Indice degli scritti di A. Gramsci


Quaderno 14 - §70. Con presentazione e note della redazione di La Voce

Presentazione

Il Quaderno 14 contiene 80 Note (§) stese da Gramsci tra il 1932 (prima nel carcere di Turi (Bari) e dal dicembre 1933 a Formia detenuto nella clinica del dottor Cusumano) e il 1935 quando Gramsci interruppe la stesura delle Note e in libertà vigilata si trasferì a Roma nella clinica Quisisana (morirà il 27 aprile 1937 a 46 anni).

Il Quaderno 14 è tra i complessivi 29 quaderni uno dei tredici miscellanei (che contengono note dedicate a temi diversi). Il §70 è un testo di unica stesura: Gramsci non rielaborò ulteriormente la nota come invece fece per molte altre.

Per comprendere cosa Gramsci vuol dire nel testo che segue il lettore deve tenere presente il vocabolario e la cultura dell’epoca di Gramsci e il contesto di avvenimenti di cui Gramsci era a conoscenza quando scrisse la Nota. Da quando aveva ottenuto il permesso di ricevere libri e poi di disporre di quaderni Gramsci seguiva gli avvenimenti del Partito comunista e della società italiana, dell’URSS e dell’Internazionale Comunista e del mondo con molta attenzione. Non è stato possibile collocare esattamente la data in cui redasse il §70, ma possiamo ragionevolmente assumere che Gramsci, quando scrive questa Nota, è ben al corrente non solo dell’istituzionalizzazione del fascismo e della fascistizzazione dello Stato italiano compiute da Mussolini tra il 1926 e il 1929 e culminate con i Patti Lateranensi (febbraio 1929), ma delle trasformazioni attuate dal fascismo in campo economico, bancario e monetario e nel campo dell’organizzazione degli operai e dei giovani per far fronte alla grande crisi del 1929 e avviare il regime verso la conquista dell’Impero (l’aggressione dell’Etiopia incomincerà nel 1935). Il Partito comunista tiene (in Germania a Colonia) il suo IV Congresso nell’aprile 1931, l’Internazionale Comunista ha celebrato il VI Congresso nel settembre 1928 e terrà il VII nell’estate del 1935. In Germania è in corso d’attuazione la scelta della borghesia tedesca e internazionale per il nazismo che prende il potere nel 1933 mentre in Francia e in Spagna il movimento comunista contrasta la borghesia imperialista con la politica del Fronte Popolare.

È in questo contesto che Gramsci stende questa Nota. Bisogna infine tener conto che Gramsci scrive sotto stretto controllo poliziesco: egli parla di partito in generale, ma sta parlando del suo Partito e della missione di cui l’Internazionale Comunista lo aveva incaricato nel 1923: fare del Partito fondato nel 1921 in stato di necessità, senza un’adeguata preparazione ideologica, il Partito promotore della rivoluzione socialista in Italia, un partito realmente rivoluzionario.

Nel testo sono inserite 3 note della redazione di La Voce, tra parentesi quadre e in corpo minore

 

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§70 Machiavelli. Quando si può dire che un partito sia formato e non possa essere distrutto con mezzi normali.

Il punto di sapere quando un partito sia formato, cioè abbia un compito preciso e permanente, dà luogo a molte discussioni e spesso anche luogo, purtroppo, a una forma di boria che non è meno ridicola e pericolosa che la «boria delle nazioni» di cui parla il Vico. È vero che si può dire che un partito non è mai compiuto e formato, nel senso che ogni sviluppo crea nuovi compiti e mansioni e nel senso che per certi partiti è vero il paradosso che essi sono compiuti e formati quando non esistono più, cioè quando la loro esistenza è diventata storicamente inutile. Così, poiché ogni partito non è che una nomenclatura di classe, è evidente che per il partito che si propone di annullare la divisione in classi, la sua perfezione e compiutezza consiste nel non esistere più perché non esistono classi e quindi loro espressioni.

Ma qui si vuole accennare a un particolare momento di questo processo di sviluppo, al momento successivo a quello in cui un fatto può esistere e può non esistere, nel senso che la necessità della sua esistenza non è ancora divenuta «perentoria», ma dipende in «gran parte» dall’esistenza di persone di straordinario potere volitivo e di straordinaria volontà. Quando un partito diventa «necessario» storicamente? Quando le condizioni del suo «trionfo», del suo immancabile diventar Stato sono almeno in via di formazione e lasciano prevedere normalmente i loro ulteriori sviluppi. Ma quando si può dire, in tali condizioni, che un partito non può essere distrutto con mezzi normali?

Per rispondere occorre sviluppare un ragionamento: perché esista un partito è necessario che confluiscano tre elementi fondamentali (cioè tre gruppi di elementi).

1) Un elemento diffuso, di uomini comuni, medi, la cui partecipazione è offerta dalla disciplina e dalla fedeltà, non dallo spirito creativo ed altamente organizzativo. Senza di essi il partito non esisterebbe, è vero, ma è anche vero che il partito non esisterebbe neanche «solamente» con essi. Essi sono una forza in quanto c’è chi li centralizza, organizza, disciplina, ma in assenza di questa forza coesiva si sparpaglierebbero e si annullerebbero in un pulviscolo impotente. Non si nega che ognuno di questi elementi possa diventare una delle forze coesive, ma di essi si parla appunto nel momento che non lo sono e non sono in condizioni di esserlo, o se lo sono lo sono solo in una cerchia ristretta, politicamente inefficiente e senza conseguenza.

2) L’elemento coesivo principale, che centralizza nel campo nazionale, che fa diventare efficiente e potente un insieme di forze che lasciate a sé conterebbero zero o poco più; questo elemento è dotato di forza altamente coesiva, centralizzatrice e disciplinatrice e anche (anzi forse per questo, inventiva, se si intende inventiva in una certa direzione, secondo certe linee di forza, certe prospettive, certe premesse anche): è anche vero che da solo questo elemento non formerebbe il partito, tuttavia lo formerebbe più che non il primo elemento considerato. Si parla di capitani senza esercito, ma in realtà è più facile formare un esercito che formare dei capitani. Tanto vero che un esercito già esistente è distrutto se vengono a mancare i capitani, mentre l’esistenza di un gruppo di capitani, affiatati, d’accordo tra loro, con fini comuni non tarda a formare un esercito anche dove non esiste.

3) Un elemento medio, che articoli il primo col terzo elemento, che li metta a contatto, non solo «fisico» ma morale e intellettuale. Nella realtà, per ogni partito esistono delle «proporzioni definite» tra questi tre elementi e si raggiunge il massimo di efficienza quando tali «proporzioni definite» sono realizzate.

Date queste considerazioni, si può dire che un partito non può essere distrutto con mezzi normali, quando, esistendo necessariamente il secondo elemento, la cui nascita è legata all’esistenza delle condizioni materiali oggettive (e se questo secondo elemento non esiste, ogni ragionamento è vacuo) sia pure allo stato disperso e vagante, non possono non formarsi gli altri due, cioè il primo che necessariamente forma il terzo come sua continuazione e mezzo di esprimersi. Occorre che perché ciò avvenga si sia formata la convinzione ferrea che una determinata soluzione dei problemi vitali sia necessaria. Senza questa convinzione non si formerà il secondo elemento, la cui distruzione è la più facile per lo scarso suo numero, ma è necessario che questo secondo elemento, se distrutto, abbia lasciato come eredità un fermento da cui riformarsi. E dove questo fermento sussisterà meglio e potrà meglio formarsi che nel primo e nel terzo elemento,[oggi diremmo: nella base rossa e nella sinistra borghese (di vecchio e anche di nuovo tipo in quanto il nuovo tipo è legato al primo, Beppe Grillo a Dario Fo - ndr] che, evidentemente, sono i più omogenei col secondo? L’attività del secondo elemento per costituire questo elemento [per diventare questo secondo elemento, per consolidarsi e rafforzarsi - ndr]  è perciò fondamentale: il criterio di giudizio di questo secondo elemento sarà da cercare: 1) in ciò che realmente fa; 2) in ciò che prepara nell’ipotesi di una sua distruzione. Tra i due fatti è difficile dire quale sia più importante [Gramsci ha dato personalmente un’importante lezione in questo campo: pervenuto con il Congresso di Lione celebrato nella clandestinità ad aggregare il grosso del Partito attorno alla linea impersonata dall’Internazionale Comunista e dall’Unione Sovietica di Stalin, egli doveva non mettersi nuovamente nelle mani del governo di Mussolini, ma costituire il centro del Partito nella clandestinità - la continuità dell’opera del Partito sotto la direzione di Gramsci avrebbe reso irrealizzabile, o per lo meno difficile, l’istituzionalizzazione del fascismo e la fascistizzazione dello Stato, l’opera che Mussolini realizzò nel 1926-1929 - ndr]. Poiché nella lotta si deve sempre prevedere la sconfitta, la preparazione dei propri successori è un elemento altrettanto importante di ciò che si fa per vincere.

A proposito della «boria» del partito, si può dire che essa è peggiore della boria delle nazioni di cui parla Vico. Perché? Perché una nazione non può non esistere e nel fatto che esiste è sempre possibile, sia pure con la buona volontà e sollecitando i testi, trovare che l’esistenza è piena di destino e di significato. Invece un partito può non esistere per forza propria. Non occorre mai dimenticare che nella lotta fra le nazioni, ognuna di esse ha interesse che l’altra sia indebolita dalle lotte interne e che i partiti sono appunto gli elementi delle lotte interne. Per i partiti dunque, è sempre possibile la domanda se essi esistano per forza propria, come propria necessità, o esistano invece solo per interesse altrui (e infatti nelle polemiche questo punto non è mai dimenticato, anzi è motivo d’insistenza anche, specialmente quando la risposta non è dubbia, ciò che significa che ha presa e lascia dubbi). Naturalmente, chi si lasciasse dilaniare da questo dubbio, sarebbe uno sciocco. Politicamente la quistione ha una rilevanza solo momentanea.

Nella storia del così detto principio di nazionalità, gli interventi stranieri a favore dei partiti nazionali che turbavano l’ordine interno degli Stati antagonisti sono innumerevoli, tanto che quando si parla per esempio della politica «orientale» di Cavour si domanda se si trattava di una «politica» cioè di una linea d’azione permanente, o di uno stratagemma del momento per indebolire l’Austria in vista del 59 e del 66. Così nei movimenti mazziniani dei primi del 1870 (esempio, fatto Barsanti) si vede l’intervento di Bismark, che in vista della guerra con la Francia e del pericolo di un’alleanza italo‑francese, pensava, con conflitti interni, a indebolire l’Italia. Così nei fatti del giugno 1914 alcuni vedono l’intervento dello Stato Maggiore austriaco in vista della successiva guerra. Come si vede, la casistica è numerosa e occorre avere idee chiare in proposito. Ammesso che qualunque cosa si faccia, si fa sempre il gioco di qualcuno, l’importante è di cercare in tutti i modi di fare bene il proprio gioco, cioè di vincere nettamente. In ogni modo occorre disprezzare la «boria» del partito e alla boria sostituire i fatti concreti. Chi ai fatti concreti sostituisce la boria, o fa la politica della boria, è da sospettare di poca serietà senz’altro. Non occorre aggiungere che per i partiti occorre evitare anche l’apparenza «giustificata» che si faccia il gioco di qualcuno, specialmente se il qualcuno è uno Stato straniero: che poi si speculi, nessuno può evitare che non avvenga.