; carcere cellulare! nell'interesse della classe operaia: ecco l'ultima, la sola parola seriamente pensata del socialismo borghese. Il socialismo della borghesia consiste appunto nel sostenere che i borghesi sono borghesi nell'interesse della classe operaia.

 

 

3. Il socialismo e  il comunismo critico-utopista

 

 

Non parliamo qui della letteratura che in tutte le grandi rivoluzioni moderne enunciò le rivendicazioni del proletariato (scritti di Babeuf, ecc.).[62]

I primi tentativi fatti dal proletariato per far valere direttamente il suo proprio interesse di classe in un tempo di fermento generale, nel periodo del rovesciamento della società feudale, dovevano di necessità fallire, sia per il difetto di sviluppo del proletariato, sia per la mancanza di quelle condizioni materiali della sua emancipazione, le quali non possono essere che il prodotto dell'epoca borghese. La letteratura rivoluzionaria che accompagnò questi primi moti del proletariato è, per il suo contenuto, necessariamente reazionaria. Essa insegna un ascetismo universale e una rozza tendenza a tutto uguagliare.

I sistemi socialisti e comunisti propriamente detti, i sistemi di Saint-Simon, di Fourier, di Owen[63], ecc., appaiono nel primo e poco sviluppato periodo della lotta fra proletariato e borghesia che abbiamo esposto sopra (si veda Borghesia e proletariato).

Gli inventori di questi sistemi ravvisano bensì il contrasto fra le classi e l'azione degli elementi dissolventi nella stessa società dominante, ma non scorgono dalla parte del proletariato nessuna funzione storica autonoma, nessun movimento politico che gli sia proprio.

Siccome gli antagonismi di classe si sviluppano di pari passo con lo sviluppo dell'industria, gli autori di questi sistemi non trovano neppure le condizioni materiali per l'emancipazione del proletariato e vanno in cerca, per crearle, di una scienza sociale e di leggi sociali.

Al posto dell'azione sociale deve subentrare la loro azione inventiva personale; al posto delle condizioni storiche dell'emancipazione, condizioni fantastiche; al posto del graduale organizzarsi del proletariato come classe, una organizzazione della società escogitata di sana pianta. La storia universale dell'avvenire si risolve per essi nella propaganda e nella esecuzione pratica dei loro piani sociali.

Essi, è vero, sono coscienti di patrocinare nei loro progetti principalmente gli interessi della classe operaia come classe che soffre più di tutte le altre; ma il proletariato esiste per loro soltanto sotto l'aspetto di classe che soffre più di tutte.

La forma non sviluppata della lotta fra le classi e le loro personali condizioni di esistenza hanno come conseguenza che essi si credono di gran lunga superiori a questo antagonismo di classe. Essi vogliono migliorare le condizioni d'esistenza di tutti i membri della società, anche dei più favoriti. Perciò fanno appello continuamente a tutta la società senza distinzione, anzi, si rivolgono di preferenza alla classe dominante. Basta, secondo loro, capire il loro sistema per riconoscere che è il miglior piano possibile della società migliore possibile.

Essi respingono quindi ogni azione politica, e specialmente ogni azione rivoluzionaria, vogliono raggiungere il loro scopo con mezzi pacifici, e cercano, con piccoli e naturalmente inani esperimenti, di aprire la strada al nuovo vangelo sociale colla potenza dell'esempio.

Questa descrizione fantastica della società futura corrisponde, in un momento in cui il proletariato è ancora pochissimo sviluppato, cosicché esso stesso si rappresenta in modo ancora fantastico la sua propria posizione, al suo primo impulso, pieno di presentimenti, verso una trasformazione generale della società.

Questi scritti socialisti e comunisti sono fatti però anche di elementi critici. Essi attaccano tutte le basi della società esistente; perciò hanno fornito elementi di grandissimo valore per illuminare gli operai. Le loro affermazioni positive sulla società futura, per esempio l'abolizione del contrasto fra città e campagna, della famiglia, del guadagno privato, del lavoro salariato, l'annuncio dell'armonia sociale, la trasformazione dello Stato in una semplice amministrazione della produzione - tutte queste loro affermazioni esprimono soltanto lo sparire del contrasto fra le classi, che comincia appena a svilupparsi proprio in quel momento e che essi conoscono appena nella sua prima indeterminatezza rudimentale. Perciò queste affermazioni stesse hanno ancora un senso puramente utopistico.

L'importanza del socialismo e del comunismo critico-utopistici è in ragione inversa allo sviluppo storico. A misura che la lotta fra le classi si sviluppa e prende forma, questo fantastico elevarsi al di sopra di essa, questo fantastico combatterla perde ogni valore pratico, ogni giustificazione teorica. Perciò, anche se gli autori di questi sistemi erano per molti aspetti rivoluzionari, i loro scolari formano sempre delle sètte reazionarie[64]. Essi tengono fermo alle vecchie opinioni dei maestri, in opposizione al progressivo sviluppo storico del proletariato. Essi cercano perciò conseguentemente di smussare di nuovo la lotta di classe e di conciliare i contrasti. Sognano ancor sempre la realizzazione sperimentale delle loro utopie sociali, la formazione di singoli falansteri, la fondazione di colonie in patria, l'edificazione di una piccola Icaria[65] - edizione in dodicesimo della nuova Gerusalemme - e per la costruzione di tutti questi castelli in aria fanno appello alla filantropia dei cuori e delle tasche borghesi. A poco a poco essi cadono nella categoria dei socialisti reazionari o conservatori da noi descritti più sopra, e si distinguono da essi soltanto per una pedanteria più sistematica, per la fede fanatica e superstiziosa nella virtù miracolosa della loro scienza sociale.

Essi si oppongono perciò con accanimento a ogni movimento politico degli operai, il quale non poteva provenire, secondo loro, che da una cieca incredulità nel nuovo vangelo.

Gli owenisti in Inghilterra, i fourieristi in Francia, reagiscono gli uni contro i cartisti, gli altri contro i riformisti.[66]

 

 

Posizione dei comunisti rispetto ai diversi partiti d'opposizione

 

 

Da quanto abbiamo detto nel II capitolo si comprende da sé quali siano i rapporti dei comunisti verso i partiti operai già costituiti, e quindi anche verso i cartisti in Inghilterra e i riformatori agrari nell'America del Nord[67].

I comunisti lottano per raggiungere gli scopi e gli interessi immediati della classe operaia, ma nel movimento presente rappresentano in pari tempo l'avvenire del movimento stesso. In Francia i comunisti si uniscono al partito socialista democratico[68] contro la borghesia conservatrice e radicale, senza rinunciare perciò al diritto di serbare un contegno critico di fronte alle frasi e illusioni derivanti dalla tradizione rivoluzionaria.

In Svizzera sostengono i radicali, senza disconoscere che questo partito è composto di elementi contraddittori, e cioè in parte di socialisti democratici nel senso francese, in particolare di radicali borghesi.[69]

Fra i polacchi i comunisti appoggiano il partito che mette come condizione del riscatto nazionale una rivoluzione agraria; quello stesso partito che suscitò l'insurrezione di Cracovia nel 1846.

In Germania il partito comunista lotta insieme colla borghesia, ogni qualvolta questa prende una posizione rivoluzionaria contro la monarchia assoluta, contro la proprietà fondiaria feudale e contro la borghesia reazionaria.

Esso però non cessa nemmeno un istante di sviluppare fra gli operai una coscienza quanto più è possibile chiara dell'antagonismo e dell'inimicizia esistenti fra borghesia e proletariato, affinché gli operai tedeschi siano in grado di servirsi subito delle condizioni sociali e politiche che la borghesia deve introdurre insieme col suo dominio, come di altrettante armi contro la borghesia, e affinché dopo la caduta delle classi reazionarie in Germania subito si inizi la lotta contro la borghesia stessa.

Sulla Germania i comunisti rivolgono specialmente la loro attenzione, perché la Germania è alla vigilia della rivoluzione borghese, e perché essa compie tale rivoluzione in condizioni di civiltà generale europea più progredite e con un proletariato molto più sviluppato che non avessero l'Inghilterra nel secolo XVII e la Francia nel XVIII; per cui la rivoluzione borghese tedesca non può essere che l'immediato preludio di una rivoluzione proletaria.

In una parola, i comunisti appoggiano dappertutto ogni moto rivoluzionario contro le condizioni sociali e politiche esistenti.

In tutti questi moti essi mettono avanti sempre la questione della proprietà, abbia essa raggiunto una forma più o meno sviluppata, come la questione fondamentale del movimento.

I comunisti finalmente lavorano all'unione e all'intesa dei partiti democratici di tutti i paesi.

I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Essi dichiarano apertamente che i loro scopi non possono essere raggiunti che con l'abbattimento violento di ogni ordinamento sociale esistente. Tremino pure le classi dominanti davanti a una rivoluzione comunista. I proletari non hanno nulla da perdere in essa fuorché le loro catene. E hanno un mondo da guadagnare.

 

Proletari di tutti i paesi, unitevi!


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