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del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXVI - marzo 2024

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Smantellamento dell’apparato produttivo

Stellantis: bando alle illusioni e agli imbrogli

La decisione del gruppo Arcelor-Mittal di non investire più nello stabilimento dell’ex Ilva di Taranto, che il ministro delle “Imprese e del Made in Italy” Urso fa passare come decisione del governo di “estromettere” le multinazionali non interessate a investire in Italia, è la dimostrazione del fatto che i padroni non hanno intenzione di continuare a produrre in Italia tranne che alle proprie condizioni: produrre senza vincoli rispetto alla tutela ambientale e dei lavoratori, proprio come li si è visti fare il 16 febbraio nel cantiere Esselunga di Firenze. In sostanza o i governi di turno (di centro-sinistra o di centro-destra che siano) smantellano ciò che resta delle conquiste che i lavoratori avevano strappato fino agli ultimi anni ‘70 quando il movimento comunista era forte, oppure i padroni vanno a investire in quei paesi che di fatto, per una ragione o l’altra, garantiscono loro lauti finanziamenti, un costo del lavoro minore e meno misure a tutela dei lavoratori, della popolazione e dell’ambiente. È il ricatto con cui sbattono sul lastrico decine di migliaia di lavoratori. Il governo Meloni cerca di cavarsela con qualche cassa integrazione e promessa di salvaguardare i posti di lavoro e sempre più si distingue per la repressione.

Identico ricatto è quello portato avanti da Stellantis per quanto riguarda lo stabilimento di Mirafiori: dopo aver approfittato di cassa integrazione, eco-incentivi e sgravi fiscali per decenni, conviene produrre in Serbia, Polonia e altri paesi dell’Africa, del Sud America o dell’Asia in cui i diritti dei lavoratori e i vincoli di sicurezza del lavoro e dell’ambiente hanno maglie più larghe, con buona pace dei 12.000 operai di Torino. Le linee che vanno per la maggiore nei principali sindacati degli stabilimenti ex FIAT sono 1. chiedere a Stellantis di portare negli stabilimenti italiani modelli di vetture con un’alta richiesta di mercato (è la linea di UILM, FIM, FISMIC, i sindacati già complici di Marchionne e del suo piano Fabbrica Italia), 2. chiedere al governo di prendere iniziative per far subentrare una nuova multinazionale (è la linea promossa dalla FIOM e con particolare lena dalla segreteria regionale piemontese). La seconda linea trova seguito anche tra quanti nei sindacati complici si rendono conto che è scaduto il tempo per elemosinare modelli a un gruppo industriale che lavora a piè sospinto per levare le tende dall’Italia. Trova sponda nel governo Meloni che non a caso ha ricevuto in più occasioni Elon Musk, padrone di Tesla, che di recente ha iniziato a impiantare stabilimenti in Europa. Raccoglie le simpatie degli operai in cerca di soluzioni per la salvaguardia del proprio lavoro, in quanto apparentemente capace di dare una risposta immediata.

Tuttavia anche quella che sembra l’ipotesi più credibile e di buon senso per la salvaguardia degli stabilimenti ex FIAT è sconfessata dai fatti, come insegnano i tanti casi di subentro di un nuovo gruppo multinazionale, di cui le vicende dell’ex Ilva e dell’ex Alitalia sono emblematiche. Per prendere in mano quel che resta di Alitalia, il gruppo tedesco Lufthansa pone come condizione che lo Stato italiano gliela consegni con molte migliaia di dipendenti in meno, con una condizione contrattuale più favorevole alla parte padronale e in condizioni di salute economica (ripulita dai debiti): cioè lo smantellamento di Alitalia, l’eliminazione di una compagnia concorrente e l’appropriazione delle sue risorse (infrastrutture, flotta, rete internazionale, ecc.). Non sarebbero diverse le pretese di un Elon Musk o di qualunque altro capitalista a capo degli attuali monopoli dell’auto alternativi a Stellantis. Che il subentro di nuovi produttori si realizzi o meno, esso non porrà fine al processo di smantellamento dell’industria italiana dei veicoli a motore fintanto che il governo del paese sarà in mano al sistema politico che dà mano libera alle multinazionali italiane ed estere.

Finché i capitalisti dettano legge, la liquidazione della produzione industriale nel nostro paese proseguirà, dosata con l’eliminazione delle conquiste strappate in passato. Quali che siano le motivazioni che caso per caso i capitalisti, le loro autorità e i sindacati complici adducono, questa è la fonte comune di ogni chiusura, delocalizzazione, riduzione di aziende che producono beni e servizi. E qui sta anche la fonte del malandare generale della nostra società: dalla disoccupazione all’inquinamento, dalla miseria all’ignoranza fino alla distruzione della Terra su cui viviamo. L’Italia è uno dei paesi in cui, quando il movimento comunista nel mondo era forte (1917-1976), i lavoratori hanno strappato ai padroni maggiori diritti e conquiste: quanto resta di questi diritti e conquiste basta a rendere l’Italia un paese poco appetibile per i capitalisti industriali e invece appetibile per speculazioni finanziarie e immobiliari, per la gestione su concessione di beni e servizi pubblici, per grandi opere inutili se non anche dannose, per il turismo mordi e fuggi.

Anche la lotta contro lo smantellamento dell’apparato produttivo di beni e servizi pone sempre più apertamente il problema del governo del paese e della gestione secondo un piano d’insieme di tutta l’attività economica del paese.

Ciro L.