Lenin, Opere complete - Editori Riuniti vol. 10 pp. 367-372
Volnà,
n. 10.
6 maggio
1906.
Firmato: N.L-n.
UNA
NUOVA ASCESA
Le prime sedute della Duma [si tratta della I Duma eletta nel dicembre 1905,
dopo che lo zar aveva schiacciato l’insurrezione di Mosca; lo zar la scioglierà
nell’estate del 1906, renderà più restrittiva la legge elettorale e farà
eleggere una nuova Duma, la II, ancora più selezionata e docile - ndr] segnano
l’inizio dei pogrom centoneri [delle azioni squadristiche dei sostenitori dello
zar - ndr]. L’inizio della “pacifica” via “parlamentare”, che ha suscitato
entusiasmo e tenerezza nei cadetti [esponenti del partito Costituzionale
Democratico: noi oggi diremmo PD - ndr] e in tutti i filistei della politica
[politicanti della sinistra borghese, diremmo in linguaggio attuale - ndr],
segna l’inizio della forme più brutali, aperte e dirette della guerra civile.
L’esordio del metodo “giuridico” nella soluzione dei problemi politici, mediante
le schede elettorali e il computo dei voti, segna l’inizio dell’esplosione della
violenza più primordiale, che risolve i problemi politici sterminando chi non è
d’accordo, distruggendo (in senso letterale, per giunta: col ferro e col fuoco)
gli avversari politici. *
*
L’incendio della casa del popolo di Vologda da parte di una folla sobillata
dalla polizia e l’attacco contro i dimostranti di Simbirsk sono i casi più
sintomatici dei pogrom effettuati negli ultimi giorni.
È forse casuale questa coincidenza? No di certo. Ma tuttavia non basterebbe dire
che è la polizia a organizzare i pogrom, a fini di provocazione, per screditare
la Duma. Naturalmente non può esservi ombra di dubbio sulla partecipazione
diretta della polizia. Naturalmente la polizia organizza e sobilla e provoca.
Tutto questo è vero. Nella guerra per la vita o per la morte che l’autocrazia
sta combattendo, i servitori e i fautori dell’autocrazia non arretrano
letteralmente davanti a nessun mezzo. Ma perché mai costoro sono stati indotti
proprio oggi ad applicare su larga scala tali metodi di lotta? Su questo
problema bisogna riflettere per non considerare intere fasi di sviluppo della
rivoluzione come il portato di una volontà particolarmente malvagia, della
particolare sete di sangue e crudeltà di chi combatte.
Noi stiamo vivendo l’inizio di una nuova avanzata della società. Il movimento
dei disoccupati, il primo maggio, l’intensificarsi delle agitazioni fra i
contadini, nell’esercito, i comizi, la stampa, le associazioni: tutto ciò
attesta in modo inequivocabile che siamo in presenza di una ripresa
rivoluzionaria. Lo sviluppo del largo movimento popolare si è lasciato alle
spalle, in pochi giorni, lo slancio che si era manifestato nella vittoria
elettorale dei cadetti e delle “sinistre” in genere. I cadetti sono rimasti
indietro. La Duma cadetta avvizzisce, deperisce, senza essere riuscita a
fiorire. Un’espressione caratteristica dell’appassimento dei nostri sterili
fiori piccolo-borghesi, dello smarrimento cadetto, è stato, fra l’altro,
l’articolo del signor D. Protopopov (cadetto, membro della Duma di Stato) nella
Duma
di ieri. Il signor Protopopov si lamenta e guaisce: “Il paese si aspetta dalla
Duma di Stato la radicale e immediata soluzione di una serie di questioni molto
complesse e, anzitutto, l’immediata attuazione pratica delle attese riforme”.
Cercate di capire, concittadini! - esclama il cadetto. Noi non abbiamo né la
“bacchetta magica” né i “pieni poteri” (il cadetto dimentica di aggiungere che i
pieni poteri per il popolo non sono previsti neanche nel programma - ossia
nell’ideologia politica - cadetto). La Duma di Stato non è la Convenzione. E
dalla bocca del cadetto erompe l’inimitabile, quasi commovente, ammissione del
filisteo atterrito: “Solo una simile Duma-Convenzione avrebbe potuto soddisfare
le esigenze di una parte cospicua della nostra società”. Quel che è giusto è
giusto. “Una parte cospicua”, prego, le masse contadine e operaie vogliono la
Convenzione, ma ricevono... la Duma dei cadetti. Poveri cadetti! Ci si poteva
forse aspettare che la nuova avanzata li sorpassasse con tale rapidità e in modo
così disperato per loro?
Così, la grande ripresa è il fondamento materiale sulla cui base la lotta si
inasprisce in modo eccezionale, il “pacifico parlamentarismo” si affloscia e
passa in secondo piano, il gioco alla Costituzione viene sostituito dalla
soluzione diretta dei problemi politici con l’impiego della forza. Ne deriva una
ripresa dell’avanzata di ottobre [nell’ottobre 1905 era iniziata nell’impero
zarista un’ondata di grandi scioperi politici di massa e di rivolte nelle città,
tra i soldati e nelle campagne, che culminò nello sciopero politico generale e
nell’insurrezione di dicembre a Mosca - ndr], ma su una base molto più larga,
con dimensioni più ampie, con una maggiore coscienza delle masse contadine e
della classe operaia e (per effetto del periodo ottobre-dicembre) con
un’esperienza politica incomparabilmente più vasta. In ottobre infatti le forze
delle parti in lotta si bilanciavano. La vecchia autocrazia mostrava di
non
essere
già
più capace di governare il paese. Il popolo
non
era
ancora
capace di conquistare tutto il potere, che gli garantisse la completa libertà.
Il manifesto del 17 ottobre [il 17 ottobre 1905 lo zar diffuse un manifesto in
cui prometteva la libertà e l’elezione di una Duma con legge elettorale
restrittiva, ma questo non bastò a bloccare la rivoluzione - ndr] è stato
l’espressione giuridica di questo equilibrio delle forze. Ma tale equilibrio,
che ha imposto qualche concessione al vecchio potere, costringendolo a
riconoscere sulla carta la libertà, è stato soltanto una battuta d’arresto, non
la fine della lotta. Del governo zarista si diceva, in ottobre e in novembre,
che “aveva scioperato”, che “aveva fatto la punta” alla rivoluzione [come un
cane da caccia o un cacciatore punta la selvaggina - ndr], che si era dileguato
del tutto e che, atteso il momento opportuno, s’era poi gettato in una battaglia
disperata, conclusasi con la sua vittoria. I filistei della politica, miopi come
sempre, con la timidezza e con il flaccido, ipocrita “idealismo” che li
caratterizzano, sono indignati, disperati, adirati per l’“immoralità” di questo
“sciopero” del governo, di questa “punta” alla rivoluzione. L’indignazione a
niente giova in questi casi. “À
la guerre comme
à la
guerre”.
In ogni guerra gli avversari, le cui forze si bilanciano, indugiano per qualche
tempo, accumulano energie, si riposano, digeriscono le esperienze fatte, si
preparano e poi si gettano in una nuova battaglia. Così è accaduto agli eserciti
di Kuropatkin e di Oyama [nella guerra tra Russia e Giappone conclusa nel
dicembre 1905 - ndr]. Così è accaduto e accadrà sempre in ogni grande guerra
civi1e. “À
la
guerre comme à la guerre”.
Ma la guerra civile si distingue dalla guerra tra gli Stati per la estrema
complessità, indeterminatezza e imprecisione delle forze in lotta, a causa dei
trapassi da un campo all’altro (gli ottobristi [sostenitore del manifesto
zarista del 17 ottobre 1905 - ndr] si schierano
col
governo, una parte dell’esercito si schiera con il popolo), a causa
dell’impossibilità di tracciare una linea di demarcazione fra i “combattenti” e
i “non combattenti”, fra chi è incluso cioè nelle file dei combattenti e chi non
lo è. Quando il governo “sciopera”, quando la polizia “fa la punta”, la guerra
tuttavia non viene sospesa, proprio perché è una guerra civile, proprio perché
all’interno della stessa popolazione vi sono i difensori interessati del vecchio
potere e i fautori della libertà. Ecco perché l’attuale ripresa, che ha condotto
all’equilibrio delle forze, porta tuttavia con ferrea necessità, da un canto, a
un indebolimento del governo, al suo “sciopero”, a una certa ripetizione della
“punta alla rivoluzione” e, dall’altro, al rinnovarsi delle forme di lotta
impiegate in ottobre, novembre e dicembre. Chiunque voglia esaminare con
coscienza i grandi fatti che si svolgono sotto i nostri occhi, chiunque voglia
trarre un insegnamento dalla rivoluzione deve rendersi
pienamente conto che queste forme di lotta sono inevitabili e deve altresì
capire che cosa queste forme ci impongano.
I cadetti, inebriati delle loro vittorie elettorali, hanno scritto montagne di
carta per dire che la Russia s’è avviata sulla strada del parlamentarismo. I
socialdemocratici dell’ala destra del nostro partito hanno ceduto a questa
suggestione. E, infatti, al congresso di unificazione del partito [il IV
congresso tenuto a Stoccolma nell’aprile 1906 - ndr], dove hanno avuto la
meglio, essi hanno ritirato, nonostante le proteste dei socialdemocratici di
sinistra, la risoluzione sulla ripresa rivoluzionaria, sulle principali forme
assunte oggi dal movimento, sui compiti del proletariato. In tal senso, si sono
comportati come il signor Miliukov, che, dopo essersi domandato all’ultimo
congresso dei cadetti se sia più rivoluzionario il popolo o la Duma e se la
lotta rivoluzionaria, in senso stretto, sia ineluttabile, s’è pavidamente
affrettato a non far discutere la questione. Ma se è naturale che un cadetto
eluda questo problema, non è naturale che i socialdemocratici lo imitino. E la
vita già si vendica. La vita ha già fatto emergere con la forza della
spontaneità quelle forme di lotta che vengono respinte in secondo piano dalla
Duma e preparano un nuovo ottobre, un nuovo dicembre, senza contare affatto se
noi lo vogliamo o no.
Un
socialdemocratico di destra ha deriso al congresso la risoluzione dei
socialdemocratici di sinistra, la quale riconosceva apertamente e con franchezza
che “la forma
principale
del movimento” non consiste oggi nel giocare alla Costituzione, ma
nell’applicare invece i mezzi di ottobre-dicembre, cioè l’azione delle grandi
masse che aboliscono immediatamente le vecchie leggi e i vecchi organi del
potere e impiegano il nuovo potere, creato nella lotta, come uno strumento di
conquista della libertà. Noi non vediamo oggi simili forme di lotta, ha
esclamato l’oratore dei socialdemocratici di destra. Non si tratta della verità,
ma di una congettura dei nostri sinistri, di questi sognatori, di questi
violenti, di questi anarchici. Toglietevi i vostri occhiali cadetti! - abbiamo
risposto al congresso al compagno. E allora riuscirete a vedere non solo ciò che
avviene alla superficie. Vedrete che la lotta parlamentare non è la forma
principale, comprenderete
che le condizioni oggettive rendono inevitabili le forme extraparlamentari, le
rendono appunto principali, sostanziali, radicali, decisive.
È trascorsa solo una settimana da queste; polemiche congressuali.
E
la rivoluzione già toglie gli occhiali cadetti non solo ai socialdemocratici di
destra, ma anche alle grandi masse della popolazione. La Duma già si affloscia,
le illusioni costituzionali già franano. Le forme di lotta usate in
ottobre-dicembre, che gli uomini miopi e troppo legati all’attimo solo ieri non
volevano riconoscere, stanno già ritornando in primo piano. E la
socialdemocrazia non adempirà al suo dovere davanti al proletariato, se non
saprà valutare l’inevitabilità dello sviluppo di queste forme di lotta, se non
imposterà in tutta la loro ampiezza, davanti alle masse, i problemi che la vita
ci pone e presto ci porrà. La socialdemocrazia si rivelerà indegna della classe
che rappresenta, se si sottrarrà all’analisi e alla valutazione di queste forme
mediante poche noncuranti parolette sul ribellismo e sulla “Volontà del popolo”
[oggi si direbbe: sui terroristi - ndr], parolette che abbiamo udito ripetere
tante volte dall’ala destra del nostro partito. L’ondata spontanea sta salendo:
bisogna concentrare immediatamente tutte le forze
per immettere in questa ascesa più coscienza, più spirito organizzativo di
quanto siamo riusciti a fare in ottobre e in dicembre.
Non dobbiamo forzare gli avvenimenti. Non è oggi nostro interesse accelerare
l’esplosione. Su questo punto non vi è alcun dubbio. È un insegnamento che ci
deriva dall’esperienza della fine del 1905. Ma questo è solo un aspetto del
nostro compito, è solo la definizione negativa della nostra tattica. Chi si
limita a questo lato della questione, chi trasforma questo compito negativo in
positivo, si degrada di necessità al rango di conciliatore borghese della
libertà del popolo con l’autocrazia.
Il partito della classe operaia deve affrontare un problema più serio,
improrogabile e fondamentale. Noi dobbiamo orientare tutti i nostri propositi,
tutti gli sforzi, tutto il lavoro di agitazione e propaganda, tutta l’attività
organizzativa e il lavoro pratico nel senso di preparare seriamente il
proletariato
e
i contadini alla nuova lotta decisiva. Non dipende dalla nostra volontà la
scelta delle forme di questa lotta : sarà lo sviluppo storico della rivoluzione
russa a determinarle con ferrea necessità. Già sappiamo, sappiamo per esperienza
diretta, che cosa significhi la tregua governativa, che cosa significhi il
crescente ridestarsi delle masse in rapporto alla crisi politica generale che
matura rapidamente. Sappiamo con quale vertiginosa rapidità si è sviluppata la
lotta di ottobre e come essa si è inevitabilmente trasformata nella lotta di
dicembre. Prendiamo dunque i nostri
posti di combattimento. Nessuno può prevedere il momento decisivo, nessuno sa
con quale ordine di successione si svolgeranno le forme di lotta di dicembre e
di ottobre. Ma queste forme si stanno già dispiegando. Già nascono i loro
organi. Dalla coesione, coscienza, compattezza ed energia della classe
d’avanguardia dipende in gran parte, se non in tutto, l’esito della grande
rivoluzione.