Dibattito Franco e Aperto -

- Sul Partito
Lettera del compagno S.D.

venerdì 10 ottobre 2008.
 

Perché il (n)PCI, i CARC e tutti i gruppi autoproclamatisi partito non possono essere un partito rivoluzionario e quindi in Italia non esiste ancora il vero partito comunista rivoluzionario (e per ora non può esistere).

Critica al (n)PCI, al P. dei CARC e a tutti gli autoproclamatisi partiti Marxisti-Leninisti e alcuni anche Maoisti, di coloro che si definiscono avanguardie rivoluzionarie o futuri dirigenti rivoluzionari.

 

Queste organizzazioni, che attualmente si muovono in modo inoffensivo e nella legalità (perché altrimenti come avrebbe fatto una a superare 7 o 8 procedimenti giudiziari? Di sicuro non grazie al “processo su due gambe”, ma perché il sistema borghese li ritiene innocui), aprono la strada al loro interno a persone opportuniste o comunque a rivoluzionari scarsi o a persone illuse. Essi, giustamente, ritengono che non siamo in una fase rivoluzionaria, né pre-rivoluzionaria, ma di accumulo delle forze. E fin qui è giusto.

Il punto che voglio criticare qui non è la fase di accumulo delle forze che è giusta, ma il modo con cui viene portata avanti. E molto spesso sono modi che non vengono scritti, non sono nelle teorie ma nella pratica, o anche nell’approccio psicologico con cui si portano avanti.

La fase di accumulazione di forze, condotta in modo “tranquillo” e se vogliamo “accomodante”, apre la strada a persone che nella loro illusione si sentono dei rivoluzionari, solo per il semplice fatto che il partito dice di lavorare per la rivoluzione. Ma finché la fase sarà tranquilla, essi non saranno mai messi alla prova. Solo quando i conflitti si acuiranno, man mano si vedrà chi sono i veri rivoluzionari.

E non si può certo affidare la guerra di popolo in mano a dei dirigenti che di rivoluzionario hanno ben poco (parlo di carattere, tempra psicologica, coraggio, fattori che non puoi scrivere sugli opuscoli).

O c’è qualcuno che vuole costruire e prepararsi una futura “cabina di comando”, aspettare che le masse insorgano e dire: “ecco, noi abbiamo la cabina pronta”?

Il punto è che per come sono strutturate queste organizzazioni, per come portano avanti questa fase, è facile aprire la strada a persone di questo genere. Ciò non vuol dire che non ci siano anche autentici rivoluzionari (veri, dentro, nell’animo, disposti a sacrificarsi, coraggiosi).

In definitiva il partito diventa quello che sono le persone. Le teorie non è detto che siano in grado di esprimersi nella pratica. Un laboratorio teorico è in grado di dirigere solo la pratica che ha diretto. Se si prevede una fase in cui vengono escluse certi tipi di pratiche, come può essere il partito pronto un giorno che dovesse “suonare il pianoforte con dieci dita” con pratiche con cui non ha mai avuto a che fare?

Come può essere pronto, quando già alcune parti delle masse faranno uso di pratiche con cui il partito rischia di trovarsi indietro rispetto ad esse? Così facendo il partito non riesce ad essere all’avanguardia, rischia di non essere in grado di sbloccare certe situazioni che potrebbero presentarsi, perché avrà delle lacune.

 

Di seguito trascrivo un articolo che illustra meglio questo concetto che ho cercato di spiegare, tratto dal libro di Giovanni Frignano, Teoria della guerra di popolo, ed. Librirossi 1977, parte II cap. 5 pag. 49.

“Il partito rivoluzionario si forma perciò nel fuoco della rivoluzione; esso ha dei presupposti, una base, una struttura nella fase prerivoluzionaria; ma alla fine ciò che lo collauda come quartier generale della rivoluzione è il programma rivoluzionario, la strategia rivoluzionaria, la teoria rivoluzionaria, così come si traducono in pratica nella fase della guerra rivoluzionaria. L’avanguardia dirigente di questa guerra non può concretamente formarsi fuori della questione della presa del potere; ed è su ciò che si misura.

Non si tratta di un fatto puramente formale e politico; si tratta proprio di formazione dei quadri dirigenti rivoluzionari, della loro tempra. Fuori della situazione concreta della presa del potere è puramente un fatto di convinzione intellettuale, di coscienza, non ancora un fatto materiale. La coscienza politica si forma in tal caso fuori della pratica concreta della lotta armata, e quindi è una coscienza ancora libresca, che manca della verifica della pratica. La stessa “capacità” di direzione riguarda ancora i contenuti di una lotta in gran parte “legale”, ha certamente una grande importanza, ma si tratta di una capacità che potrebbe dimostrarsi del tutto inadeguata nella fase della lotta clandestina e della guerra rivoluzionaria. Solo la guerra forma i veri dirigenti della guerra. I dirigenti politici che si formano nella lotta legale difficilmente passano al vaglio del fuoco e del pericolo. La storia ha dimostrato frequentemente questo fatto. Ad esempio, i quadri dirigenti del Partito comunista d’Albania, che affrontarono e risolsero la guerra rivoluzionaria contro i nazifascisti, sostituirono completamente, nell’atto della fondazione del Partito, i quadri dirigenti dei gruppi politici preesistenti, che si erano formati in altre condizioni.

Questa naturalmente, non è una legge assoluta. Molti quadri dirigenti passano benissimo attraverso “la prova del fuoco”, ed anzi si rafforzano. Ma ciò che vogliamo dire è che alla fine solo nella guerra si può stabilire chi è in grado di condurre in porto la guerra, solo la guerra forma i propri dirigenti. D’altra parte, la guerra rivoluzionaria; per cui è solo la guerra rivoluzionaria che forma i dirigenti politici complessivi, che esprimono il più alto livello di coscienza e sono capaci di affrontare tutti gli aspetti, politici, economici, ideologici e militari della rivoluzione.

Tutto ciò serve per dire che bisogna stare sempre molto attenti alla formazione delle avanguardie nella fase pre-rivoluzionaria, prima di dare per scontato che questa avanguardie abbiano le carte in regola per dirigere anche la fase rivoluzionaria.

Stare molto attenti vuol dire guardare come si muovono, quali esperienze fanno, come si comportano nei riguardi di fermenti di guerra che covano nel paese. Se li rifuggono, se li temono, se gridano “provocazione, provocazione” ad ogni incidente; o se “fanno esperienza” e se dirigono tutto ciò che si muove, anche nel campo della lotta armata, mano a mano che i caratteri rivoluzionari della fase si accentuano. Se ciò non si verifica, non solo si apre una forbice fra avanguardia e realtà di classe, ma per di più essa si apre in un campo decisivo per la rivoluzione: quello della guerra. Una tale avanguardia o si corregge rapidamente, o subisce una involuzione, si trasforma in controrivoluzionaria. E, se si tratta di un intero gruppo dirigente, tutta la rivoluzione rischia di fallire.

La rivoluzione deve essere diretta da chi sa che cosa è, come si fa materialmente, quali problemi piccoli e grandi comporta. Lenin, Stalin, Mao Tse-Tung, Henver Hodjia, Giap, i quadri dirigenti dei loro Partiti, sono stati dirigenti materiali, in prima fila nella guerra rivoluzionaria, sapevano di che si trattava; ed è stato tale carattere a conferire la capacità di direzione strategica.”

Aggiungo un paragrafo di Mao Tse-Tung: “Ogni comunista deve comprendere questa verità: “Il potere politico nasce dalla canna del fucile”. Il nostro principio è che il Partito comanda il fucile, e mai dobbiamo permettere che il fucile comandi il Partito. Ma è altresì vero che con i fucili noi possiamo creare le organizzazioni di Partito (...). Possiamo anche formare quadri, aprire scuole, creare cultura e organizzare movimenti di massa (...). Tutto ciò nasce dalla canna del fucile.”

Quindi tali organizzazioni possono solo definirsi organizzazioni che studiano la rivoluzione, che sperano nella rivoluzione, persone generose, volenterose, preziose, dei comunisti. Ma non possono definirsi né rivoluzionarie né, assolutamente, Partito Comunista,. Soltanto la lotta rivoluzionaria farà emergere il Partito Comunista.

In Italia quindi non esiste il Partito Comunista.

Concludo: Non è la teoria che forma il rivoluzionario, ma è il rivoluzionario che deve armarsi della teoria.

 

S.D., 30 settembre 2008


(GIF) 16 ottobre 2008

 

In questa lettera il compagno S.D. (e Frignano con lui) esprime una concezione, uno stato d’animo e un modo di ragionare che sono abbastanza diffusi. Esaminiamone i passaggi fondamentali.

Che si tratti di una concezione e di uno stato d’animo che ostacolano l’attività rivoluzionaria, è evidente. Se un vero partito comunista rivoluzionario oggi non solo non c’è, ma non può neanche esserci, ognuno è svincolato da ogni dovere e da ogni disciplina: che ognuno faccia quello che vuole in attesa di tempi migliori. È un modo come un altro non solo per giustificarsi di non rispondere ai nostri appelli a creare Comitati di Partito clandestini, ma per giustificare in generale il disimpegno, la rassegnazione e la disperazione correnti. Per di più, tesi come quelle che esprime, né il compagno S.D. né quelli che la pensano come lui le verificheranno mai perché la loro concezione è che per il momento non c’è niente da fare.

Alla tesi che oggi il vero partito comunista rivoluzionario non ci può essere, il compagno S.D. ci arriva con un ragionamento che non sta in piedi e che fa a pugni con l’esperienza di tutto il movimento comunista.

Per capire che fa a pugni con l’esperienza, basta ricordare il Partito di Lenin e di Stalin. Si è formato e ha lavorato per anni senza lotta armata e ha dimostrato di saper preparare, organizzare e condurre con successo una lunga guerra civile, quando è stato il momento. È il caso più chiaro e noto, ma ve ne sono tanti altri, ivi compreso il vecchio PCI che è stato fondato nel 1921, ha lavorato nella clandestinità contro il fascismo e dal 1943 ha organizzato e condotto con successo la Resistenza. È anche il caso del Partito del Lavoro d’Albania, che Frignano a sproposito tira in ballo a prova delle sue tesi. Se il partito non fosse neanche esistito tanto meno avrebbe potuto cambiare i dirigenti non adatti.

Ancora più istruttivo è considerare il modo di ragionare del compagno S.D., perché è un modo di ragionare sbagliato, ma che vari applicano diffusamente.

Il problema reale che abbiamo di fronte è quello di avere un partito che oggi svolga il lavoro che oggi occorre svolgere per arrivare a instaurare il socialismo. S.D. invece si pone il problema dell’individuo: X è un vero comunista o no? Di fatto anche nei partiti che alla prova dei fatti si sono dimostrati capaci di instaurare il socialismo (ricordo ancora quello russo, ma vale per tanti altri), ci sono stati individui che hanno fatto una cattiva fine. È successo anche il contrario: in partiti che sono passati dall’altra parte, si è verificato che c’erano individui che si sono dimostrati “veri comunisti”: basta pensare a Rosa Luxemburg e Karl Liebnecht, a Gramsci. Venivano tutti da partiti socialdemocratici. Ma come loro migliaia se non milioni di comunisti. Conclusione: è una concezione individualistica quella che porta a valutare la natura di un partito solo o principalmente sulla base della natura degli individui, invece che viceversa.

Secondo passo sbagliato: quando un individuo è un vero comunista? Il compagno S.D. risponde: quando nella lotta armata ha dimostrato di avere “la tempra” per farla, di non farsi prendere dalla paura, di non rifiutare di farla, ecc. A questa stregua S.D. non avrebbe riconosciuto come veri rivoluzionari nemmeno Marx, Lenin, Stalin, Mao, Gramsci, ecc. ecc. che personalmente, almeno per quanto si sa, non hanno mai maneggiato armi. Marx, Lenin e Gramsci non sono stati mai neanche su un campo di battaglia, non hanno mai assistito ad uno scontro. Nel Manifesto del partito comunista (1848) Marx dice che i comunisti sono quelli che hanno una comprensione più avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe e che su questa base la spingono sempre in avanti. Nessun dirigente comunista ha mai detto che vero comunista è chi sa maneggiare con coraggio le armi. Anche se evidentemente chi scappa o trova modo di scantonare quando i comunisti impugnano le armi, non è un vero comunista. In conclusione il ragionamento del compagno S.D. è unilaterale. Riduce tutti i compiti dei comunisti a uno solo: maneggiare le armi.

Ma è anche un modo di ragionare metafisico. Il mondo si trasforma. Gli uomini si trasformano. Questo è il processo della realtà. Quindi noi comunisti, per cambiare lo stato presente delle cose, dobbiamo avere una concezione dialettica, che rispecchia il movimento delle cose. La questione fondamentale non è chi è vero comunista (una volta per tutte), ma come si diventa comunisti oggi. Non c’è un modello fisso di comunista, perché i comunisti fanno cose diverse a secondo dei tempi, a secondo dei paesi, a secondo delle direttive del Partito che assegna a ogni comunista compiti definiti. In generale possiamo solo dire che si diventa comunisti arruolandosi in un’organizzazione che ha una strategia giusta, basata sul Materialismo Dialettico (cioè sul marxismo-leninismo-maoismo), per instaurare il socialismo e la attua in linee, metodi e misure nella pratica della lotta di classe della situazione concreta in cui opera. I comunisti, come ogni altro uomo, cambiano nel corso della vita secondo gli avvenimenti: abbiamo visto spericolati combattenti diventare vergognosi pentiti. Per fortuna molto più spesso abbiamo visto tranquilli lavoratori e lavoratrici diventare combattenti coraggiosi (Moscatelli, Vaia, Pesce, Norina Brambilla, Irma Bandiera, ecc. ecc. ecc.: centinaia di migliaia).

Quindi il problema che il compagno S.D. deve porsi, non è se lui (o X) è o non è un vero comunista, ma quale è la strategia giusta per instaurare il socialismo in Italia e contribuire così alla seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo, se il (n)PCI ha o no elaborato questa strategia e se la sta o no attuando. E poi che cosa sta facendo lui.

Chi porrà il problema così, non in modo individualista, unilaterale e metafisico ma in modo materialista dialettico, imparando dall’esperienza del movimento comunista, siamo convinti che arriverà a risultati costruttivi. È quello che auguriamo di fare anche al compagno S.D.

Di idee sbagliate come queste ce ne sono tante e non scompaiono da sole. Per questo è importante non lasciarle passare tranquillamente ma sviluppare il dibattito nel movimento comunista e tra gli elementi avanzati della classe operaia e delle masse popolari in modo da far fuori le idee sbagliate, in particolare quelle che assecondano la rassegnazione e l’attendismo.