La Voce
del (nuovo)Partito comunista italiano

 

Sul terreno delle Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista

Legare i lavoratori avanzati al lavoro di ricostruzione del partito comunista o limitare il loro impegno agli interessi immediati di tutti i lavoratori?

Fare di ogni lotta rivendicativa una scuola di comunismo o occuparsi degli interessi immediati della classe operaia per distoglierla dal comunismo e dalla ricostruzione del partito?



INDICE:

Che cento fiori fioriscano, che cento scuole gareggino!

Rossoperaio 

Dalle idee alla realizzazione (Il FUTURO)

Prima risposta a un invito  (Cellula per la costituzione del PCC)

Il bordighismo, una vecchia piaga del movimento comunista italiano

Dalle Tesi di Lione - il bordighismo (3° congresso del Partito comunista d’Italia, sezione dell’Internazionale Comunista, gennaio 1926)


Che cento fiori fioriscano, che cento scuole gareggino!

 

È una buona cosa che tra le organizzazioni che si dicono favorevoli alla ricostruzione del partito comunista si stia sviluppando l’interesse per l’elaborazione del programma del futuro partito comunista. Molte FSRS recalcitrano ancora a stabilire un programma di lavoro comune. La proposta fatta dalla CP alle FSRS di sinistra di costituire un Fronte per la ricostruzione del partito comunista (La Voce n. 6) implicava anche questo: un programma di lavoro comune e quindi anzitutto un lavoro comune per l’elaborazione del programma del partito. Nonostante questa resistenza, tuttavia si verifica un fatto curioso già osservato in altri campi: quando una parola d’ordine è giusta, essa viene in qualche modo recepita e attuata anche da quelli che ufficialmente la respingono e quindi per questa via si realizza egualmente la direzione politica del partito comunista. Alcune FSRS non hanno voluto e non vogliono partecipare ad un lavoro comune di elaborazione del programma del partito, ma si sono date a elaborare ognuna il suo progetto di programma. È una fioritura di programmi, piattaforme e tesi programmatiche! I convegni di Torino (novembre), Firenze (marzo) e Roma (aprile), il Comitato marxista-leninista d’Italia (La via del comunismo), il Comitato Centrale Organizzativo (Questioni del Socialismo), Rossoperaio, Scintilla, Cellula per la costituzione del PCC e sicuramente mi è sfuggito qualcosa. Uffa, quanta carta! dirà qualche lettore. Vero, ma in Italia è un dato di fatto che da tempo esistono decine e forse centinaia di FSRS divise tra loro. La novità è che un buon numero di esse stanno finalmente occupandosi della stessa cosa, scelta e non imposta da una scadenza: stendere un programma per il futuro partito comunista.

Ovviamente è un livello di organizzazione del lavoro inferiore rispetto a quello che noi proponiamo e una manifestazione di settarismo, ma tuttavia si sta delineando un corso in cui si dovranno incanalare tutte le organizzazioni che vogliono veramente ricostruire il partito comunista o che almeno vogliono dare a intendere di volerlo ricostruire.

Ben vengano quindi anche i progetti di programmi. Ovviamente un progetto non vale l’altro e quindi è attraverso la lotta che arriveremo a un programma all’altezza dei compiti che il nuovo partito deve assolvere. Quella lotta in campo teorico che Engels diceva essere il terzo fronte della lotta degli operai, accanto alla lotta economica e alla lotta politica. Per questo ogni membro di FSRS e ogni operaio avanzato deve sforzarsi di comprendere i vari progetti: le loro convergenze, le loro divergenze e le lacune. Ogni compagno deve a sua volta sforzarsi di facilitare questa comprensione.

Continua il muro di silenzio calato da varie FSRS sul Progetto di Manifesto Programma pubblicato nel ‘98 dalla SN dei CARC. Alcune FSRS sono talmente ancorate al settarismo che fingono di ignorare che si sta comunque svolgendo un lavoro comune. Paiono gli imperialisti americani che pensavano di cancellare dal mondo l’esistenza della RPC non riconoscendo la RPC. Non l’hanno riconosciuta fino all’inizio degli anni ‘70. Ma questo non ha impedito che la RPC esistesse e esercitasse la sua influenza sul mondo. Pensano che non parlando di ciò che si sviluppa, questo cesserà di svilupparsi. Come i bambini che chiudono gli occhi. Nonostante ciò il lavoro per l’elaborazione del programma del futuro partito sta facendo la sua strada. Sarà tuttavia sempre più evidente il vantaggio che ne avrebbe la causa della ricostruzione del partito comunista se ogni FSRS tenesse conto del lavoro delle altre, si appropriasse dei risultati positivi del lavoro delle altre e li valorizzasse nel proprio lavoro.

Anna M.

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Rossoperaio

ha finalmente pubblicato, in nove pagine dai molti titoli (Rompere le catene del capitalismo dello sfruttamento dell’oppressione/ Bisogno di rivoluzione/ L’ora del partito/ Documento-Tesi (2001)), le Tesi programmatiche che veniva annunciando dal settembre del ‘99.

RO aveva dichiarato già nel 1984 che “l’elaborazione del programma è l’elemento chiave per la costruzione del partito” (vedi Documento Base 1984 di cui si parla in La Voce n. 7 pag. 32 e segg.), ma per più di 15 anni non ne aveva fatto nulla: ora ha fatto un passo avanti.

Abbiamo diffuso come Supplemento 1 a La Voce n. 7 ed è disponibile sulla pag. web di La Voce un’analisi delle Tesi di Rossoperaio frutto di una discussione della redazione e stesa da Umbero C., intitolata

A proposito delle Tesi programmatiche di Rossoperaio

Tanto tuonò ... che la montagna partorì un topolino

ma è economicista, bardato di lustrini internazionalisti e di mostrine militari

Il Supplemento comprende, come allegato, anche le Tesi programmatiche di RO.

 

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Il Futuro

Dalle idee alla realizzazione

 

Le posizioni programmatiche e politiche erano state definite nei congressi dell’Internazionale (...) Sul “come fare?”, sulla concezione, cioè, della rivoluzione e sui compiti del partito comunista, non si era, di fatto, aperto un dibattito approfondito (...) Nel momento in cui si presentava una situazione oggettivamente rivoluzionaria, la parte più avanzata del proletariato non era preparata, dal punto di vista complessivo, politico, ideologico e organizzativo, ad assumere il suo ruolo d’avanguardia. Ciò significò che, “in forma sparsa”, i dirigenti rivoluzionari si trovarono a rincorrere gli avvenimenti, a dover mettere le basi per la costruzione del partito della rivoluzione proprio nel momento in cui sarebbe stato, invece, indispensabile poter disporre di un’organizzazione efficiente, con una concezione ideologica e una strategia chiara, da mettere al servizio di quello storico movimento politico delle masse. (...) La chiarezza e la fermezza ideologica, la comprensione dialettica delle dinamiche del capitalismo, la capacità di previsione del suo sviluppo, così come la determinazione assoluta a un’azione politica conseguente, sono, oggi come negli anni ‘20, gli elementi che rendono possibile e concreta la costruzione dello strumento politico indispensabile alla rivoluzione socialista” (1921-2001: a 80 anni dalla costituzione del Partito comunista d’Italia, in Il Futuro n. 25 aprile-giugno 01).

Sante parole, compagni! Ma come state realizzando il compito che ne deriva, se non promuovete alcun dibattito approfondito, se non chiamate la classe operaia a collaborare, nei suoi elementi migliori, alla costruzione del partito? Il partito, come voi stessi dite, non è una setta che si costruisce nelle catacombe, senza coinvolgere la classe, la cui avanguardia organizzata deve esserne la parte principale e imprescindibile. Ciò è un principio per i comunisti, dal Manifesto del 1848 in qua.

 

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Cellula per la costituzione del PCC

Prima risposta a un invito

 

La “Cellula per la costituzione del Partito comunista combattente” deriva dalla “seconda posizione” delle BR, negli ultimi anni ‘80 ha pubblicato la rivista Per il partito e nel ‘94 ha rivendicato la militanza nelle sue fila di Sergio Spazzali (il compagno Pino). In ottobre 2000 ha diffuso un documento Cellula per la costituzione del PCC in cui invita “i componenti del movimento rivoluzionario” al dibattito e rivolge questo invito in particolare alla CP.

Appena costituita, la CP ha rivolto un appello anche alle FSRS “che svolgono principalmente o unicamente un lavoro segreto” (La Voce n. 1, pag. 53 e segg.). La sostanza di quell’appello era “mettere la propria esperienza e le proprie risorse al servizio della ricostruzione del partito comunista”, ulteriormente precisato, nel n. 2 di La Voce pag. 23, “mettere l’attività combattente al servizio della ricostruzione del partito comunista”. La CP ha ripetuto questo appello più volte.

Invitandoci al dibattito, cosa ci dice ora la Cellula? Credo di sintetizzare onestamente il suo discorso dicendo che la Cellula afferma che occorre creare un partito

che abbia un programma, una linea politica e una strategia: e su questo siamo completamente d’accordo, abbiamo avanzato delle proposte e promuoviamo un lavoro per definirli in vista del congresso di fondazione che li approverà: cosa propone la Cellula?

che stabilisce e mantiene un costante e stretto rapporto con le masse popolari per elevarne per tappe l’attività al livello della guerra contro la borghesia imperialista: anche su questo siamo d’accordo, abbiamo detto alcune cose su quale rapporto e su come stabilirlo e mantenerlo e assieme ai comitati provvisori di partito stiamo facendo:cosa propone di fare la Cellula?

che, in attesa che le masse popolari scendano in guerra con la borghesia imperialista, rappresenti esso le masse popolari nello scontro con la borghesia imperialista attaccandone militarmente uomini e strutture.

Proprio su quest’ultimo punto bisogna soffermarci (visto anche che la Cellula dice che la CP su questo “è sfuggente”). Esso caratterizza tutta la concezione della Cellula che quindi bisogna comprendere alla luce di questo punto. Infatti la Cellula dichiara sì di fare proprie la concezione del movimento comunista e l’esperienza dei suoi 150 anni di storia e che “obiettivo primario è la costituzione del partito”, ma in realtà dimentica questa dichiarazione quando passa a definire cosa fare oggi e cosa fare domani. Non usa la concezione e l’esperienza del movimento comunista per definire i compiti del presente e per verificare la concezione che ha di essi. Non propone un piano per la costituzione del partito, non espone il piano che la Cellula sta attuando per costituire il partito, non chiama gli altri “componenti del movimento rivoluzionario” ad attuare alcun piano per costituire il partito né per creare le condizioni a ciò necessarie. Invece la Cellula si preoccupa di sostenere che il partito in un primo tempo (in attesa che le masse popolari scendano in guerra) dovrebbe fare politica compiendo attentati contro uomini e strutture della borghesia imperialista. La Cellula non dice espressamente che, in attesa di costituire il partito, questo dovrebbe essere il compito anche degli attuali “componenti del movimento rivoluzionario”, ma a mio parere tutto lascia credere che questa sia la concezione della Cellula, salvo smentita. Essa infatti non vede altra alternativa agli attentati che l’azione parlamentre, l’illusione di accumulare forze “sul piano legale delle lotte immediate”, la sottomissione alla legge e all’autorità della borghesia. Dove sta allora la differenza tra la Cellula e i Nuclei Comunisti Combattenti (alias nuove Brigate Rosse per la costruzione del PCC) cui la CP ha dedicato l’opuscolo Martin Lutero? I NCC sostengono che nella società attuale la borghesia imperialista è in grado di impedire che le masse popolari scendano in guerra contro la borghesia imperialista, che gli operai riescono a occuparsi solo dei loro interessi “diretti e immediati” e anche di questi solo sotto la direzione dei sindacati di regime, che la guerra contro la borghesia imperialista è di competenza esclusiva dei gruppi rivoluzionari, ora e per un periodo indeterminato.(1) La Cellula invece sostiene che nella società attuale le masse popolari sono in grado di sviluppare la loro attività fino a diventare, per tappe, protagoniste della guerra contro la borghesia imperialista e anzi sostiene che solo quella condotta dalle masse popolari sarà la vera e decisiva guerra, mentre quella che il partito dovrebbe condurre in attesa che le masse popolari scendano in campo, sarebbe solo una prefigurazione, una supplenza, una rappresentazione, una recita di quello che verrà. Quindi, a differenza dei NCC, la Cellula riconosce il ruolo imprescindibile delle masse popolari nell’eliminazione dell’attuale regime e in qualche modo avverte anche che c’è un compito che il partito deve svolgere per portare le masse popolari dalla condizione attuale fino a condurre la guerra contro la borghesia imperialista (il “costante e stretto rapporto con le masse”). È un notevole passo avanti rispetto al militarismo puro dei NCC. Il male è che la Cellula, anziché concentrare la sua attenzione proprio su cosa deve fare il partito per adempiere a questo suo compito (portare le masse popolari dalla condizione attuale fino alla guerra contro la borghesia imperialista) e, prima ancora, su cosa devono fare gli attuali “componenti del movimento rivoluzionario”, per costituire il partito, la concentra sul ruolo di supplenza che esso nel futuro, o addirittura essi nel presente, dovrebbero svolgere “in attesa che le masse popolari scendano in guerra”.

Perché il partito futuro, e per ora gli attuali “componenti del movimento rivoluzionario”, dovrebbero svolgere questa funzione di supplenza e di rappresentanza?

1. Perché solo grazie ad essa “è credibile” alle masse la proposta che il partito fa alle masse che cerca di portare alla scontro con la borghesia grazie al rapporto che deve stabilire e mantenere con esse.

2. Perché solo grazie agli attacchi militari che esso porta alla borghesia, il partito “incide, pesa concretamente nella lotta politica tra le classi”.(2)

La Cellula riconosce però che, finché le masse non scenderanno esse in guerra, la sua supplenza inciderà e peserà poco nella “lotta politica tra le classi” e, comunque, non farà molto danno alla borghesia. Infatti, dice, si tratterà “solo di un uso politico della lotta armata”: per rendere credibile alle masse la proposta del partito (cioè convincere le masse che la proposta del partito è buona), per indicare concretamente (cioè con l’esempio dato dai membri del partito) alle masse la strada su cui devono mettersi, per dare più forza alle rivendicazioni verso il governo (questo credo intenda la Cellula per “lotta politica tra le classi”) e per educare e allenare il partito.(3)

Certamente ho schematizzato. Ma ogni compagno che ha letto o leggerà l’invito al dibattito lanciato dalla Cellula, si renderà conto che non ho travisato la sostanza della sua concezione.

Cosa dire?

Cari compagni, i militaristi puri (NCC, nuove BR-PCC, ecc.) sostengono che i gruppi rivoluzionari devono supplire al fatto che la borghesia imperialista impedisce agli operai e in generale alle masse popolari di condurre una politica rivoluzionaria. Questa teoria della “supplenza a tempo indeterminato” porta i militaristi puri a liberarsi da ogni compito di educare, mobilitare, organizzare e armare le masse popolari per l’attività rivoluzionaria, in particolare li esonera dalla necessità del partito: per loro il partito è un optional ornamentale. La vostra teoria della “supplenza a tempo determinato” vi porta fatalmente sulla stessa strada e in più vi paralizza. Sono convinto che la vostra pratica, che voi conoscete meglio di me, ve lo conferma. Il partito non è in grado e non ha il compito di supplire alla mancanza di mobilitazione della classe operaia e delle masse popolari, ma ha il compito, e l’esperienza ha dimostrato che è in grado di svolgere il compito, di organizzare la classe operaia perché mobiliti e diriga il resto del proletariato e delle masse popolari a fare la guerra alla borghesia imperialista.

Il movimento comunista non ha scoperto la guerra negli anni ‘70. Se volete realmente fare vostre la concezione e l‘esperienza del movimento comunista, dovete usare quella concezione e quella esperienza per capire i compiti che oggi devono svolgere i “componenti del movimento rivoluzionario”, e quindi voi, noi e quanti altri, per costruire il partito; per capire quali sono i compiti del partito comunista nella rivoluzione socialista che le masse popolari del nostro paese devono compiere e la classe operaia deve dirigere. La lotta degli anni ‘70 ha solo sgomberato il campo a noi comunisti italiani dalla concezione, dal pregiudizio diffuso negli anni ‘50 e ‘60 dai revisionisti moderni che in un paese imperialista non era possibile impugnare le armi e in generale non era possibile alcuna politica rivoluzionaria.(4) Quanto alla questioni in che cosa consiste una politica rivoluzionaria e come condurla, certamente c’è da imparare anche dagli anni ‘70, ma più in negativo (quello che non si deve fare) che in positivo (quello che si deve fare). L’esito dello scontro degli anni ‘70 dovrebbe per lo meno far riflettere e portare a trarre con cura gli insegnamenti che esso può dare, ovviamente tenendo anche conto delle differenze importanti tra le condizioni attuali e quelle degli anni ‘70.(5) Non bisogna dare per sottintesi e scontati quegli insegnamenti, come se la sconfitta fosse un incidente casuale. In La Voce n. 2 vi è un articolo Il bilancio degli anni ‘70 che secondo me sarebbe utile leggere. Il movimento comunista ha imparato a condurre la guerra contro la borghesia imperialista (cioé a fare una politica rivoluzionaria) nel corso della sua storia di 150 anni. Ha dimostrato nella pratica di saper condurre la classe operaia a mobilitare e dirigere le masse popolari fino a vincere la guerra contro la borghesia imperialista. Ha elaborato la sua lunga e multiforme esperienza nel marxismo-leninismo-maoismo. Il massimo teorico marxista della guerra popolare rivoluzionaria è Mao Tse-tung.

Questa è la strada da battere per uscire dalle secche del militarismo e del velleitarismo. Avete compiuto un passo importante comprendendo che senza la mobilitazione delle masse popolari non c’è alcuna vera guerra contro la borghesia imperialista e tanto meno una guerra vittoriosa: si è ridotti ad attentati di anarchica memoria quali che siano i significati di cui li si ammanta nelle rivendicazioni. La vostra è già una rottura col militarismo puro. Se avete veramente fiducia che nella società attuale le masse popolari possono condurre una politica rivoluzionaria (e non c’è motivo di dubitare della sincerità delle vostre convinzioni), dovete completare la rottura col militarismo, definendo alla luce del marxismo-leninismo-maoismo, cosa deve fare il partito comunista per condurre la classe operaia a mobilitare e dirigere le masse popolari nella guerra contro la borghesia imperialista e, prima ancora, cosa devono fare gli attuali “componenti del movimento rivoluzionario” per costituire il partito. Voi avete sicuramente un’esperienza rivoluzionaria che può essere preziosa per la causa della rivoluzione socialista, non disperdetela fermandovi a metà strada!

Ernesto V.

 

NOTE

1. La Cellula, i NCC e in generale gli altri gruppi militaristi in linea di massima parlano indifferentemente di operai, proletari, masse popolari. Esponendo la loro concezione sono costretto in qualche modo ad adeguarmi a questa mancanza di comprensione della differenza dei compiti e del ruolo della classe operaia, rispetto alle altre classi proletarie e rispetto al resto delle classi delle masse popolari, cioè di adeguarmi alla loro estraneità alla politica di classe.

 

2. La Cellula non dice esplicitamente cosa intende per “lotta politica tra le classi”. Ma tutto il contesto mi porta a ritenere che intenda qualcosa di diverso dalla guerra tra le classi e precisamente che intenda le rivendicazioni che le masse popolari, i proletari e gli operai avanzano al governo e allo Stato della borghesia, cioè, in altre parole, la lotta politica rivendicativa. Se così è, gli attentati compiuti in attesa della guerra, dovrebbero servire a dare più forza alle rivendicazioni.

 

3. La Cellula ha la sfrontatezza di chiedere: se non fa lotta armata, cosa mai fa un partito clandestino? Se per i compagni della Cellula è una domanda seria, consiglio di cercare la risposta studiando l’esperienza del primo partito comunista italiano durante il fascismo o, meglio, l’esperienza di Lenin e del suo partito, che clandestino lo era dal 1906 per sua scelta, anche prima di condurre una lotta armata e indipendentemente da essa. Quanto a Lenin, egli difese con le unghie e con i denti dai liquidatori il carattere clandestino del partito, pur non concependo ancora la rivoluzione come guerra popolare rivoluzionaria. A qualcosa dunque doveva pur servire!

 

4. Bontà loro, i revisionisti dicevano che impugnare le armi sarebbe però stato possibile in caso di guerra o nel caso si fosse instaurato un regime fascista. Ma proprio loro durante la Resistenza avevano sostenuto che la classe operaia e il suo partito comunista dovevano accettare (momentaneamente, per carità!) la direzione della borghesia. E proprio i loro colleghi e amici, Carrillo e compagni, in Spagna proprio in quegli anni ‘50 e ‘60 disarmavano e condannavano all’estinzione i focolai di guerriglia che ancora sopravvivevano dal tempo della guerra civile (1936-1939).

 

5. Nel suo invito la Cellula fa vari ragionamenti che il buon senso e la scienza rifiutano. Ne cito due come esempio.

Di fronte ad un sistema che si muove con criteri di guerra di classe, con criteri distruttivi, di repressione sistematica e preventiva [di chi? per ora dei rivoluzionari: non bisogna essere unilaterali, ndr], non si può che opporre una progetto e una prassi incentrati, costruiti attorno all’uso della forza”. Come dottrina militare o politica, non vale nulla. La borghesia combatte a suo modo, noi combattiamo a nostro modo: solo così possiamo vincere. È dottrina corrente del movimento comunista e Mao Tse-tung lo pone come un principio della dottrina militare marxista.

Cosa intendiamo, esattamente, per unità del politico-militare? Vuol dire assumere il fatto che la lotta di classe è per definizione violenta [una cosa quindi che si dà “per definizione”, cioè da quando esiste la lotta di classe, cioè da alcune migliaia di anni, ndr], il nesso tra le classi essendo un nesso di sfruttamento e di oppressione, sancito dalle istituzioni dello Stato che è sempre [esattamente, “sempre”, quindi da quando esiste lo Stato, cioè da migliaia di anni, ndr] la macchina per l’esercizio di questa violenza di classe”. Cioè voi avete solo ribadito una vecchia e attuale verità del marxismo, enunciata da Marx ed Engels 150 anni fa e relativa a tutta un’epoca storica. Una verità di cui è giusto ribadire la validità perché i revisionisti (quelli moderni ma anche i primi revisionisti) e in generale la cultura borghese la negano. Ma come potete fondare su questa tesi, valida da alcune migliaia di anni, proclamata 150 anni fa, su cui si sono fondati tutti i partiti comunisti a partire dalla Lega dei comunisti del 1847, la necessità della “unità del politico-militare” come fondamento del “partito comunista moderno”, come “modo di far politica del Partito comunista oggi”? E presentare ciò come una grande scoperta degli anni ‘70?

Sarebbe utile anche che la Cellula provasse a definire il modo in cui essa tiene conto delle differenze tra le condizioni obiettive degli anni ‘70 e quelle attuali e in che modo esse incidono sulla linea che essa segue e propone.

 

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Il bordighismo, una vecchia piaga del movimento comunista italiano

 

Nei prossimi mesi le condizioni generali della società italiana porteranno tra i lavoratori delle medie e grandi aziende, capitaliste e pubbliche, a un rinnovato accendersi di lotte rivendicative, di proteste e di agitazioni. I lavoratori avanzati dovranno svolgere un ruolo importante di mobilitazione, di orientamento e di direzione. Anche per il buon andamento di questo lavoro è indispensabile legare i lavoratori avanzati alla ricostruzione del partito comunista. Solo unendosi tra loro e con il movimento comunista nazionale e internazionale, essi potranno attingere le risorse necessarie per svolgere con successo il loro ruolo tra i loro compagni di lavoro. Ciò d’altra parte costituisce una grande occasione per fecondare con il loro apporto il nostro lavoro per ricostruire un vero partito comunista.

Bisogna quindi svolgere tra i lavoratori avanzati una vasta, multiforme e paziente propaganda della ricostruzione del partito, continuando la campagna iniziata durante le elezioni con il Fronte Popolare per la ricostruzione del partito comunista. Bisogna combattere la tendenza a isolare i lavoratori avanzati in coordinamenti, assemblee, associazioni che si occupano solo dei problemi rivendicativi dei loro compagni di lavoro. Si tratta di una vecchia malattia che nel movimento comunista italiano è stata esaltata e potenziata dal bordighismo.

Nei suoi momenti di maggior successo nel bordighismo sono vissute due anime.

Da una parte una teoria e un corpo di dottrinari che dovrebbero assicurare la direzione comunista della rivoluzione quando scoppierà. Ma la futura rivoluzione in essi esiste nel presente solo come assimilazione della dottrina del marxismo e studio dello sviluppo del capitalismo: quindi attendismo, mancanza di iniziativa politica, estraneità agli avvenimenti politici, concezione idealista del marxismo ridotto a un corpo dottrine anziché essere usato come concezione del mondo (imparare dalle masse) e guida nella lotta di classe quale essa è concretamente di fase in fase, indifferenza per i concreti passaggi della vita politica in cui le masse sono coinvolte, incoraggiamento agli operai a isolarsi dalle altri classi, indifferenza per la propaganda e per la raccolta ed elaborazione delle idee e dei sentimenti delle masse (linea di massa), non costruzione di quei legami che soli consentono al partito di dirigere le masse. Per i bordighisti il partito non è l’avanguardia organizzata della classe operaia, interno alla classe operaia, ma l’aggregazione di quelli che condividono la teoria. Per noi comunisti invece la conquista del potere è la conclusione di un processo nel corso del quale il partito, cioè l’avanguardia organizzata della classe operaia, cioè la “classe operaia che lotta per il potere” strappa alla borghesia imperialista la direzione della classe operaia e delle altre classi del proletariato e delle masse popolari e le conduce a lottare contro la borghesia imperialista.

Dall’altra parte lotte rivendicative, corporative, della sola classe operaia per sé, indifferente se non ostile alle altre classi del proletariato e delle masse popolari, controparte del padrone nel rapporto di lavoro salariato, nel cui orizzonte restano chiusi i suoi interessi e le sue concezioni. Il quadro bordighista (anche quello bordighista di fatto e non per affiliazione) si lega agli operai solo personalmente, come sindacalista, come promotore e sostenitore della loro lotta rivendicativa e spera così di trascinare con sé gli operai nella sua futura lotta di cui è in attesa.

Le due anime del bordighismo sono sempre in lotta tra loro e quando i rapporti si tendono le due anime si separano e allora abbiamo da una parte un corpo di dottrinari (es. attuale: Lotta comunista) e dall’altra gruppi di economicisti (es. attuale: Inchiesta Operaia di TO). Ciò che caratterizza e distingue questi economicisti è che, anche se si dichiarano comunisti, non propagandano tra gli operai il comunismo e la ricostruzione del partito comunista, come se questa impresa potesse compiersi senza la partecipazione di larghe masse di lavoratori, anche se solo una parte d’avanguardia arriva a farne parte; come se la lotta contro il capitalista potesse svilupparsi su larga scala e con continuità senza coscienza e organizzazione comuniste.

Rosa  L.

 

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Dalle Tesi di Lione - il bordighismo

 

(3° congresso del Partito comunista d’Italia, sezione dell’Internazionale Comunista, gennaio 1926)

 

27. Legato con le origini del partito e con la situazione generale del paese è parimenti il pericolo di deviazione di sinistra dalla ideologia marxista e leninista. Esso è rappresentato dalla tendenza estremista che fa capo al compagno Bordiga. Questa tendenza si formò nella particolare situazione di disgregazione e incapacità programmatica, organizzativa, strategica e tattica in cui si trovò il Partito socialista italiano dalla fine della guerra al congresso di Livorno. La sua origine e la sua forma sono inoltre in relazione col fatto che, essendo la classe operaia una minoranza nella popolazione lavoratrice italiana, è continuo il pericolo che il suo partito sia corrotto da infiltrazioni di altre classi, in particolare della piccola borghesia. A questa condizione della classe operaia e alla situazione del Partito socialista italiano la tendenza di estrema sinistra reagì con una particolare ideologia, cioè con una concezione della natura del partito, della sua funzione e della sua tattica che è in contrasto con quella del marxismo e del leninismo:

a) dall'estrema sinistra il partito viene definito, trascurando o sottovalutando il suo contenuto sociale, come un "organo" della classe operaia, che si costituisce per sintesi di elementi eterogenei. Il partito deve invece essere definito mettendo in rilievo anzitutto il fatto che esso è una "parte" della classe operaia. L'errore nella definizione del partito porta a impostare in modo errato i problemi organizzativi e i problemi di tattica;

b) per l’estrema sinistra la funzione del partito non è quella di guidare in ogni momento la classe sforzandosi di restare in contatto con essa attraverso qualsiasi mutamento di situazione oggettiva, ma di elaborare dei quadri preparati a guidare la massa quando lo svolgimento delle situazioni l'avrà portata al partito, facendole accettare le posizioni programmatiche e di principio da esso fissate;

c) per quanto riguarda la tattica, l'estrema sinistra sostiene che essa non deve venire determinata in relazione con le situazioni oggettive e con la posizione delle masse in modo che essa aderisca sempre alla realtà e fornisca un continuo contatto con gli strati più vasti della popolazione lavoratrice, ma deve essere determinata in base a preoccupazioni formalistiche. È propria dell'estremismo la concezione che le deviazioni dai principi della politica comunista non vengono evitate con la costruzione di partiti "bolscevichi" i quali siano capaci di compiere, senza deviare, ogni azione politica che è richiesta per la mobilitazione delle masse e per la vittoria della rivoluzione, ma possono essere evitate soltanto col porre alla tattica limiti rigidi e formali di carattere esteriore (nel campo organizzativo: "adesione individuale", cioè rifiuto delle "fusioni", le quali possono invece essere, in condizioni determinate, efficacissimo mezzo di estensione della influenza del partito; nel campo politico: travisamento dei termini del problema della conquista della maggioranza, fronte unico sindacale e non politico, nessuna diversità nel modo di lotta contro la democrazia a seconda del grado di adesione delle masse a formazioni democratiche controrivoluzionarie e della imminenza e gravità di un pericolo reazionario, rifiuto della parola d'ordine del governo operaio e contadino). All'esame delle situazioni dei movimenti di massa si ricorre quindi solo per il controllo della linea dedotta in base a preoccupazioni formalistiche e settarie: viene perciò sempre a mancare, nella determinazione della politica del partito, l'elemento particolare; l’unità e completezza di visione che è propria del nostro metodo di indagine politica (dialettica) è spezzata, l'attività del partito e le sue parole d'ordine perdono efficacia e valore rimanendo attività e parole di semplice propaganda.

È inevitabile, come conseguenza di queste posizioni, la passività politica del partito. Di essa 1'"astensionismo" fu nel passato un aspetto. Ciò permette di avvicinare l'estremismo di sinistra al massimalismo e alle deviazioni di destra. Esso è inoltre, come le tendenze di destra, espressione di uno scetticismo sulla possibilità che la massa operaia organizzi dal suo seno un partito di classe il quale sia capace di guidare la grande massa sforzandosi di tenerla in ogni momento collegata a sé.

La lotta ideologica contro l'estremismo di sinistra deve essere condotta contrapponendogli la concezione marxista e leninista del partito del proletariato come partito di massa e dimostrando la necessità che esso adatti la sua tattica alle situazioni per poterle modificare, per non perdere il contatto con le masse e per acquistare sempre nuove zone d'influenza. (...)

(Da Il congresso di Lione, Domenico Savio editore, a cura di A. Serafini)

 

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