Lenin, Opere - Editori Riuniti vol. 24 - Scaricate il testo in versione Open Office o Word
La guerra e la rivoluzione
Vladimir Lenin
(maggio 1917)
Conferenza tenuta da
Lenin a Pietrogrado il 15 maggio 1917
Negli ultimi tempi la
questione della guerra e della rivoluzione è stata dibattuta così spesso nella
stampa e nelle assemblee popolari che per molti di voi i vari aspetti della
questione sono divenuti non solo familiari ma anche un po' noiosi. Non avendo
ancora avuto la possibilità di prendere la parola o di assistere alle riunioni
di partito e alle assemblee di popolo che si sono tenute in questo rione,
rischio di cadere in qualche ripetizione o di non soffermarmi abbastanza a lungo
sugli aspetti del problema che vi interessano in modo particolare.
A mio giudizio, la
cosa essenziale, che viene di solito trascurata nella questione della guerra e a
cui non si riserva la dovuta attenzione, la cosa fondamentale, su cui direi si
discute tanto e spesso in modo sterile, vuoto e improduttivo, riguarda il
carattere di classe della guerra: le ragioni per cui è scoppiata, le classi che
la conducono, le condizioni storiche e storiche-economiche che l'hanno
provocata. Nella misura in cui, nei comizi e nelle riunioni di partito, sono
riuscito a esaminare il modo come viene posta da noi la questione della guerra,
sono giunto alla conclusione che la maggior parte dei malintesi nasce, su questo
terreno, dal fatto che noi, analizzando la questione della guerra, parliamo
spesso lingue radicalmente diverse.
Dal punto di vista del
marxismo, cioè del socialismo scientifico moderno, la questione fondamentale,
per dei socialisti che discutono sulla valutazione da dare a proposito di una
guerra e sull'atteggiamento da assumere nei suoi confronti, consiste
nell'individuare gli obiettivi per cui questa guerra viene condotta e le classi
che l'hanno preparata e la dirigono.
Noi marxisti non siamo
avversari incondizionati di ogni guerra. Noi diciamo: il nostro scopo è
l'instaurazione di un assetto sociale socialista che, sopprimendo la divisione
dell'umanità in classi ed eliminando ogni sfruttamento dell'uomo da parte
dell'uomo e di ogni nazione da parte di altre nazioni, in generale sopprimerà
immancabilmente ogni possibilità di guerra. Ma nella lotta per il regime
socialista ci troveremo di necessità in condizioni in cui la lotta di classe
all'interno di ogni singola nazione dovrà fare i conti con una guerra tra
diverse nazioni generata dalla stessa lotta di classe. Pertanto noi non possiamo
negare l'eventualità di guerre rivoluzionarie, cioè di guerre derivanti dalla
lotta di classe, combattute dalle classi rivoluzionarie e aventi una portata
rivoluzionaria immediata.
Non possiamo negare
questa eventualità anche perché, nella storia delle rivoluzioni europee
dell'ultimo secolo, nel corso degli ultimi 125-135 anni, accanto a guerre per la
maggior parte reazionarie, si sono prodotte alcune guerre rivoluzionarie, come,
ad esempio, la guerra delle masse popolari rivoluzionarie di Francia contro la
coalizione dell'Europa monarchica, retrograda, feudale e semifeudale.
Oggi non c'è in Europa
occidentale, ma negli ultimi tempi anche da noi, in Russia, una menzogna più
diffusa di quella consistente nel richiamo all'esempio delle guerre
rivoluzionarie. Vi sono guerre e guerre. Bisogna determinare le condizioni
storiche da cui una guerra deriva, quali classi la conducono e quale scopo
queste classi perseguono. In caso contrario, tutte le nostre considerazioni
sulla guerra saranno frasi vuote, dibattiti sterili e puramente verbali. Ecco
perché, dal momento che mi avete chiesto di parlare sui rapporti tra la guerra e
la rivoluzione, mi permetterò di soffermarmi più a lungo su questo aspetto del
problema.
È a tutti noto il
detto di
Clausewitz, uno degli autori più illustri che si siano dedicati alla
filosofia della guerra e alla storia militare: "La guerra è la continuazione
della politica con altri mezzi". Questa massima appartiene a un autore che ha
analizzato la storia delle guerre subito dopo l'epoca delle guerre napoleoniche
e ne ha tratto i dovuti insegnamenti filosofici. Quest'autore, le cui idee
essenziali sono divenute oggi patrimonio incontestabile di ogni uomo pensante,
si batteva, ottanta anni or sono, contro l'ignaro pregiudizio filisteo secondo
cui una guerra può essere avulsa dalla politica dei governi e delle classi che
la conducono, o può essere considerata una semplice aggressione che viola la
pace e a cui segue la restaurazione della pace violata! Prima se le suonano e
poi si riconciliano! Si tratta di una concezione grossolana e insipiente,
confutata ormai da decine di anni e smentita da ogni analisi in qualche modo
attenta delle guerre di qualsiasi epoca storica.
La guerra è la
continuazione della politica con altri mezzi. Ogni guerra è indissolubilmente
connessa con il regime politico da cui deriva. La politica che una data potenza
e una data classe in questa potenza ha condotto assai prima della guerra, è la
stessa politica che questa classe prosegue durante la guerra, cambiando soltanto
la forma della propria azione.
La guerra è la
continuazione della politica con altri mezzi. Quando, alla fine del secolo
XVIII, i cittadini e i contadini rivoluzionari di Francia, dopo aver rovesciato
la monarchia con mezzi rivoluzionari, instaurarono la repubblica democratica, e,
dopo aver fatto giustizia del loro monarca, fecero giustizia con mezzi
rivoluzionari anche dei loro grandi proprietari fondiari, questa politica di una
classe rivoluzionaria non poteva non sconvolgere dalle fondamenta la restante
Europa, assolutista, monarchica, zarista, semifeudale. La continuazione
inevitabile di questa politica della classe rivoluzionaria che aveva trionfato
in Francia furono le guerre in cui, contro la Francia rivoluzionaria, si
levarono tutti gli Stati monarchici d'Europa, che costituirono la loro famosa
coalizione e sferrarono una guerra controrivoluzionaria. Il popolo
rivoluzionario di Francia, che allora per la prima volta dopo secoli dispiegò al
massimo la sua energia rivoluzionaria, nel corso della guerra della fine del
secolo XVIII diede prova di un eccezionale slancio rivoluzionario, rinnovando
tutto il sistema della strategia, rompendo con tutte le vecchie leggi e
consuetudini della guerra e sostituendo al vecchio esercito un nuovo esercito,
rivoluzionario, popolare e un nuovo modo di condurre la guerra.
Quest'esempio mi
sembra particolarmente degno di considerazione, perché ci permette di toccare
con mano ciò che oggi dimenticano ad ogni passo i pubblicisti dei giornali
borghesi, speculando sui pregiudizi e sull'ignoranza bonaria delle masse
popolari assolutamente incolte, le quali non afferrano l'inscindibile legame
economico e storico di ogni guerra con la politica svolta in precedenza da
ciascun paese, da ciascuna classe che dominava prima della guerra e che cercava
di raggiungere i propri scopi con mezzi cosiddetti "pacifici". Cosiddetti
pacifici, perché non si possono certo qualificare come pacifiche le misure
repressive di cui si servono, ad esempio, i colonialisti per imporre la loro
"pacifica" dominazione.
La pace regnava in
Europa, ma solo perché la dominazione dei popoli europei sulle centinaia di
milioni di abitanti delle colonie veniva realizzata attraverso guerre continue,
incessanti, ininterrotte, che noi europei non consideriamo come tali, poiché
troppo spesso somigliano piuttosto a un selvaggio massacro, allo
sterminio di popolazioni inermi.
Le cose stanno dunque
in modo che noi, per comprendere la guerra in corso, dobbiamo gettare uno
sguardo d'insieme sulla politica svolta dalle potenze europee. Non bisogna
prendere singoli esempi, casi isolati, che è sempre facile distaccare dalla
connessione dei fenomeni sociali e che non hanno alcun valore, perché è sempre
facile addurre un esempio opposto. No, bisogna prendere l'insieme della politica
di tutto il sistema degli Stati europei nei loro rapporti economici e politici,
se si vuole capire in che modo la guerra in corso è fatalmente e inevitabilmente
scaturita da questo sistema.
Assistiamo senza posa
ai tentativi, compiuti soprattutto dai giornali borghesi, poco importa se
monarchici o repubblicani, di attribuire alla guerra attuale un contenuto
storico che le è estraneo. Non c'è metodo più diffuso nella repubblica francese,
per esempio, del tentativo di presentare questa guerra, da parte della Francia,
come la continuazione, e quasi la ripetizione, delle guerre della grande
rivoluzione del 1792. Il mezzo più comune per ingannare le masse popolari
francesi, gli operai della Francia e di tutti i paesi, consiste nel trasporre al
tempo nostro il "gergo" di quell'epoca, alcune sue parole d'ordine e nel far
credere che ancora oggi la Francia repubblicana stia difendendo la sua libertà
contro la monarchia. Si trascura la "piccola" circostanza che nel 1792 la guerra
era condotta in Francia da una classe rivoluzionaria, che aveva compiuto una
rivoluzione senza precedenti, che, in virtù dell'eccezionale eroismo delle
masse, aveva distrutto dalle radici la monarchia e che era insorta, contro
l'Europa monarchica coalizzata, al solo scopo di proseguire la propria lotta
rivoluzionaria.
La guerra era allora
in Francia la continuazione della politica della classe rivoluzionaria che aveva
fatto la rivoluzione, conquistato la repubblica, giustiziato con un'energia
senza precedenti i capitalisti e i grandi proprietari fondiari francesi e che,
in nome di questa politica e della sua continuazione, condusse contro l'Europa
monarchica coalizzata una guerra rivoluzionaria.
Oggi invece siamo in
presenza anzitutto di due gruppi di potenze capitaliste. Siamo in presenza dei
paesi capitalisti più potenti del mondo, Inghilterra, Francia, America,
Germania, la cui politica è consistita per vari decenni in una ininterrotta
rivalità economica per garantire il proprio dominio sul mondo, per soffocare le
piccole nazioni, per triplicare e decuplicare i profitti del capitale bancario
che tende a subordinare alla sua influenza il mondo intero. È questa la reale
politica svolta dall'Inghilterra e dalla Germania. Insisto su questo punto, su
cui non bisogna stancarsi di insistere, perché, tralasciandolo, non riusciamo a
capire la guerra in corso e ci troviamo così impotenti, alla mercé di ogni
pubblicista borghese, che ci rimpinzerà di frasi bugiarde.
Bisogna studiare e
capire nel suo insieme l'effettiva politica realizzata per decenni prima della
guerra dai due gruppi di giganti capitalisti, dall'Inghilterra e dalla Germania
che, insieme con i loro alleati, si sono scagliate l'una contro l'altra. Se
tralasciassimo questo esame, non solo dimenticheremmo un'istanza fondamentale
del socialismo scientifico e di ogni scienza sociale in genere, ma ci priveremmo
per giunta della possibilità di capire qualcosa della guerra attuale. Ci daremmo
in balia di
Miliukov, che inganna la gente, che
attizza lo sciovinismo e l'odio tra i popoli con mezzi che vengono impiegati
sempre, senza eccezione, con mezzi di cui già parlava ottant'anni fa il
succitato Clausewitz, il quale già allora derideva l'opinione che i popoli
vivono in pace e d'un tratto si dilaniano tra loro! Come se fosse vero! Si può
forse spiegare una guerra senza collegarla con la politica anteriore di uno
Stato, di un sistema di Stati e di determinate classi? Lo ripeto ancora una
volta: è questo il problema fondamentale che viene eluso continuamente e la cui
incomprensione trasforma i nove decimi dei discorsi sulla guerra in sterili
alterchi e scambi di invettive. Noi diciamo: se non avete studiato la politica
svolta dai due gruppi di potenze belligeranti negli ultimi decenni, - di modo
che niente appaia casuale e non ci si lasci trascinare dagli esempi isolati, -
se non avete mostrato il legame tra questa guerra e la politica precedente, non
avete capito un bel niente!
Questa politica ci
mostra una sola cosa, sempre la stessa: l'ininterrotta rivalità economica dei
due giganti mondiali, delle due economie capitaliste. Da una parte
l'Inghilterra, lo Stato che possiede la maggior parte del globo, lo Stato che è
al primo posto per la sua ricchezza acquisita non tanto con il lavoro dei suoi
operai, quanto invece, principalmente, con lo sfruttamento delle sue
innumerevoli colonie, con la forza smisurata delle sue banche, riunitesi, alla
testa di tutte le altre banche, in un gruppetto - tre, quattro o cinque - di
banche gigantesche, le quali dispongono di centinaia di miliardi di rubli e ne
dispongono in modo che non è esagerato dire: non c'è sul globo una spanna di
terra su cui questo capitale non metta la sua mano pesante, non c'è una spanna
di terra che non sia legata con mille fili al capitale inglese. Tra la fine del
secolo XIX e l'inizio del nostro questo capitale ha assunto dimensioni tali da
estendere la propria attività ben oltre i confini di alcuni Stati e ha
costituito un gruppo di banche gigantesche con una ricchezza favolosa.
Attraverso tali banche esso è riuscito ad avvolgere tutto il mondo in una rete
di centinaia di miliardi di rubli. Ecco l'essenziale nella politica economica
dell'Inghilterra e nella politica economica della Francia, a proposito della
quale gli stessi pubblicisti francesi, tra gli altri i collaboratori dell'Humanité,
un giornale diretto oggi da ex socialisti (per esempio, da Lysis, noto
specialista di questioni finanziarie), così scrivevano qualche anno prima della
guerra: "La Francia è una monarchia finanziaria, la Francia è un'oligarchia
finanziaria, la Francia è l'usuraia dell'universo".
Dall'altra parte,
contro questo gruppo, essenzialmente anglo-francese, si è levato un altro gruppo
di capitalisti, ancor più rapace, ancor più brigantesco, un gruppo che si è
presentato al banchetto del capitalismo quando i posti erano ormai occupati, ma
che ha introdotto nella lotta nuovi metodi di sviluppo della produzione
capitalista, una tecnica superiore, un'organizzazione incomparabile, in base
alla quale il vecchio capitalismo, il capitalismo dell'epoca della libera
concorrenza, diventa il capitalismo dei trusts, dei sindacati e cartelli
giganteschi. Questo gruppo ha introdotto il principio della statizzazione della
produzione capitalista, della fusione di forze gigantesche, come il capitalismo
e lo Stato, in un meccanismo unico, che riunisce decine di milioni di uomini
nell'unica organizzazione del capitalismo di Stato. Ecco la storia economica,
ecco la storia diplomatica degli ultimi decenni, da cui nessuno può prescindere!
Essa soltanto vi addita la via per risolvere il problema della guerra e vi
induce a concludere che la guerra in corso è anch'essa il risultato della
politica delle classi che si stanno scontrando nell'attuale conflitto, il
risultato della politica dei due colossi che, assai prima dell'inizio delle
ostilità, avevano steso sul mondo intero, su tutti i paesi, la rete del loro
sfruttamento finanziario e che si erano spartito economicamente tutto il globo.
Essi dovevano scontrarsi, perché una nuova spartizione di questo dominio era
divenuta ormai inevitabile dal punto di vista del capitalismo.
L'antica spartizione
era fondata sul fatto che per vari secoli l'Inghilterra aveva rovinato le sue
vecchie rivali: l'Olanda, che già dominava su tutto il mondo e la Francia, che,
per circa un secolo, aveva lottato per la supremazia. Con lunghe guerre,
poggiando sulla sua forza economica, sulla potenza del suo capitale commerciale,
l'Inghilterra riuscì a imporre il suo dominio incontrastato sul mondo intero.
Comparve un nuovo predone, nel 1871 si costituì una nuova potenza capitalista,
che prese a svilupparsi con ritmo incomparabilmente più rapido rispetto
all'Inghilterra. Ecco il fatto essenziale. Non c'è un solo libro di storia
economica che non riconosca il fatto incontestabile della più rapida evoluzione
della Germania. Questa rapida espansione del capitalismo in Germania fu lo
sviluppo di un predone giovane e vigoroso che, presentandosi nel concerto delle
potenze europee, dichiarò: "Avete rovinato l'Olanda, sconfitto la Francia, vi
siete impadroniti di mezzo mondo: datemi dunque la parte che mi spetta!". Ma che
cos'era questa "parte"? Come determinarla nel mondo capitalista, nel mondo delle
banche? La forza è data in questo mondo dal numero delle banche e, come ha
scritto con franchezza e cinismo puramente americani uno degli organi di stampa
dei miliardari statunitensi, è data a questo modo: "In Europa si combatte per il
dominio del mondo. Per dominare sul mondo occorrono due cose: i dollari e le
banche. I dollari li abbiamo, le banche le creeremo: così potremo dominare sul
mondo". Ecco che cosa dichiara un autorevole giornale dei miliardari americani.
Devo ammettere che in queste ciniche parole americane di un miliardario
presuntuoso e insolente c'è mille volte più verità che nelle migliaia di
articoli dei mentitori borghesi, i quali presentano la guerra in corso come una
guerra condotta per chissà quali interessi nazionali, per chissà quali questioni
nazionali e dicono altre evidenti menzogne di questo genere, respingendo tutta
la storia nel suo insieme e prendendo un esempio isolato come quello del predone
tedesco che si avventa contro il Belgio. Il fatto è indubbiamente autentico. Sì,
questo gruppo di predoni si è avventato contro il Belgio con barbarie inaudita,
ma ha fatto la stessa cosa che l'altro gruppo di predoni faceva ieri con altri
metodi e fa oggi contro altri popoli.
Quando discutiamo
delle annessioni (e si tratta di un problema che rientra nel quadro che ho
tentato qui di delineare brevemente come storia dei rapporti economici e
diplomatici da cui è scaturita la guerra attuale), dimentichiamo sempre che in
genere va ricercato proprio qui il movente della guerra: la spartizione delle
conquiste o, in linguaggio più popolare, la spartizione del bottino predato dai
due gruppi di briganti. Quando discutiamo delle annessioni, c'imbattiamo sempre
in metodi che, sul piano scientifico, non reggono alla critica e che, sotto il
profilo pubblicistico, possono qualificarsi soltanto come una volgare
turlupinatura. Interrogate uno sciovinista o un socialsciovinista russo e costui
vi spiegherà a meraviglia che cosa sia un'annessione, quando questa venga fatta
dalla Germania. Quest'annessione la capisce molto bene. Ma costui rimarrà muto
ogni qualvolta gli chiederete una definizione generale del concetto di
annessione, che si applichi a un tempo alla Germania, all'Inghilterra e alla
Russia. Non vi fornirà tale definizione in nessun caso! La Riec (tanto
per passare dalla teoria alla pratica) ha dileggiato la nostra Pravda
dicendo: "Questi pravdisti considerano la Curlandia un'annessione! Come
discutere con questa gente?". Allora abbiamo risposto: "Siate bravi, dateci una
definizione del concetto di annessione che sia valida per i tedeschi, per gli
inglesi e per i russi. E abbiamo aggiunto: o lascerete cadere la nostra sfida
oppure vi smaschereremo subito". E la Riec non ha più replicato. Noi
sosteniamo che nessun giornale, appartenga esso agli sciovinisti, che si
limitano a parlare della necessità di difendere la patria, o ai
socialsciovinisti, ha mai dato una definizione del concetto di annessione che
valga tanto per la Germania quanto per la Russia e che possa essere applicato ad
ogni paese. Nessun giornale può dare questa definizione, perché tutta la guerra
in corso è la continuazione della politica di annessioni, cioè di conquista, di
rapina capitalista, condotta dai due gruppi belligeranti. È pertanto chiaro che
per noi non ha alcuna importanza stabilire quale dei due predoni abbia per primo
tirato fuori il coltello. Esaminate la storia degli investimenti di carattere
militare e navale dei due gruppi di potenze negli ultimi decenni, esaminate la
storia delle piccole guerre che essi hanno fatto prima della grande guerra!
Queste guerre sono "piccole", perché in esse sono morti pochi europei, mentre vi
hanno perduto la vita centinaia di uomini appartenenti ai popoli che gli europei
soffocano e che dal loro punto di vista non meritano nemmeno l'appellativo
di popoli (sono forse popoli gli asiatici o gli africani?). Ecco le
guerre combattute contro di loro: questi uomini erano inermi e gli europei li
hanno sterminati con le mitraglie. Si può parlare di guerre? No, a rigore, non
si può parlare di guerre e si può quindi tralasciare tutto questo. Ecco il loro
atteggiamento in questa ininterrotta turlupinatura delle masse popolari.
La guerra in corso è
la continuazione di una politica fondata sulla conquista, sullo sterminio di
intere popolazioni e sulle inaudite atrocità commesse in Africa dai tedeschi e
dagli inglesi e in Persia dagli inglesi e dai russi (non saprei dire chi sia
stato più feroce) e per cui i capitalisti tedeschi consideravano gli altri come
nemici. Ebbene, voi siete forti, perché siete più ricchi? Ma noi siamo più forti
di voi e, quindi, abbiamo il "sacrosanto" diritto di predare. Ecco a che cosa si
riduce la vera storia del capitale finanziario inglese e tedesco nei decenni che
hanno preceduto la guerra. Ecco a che cosa si riduce la storia dei rapporti
russo-tedeschi, russo-inglesi e anglotedeschi. Ecco la chiave per capire i
moventi della guerra attuale. Ecco perché è solo ciarlataneria e menzogna la
storia che si suol raccontare sulle cause della guerra. Se si dimentica la
storia del capitale finanziario, la storia del modo come è maturata la guerra
per una nuova spartizione, si finisce per far credere che due popoli vivevano in
pace, che d'un tratto l'uno ha attaccato e l'altro si è difeso. Si dimentica
così ogni scienza, si dimenticano le banche, si chiamano alle armi i popoli, si
chiamano alle armi i contadini che ignorano che cosa sia la politica. Bisogna
difendersi: ecco tutto! Se si ragiona così, sarebbe logico sopprimere tutti i
giornali, bruciare tutti i libri e vietare che la stampa si occupi delle
annessioni: solo così si potrebbe infatti giustificare questo punto di vista
sulle annessioni. Essi non possono dire la verità sulle annessioni, perché tutta
la storia della Russia, dell'Inghilterra e della Germania consiste in una guerra
ininterrotta, implacabile e sanguinosa per le annessioni. In Persia e in Africa
hanno condotto guerre spietate i liberali, i quali hanno fatto frustare in India
i detenuti politici che avevano osato presentare le stesse rivendicazioni per
cui si lottava da noi in Russia. Gli eserciti coloniali francesi opprimevano i
popoli. Ecco la storia che ha preceduto la guerra, ecco la vera storia degli
incredibili saccheggi! Ecco quale politica viene continuata dalla guerra in
corso. Ecco perché, nella questione delle annessioni, questa gente non può dare
la risposta che noi diamo dicendo: ogni popolo che venga unito a un altro
popolo, non in base alla volontà liberamente espressa dalla propria maggioranza,
ma per decisione dello zar o del governo, è un popolo asservito, è un popolo
annesso. Rinunciare alle annessioni significa dare a ciascun popolo il diritto
di costituirsi in Stato indipendente o di unirsi a chi vuole. Questa risposta è
assolutamente chiara per ogni operaio in qualche modo consapevole.
In ognuna delle
risoluzioni, che vengono approvate a decine e pubblicate persino nel giornale
Zemlià i volia, si può trovare una risposta mal formulata: noi non vogliamo
una guerra per dominare sugli altri popoli, noi lottiamo per la nostra libertà:
così dicono tutti gli operai e i contadini, esprimendo l'opinione dell'operaio,
del lavoratore sulla guerra. Se la guerra fosse condotta nell'interesse dei
lavoratori, contro gli sfruttatori, noi saremmo favorevoli a questa guerra.
Anche noi saremmo in tal caso favorevoli alla guerra e nessun partito
rivoluzionario potrebbe opporsi ad essa. Gli autori di queste innumerevoli
risoluzioni hanno torto, perché immaginano di essere loro a condurre la guerra:
"Noi soldati, noi operai, noi contadini combattiamo per la nostra libertà". Non
dimenticherò mai la domanda che mi è stata posta dopo un comizio: "Perché
parlate sempre contro i capitalisti? Sono forse un capitalista io? Noi siamo
operai e difendiamo la nostra libertà". Non è vero! Voi combattete perché
obbedite al vostro governo di capitalisti. Le guerre non sono condotte dai
popoli, ma dai governi. Non mi stupisce che un operaio o un contadino, non
avendo studiato la politica, non avendo avuto la ventura o la sventura di veder
chiaro nei segreti della diplomazia, nello spettacolo del saccheggio finanziario
(sia pur dell'oppressione della Persia da parte della Russia e
dell'Inghilterra), dimentichi tutto questo e domandi ingenuamente: "Che
c'entrano qui i capitalisti, se sono io a combattere?" Egli non si avvede del
legame tra la guerra e il governo, non capisce che la guerra è condotta dal
governo e che lui è solo lo strumento di cui il governo si serve per i suoi
fini. Egli può ben sostenere di far parte del popolo rivoluzionario e scrivere
risoluzioni magniloquenti: per i russi è già molto, perché tale usanza è entrata
in vigore da poco. Di recente il governo provvisorio ha pubblicato una
dichiarazione "rivoluzionaria". Ma questo non cambia niente e i capitalisti
degli altri paesi, ben più esperti dei nostri nell'arte di ingannare le masse
con i manifesti "rivoluzionari", hanno battuto da tempo tutti i primati in
questo campo. Se si prende la storia parlamentare della repubblica francese, dal
momento in cui essa ha cominciato a sostenere lo zarismo, si trovano decine di
esempi, in alcuni decenni di storia parlamentare, in cui dei manifesti pieni di
parole reboanti sono serviti a occultare la politica del più abietto saccheggio
coloniale e finanziario. La storia della terza repubblica francese è da cima a
fondo la storia di questo saccheggio. Da queste fonti sgorga la guerra in corso,
che non è il risultato della cattiveria dei capitalisti o dell'erronea politica
dei monarchi. Sarebbe sbagliato vedere le cose a questo modo. No, questa guerra
è stata provocata inevitabilmente dallo sviluppo di un capitalismo, soprattutto
bancario, ultrapotente, uno sviluppo il quale ha fatto sì che quattro banche di
Berlino e cinque o sei banche di Londra dominino su tutto il mondo, si
accapparrino tutti i fondi, assicurino alla propria politica finanziaria
l'appoggio delle forze armate e, da ultimo, si scontrino in una collisione
eccezionalmente selvaggia, perché non riescono a proseguire liberamente lungo la
via delle conquiste. Un gruppo o l'altro deve rinunciare alle sue colonie. In
questo mondo di capitalisti tali problemi non possono essere risolti
amichevolmente ma solo con la guerra. Ecco perché è ridicolo accusare questo o
quel brigante coronato. Sono tutti uguali tra loro, questi briganti coronati.
Ecco perché è assurdo accusare i capitalisti di questo o quel paese. La loro
unica colpa è di aver instaurato un sistema come l'attuale. Ma l'hanno fatto
secondo tutte le leggi che lo Stato civile difende con tutte le sue forze. "Sono
nel mio pieno diritto, compro le azioni. E tutti i tribunali, tutte le
polizie, tutti gli eserciti permanenti e le flotte del mondo tutelano il mio
sacrosanto diritto di possedere azioni".
Se si costituiscono
banche, che dispongono di centinaia di milioni di rubli, se queste banche
gettano sul mondo intero la rete del saccheggio bancario e poi si scontrano in
un duello per la vita e per la morte, di chi è la colpa? Vallo a cercare il
colpevole! Il colpevole è mezzo secolo di sviluppo capitalista e la sola via
d'uscita è il rovesciamento del dominio capitalista, la rivoluzione operaia.
Ecco la risposta a cui il nostro partito è pervenuto attraverso l'analisi della
guerra. Ecco perché noi diciamo: i rappresentanti dei partiti borghesi hanno a
tal punto ingarbugliato con le loro menzogne la questione per sé chiarissima
delle annessioni che oggi possono cercare di far credere che la Curlandia non
sia una annessione della Russia. I tre briganti coronati si sono spartiti di
comune accordo la Curlandia e la Polonia. Se le sono spartite per un secolo,
tagliando nella carne viva e il brigante russo ha arraffato il pezzo più grosso,
perché era allora il più forte. Ma quando la Germania da giovane predone che
aveva partecipato alla spartizione, è divenuta una grande potenza capitalista,
ha dichiarato: "Forza, facciamo una nuova spartizione! Volete tenervi quello che
possedete? Vi credete più forti? Bene, misuriamoci!".
Ecco a che cosa si
riduce la guerra in corso. Naturalmente, questa sfida - "misuriamoci!" - esprime
una politica di rapina condotta per decenni, esprime la politica delle grandi
banche. Ecco perché nessuno può dire come noi la pura e semplice verità sulle
annessioni, che è ben chiara a ogni operaio e contadino. Ecco perché la
questione dei trattati, di per sé tanto semplice, viene ingarbugliata con grande
impudenza da tutta la stampa. Voi dite che abbiamo un governo rivoluzionario,
che di esso fanno parte ministri quasi integralmente socialisti, ministri
populisti e menscevichi. Ma, allorché essi parlano di pace senza annessioni,
senza però precisare che cosa sia una pace senza annessioni (il che significa:
ai tedeschi toglieremo le loro annessioni e noi ci terremo le nostre), noi
diciamo: che vale il vostro governo "rivoluzionario", che cosa valgono le vostre
dichiarazioni, l'asserzione di non volere una guerra di conquista, se al tempo
stesso invitate l'esercito a sferrare l'offensiva? Ignorate forse di essere
vincolati dai trattati che Nicola il sanguinario ha stipulato nel modo più
brigantesco? Ignorate queste cose? Queste cose possono ignorarle gli operai, i
contadini, che non hanno mai fatto saccheggi e non hanno mai letto libri dotti.
Ma i cadetti istruiti che affermano queste cose nella loro propaganda conoscono
assai bene il contenuto di questi trattati. I trattati sono "segreti", ma tutta
la stampa diplomatica di tutti i paesi ne parla in questi termini: "Tu ti
prenderai gli Stretti, tu l'Armenia, tu la Galizia, tu l'Alsazia-Lorena, tu
Trieste e noi ci spartiremo definitivamente la Persia". Il capitalista tedesco
dice: "Io mi prenderò l'Egitto, e schiaccerò tutti i popoli d'Europa, se voi non
mi restituirete le mie colonie e con gli interessi!". Le azioni sono
inconcepibili senza utili. Ecco perché il problema dei trattati, che è così
semplice e chiaro, ha suscitato un folla di menzogne flagranti, inaudite,
impudenti sulle pagine di tutti i giornali capitalisti.
Si prenda il Dien
di oggi. Vodovozov, che non si può certo accusare di simpatia per il
bolscevismo, ma che è un democratico onesto, dichiara: "Io sono contrario ai
trattati segreti". Permettetemi di parlare del trattato con la Romania, esiste
infatti un trattato segreto con la Romania, in cui si dice che la Romania
otterrà certi territori stranieri, se combatterà a fianco degli alleati.
Assolutamente identici sono i trattati conclusi dagli altri alleati, che, senza
stipulare un accordo, non si sarebbero accinti a soffocare tutti. Per informarsi
sul contenuto di questi trattati, non c'è alcun bisogno di rovistare nelle
riviste specializzate. Basta ricordare i fatti più importanti della storia
economica e diplomatica. L'Austria, ad esempio, non ha marciato per decenni
contro i Balcani, per soffocarli?... Se si è arrivati alla guerra, vuol dire che
non si poteva fare altrimenti. Ecco perché, a tutti gli appelli delle masse
popolari a pubblicare i trattati, appelli che divengono sempre più pressanti,
l'ex ministro
Miliukov e l'attuale ministro Terestcenko
(il primo in un governo senza ministri socialisti, il secondo in un governo con
tutta una schiera di ministri pseudosocialisti) rispondono dichiarando che
pubblicare i trattati significa rompere con gli alleati.
Sì, è vero, non potete
rendere pubblici i trattati, perché fate parte di una stessa banda di briganti.
Concediamo volentieri a Miliukov e a Terestcenko che non si possono pubblicare i
trattati. Ma da questo si possono derivare due diverse conclusioni. Se
concediamo a Miliukov e a Terestcenko che non si possono pubblicare i trattati,
che cosa ne consegue? Se è impossibile pubblicare i trattati, bisogna
aiutare i ministri capitalisti a continuare la guerra. L'altra conclusione è
questa: poiché i capitalisti non possono pubblicare i trattati, bisogna
abbattere i capitalisti. Sta a voi decidere quale delle due conclusioni sia più
giusta, ma vi invito tuttavia a riflettere sulle conseguenze. Se si ragiona al
modo dei ministri populisti e menscevichi, si conclude che, poiché il governo
afferma di non poter rendere pubblici i trattati, bisogna lanciare un nuovo
manifesto. Il costo della carta non è ancora così alto che non si possono
redigere nuovi manifesti. Scriviamone uno e propugniamo l'offensiva. Per che
cosa? A quale fine? Agli ordini di chi? I soldati vengono incitati a realizzare
i trattati di rapina con la Romania e con la Francia. Inviate l'articolo di
Vodovozov al fronte e poi lamentatevi: sono di nuovo i bolscevichi, sono ancora
i bolscevichi, non c'è dubbio, che hanno inventato il trattato con la Romania!
Ma in tal caso non basta far sparire la Pravda dalla faccia della terra,
bisogna espellere anche Vodovozov perché ha studiato la storia, bisogna dare
alle fiamme i libri di Miliukov, perché si tratta di testi eccezionalmente
pericolosi. Provatevi a sfogliare un qualsiasi libro del capo del partito della
"libertà del popolo", ex ministro degli esteri. Sono libri eccellenti. Di che
cosa parlano? Del fatto che la Russia ha dei "diritti" sugli Stretti,
sull'Armenia, sulla Galizia e sulla Prussia orientale. L'autore ha ripartito
tutte le zone e pubblicato in appendice una cartina. E quindi non basta mandare
in Siberia i bolscevichi e Vodovozov per i loro articoli rivoluzionari, bisogna
bruciare anche i libri di Miliukov, perché, se si tolgono da essi alcune
semplici citazioni e si spediscono al fronte, nessun manifestino per quanto
incendiario potrebbe sortire un effetto analogo.
Per restare
nell'ambito del piano sommario, che ho abbozzato per la nostra conversazione,
devo adesso affrontare il problema del "difensismo rivoluzionario". Ritengo che
dopo quanto ho avuto l'onore di esporvi nel mio rapporto potrò trattare
concisamente questo problema.
Il "difensismo
rivoluzionario" consiste nel giustificare la guerra con il pretesto che noi
abbiamo fatto la rivoluzione, che siamo quindi un popolo rivoluzionario, che
siamo una democrazia rivoluzionaria. Ma quale è la nostra risposta, se ci si
interroga su questo punto? Quale rivoluzione abbiamo fatto? Abbiamo rovesciato
Nicola II. Questa rivoluzione non è stata troppo ardua rispetto a quella che
dovrà rovesciare la classe dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti.
Chi ha preso il potere, dopo la nostra rivoluzione? I grandi proprietari
fondiari e i capitalisti, cioè le stesse classi che sono al potere in Europa da
molto tempo. In Europa queste rivoluzioni sono avvenute cento anni or sono e il
potere è detenuto ormai da un pezzo dai Terestcenko, dai Miliukov, dai
Konovalov e poco importa che si paghi una
lista civile ad un reuccio o che si faccia a meno di quest'articolo di lusso. La
banca continua a essere una banca e, se i capitali sono investiti nelle
concessioni, il profitto è sempre profitto, tanto in regime monarchico quanto in
regime repubblicano. Se un qualsiasi paese selvaggio osa non obbedire al nostro
capitale civilizzato, che crea banche stupende nelle colonie, in Africa, in
Persia, se alcuni popoli selvaggi non si piegano alla nostra banca civilizzata,
noi inviamo subito l'esercito per restaurare la civiltà, l'ordine e la cultura,
come ha fatto
Liakhov in Persia, come hanno fatto gli
eserciti della Francia "repubblicana", che hanno sterminato con non minore
crudeltà i popoli africani. Dov'è la differenza? È lo stesso "difensismo
rivoluzionario", manifestato però dalle grandi masse inconsapevoli del popolo,
le quali non colgono il rapporto tra la guerra e il governo e non sanno che
questa politica è stata sancita nei trattati. I trattati sono rimasti, così le
banche, così le concessioni. In Russia siedono oggi al governo i rappresentanti
migliori proprio della classe dei grandi proprietari terrieri e dei capitalisti,
ma il carattere della guerra mondiale non è cambiato per questo. Il nuovo
"difensismo rivoluzionario" serve solo a occultare dietro la grande concezione
della rivoluzione una guerra sporca e sanguinosa condotta in nome di trattati
infami e ripugnanti.
La rivoluzione russa
non ha modificato la guerra, ma ha creato organismi che non hanno riscontro in
nessun altro paese e che non sono esistiti nella maggior parte delle rivoluzioni
occidentali. Da esse è sorto soltanto un nuovo governo, come quello dei nostri
Terestcenko e Konovalov, mentre il paese rimaneva passivo e disorganizzato. La
rivoluzione russa è andata più avanti. In questo fatto è racchiusa in germe la
sua possibilità di vincere la guerra. Accanto al governo dei ministri
"pseudo-socialisti", accanto al governo della guerra imperialista e
dell'offensiva, accanto al governo legato al capitale anglo-francese, accanto a
questo governo e indipendentemente da esso, abbiamo oggi in tutta la Russia una
rete di soviet di deputati degli operai, dei soldati e dei contadini. Ecco la
rivoluzione che non ha ancora detto l'ultima parola. Ecco la rivoluzione che non
ha riscontro nell'Europa occidentale. Ecco le organizzazioni delle classi che
non hanno alcun reale bisogno delle annessioni, che non hanno depositato milioni
nelle banche, che non hanno alcun interesse a sapere se il colonnello russo
Liakhov e l'ambasciatore liberale inglese abbiano effettuato una giusta
spartizione della Persia. La garanzia che la rivoluzione potrà andare più avanti
è qui, nel fatto che queste classi, prive di qualsiasi interesse reale per le
annessioni, nonostante la loro illimitata fiducia nel governo dei capitalisti,
nonostante la spaventosa confusione e menzogna che caratterizzano la concezione
stessa del "difensismo rivoluzionario", nonostante l'appoggio al prestito e al
governo della guerra imperialista, sono riuscite a creare degli organismi in cui
sono rappresentate le classi oppresse. Questi organismi sono i soviet di
deputati degli operai, dei soldati e dei contadini, i quali, in numerose
località della Russia, sono andati molto più avanti che a Pietrogrado, nella
propria azione rivoluzionaria. E questo è del tutto naturale, perché l'organismo
centrale dei capitalisti si trova appunto a Pietrogrado.
E quando
Skobelev ha detto ieri: "Noi prenderemo
l'intero profitto, il 100% del profitto", si è lasciato trascinare dal suo
slancio ministeriale. Leggete la Riec di oggi e vedrete quale eco abbia
suscitato questo brano del discorso di Skobelev. "Ma questa è la fame, vi si
scrive, la morte: il 100% è tutto!". Il ministro Skobelev va più lontano del
bolscevico più estremista. È una calunnia dire che i bolscevichi sono più a
sinistra. Il ministro Skobelev è molto più "a sinistra". Mi hanno coperto delle
ingiurie più infami perché avrei proposto di spogliare un po' i capitalisti.
Quanto meno Sciulghin ha detto: "Bene, che ci spoglino!". Immaginate un
bolscevico che si avvicini al cittadino Sciulghin e cominci a spogliarlo! No,
costui dovrebbe accusare il ministro Skobelev. Noi non siamo mai andati così
lontano. Non abbiamo mai proposto di prendere il 100% del profitto. Tuttavia
questa promessa è preziosa. Leggete la risoluzione del nostro partito e vedrete
che in essa proponiamo, in forma meglio argomentata, le stesse cose che io avevo
proposto. Bisogna istituire il controllo sulle banche e quindi un'equa imposta
sui redditi. Tutto qui! Skobelev propone invece di prendere cento centesimi su
ogni rublo. Non abbiamo proposto e non proponiamo niente di simile. E Skobelev
ha ceduto a un impulso passeggero. Non ha alcuna intenzione di far questo e, se
avesse tale intenzione, non potrebbe farlo per la semplice ragione che è
alquanto ridicolo promettere di queste cose e vivere in buon accordo con
Terestcenko e Konovalov. Si può prendere l'80 o il 90% dei profitti dei
milionari, ma a condizione di non andare a braccetto con tali ministri. Se i
soviet dei deputati degli operai e dei soldati assumeranno il potere,
prenderanno realmente qualcosa, ma non tutto, perché non ne avranno necessità.
Prenderanno una gran parte dei profitti. Ma nessun altro potere statale sarà
capace di farlo. Quanto al ministro Skobelev, può essere animato dalle migliori
intenzioni. Da vari decenni ormai osservo questi partiti e da trent'anni milito
nel movimento rivoluzionario. Meno di ogni altro sono propenso a dubitare delle
loro buone intenzioni. Ma non di questo si tratta, le buone intenzioni non sono
in causa. L'inferno ne è lastricato. E tutte le cancellerie sono piene di carte
firmate dai cittadini ministri. Ma niente è cambiato. Se volete istituire il
controllo, fate pure! Il nostro programma è tale che, alla lettura del discorso
di Skobelev, possiamo dire: non chiediamo di più. Siamo molto più moderati del
ministro Skobelev. Lui propone il controllo e il 100%. Noi non vogliamo prendere
il 100% e diciamo: fino a quando non vi sarete messi all'opera, non avremo
fiducia in voi. Ecco dove sta la differenza: noi non crediamo alle parole e alle
promesse e consigliamo agli altri di non crederci. L'esperienza delle
repubbliche parlamentari insegna che non si può prestar fede alle dichiarazioni
che rimangono sulla carta. Se volete il controllo, cominciate a realizzarlo!
Basta appena un giorno per promulgare la legge sul controllo. Il soviet degli
impiegati di ogni banca, il soviet degli operai di ogni fabbrica, ogni partito
hanno diritto di esercitare questo controllo. È impossibile, ci si dirà, c'è il
segreto commerciale, c'è la sacrosanta proprietà privata! Ebbene, fate come vi
pare, ma scegliete. Se volete tutelare tutti questi registri, i conti e le
operazioni dei trusts, non dovete parlare del controllo, non dovete strepitare
che il paese è sull'orlo della rovina.
In Germania le cose
vanno anche peggio. In Russia ci si può procurare il pane, in Germania no. Si
può far molto in Russia con l'organizzazione. In Germania non si può fare più
niente. Non c'è più pane e il popolo è condannato a una catastrofe inevitabile.
Oggi si scrive che la Russia è sull'orlo dell'abisso. Se questo è vero, è un
delitto proteggere la "sacrosanta" proprietà privata. Che significano allora le
proposte di controllo? Avete forse dimenticato che anche
Nicola Romanov ha scritto molto in tema di
controllo? In lui troverete ripetute mille volte parole come controllo statale,
controllo pubblico, nomina di senatori. Nei due mesi seguiti alla rivoluzione
gli industriali hanno saccheggiato tutta la Russia, assicurandosi utili molto
alti sul capitale, come attesta ogni relazione dei consigli di
amministrazione. Ma quando, due mesi dopo la rivoluzione, gli operai hanno avuto
l' "audacia" di dire che volevano vivere in condizioni umane, tutta la stampa
capitalista del paese ha levato alte grida. Ogni numero della Riec è un
urlo selvaggio, contro gli operai che depredano il paese, mentre noi, si
dice, promettiamo soltanto un controllo diretto contro i capitalisti. Non potete
fare meno promesse e più fatti? Se volete un controllo burocratico, un controllo
effettuato dagli stessi organi di prima, il nostro partito dichiara con profonda
convinzione che non potrà darvi il minimo appoggio, benché abbiate al governo
non una mezza dozzina, ma un'intera dozzina di ministri populisti e menscevichi.
Solo il popolo può esercitare il controllo. Questo controllo devono organizzarlo
i soviet degli impiegati di banca, i soviet degli ingegneri, i soviet degli
operai. E devono esercitarlo subito. Ogni funzionario dovrà essere penalmente
perseguibile, se deporrà il falso davanti a queste istituzioni. È in causa la
salvezza del paese. E noi vogliamo sapere di quanto grano, di quante materie
prime, di quanta forza-lavoro disponiamo, vogliamo sapere come ripartire queste
cose.
Vengo adesso
all'ultima questione, al modo come mettere fine alla guerra. Ci attribuiscono
l'idea assurda di volere una pace separata. I briganti capitalisti di Germania
fanno profferte di pace, dicendo: "Ti darò un pezzetto di Turchia e d'Armenia,
se mi cederai dei territori ricchi di minerali". Ecco di che cosa parlano i
diplomatici in ogni città neutrale! Nessuno lo ignora, anche se si ricorre ad
una fraseologia diplomatica convenzionale. Del resto, i diplomatici esistono per
poter parlare il linguaggio diplomatico. È assurda l'idea che noi vorremmo
mettere fine alla guerra con una pace separata. Che una guerra condotta dai
capitalisti delle potenze più ricche e generata da decenni di sviluppo economico
possa concludersi con la decisione unilaterale di cessare le operazioni belliche
è un'ipotesi talmente sciocca che è persino ridicolo star qui a
confutarla. Se tuttavia abbiamo redatto un'apposita risoluzione per smentirla,
si deve considerare che qui sono in causa le grandi masse, dinanzi alle quali si
cerca di calunniarci. Ma non è certo il caso di parlare seriamente di tali cose.
Ad una guerra condotta dai capitalisti di tutti i paesi si può mettere fine
soltanto con la rivoluzione operaia contro questi capitalisti. Fino a che il
controllo non sarà passato dalla sfera delle parole a quella dei fatti, fino a
che il governo dei capitalisti non sarà divenuto il governo del proletariato
rivoluzionario, fino ad allora il governo sarà costretto a ripetere: siamo
perduti, siamo perduti, siamo perduti. Oggi, nella "libera" Inghilterra si
incarcerano i socialisti perché dicono ciò che io sto dicendo. In Germania è
stato imprigionato
Liebknecht per aver detto quel che io
dico. In Austria s'incarcera
Friedrich Adler, che ha detto la stessa
cosa con la pistola (e forse è stato già ucciso). In tutti i paesi la simpatia
delle masse operaie è rivolta a questi socialisti e non a quelli che sono
passati dalla parte dei loro capitalisti. La rivoluzione operaia avanza nel
mondo intero. Naturalmente, negli altri paesi incontra maggiori difficoltà.
Laggiù non ci sono dei pazzi come Nicola e
Rasputin. Laggiù i migliori esponenti
della classe dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti sono alla testa
del governo. Laggiù non esistono le condizioni per una rivoluzione contro
l'autocrazia. Laggiù il governo è nelle mani della classe capitalista. I
rappresentanti più dotati di questa classe già governano da un pezzo. Ecco
perché anche laggiù la rivoluzione, pur non essendo ancora scoppiata, è tuttavia
inevitabile, per quanto grande sia il numero dei rivoluzionari che cadranno,
come Friedrich Adler, come Karl Liebknecht. L'avvenire è con loro e gli operai
di tutti i paesi sono con loro. E gli operai devono trionfare in tutti i paesi.
Riguardo all'entrata
in guerra dell'America, vi dirò quanto segue. Si fa riferimento alla democrazia
americana, alla Casa Bianca. Io dico: l'abolizione della schiavitù è avvenuta
cinquant'anni fa. La guerra scatenata a causa della schiavitù si è conclusa nel
1865. Da quel tempo laggiù sono nati i miliardari, che tengono nel loro pugno
finanziario tutta l'America, che preparano il soffocamento del Messico e
inevitabilmente faranno guerra al Giappone per spartirsi il Pacifico. Questa
guerra viene preparata già da qualche decennio. Lo attesta tutta una
letteratura. E il vero scopo dell'entrata in guerra dell'America è il desiderio
di prepararsi al futuro conflitto con il Giappone. Tuttavia il popolo americano
gode di una notevole libertà ed è difficile che accetti il servizio militare
obbligatorio e la creazione di un esercito che abbia scopi di conquista, che si
batta ad esempio contro il Giappone. L'esempio dell'Europa mostra agli americani
a che cosa conduca tutto questo. I capitalisti americani son dovuti intervenire
in questa guerra per avere un pretesto con cui, invocando gli alti ideali della
difesa dei diritti delle piccole nazionalità, creare un forte esercito
permanente.
I contadini russi si
rifiutano di dare il grano in cambio del denaro e chiedono attrezzi, calzature e
indumenti. In questa decisione è racchiusa parzialmente una verità molto
profonda. In realtà, il paese è giunto a un tal punto di sfacelo che in Russia
si osserva oggi, benché in minor misura, quello che si riscontra già da un pezzo
negli altri paesi: il denaro ha perso il suo potere. Il dominio del capitalismo
è stato a tal punto minato dal corso degli eventi che i contadini, per esempio,
rifiutano il denaro. "A che ci servono i soldi?", essi dicono. E hanno ragione.
Il dominio del capitalismo non è minato perché taluni vogliono impadronirsi del
potere. Sarebbe assurdo "impadronirsi" del potere. Sarebbe impossibile metter
fine al dominio del capitalismo, se a ciò non conducesse tutto lo sviluppo
economico dei paesi capitalisti. La guerra ha accelerato questo processo,
rendendo ormai impossibile il capitalismo. Nessuna forza distruggerebbe il
capitalismo, se la storia stessa non lo corrodesse e non lo minasse.
Ecco un esempio assai
probante. Il contadino esprime ciò che tutti osservano: il potere del denaro è
scalzato. Qui l'unica soluzione è la decisione dei soviet dei deputati degli
operai e dei contadini di dare in cambio del grano attrezzi, calzature e
indumenti. Ecco a che cosa conduce la realtà, ecco la risposta che ci suggerisce
la vita. In caso contrario, decine di milioni di uomini sono costretti a restare
affamati, senza calzature e senza indumenti. Decine di milioni di uomini sono
sull'orlo dell'abisso, qui non si tratta di tutelare gli interessi dei
capitalisti! L'unica soluzione è che tutto il potere passi nelle mani dei soviet
dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini, i quali rappresentano la
maggioranza della popolazione. È possibile che si commettano qui degli errori.
Nessuno pretende che si possa compiere di colpo un'opera così difficile. Noi non
diciamo niente di simile. Ci si obietta: noi vogliamo che il potere passi nelle
mani dei soviet, ma i soviet non lo vogliono. Replichiamo che l'esperienza
suggerirà ai soviet e tutto il popolo vedrà, che non c'è altra soluzione. Noi
non vogliamo "impadronirci" del potere, perché tutta l'esperienza delle
rivoluzioni ci insegna che stabile è soltanto quel potere che poggia sulla
maggioranza della popolazione. Quindi "impadronirsi" del potere sarebbe
un'avventura, in cui il nostro partito non si getterà mai. Se il governo sarà il
governo della maggioranza, forse condurrà una politica che sembrerà sbagliata
nei primi tempi, ma non c'è altra soluzione. Si produrrà allora un pacifico
mutamento di indirizzo politico all'interno di queste organizzazioni. Non si
possono immaginare altre organizzazioni. Ecco perché affermiamo che non si può
concepire una diversa soluzione del problema.
Come mettere fine alla
guerra? Se il soviet dei deputati degli operai e dei soldati avrà preso il
potere e i tedeschi continueranno la guerra, che cosa faremo? Chi si interessa
alle posizioni del nostro partito avrà potuto leggere proprio in questi giorni,
nella nostra Pravda, la citazione testuale di ciò che abbiamo affermato
all'estero fin dal 1915: se la classe rivoluzionaria della Russia, la classe
operaia, prenderà il potere, dovrà proporre la pace. E se i capitalisti tedeschi
o di un altro paese respingeranno le nostre condizioni di pace, allora la classe
operaia sarà tutta per la guerra. Non proponiamo di mettere fine alla guerra
d'un sol colpo. Non lo promettiamo. Non preconizziamo una cosa impossibile e
irrealizzabile come il metter fine alla guerra per volontà di una sola parte. Le
promesse di questo genere non costano niente, ma non si possono mantenere. È
impossibile uscire facilmente da una guerra così spaventosa. Si combatte da tre
anni. O vi rassegnate a combattere per dieci anni o vi avviate verso una
rivoluzione difficile, gravosa. Non c'è altra soluzione. Noi diciamo: la guerra,
cominciata dai governi dei capitalisti, può concludersi soltanto con la
rivoluzione operaia. Chi si interessa al movimento socialista avrà letto il
Manifesto di Basilea, approvato all'unanimità nel 1912 dai partiti
socialisti di tutto il mondo, un manifesto che abbiamo ripubblicato nella nostra
Pravda e che non può essere riprodotto oggi in nessun paese belligerante,
si tratti della "libera" Inghilterra o della Francia repubblicana, perché esso,
ancor prima della guerra, diceva la verità sulla guerra. Ci sarà una guerra tra
l'Inghilterra e la Germania, è detto nel Manifesto, a causa delle loro rivalità
capitaliste. Si è accumulata tanta polvere da sparo, è detto nel manifesto, che
le armi cominceranno a sparare da sé. Esso indicava inoltre i motivi della
guerra e affermava che la guerra avrebbe condotto alla rivoluzione proletaria.
Per questo di quei socialisti che dopo aver firmato il Manifesto sono
passati dalla parte dei loro governi capitalisti diciamo che hanno tradito il
socialismo. I socialisti si sono scissi in tutto il mondo. Ad alcuni son toccati
i ministeri, ad altri le carceri. In tutto il mondo una parte dei socialisti
predica la partecipazione alla guerra, mentre altri, come
Eugene Debs, il
Bebel americano, così stimato dagli operai
americani, dichiarano: "Meglio morire fucilato che dare un solo centesimo per
questa guerra! Io sono pronto a combattere, ma soltanto in una guerra del
proletariato contro i capitalisti di tutto il mondo". Così si sono scissi i
socialisti nel mondo intero. I socialpatrioti di tutti i paesi sono convinti di
difendere la patria. Ma sbagliano, perché difendono gli interessi di un gruppo
di capitalisti contro un altro gruppo. Noi predichiamo la rivoluzione
proletaria, l'unica causa giusta per la quale decine di uomini sono stati
impiccati e centinaia e migliaia di uomini sono stati gettati in carcere. I
socialisti imprigionati sono una minoranza, ma hanno dalla loro la classe
operaia, hanno dalla loro tutto lo sviluppo economico. Tutto questo ci dice che
non esiste altra soluzione. Alla guerra in corso si può mettere fine soltanto
con la rivoluzione operaia in alcuni paesi. Intanto dobbiamo preparare questa
rivoluzione, facilitarla. Il popolo russo, con tutto il suo odio per la guerra e
con tutta la sua volontà di pace, non poteva far altro, fino a quando la guerra
era condotta dallo zar, che preparare la rivoluzione contro lo zar e abbattere
lo zar. Così è stato. La storia ve lo ha confermato ieri e ve lo confermerà
domani. Da molto tempo dicevamo: bisogna spingere avanti la rivoluzione russa in
ascesa. L'abbiamo dichiarato alla fine del 1914. Per questo sono stati deportati
in Siberia i nostri deputati alla Duma. A quel tempo ci obiettavano: "Ma voi non
date una risposta. Incitate alla rivoluzione nel momento in cui gli scioperi
sono finiti, in cui i deputati si trovano ai lavori forzati, in cui non c'è più
un solo giornale!". Ci si accusava di voler eludere la domanda. Queste accuse,
compagni, le abbiamo udite ripetere per anni. E noi rispondevamo: potete ben
indignarvi, ma, fino a quando lo zar non sarà rovesciato, non ci sarà niente da
fare contro la guerra. E la nostra previsione si è avverata. Non si è avverata
pienamente, ma già comincia ad avverarsi. La rivoluzione comincia a modificare
il carattere della guerra condotta dalla Russia. I capitalisti continuano la
guerra e noi diciamo: fino a quando, la rivoluzione operaia non si realizzerà in
alcuni paesi, la guerra non potrà finire, perché il potere resterà nelle mani di
coloro che vogliono questa guerra. Ci si dice: "Tutto sembra dormire in molti
paesi. In Germania tutti i socialisti sono favorevoli alla guerra, il solo
Liebknecht è contrario". Rispondo: questo solo Liebknecht rappresenta la classe
operaia, le speranze di tutti sono riposte soltanto in lui, nei suoi seguaci,
nel proletariato tedesco. Non credete a questo? Ebbene, continuate la guerra!
Non c'è altra soluzione. Se non credete in Liebknecht, se non credete nella
rivoluzione degli operai, se non credete nella rivoluzione che sta maturando, se
non credete in tutto questo, allora prestate fede ai capitalisti!
Nessuno, tranne la
rivoluzione operaia in alcuni paesi, uscirà vincitore da questa guerra. La
guerra non è un giuoco, la guerra è una cosa mostruosa, che costa milioni di
vite umane e a cui non è facile mettere fine.
I soldati al fronte
non possono staccarsi dallo Stato e decidere per proprio conto. I soldati al
fronte sono una parte del paese. Fino a che lo Stato è in guerra, il fronte non
farà che soffrire. Non c'è niente da fare. La guerra è stata provocata dalle
classi dominanti, solo la rivoluzione della classe operaia potrà metterle fine.
E la rapidità con cui avrete la pace dipenderà soltanto dallo sviluppo della
rivoluzione. Non basta dire frasi sentimentali, non basta dichiarare: forza,
smettiamo subito questa guerra! Per farlo è necessario lo sviluppo della
rivoluzione. Quando il potere sarà passato nelle mani dei soviet dei deputati
degli operai, dei soldati e dei contadini, i capitalisti si pronunceranno contro
di noi: il Giappone sarà contro, così la Francia, così l'Inghilterra, così i
governi di tutti i paesi. Contro di noi si schiereranno i capitalisti, saranno
con noi gli operai. Allora si metterà fine alla guerra scatenata dai
capitalisti. Ecco la risposta da dare a chi domanda come metter fine alla
guerra.