La Voce 9 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno III - novembre 2001

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Un passo avanti

Chiunque ne siano gli autori, con gli attentati di martedì 11 settembre l’umanità ha varcato un’altra soglia nella marcia verso lo scioglimento del groviglio inestricabile di contraddizioni in cui il capitalismo ci ha portato e ha incominciato a delinearsi la via attraverso cui le masse popolari americane assumeranno il ruolo che è indispensabile svolgano nello scioglimento del dramma: gli imperialisti non riescono più a tenerle lontano dal fronte della guerra in modo da servirsene come retrovia, fonte di risorse e di uomini per le loro imprese brigantesche nel mondo.

Proprio per questo è indispensabile che noi comunisti non ci lasciamo prendere dallo smarrimento di fronte ad avvenimenti che “non avremmo mai immaginato potessero succedere” né dal panico di fronte alla nuova furia omicida con cui gli imperialisti americani, la loro appendice sionista e gli altri gruppi imperialisti al loro rimorchio aggiungono nuove vittime alle decine di migliaia che il loro ordinamento sociale e i loro intrighi fanno ogni giorno nel mondo. Detto con le espressioni di Marx ed Engels (Manifesto del partito comunista, 1848), adattate alle condizioni attuali, è questo il momento per i comunisti di dimostrare di essere in ogni paese la parte più risoluta del movimento antimperialista che monta in ogni angolo del mondo e di mettere al servizio di tutto questo movimento il vantaggio di conoscere “le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento” stesso. L’indignazione e lo sdegno che agita ogni persona onesta contro i nuovi crimini che la borghesia imperialista compie, dobbiamo tradurli in rinnovato vigore della nostra lotta per porre fine al suo dominio: in una maggiore capacità di mobilitazione e di direzione delle forze ad essa antagoniste e di mobilitazione delle forze di riserva che possono contribuire alla sua sconfitta.

Con gli attentati di martedì 11 settembre ha fatto un passo avanti anche la guerra, non dichiarata ma carica di distruzioni materiali e morali e di vittime, che la borghesia imperialista per valorizzare i suoi capitali conduce ogni giorno contro le masse popolari di tutto il mondo. È la guerra che noi comunisti dobbiamo rovesciare in guerra popolare rivoluzionaria e nella seconda ondata della rivoluzione proletaria. Quali sono le parti in causa di questa guerra? Quali sono gli interessi di ognuna di esse? Quali sono le condizioni in cui ognuna di esse oggi combatte? Quali forze ognuna di esse mette oggi in campo? Quali sono le prospettive per ognuna di esse?

Tutti i gruppi imperialisti devono ricorrere a traffici, intrighi e prepotenze di ogni genere per spremere dalle masse popolari una maggiore quantità di plusvalore. Il capitale che essi devono valorizzare è enorme e il plusvalore estorto non basta a valorizzarlo tutto. I gruppi imperialisti si stanno accapigliando tra loro con ogni mezzo perché ognuno di loro deve prendersi una parte maggiore del plusvalore. In ogni angolo del mondo le masse popolari accettano sempre meno la condizione intollerabile in cui i gruppi imperialisti devono relegarle. Stante la debolezza del movimento comunista, la ribellione delle masse popolari a questa condizione esplode in mille forme e in mille scontri. La lotta dei gruppi imperialisti tra di loro, la lotta dei gruppi imperialisti contro le masse popolari, la lotta delle masse popolari per sottrarsi alla condizione imposta dai gruppi imperialisti si combinano tra loro in modi diversi e mutevoli. Questa combinazione dà luogo a mille lotte apparentemente isolate, ognuna con la sua origine e i suoi obiettivi particolari. Ma i loro sbocchi sono difficilmente decifrabili, le alleanze e i fronti mutano frequentemente, i mezzi con cui vengono combattute si alternano: ora trattati e manovre, ora intrighi e colpi di mano, ora apertamente le armi. E la situazione complessiva procede da uno scossone drammatico a una pausa che prepara lo scossone successivo.

 Questo è a grandi linee il quadro della situazione rivoluzionaria in cui conduciamo la nostra lotta per la rinascita del movimento comunista. Se confrontiamo la situazione attuale delle forze in campo e quella della prima metà del secolo appena terminato, quello che risalta è da una parte la preminenza degli imperialisti americani tra tutti i gruppi imperialisti, dall’altra la debolezza dei partiti comunisti nel movimento delle classi e dei popoli oppressi. A ciò si aggiunge la maggiore potenza delle armi impiegate: la “politica delle cannoniere” si è trasformata nella “politica dei bombardieri”.

Ma la preminenza dei gruppi imperialisti americani è in declino. Ad ogni nuovo scossone si trova che i gruppi imperialisti tedeschi, francesi, inglesi, giapponesi, russi, cinesi concorrenti dei gruppi imperialisti americani hanno migliorato un po’ le proprie posizioni, che i gruppi imperialisti americani hanno perso un po’ dei loro alleati, che la loro classe dirigente per difendere la loro supremazia deve di volta in volta rilanciare un gioco più grande e più costrittivo, deve fare maggiore ricorso alla guerra e deve disperdere maggiormente le sue forze militari, mentre aumentano i fronti su cui deve battersi e crescono di numero i suoi bersagli. Prendendo l’iniziativa della “crociata contro il terrorismo” e di attaccare l’Afganistan, gli imperialisti americani hanno ancora una volta, come nel Golfo e in Kossovo, costretto i gruppi imperialisti degli altri paesi ad allinearsi al loro seguito. Ma la “crociata contro il terrorismo” lanciata da Bush ha aumentato il peso internazionale dell’Inghilterra e ha aperto ancora un po’ di più la porta alla Germania e al Giappone che premono per rientrare in scena come attori autonomi della politica internazionale. Le autorità russe e cinesi entrano oramai anch’esse quasi alla pari nel concerto delle grandi potenze imperialiste. Siamo ancora lontani dalla guerra tra gruppi imperialisti. La borghesia imperialista ne rifugge ancora perché, memore delle passate due guerre interimperialiste, ha paura che essa dia nuovo slancio al movimento comunista. Ma per sopravvivere ogni gruppo imperialista è costretto a creare le condizioni che la renderanno inevitabile. I contrasti di interessi tra i gruppi imperialisti americani da una parte e i gruppi imperialisti degli altri paesi dall’altra sono sempre più acuti. Il summit di Genova (luglio) e la Conferenza ONU di Durban (settembre) li avevano messi in piazza come mai in precedenza.

 

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Comunicati della CP

(disponibili sulla pagina web www.nuovopci.it)

 

12 settembre 2001

New York come Belgrado e le città palestinesi? Violato il santuario e il rifugio degli imperialisti di tutto il mondo. L’imperialismo USA è il peggior nemico delle masse popolari americane e dei popoli di tutto il mondo

 

30 settembre 2001

Proletari e popoli oppressi di tutto il mondo, uniamoci per lottare contro la guerra imperialista, per lottare contro i gruppi imperialisti americani, per lottare ciascuno contro i gruppi imperialisti del proprio paese, per la rinascita del movimento comunista!

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Che siano opera di organizzazioni dei fondamentalisti islamici che combattono a loro modo gli imperialisti americani o che siano opera degli stessi gruppi imperialisti americani o una combinazione delle due cose, gli attentati di New York e di Washington e la “crociata contro il terrorismo” che il governo di Washington ha lanciato facendo leva su di essi, segnano la fine della strategia della “guerra di bassa intensità” e del terrorismo che da quando è iniziato il declino del movimento comunista i gruppi imperialisti americani hanno seguito su larga scala per tenere sotto controllo il mondo.

 Grossomodo iniziando dalla presidenza Kennedy (1961-1963) per i gruppi imperialisti americani le “guerre di bassa intensità” e più concretamente la promozione e la manovra di gruppi terroristici sono stati un importante strumento di politica internazionale contro il movimento comunista, contro i movimenti antimperialisti di liberazione nazionale e anche per tenere in riga i “governi amici” (la strage di p.zza Fontana, 1969, è per noi una piaga ancora aperta). In ogni paese il cui governo non era di loro gradimento, essi hanno sistematicamente fatto leva su qualunque contrasto residuo del passato e hanno promosso la formazione di gruppi di terroristi battezzati “combattenti della libertà”. Dal Mozambico all’Afganistan, dal Nicaragua all’Angola, da Cuba all’Algeria, dal Tibet ai paesi baltici. Dovunque il movimento comunista non è stato all’altezza della situazione e non ha saputo trattare le contraddizioni in modo adeguato, il gioco dell’imperialismo ha funzionato. Il fondamentalismo islamico in particolare è stato fortemente sostenuto per decenni dai gruppi imperialisti americani, sia direttamente sia tramite l’Arabia Saudita, come avversario dei partiti comunisti e dei movimenti progressisti nei paesi musulmani. E i riformatori islamici parvero avversari efficaci, perché questa linea venne posta in opera giusto in concomitanza con il declino del movimento comunista, corroso al suo interno dal revisionismo moderno. In Iran, in Iraq, in Sudan e altrove vecchi e forti partiti comunisti vennero decimati e quasi eliminati e gli imperialisti americani credettero di aver trovato il rimedio contro il comunismo, come Woityla crede che a far crollare il campo socialista sono stati lui e la Madonna di Fatima. Ma dove sono riusciti ad affermarsi come forza politica e hanno voluto restare a galla, molti manutengoli degli imperialisti americani hanno dovuto prima o poi rivoltarsi contro i loro protettori le cui pretese non hanno fine. Da strumento della loro politica internazionale si sono un po’ alla volta trasformati in avversari dei gruppi imperialisti e con ciò sono anche diventati in qualche modo portavoce dei popoli oppressi dall’imperialismo.

Oggi le masse popolari dei paesi oppressi che sempre più si ribellano ai gruppi imperialisti, e in particolare ai gruppi imperialisti americani e ai governi fantoccio da loro instaurati o puntellati, in vari paesi hanno alla loro testa gruppi reazionari. In molti paesi musulmani la riforma religiosa è diventata anche la bandiera della lotta contro l’imperialismo.

Anche se gli attentati di martedì 11 settembre fossero stati promossi o facilitati da gruppi imperialisti americani e benché certamente questi li stiano sfruttando su grande scala a proprio vantaggio, resta il fatto che in tutti i paesi oppressi, e in particolare nei paesi musulmani, le masse popolari si stanno mobilitando su grande scala contro i gruppi imperialisti. La forza e l’importanza di questo movimento le confermano gli stessi gruppi imperialisti che per contrastarlo fanno leva proprio su alcuni aspetti di esso, che per affrontare i gravi problemi che incontrano nei paesi imperialisti additano proprio esso come bersaglio universale, come “male supremo”, come fonte di ogni iniquità, che in nome della lotta contro di esso cercano di aggregare tutti i gruppi imperialisti e le masse popolari di ogni paese e di soffocare ogni altro contrasto.

L’ipotesi che gli attentati di New York e di Washington costituiscano una ripetizione a livello planetario, della strategia della tensione che proprio i gruppi imperialisti americani hanno messo a punto e sperimentato in Italia (piazza Fontana, 1969) e in altri paesi, non è affatto da escludere. Anzi col passare del tempo e con lo sviluppo degli eventi aumentano i motivi per ritenere che promotori, istigatori, organizzatori o almeno favoreggiatori degli attentati di New York e Washington siano alcuni gruppi o organismi imperialisti americani o la loro appendice sionista. Se le cose stanno così, i gruppi imperialisti americani si sarebbero inseriti nel movimento di ribellione all’imperialismo che si sviluppa nei paesi oppressi (coloniali e semicoloniali) e avrebbero cercato di rovesciare le cose a loro favore. Gli attentati contro interessi, istituzioni e personale americani sono una delle forme di lotta di quel movimento: alcuni gruppi imperialisti americani avrebbero spinto all’estremo questa forma di lotta sia per interrompere una spirale di avvenimenti (Somalia ‘93, New York ‘93, Arabia ‘95 e ‘96, Kenia e Tanzania ‘98, Aden 2000) in cui erano perdenti e spostare la lotta su un terreno per essi più favorevole, sia per risolvere altri gravi problemi cui dovevano far fronte.

 Il solo fatto che questa ipotesi non sia da escludere indica un lato debole dell’attuale movimento antimperialista a cui l’operazione è ufficialmente imputata dagli imperialisti. Questo lato debole consiste precisamente nel fatto che (a differenza del movimento comunista) esso non promuove nei paesi oppressi una trasformazione dell’organizzazione sociale (economica, politica e culturale) delle masse popolari all’altezza dei colpi che infligge agli interessi, alle istituzioni e alle forze dei gruppi imperialisti e quindi resta particolarmente esposto alle aggressioni e alle provocazioni dei gruppi imperialisti, consente agli imperialisti americani di trarre i molteplici vantaggi che stanno traendo, frena l’ulteriore mobilitazione delle masse popolari contro l’imperialismo, riduce quindi i frutti che il movimento antimperialista trae da quell’operazione proprio nel campo per esso più importante, frena la combinazione tra il grande movimento antimperialista che si sviluppa nei paesi oppressi e il movimento delle masse popolari dei paesi imperialisti che lottano per un nuovo superiore ordinamento della società (il “popolo di Seattle”).

Il lato debole dell’attuale movimento antimperialista consiste quindi nel carattere reazionario dei suoi capi e delle loro teorie. Gli islamisti e gli altri capi delle masse popolari in rivolta, per loro natura non sono in grado (a differenza dei comunisti) di guidare le masse popolari a una trasformazione dei rapporti sociali in cui vivono. Se così fosse, costituirebbero (come lo fu l’URSS) un esempio e un punto di riferimento anche per le masse popolari dei paesi imperialisti. Cosa che indebolirebbe le forze che i gruppi imperialisti possono mobilitare contro di loro e darebbe forza al movimento per un nuovo superiore ordinamento della società che si sviluppa nei paesi imperialisti. Con ciò potrebbero giocare sulle divisioni e sui contrasti tra gruppi imperialisti come lo fece il movimento comunista. Essi invece al massimo riescono ad assecondare il movimento spontaneo di ribellione e a potenziarlo con l’unità derivante dall’avere capi attorno a cui le masse popolari si aggregano. Ma il massimo a cui con essi le masse popolari arrivano, è mordere le mani di chi le sfrutta e opprime e da cui continuano a dipendere perché non sviluppano un modo di produzione loro proprio indipendente da essi (come invece fece l’URSS e perfino, in una certa misura, un paese piccolo come Cuba).

Questo non vuol dire che quindi noi comunisti dobbiamo condannare l’attuale movimento antimperialista dei popoli oppressi, come si sono affrettati a fare quelli che qualificano la guerra in corso come una guerra tra gruppi imperialisti (“una guerra tra contrapposti interessi di petrolio e di eroina”). Non vuol dire neanche che noi comunisti dobbiamo restare neutrali (“né con Bin Laden né con Bush”) o, peggio ancora, che dobbiamo tacere e restare passivi. Al contrario gli attentati di settembre indicano le grandi possibilità di azione e di successo che si aprono per noi comunisti, smentiscono tutti i pessimisti circa il futuro della nostra causa e i rassegnati, convinti della stabilità dell’attuale ordinamento della società (quelli che negano che siamo in una situazione rivoluzionaria in sviluppo).

Questo grande movimento antimperialista non è il frutto né del fanatismo religioso di cui una sua parte si ammanta né dell’attività delle autorità tradizionali e reazionarie che attualmente sono alla sua testa. Esso affonda le sue radici nelle condizioni pratiche che i gruppi imperialisti, spinti dalla loro crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, hanno creato e ogni giorno creano nel mondo. Queste condizioni letteralmente affamano e uccidono le masse popolari dei paesi coloniali e semicoloniali su scala ancora più grande e in misura ancora più intollerabile di quanto soffochino le masse popolari dei paesi imperialisti. Il grande progresso del mondo attuale, ciò che lo rende migliore rispetto ad ogni epoca passata, è che ora le masse non si rassegnano più alle condizioni che i gruppi imperialisti creano per loro.

 Ogni movimento delle masse oppresse ha bisogno di rappresentare a se stesso la lotta che sta combattendo e ha bisogno di capi. È a causa della debolezza attuale del movimento comunista internazionale che il grande movimento antimperialista che si sviluppa nei paesi oppressi ha trovato in riforme della religione tradizionale le idee che giustificano ai suoi occhi la sua pratica e nei riformatori religiosi i suoi capi. Ma il movimento stesso mostra e sempre più mostrerà che quella concezione è inadeguata e trasformerà o travolgerà quei capi e la dimostrazione sarà tanto più rapida quanto più forte rinascerà il movimento comunista. Le autorità wahabite dell’Arabia Saudita un tempo promotrici della riforma religiosa sono già diventate un bersaglio del movimento antimperialista. Il clero che trent’anni fa ha capeggiato la rivolta antimperialista dell’Iran viaggia già sul filo del rasoio. Il vantaggio che i gruppi imperialisti riescono a tirare dal modo in cui il movimento antimperialista conduce la sua lotta mostra e mostrerà che i suoi metodi sono inefficaci e che la concezione del mondo dei suoi capi non è all’altezza della sua lotta. Quelle concezioni e autorità si rivelano sempre più un ostacolo per quel grande movimento, impediscono che esso si unisca di fronte all’imperialismo e addirittura riducono ora una parte o l’altra di esso a giocare il ruolo di marionetta dei gruppi imperialisti. Il clero sciita dell’Iran patteggiò con il partito repubblicano USA che avrebbe rilasciato gli ostaggi dell'ambasciata USA solo dopo la vittoria di Reagan contro Carter nelle elezioni del 1980 e poi complottò con l’Amministrazione Reagan contro i sandinisti del Nicaragua (Irangate). Saddam Hussein ha logorato con otto anni di guerra l’impeto antimperialista della rivoluzione iraniana. I fondamentalisti islamici hanno combattuto in Afganistan per gli imperialisti americani. Hamas è stata usata da Israele contro la parte più avanzata del movimento antisionista. I wahabiti dell’Arabia hanno appoggiato gli imperialisti contro Saddam Hussein.

Lo sviluppo degli avvenimenti nello stesso tempo conferma che a lungo andare sono vani i tentativi degli imperialisti di salvaguardare i propri interessi facendo leva su quelle concezioni e sui rapporti sociali feudali e semifeudali ad esse corrispondenti. Gli imperialisti USA nel ‘79 hanno perso l’Iran, riuscendo solo a far sì che allo Scià subentrasse Komeini invece del partito comunista. Allora contro l’Iran scatenarono l’Iraq. Ma nel ‘90 hanno dovuto attaccare l’Iraq attirandolo nella trappola del Kuwait. Negli anni ‘70 hanno scatenato i fondamentalisti islamici prima contro il governo progressista dell’Afganistan e poi contro i sovietici. Ora bombardano l’Afganistan. Il loro disegno di pacificare sotto di loro il Medio Oriente è fallito e vanno persino verso uno scontro con la loro appendice sionista, Israele. Quale è il prossimo paese che perderanno: l’Arabia o il Pakistan?

 Quanto a noi comunisti, se consideriamo le cose a lungo termine, è certo che il grande movimento antimperialista che monta nei paesi oppressi avrà pace solo quando raggiungerà l’obiettivo reale che persegue (porre fine all’oppressione imperialista ed eliminare i residui feudali su cui questa si appoggia), cioè quando risolverà la contraddizione reale che lo suscita e lo incalza. Non essendo uno strumento efficace per eliminare il capitalismo, la riforma religiosa e la religione in generale non sono né una guida rivoluzionaria alternativa al comunismo, né un ostacolo insormontabile per l’affermazione del comunismo, come concezione del mondo guida del movimento pratico delle masse dei paesi oppressi. Neanche nei paesi musulmani. Lo conferma il fatto che nel periodo di ascesa internazionale del movimento comunista, anche nella maggior parte dei paesi musulmani (dall’Indonesia all’Egitto, dalla Siria al Sudan, dalla Malesia all’Iraq, dall’Iran alla Turchia) si erano costituiti grandi e forti partiti comunisti. Solo il declino mondiale del movimento comunista, ostacolato nel suo progresso dai suoi limiti ed errori e roso dal revisionismo moderno, permise all’imperialismo di far leva sul fanatismo religioso, sulle autorità tradizionali e sulle proprie forze per stroncare nel sangue quei movimenti comunisti. In definitiva il grande movimento antimperialista che monta nei paesi oppressi dovrà assumere a sua guida l’unica concezione rivoluzionaria del mondo attuale, l’unica che lo può portare a instaurare un ordinamento della società superiore a quello imperialista: il comunismo. L’inevitabile trasformazione dell’attuale movimento antimperialista avverrà tanto più rapidamente e facilmente e in modo tanto meno doloroso per le masse popolari di tutto il mondo, quanto più rapidamente avverrà la rinascita del movimento comunista internazionale e in particolare la rinascita del movimento comunista nei paesi imperialisti, in Russia e in Cina. Nonostante gli eroici sforzi di alcuni partiti comunisti dei paesi oppressi (Perù, Filippine, Nepal, ecc.) e il contributo che essi hanno dato e danno alla rinascita del movimento comunista internazionale, l’andamento delle cose conferma che solo rinascendo nei paesi dove il proletariato e la classe operaia sono più sviluppati il movimento comunista può diventare nuovamente il movimento che unifica e porta alla vittoria sia la rivoluzione socialista nei paesi capitalisticamente più sviluppati sia la rivoluzione di nuova democrazia (antimperialista e antifeudale) nei paesi oppressi.

Il mondo attuale ha di fronte a sé un solo futuro possibile: il socialismo come prima fase del comunismo. Ciò è inscritto nella sua stessa natura di oggi ed è confermato dagli avvenimenti in corso: l’unificazione sempre più stretta tra paesi, regioni e individui a livello mondiale che nell’ambito di rapporti capitalisti genera conflittualità e distruzioni di ogni genere, il moltiplicarsi in ogni angolo del mondo di istituzioni (le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale) che hanno il compito di attenuare le conseguenze più devastanti dell’ordinamento sociale dominante e di consentire la continuità della vita sociale nel modo migliore possibile compatibilmente con l’ordinamento sociale vigente e che nell’ambito dell’ordinamento vigente diventano altrettante catene oppressive, le conquiste strappate dalle classi e dai popoli oppressi e i progressi da questi realizzati durante la prima ondata della rivoluzione proletaria. Ma il mondo attuale ha davanti a sé due vie diverse per arrivare al socialismo. Può arrivarvi passando dall’attuale caos e groviglio di contrasti a una rivoluzione diretta dai partiti comunisti. Oppure può arrivarci passando dall’attuale caos e groviglio di contrasti a una guerra distruttiva tra gruppi e paesi imperialisti che darebbe essa nuovo impulso alla rivoluzione proletaria.

 Gli avvenimenti non hanno ancora deciso quale di queste due strade di fatto il mondo seguirà. Lo scioglimento del dramma è ancora lontano. Il caos e i contrasti si aggravano, l’ordinamento esistente viene sempre più sconvolto, ogni rimedio anziché rabberciare la situazione la devasta ancora di più. La fiducia nel capitalismo e nell’attuale ordinamento della società e del mondo è in forte calo. Il materiale incendiario si accumula. Ma i partiti comunisti devono rinascere dalla sconfitta subita dal vecchio movimento comunista. Il revisionismo moderno introdotto da Kruscev e dai suoi seguaci è stato smascherato dal crollo del campo socialista, ma occorre che la critica degli errori e il superamento dei limiti del vecchio glorioso movimento comunista diventino patrimonio diffuso dei comunisti. Finché non lo diventano, il crollo del campo socialista anziché agire come conferma del carattere controrivoluzionario del revisionismo moderno, alimenta disfattismo su quale sarà il futuro dell’umanità. L’adozione aperta del maoismo (cioè del bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria) come terza superiore tappa del pensiero comunista e la sua applicazione pratica nelle reali condizioni della lotta delle classi e dei popoli oppressi sono quindi condizione indispensabile perché la nostra marcia proceda con successo.

Noi non siamo in grado di dire quale via di fatto il mondo seguirà. Probabilmente le due vie sono in effetti ancora entrambe possibili. Sappiamo però per quale via noi comunisti oggi dobbiamo lottare. Noi ci batteremo con tutte le nostre forze perché il mondo segua la prima via. La via della rapida rinascita del movimento comunista, della formazione di nuovi partiti comunisti basati sul marxismo-leninismo-maoismo, della combinazione nei paesi imperialisti della lotta che tutte le classi popolari conducono contro la borghesia imperialista per un nuovo superiore ordinamento della società con la lotta che gli operai conducono contro i capitalisti in una unica lotta per instaurare il socialismo, della trasformazione della lotta antimperialista dei popoli dei paesi oppressi in rivoluzioni democratiche (antimperialiste e antifeudali) dirette dai partiti comunisti, della combinazione delle rivoluzioni socialiste nei paesi imperialisti con le rivoluzioni di nuova democrazia nei paesi oppressi dall’imperialismo.

Ma se nonostante i nostri sforzi il mondo dovesse imboccare la strada della guerra interimperialista, non ci faremo prendere dal panico e lotteremo con tutte le nostre forze per trasformare in ogni paese imperialista la guerra interimperialista in guerra civile contro la propria borghesia imperialista e quindi in rivoluzione socialista. E tanto migliore sarà il nostro lavoro, quanto più avremo progredito, prima che scoppi la guerra interimperialista, nel creare nuovi partiti comunisti basati sul marxismo-leninismo-maoismo.

Le masse popolari americane hanno in entrambi i casi un ruolo importante. Infatti solo esse in definitiva possono porre fine all’imperialismo americano. Noi comunisti degli altri paesi imperialisti possiamo e dobbiamo aiutarle a svolgere il loro ruolo principalmente percorrendo la via della rivoluzione socialista nel nostro paese contro i gruppi imperialisti dei nostri paesi. In secondo luogo possiamo e dobbiamo aiutarle a svolgere il loro ruolo appoggiando i movimenti dei popoli oppressi che colpiscono come possono gli imperialisti americani. Dobbiamo imparare dall’esperienza del popolo vietnamita che, infliggendo sconfitta su sconfitta agli imperialisti americani, contribuì potentemente alla crescita della lotta delle classi e dei gruppi sociali oppressi americani contro i gruppi imperialisti americani.

Da qualunque lato si guardi la situazione internazionale, essa a noi comunisti italiani indica un compito preciso: costituire al più presto possibile il nuovo partito comunista italiano.

 

Nicola P.