Dibattito Franco e Aperto

- Cosa non devono fare i comunisti in parlamento!

venerdì 28 novembre 2008.
 

Nel Comunicato 25 marzo 2008 la CP ha detto cosa devono fare gli eletti comunisti nel Parlamento borghese, ha illustrato il ruolo di un eventuale futuro gruppo parlamentare rivoluzionario. Per illustrare la stessa cosa in negativo, credo sia utile considerare anche l’esperienza che riporto di seguito.

Ecco cosa faceva Kossiga quando era ministro dell’interno (dall’intervista di Andrea Cangini pubblicata il 23 Ottobre 2008 su La Nazione, Resto del Carlino e Il Giorno ).

 

PRESIDENTE Cossiga, pensa che minacciando l`uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato? «Dipende, se ritiene d`essere il presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché l`Italia è uno Stato debole, e all`opposizione non c`è il granitico PCI ma l`evanescente PD, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà una figuraccia».

Quali fatti dovrebbero seguire? «Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand`ero ministro dell`Interno».

Ossia? «In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito...».

Gli universitari, invece? «Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».

Dopo di che? «Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».

Nel senso che... «Nel senso che le forze dell`ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano».

Anche i docenti? «Soprattutto i docenti».

Presidente, il suo è un paradosso, no? «Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!».

E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? «In Italia torna il fascismo», direbbero. «Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l`incendio».

Quale incendio? «Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà a insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università. E che gli slogan che usavano li avevano usati prima di loro il Movimento studentesco e la sinistra sindacale».

E` dunque possibile che la storia si ripeta? «Non è possibile, è probabile. Per questo dico: non dimentichiamo che le BR nacquero perché il fuoco non fu spento per tempo».

Il PD di Veltroni è dalla parte dei manifestanti. «Mah, guardi, francamente io Veltroni che va in piazza col rischio di prendersi le botte non ce lo vedo. Lo vedo meglio in un club esclusivo di Chicago ad applaudire Obama...».

Non andrà in piazza con un bastone, certo, ma politicamente... «Politicamente, sta facendo lo stesso errore che fece il PCI all`inizio della contestazione: fece da sponda al movimento illudendosi di controllarlo, ma quando, com`era logico, nel mirino finirono anche loro cambiarono radicalmente registro. La cosiddetta linea della fermezza applicata da Andreotti, da Zaccagnini e da me, era stato Berlinguer a volerla... Ma oggi c`è il PD, un ectoplasma guidato da un ectoplasma. Ed è anche per questo che Berlusconi farebbe bene ad essere più prudente».

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È a questa politica, ben descritta da Kossiga, che negli anni ’70 tenevano corda i parlamentari del PCI guidati da Enrico Berlinguer. Ugo Pecchioli è stato l’esponente più emblematico di questo tipo di parlamentari collaborazionisti.

Ovvio che in questo contesto il PCI andava alla rovina!

Infatti già Alessandro Vaia, noto e glorioso combattente partigiano, membro del PCI, metteva in luce la deriva del partito nel suo libro Da galeotto a generale (Teti 1977) di cui riporto un brano.

 

II Partito Comunista e i giovani

PERCHÉ SEMPRE IN RITARDO?

di Alessandro Vaia

 

“Il partito comunista è nato attingendo fondamentalmente le sue forze dalla gioventù, e giovani erano la maggioranza dei suoi dirigenti. La gioventù d’avanguardia più combattiva aveva aderito al partito comunista e alla federazione giovanile al momento della loro fondazione. Si trattava di una minoranza, ma essa rappresentava quanto di più sano e cosciente aveva saputo esprimere il movimento socialista nel primo dopo guerra. L’adesione della gioventù rivoluzionaria al partito comunista, avvenuta sull’onda dell’entusiasmo suscitato dalla rivoluzione d’Ottobre, si era andata consolidando con gli anni, si era temprata nell’attività clandestina e nelle carceri.

Erano giovani la maggioranza dei militanti che alimentarono le nostre forze nella illegalità e che costituirono l’ossatura attorno alla quale si formò un grande partito di massa.

Furono giovani la maggioranza dei partigiani che affluirono al partito comunista, che divennero quadri e dirigenti del movimento operaio. E fu nel 1949, nella ricostituita federazione giovanile comunista, che si formò una nuova leva di cinquecentomila giovanissimi che si affiancò ai più anziani nel duro scontro degli anni della guerra fredda. Un partito che guarda al l a vv enire, che vuole creare una nuova società, una società comunista, porta in sé gli ideali di giustizia e di uguaglianza, laspirazione della parte migliore della gioventù.

“Il comunismo è la giovinezza del mondo”, e sono i giovani la sua forza. Ma chi non avverte, anche se parla molto di rinnovamento, i mutamenti profondi che avvengono tra le nuove generazioni in epoche di grandi crisi sociali, non può pretendere di esercitare su di loro uninfluenza e una funzione di guida.

“I giovani non sono figli dei loro padri, ma dei loro tempi” e i tempi corrono, le coscienze maturano più in fretta di quanto lo avvertono i protagonisti barbogi di altri tempi. Sono quasi vent’anni che continuiamo a parlare di ritardi nei confronti dei giovani e mai arriviamo in orario al l’appuntamento. Perché? Nel 1960 quando scesero nelle strade i giovani dalle magliette a strisce contro il governo Tambroni, ci fu la prima sor presa ma non ne venne alcun rinnovato impegno. Appena si palesò qual che tentativo di capire che cosa stesse accadendo, venne la scomunica con tro il cosiddetto civettar e con i giovani. Poi giunse la “sorpresa” del 1968 e si preferì tacere, ignorare, fingere che le forze nuove emergenti non esistessero. Si giunse all’autoliquidazione del nostro movimento giovanile e quando esso risorse vegetò intristito come una pianta senza ossigeno.

Ed eccoci alla nuova sorpresa del 1977 che si dice sia veramente diversa dalle altre, ma sempre è una “sorpresa”. Ma perché da venti anni siamo sempre sorpresi e in ritardo con i giovani? Non è lecito chiedersi se non ci sia qualcosa di essenziale che ci è venuto a mancare e senza del quale il partito e la gioventù comunista non avrebbero mai potuto esercitare la loro influenza sulla parte più combattiva dei giovani?”

 

Un saluto caloroso ai compagni del (n)PCI!

Gabriele M.

Bologna