Dibattito Franco e Aperto

- Clandestinità, lotta al legalitarismo ... Note di lettura all’articolo di La Voce n° 30

mercoledì 14 gennaio 2009.
 

Note di lettura all’articolo - Clandestinità, lotta al legalitarismo, difensiva strategica e tattica offensiva - La Voce n° 30

di Romeo, membro del Comitato Stalingrado del (n)PCI

 

Nell’articolo (pag. 50, colonna 2 riga 14 e segg.) si legge che il compito principale di tutti membri del Partito è tutelare la struttura clandestina.

Questo significa principalmente due cose:

1) adottare una concezione e un metodo di lavoro adeguato alla natura clandestina del Partito;

2) tenere alta la vigilanza rivoluzionaria contro spie, infiltrati e polizia politica.

L’elemento che unisce questi due punti è la lotta al legalitarismo presente nelle nostre fila.

Una tendenza negativa che ci ostacola nel liberarci dal legalitarismo è il soggettivismo: cioè pensare che basti riconoscere l’importanza della clandestinità per sviluppare automaticamente una pratica clandestina. Questa tendenza è il risultato dell’influenza ideologica che la borghesia esercita su di noi. Gli strumenti che il Partito ha a disposizione per combattere questa tendenza sono la lotta tra due linee e la CAT.

Il legalitarismo si riflette anche nel lavoro legale ed ostacola l’accumulazione delle forze per costruire il Fronte intorno al Partito. È necessario quindi, nella lotta contro il legalitarismo, lanciare la parola d’ordine “E’ illegale, ma è legittimo” (cioè conforme agli interessi delle masse popolari, che devono essere la fonte e il punto di riferimento di ogni legge che accettiamo).

Bisogna lanciare questa parola d’ordine per combattere il legalitarismo e l’avversione alla clandestinità che è presente anche nel movimento operaio. Spesso infatti le lotte dei lavoratori sono pesantemente condizionate dal rispetto della legalità borghese. I sindacati di regime mettono in campo tutte le loro risorse per mantenere i lavoratori stretti nella morsa della legalità borghese. La tendenza legalitarista, che è presente anche in molti delegati sindacali onesti, si manifesta 1. come resistenza a far diventare le lotte dei lavoratori un problema di ordine pubblico e 2. come resistenza a far sì che ogni mobilitazione diventi una scuola di comunismo.

I sindacati di regime quando impongono ai lavoratori delle soluzioni che siano compatibili con la società attuale manifestano la loro natura di difensori dell’ordinamento borghese. Quando i funzionari sindacali, nelle assemblee di fabbrica, dicono ai lavoratori che "meglio di così non si poteva fare, quello era il massimo che si poteva ottenere", promuovono tra i lavoratori la tendenza a rimanere ancorati alla legalità borghese.

I compagni che operano nel campo sindacale devono tenere conto che i sindacati di regime non risparmiano nessun colpo pur di mantenere i lavoratori vincolati a questo sistema: diffamano tra i lavoratori i delegati più combattivi che sono disposti a fare di ogni mobilitazione un problema di ordine pubblico, creano allarmismo e paura tra i lavoratori riguardo alle reazioni che le forze della repressione potrebbero avere di fronte all’"innalzamento dei livelli dello scontro", diffondono la disinformazione circa la libertà di manifestare e gli spazi di agibilità che ancora restano in questo ordinamento, promuovono la presenza, all’interno delle RSU, di delegati inclini all’obbedienza e con scarsa iniziativa personale, diffondono tra i lavoratori l’insicurezza ed ostacolano la presa di coscienza della propria forza da parte dei lavoratori.

Per contrastare l’influenza ideologica della borghesia sul movimento operaio bisogna valorizzare la tendenza positiva che è presente tra i lavoratori. Questo vuol dire sostenere la sinistra (tra i lavoratori, i delegati e anche tra i funzionari) che è disposta a perseguire ciò che è legittimo anche se è illegale. Spingere i delegati ad organizzarsi in modo autonomo rispetto ai vertici sindacali, spingere i delegati a denunciare la corruzione che c’è tra i funzionari sindacali, evidenziare la politica fallimentare del "meno peggio" che è direttamente connessa al legalitarismo. Bisogna promuovere tra i delegati ed i lavoratori la concezione che ogni mobilitazione deve diventare un problema di ordine pubblico. Bisogna mostrare, tramite l’esperienza e il bilancio dell’esperienza, che per ricavare il massimo dalle lotte rivendicative si deve diventare per la borghesia un problema di ordine pubblico. Contemporaneamente va anche mostrato (sempre tramite l’esperienza e il bilancio dell’esperienza) che la politica del "meno peggio" conduce inesorabilmente al peggio.