La Voce 75 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXV - novembre 2023

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Sul Partito Comunista Cinese e la Repubblica Popolare Cinese

Presentazione di La Lunga Marcia del Partito Comunista Cinese - Storia del PCC a 100 anni dalla sua fondazione

Questo libro è la storia che il Comitato editoriale (da qui in avanti indicato con la sigla CE) incaricato dalla direzione del PCC ha pubblicato in cinese e in inglese nel 2021 alla vigilia del XX Congresso del partito (2022).(1) Nel maggio 2023 MarxVentuno Editore lo ha pubblicato in italiano in collaborazione con l’editore cinese. Chi avrà la determinazione e la pazienza necessarie per leggere le quasi 550 pagine di testo nonostante il linguaggio prolisso e lo stile ripetitivo del CE e la scadente traduzione italiana, avrà un quadro


1. In proposito vedasi l’articolo Il 20° Congresso del Partito Comunista Cinese e le lezioni che i comunisti italiani ne devono trarre in VO 72 (novembre 2022).


1. del bilancio che l’attuale direzione del PCC, saldamente guidata da Xi Jinping a partire dal XVIII Congresso del partito (2012), fa del percorso che il popolo cinese ha compiuto da quando il PCC ha assunto il compito di mobilitarlo e guidarlo a mettere fine allo stato semicoloniale che a partire dalla prima Guerra dell’Oppio (1840) le potenze capitaliste europee e gli USA hanno imposto all’Impero feudale cinese;

2. del percorso lungo cui con autorevolezza e forza il PCC sta guidando la Repubblica Popolare Cinese (RPC) nelle riforme del regime interno e nelle sue relazioni internazionali.

Inutile invece cercare nel libro

- un bilancio del movimento comunista cosciente e organizzato (MCCO) internazionale fondato da Marx ed Engels a partire dalla società borghese giunta a maturazione in Europa e negli USA,

- un bilancio della prima ondata mondiale (1917-1976 [data della morte di Mao e della fine della Rivoluzione Culturale Proletaria in Cina]) della rivoluzione proletaria,(2)

- un bilancio dell’epoca di nera reazione succeduta all’esaurimento della prima ondata a causa dei limiti e degli errori dell’ala sinistra dei comunisti dei paesi imperialisti che così persero la direzione del proletariato,

- un’analisi del catastrofico corso delle cose che i paesi imperialisti ancora oggi, sebbene con crescente difficoltà, impongono nel mondo, caratterizzato dalla seconda crisi generale del capitalismo e dalla lenta rinascita del MCCO nei paesi imperialisti.


2. In proposito vedasi il capitolo I La lotta di classe durante i primi 160 anni del movimento comunista e le condizioni attuali del Manifesto Programma del (nuovo)PCI, pagg. 5-105.


Sostanzialmente in La Lunga Marcia del PCC il CE non dice nulla su questi temi,(3) familiari ai lettori di La Voce e delle altre pubblicazioni della Carovana del (n)PCI. Ma l’azione nel mondo del PCC, il sistema sociale della RPC che è alla base della sua attività internazionale e la concezione del mondo della sua attuale classe dirigente sono di grande interesse pratico anche per noi comunisti italiani: sotto la direzione del PCC la RPC (paese con una popolazione di 1.4 miliardi, circa un terzo dell’umanità) oramai è diventata una grande potenza economica, militare e politica mondiale.


3. Alla rivoluzione sovietica, all’Internazionale Comunista, all’URSS e in generale alla prima ondata della rivoluzione proletaria il CE accenna solo per alcuni puntuali effetti che essa ha avuto sul corso delle cose in Cina. Il nome di Stalin compare una sola volta (pag. 212) in tutto il volume e come un accenno accidentale. Quanto agli altri grandi esponenti del MCCO, Marx e Lenin compaiono nell’espressione marxismo-leninismo a cui il CE si riferisce sistematicamente ma genericamente come concezione del mondo su cui si fondano il PCC e la classe dirigente cinese formata dal PCC; Marx, Engels e Lenin compaiono anche come autori delle rispettive opere che il CE cita tra quelle usate per la formazione dei quadri del PCC; Marx e Lenin sono citati (pag. 202) anche per aver formulato l’ipotesi della possibile “pacifica redenzione dei capitalisti”, ossia del contributo dei capitalisti allo sviluppo delle forze produttive nel socialismo: la via seguita dal PCC nella costruzione del socialismo con caratteristiche cinesi.


È per promuovere la rivoluzione socialista in Italia che il (n)PCI si è costituito nella clandestinità come forza indipendente dai vertici della Repubblica Pontificia e dalla classe dominante da essi capeggiata (non a caso noi non chiamiamo mai “nostro governo” governi come quello di Prodi, delle Larghe Intese o della Meloni, dato che impongono interessi opposti a quelli delle masse popolari), ma questo dobbiamo e possiamo realizzarlo solo nell’ambito della promozione della rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato nel mondo e in particolare nei paesi imperialisti perché, come bene hanno insegnato Marx (Manifesto del 1848 e Grundrisse) e Lenin (L’imperialismo fase suprema del capitalismo), il corso della storia dell’umanità è oramai determinato dalla lotta tra il proletariato e la borghesia imperialista. Quindi la storia descritta dal CE del libro in esame è ricca di insegnamenti anche per noi, a condizione che ci sia chiaro che la storia della Cina di cui il libro tratta è certamente parte di quella storia generale dell’umanità di cui Marx ed Engels hanno elaborato la scienza (la concezione comunista del mondo), ma con la particolarità (che il PCC e il CE riassumono nell’espressione “socialismo con le caratteristiche cinesi”) di essere la storia di un paese che il PCC ha preso in mano quando non era ancora capitalista e quindi la sua popolazione non era composta dalle due classi fondamentali del modo di produzione capitalista (borghesia e proletariato). È determinante per comprendere gli insegnamenti ricavabili dal libro che presento avere chiara questa differenza tra la storia che esso racconta e la storia del nostro e degli altri paesi imperialisti e quindi tra il compito svolto dal PCC e il compito nostro e dei partiti comunisti dei paesi imperialisti: differenza che vari comunisti italiani ammiratori del PCC ignorano. Le classi della società cinese del 1921 in cui il PCC inizia la sua opera sono quelle proprie di una società feudale, in cui i contadini costituiscono la grande maggioranza dei lavoratori visto il basso livello delle forze produttive. I lavoratori addetti alle attività industriali e ai servizi che già in quell’epoca costituivano gran parte dell’attività economica dei paesi imperialisti, in Cina sono diventati parte importante della popolazione nella società già diretta dal PCC, in regime socialista, non in un paese dominato dalla borghesia. Questo ha creato una differenza importante tra l’instaurazione e la costruzione del socialismo con caratteristiche cinesi e la rivoluzione socialista e la costruzione del socialismo che è compito nostro e dei comunisti degli altri paesi imperialisti.

Il CE racconta come, per effetto delle “cannonate sparate nel 1917 in Russia a San Pietroburgo dall’incrociatore Aurora”, alcuni dei nazionalisti cinesi oppositori dei colonizzatori europei e USA della Cina e dei loro succubi feudatari e “signori della guerra” cinesi, nel 1921 fondarono il PCC. Descrive come alla testa del PCC Mao Zedong ha formato la nuova classe dirigente della Cina, ispirandosi (come ben constatano i lettori delle Opere di Mao Tse-tung, edite dalla Casa Editrice Rapporti Sociali) alla scienza fondata da Marx ed Engels, sviluppata da Lenin e messa in pratica dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica e dall’Internazionale Comunista capeggiati da Stalin. Guidato stabilmente dal 1927 al 1976 da Mao Zedong (1893-1976), il PCC ha creato nel corso di una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata le forze armate della RPC (l’Esercito Popolare di Liberazione). Con esse ha condotto quattro guerre successive: la prima assieme agli eserciti del Kuomintang di Chiang Kai-shek contro i signori della guerra (1924-1927), la seconda contro gli eserciti del Kuomintang (1928-1936), la terza contro l’invasione giapponese (che, iniziata con l’Incidente di Mukden del 18 settembre 1931 ed estesasi a tutta la Cina dal 1937, terminò nel 1945), la quarta (1945-1949) contro i gruppi imperialisti USA e i loro agenti cinesi del Kuomintang. Nel corso di esse il PCC ha mobilitato e organizzato i contadini cinesi contro gli agrari, gli operai delle città e la borghesia nazionale cinese (isolando e cacciando la borghesia compradora) e ha costruito con tutti quelli che si organizzavano nella rete di organismi capeggiata dal PCC la classe dirigente della RPC proclamata nel 1949, che arrivò rapidamente a comprendere tutta la Cina continentale (Taiwan restò nelle mani degli agenti dei gruppi imperialisti USA) tranne Hong Kong e Macao.

Il CE afferma che Mao Zedong, ispirato da quello che il CE chiama pensiero di Mao Zedong e noi maoismo,(4) è stato alla testa di quest’opera vittoriosa.(5) Egli fu poi, nei quasi trent’anni successivi, alla testa dei tentativi (appoggiati dall’URSS di Stalin e combattuti dall’URSS di Kruscev e dei suoi successori) di dotare la RPC di forze produttive moderne, condizione indispensabile per completare la liberazione della RPC dai gruppi e Stati imperialisti.


4. Vedasi L’ottava discriminante, prima parte in VO 9 (novembre 2001) e seconda parte in VO 10 (marzo 2002) e Il sesto grande apporto del maoismo, in VO 41 (luglio 2012).


5. La Risoluzione su alcuni problemi della storia del nostro partito (pag. 67-111 del vol. 9 delle Opere di Mao Tse-tung, ERS) adottata il 20 aprile del 1945 dalla VII riunione allargata del VI CC del PCC tratta delle questioni affrontate dal PCC in questo periodo.


In questa seconda parte dell’opera di Mao la RPC ha proceduto alternando, sempre sotto la direzione del PCC, 1. la preminenza della collettivizzazione del lavoro dei contadini e dell’iniziativa pubblica nell’industria e nei servizi (in sostanza la lotta di classe alla maniera sovietica dell’epoca di Stalin) con 2. la preminenza dell’iniziativa individuale e quindi dando largo spazio alla borghesia nazionale e cercando anche il concorso di gruppi capitalisti stranieri.

Questa alternanza sfociò nella Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976) capeggiata dalla Banda dei Quattro (Jiang Qing, Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan e Wang Hongwen), responsabile secondo il CE addirittura di misfatti e perfino di crimini ai quali il PCC mise definitivamente fine subito dopo la morte di Mao.(6)


6. Di questa alternanza tratta la Risoluzione su alcune questioni della storia del nostro partito dalla fondazione della Repubblica Popolare, adottata il 29 giugno 1981 dalla VI riunione allargata del XI CC del PCC.


Il CE afferma chiaramente che è Deng Xiaoping che è stato a capo dell’elaborazione e della messa in opera del sistema sociale che si sviluppa con continuità fino alla RPC attuale. Da convinto nazionalista cinese egli avrebbe stroncato con energia e successo anche il tentativo dei seguaci dei gruppi imperialisti USA di assumere in Cina un ruolo politico, tentativo fatto alla fine degli anni ’80 in sintonia con la dissoluzione dell’URSS gestita da Gorbaciov ed Eltsin complici dei gruppi imperialisti USA. Grazie a Deng Xiaoping la RPC avrebbe trovato il corso da seguire per diventare la grande potenza mondiale che ora è. Egli ha di fatto diretto il PCC e la RPC da quando, subito dopo la morte di Mao, fu liquidata la Banda dei Quattro fino ai primi anni ’90. Opera di Deng sono la preminenza accordata sotto la direzione del PCC allo sviluppo di forze produttive moderne rispetto allo sviluppo della lotta di classe e la linea di riforme pragmatiche (“scoprire la verità dai fatti” fu una delle parole d’ordine promosse da Deng nel PCC e nel resto della società) del regime interno della RPC con ampio spazio dato alla borghesia nazionale e, in generale, all’iniziativa privata in campo economico e all’apertura ai gruppi imperialisti USA e di altri paesi (in particolare giapponesi e sudcoreani). Dall’altra parte questi negli anni ’70 erano ben vogliosi di investire i loro capitali nella RPC dato l’avvio della seconda crisi generale prodotta dalla sovrapproduzione assoluta di capitale (motivazione alla quale il CE però neanche accenna).


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Sul rapporto tra borghesia nazionale e socialismo in Cina

Di seguito la traduzione della Redazione di La Voce di un estratto da A concise history of the Communist Party of China (Seventy years of the CPC), traduzione inglese del 1994 ricavata dall’edizione cinese del 1991, Casa Editrice in Lingue Estere, Pechino, pag. 492.

Quando a un capitalista, noto come “magnate del tessile”, è stato chiesto perché avesse accettato la via socialista, ha risposto: “È vero, sono un capitalista, ma prima di tutto sono un cinese”. Ha spiegato che, come capitalista nazionale cinese, aveva sempre sognato di sviluppare l'industria per portare salvezza e prosperità al suo Paese, ma che nella vecchia società aveva subito continue oppressioni ed estorsioni da parte di imperialisti e capitalisti burocratici.

Nei primi giorni della liberazione nazionale, il governo ha fatto uscire la sua impresa dall’impasse concedendole prestiti, affidandole la lavorazione dei prodotti e acquistando i suoi prodotti, consentendole di aumentare i profitti di anno in anno. Ha proseguito dicendo che “in seguito all’attuazione del Primo Piano Quinquennale, sono state costruite molte grandi fabbriche in tutto il Paese. Diversi luoghi sono stati interessati da costruzioni su larga scala e i risultati sono stati raggiunti più velocemente di quanto avessi sognato fosse possibile. Che situazione incoraggiante! Dove saremmo oggi se non fosse stato per il Partito Comunista e se non avessimo intrapreso la strada del socialismo?”. “Per me [l’abolizione del sistema capitalista] significa perdere ciò che ho personalmente guadagnato con lo sfruttamento. Rispetto all’investimento totale del governo durante il Primo Piano Quinquennale, era troppo insignificante. Quello che abbiamo guadagnato è un Paese socialista potente e prospero in cui tutti vivono una vita confortevole... Materialmente, difatti, non ho perso nulla. Vivo abbastanza bene”.

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Da quello che il CE espone si ricava che Xi Jinping in sintesi ha proseguito e prosegue l’opera di Deng ma innovando.(7) Le innovazioni riguardano tutti i campi: li indico qui di seguito salvaguardando i concetti indicati dal CE ma usando il linguaggio proprio della letteratura del (n)PCI:

- rafforzamento del ruolo dirigente del partito in tutti i campi tramite l’elevazione della riforma intellettuale e morale (RIM) dei suoi membri (8) e la crescita del loro numero (attualmente il PCC conta più di 98 milioni di membri);

- promozione dell’accesso della massa della popolazione alle attività specificamente umane (allargamento della classe dirigente);

- lotta contro la povertà con riduzione delle differenze tra zone urbane e rurali e in generale tra la popolazione nell’accesso all’abitazione, all’istruzione, all’assistenza sanitaria, ai servizi pubblici, ai trasporti e alle comunicazioni digitali, al sistema pensionistico, alla sicurezza del reddito da lavoro, ai beni di consumo;

- modernizzazione delle forze produttive sotto la direzione del partito intervenendo sulla combinazione tra iniziativa pubblica e iniziativa privata, tra preminenza del mercato e pianificazione pubblica nell’allocazione delle risorse;

- rafforzamento delle forze armate tramite la loro divisione in corpi d’armata ognuno con proprie specializzazioni e la modernizzazione dei sistemi d’arma;

- promozione di un sistema di sviluppo ecologicamente sostenibile e risanamento dei guasti già fatti;

- energica promozione del multipolarismo nelle relazioni internazionali, Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative), ampliamento e rafforzamento del ruolo del gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), ecc.


7. Già nel 1991 per il 70° anniversario della sua fondazione, quando era segretario generale del partito Jiang Zemin, il PCC ha pubblicato un libro di circa 800 pagine sulla sua storia (di cui nel 1994 pubblicò la traduzione inglese). È plausibile che la pubblicazione di un nuovo volume di storia nel 2021 miri a far risaltare che la direzione di Xi Jinping comporta apporti innovativi nel corso delle cose impostato da Deng Xiaoping a partire dal 1977 (XI Congresso). A questo mira anche la terza Risoluzione sui principali risultati e sull’esperienza storica del Partito nel corso dell’ultimo secolo, adottata l’11 novembre del 2021 dalla VI riunione allargata del XIX CC del PCC.


8. Il socialismo comporta l’accesso crescente della massa della popolazione alle attività specificamente umane, accesso che contrasta con il ruolo dei capitalisti cinesi e stranieri nell’economia del paese. Oltre a che le attività specificamente umane restino quanto più possibile riservate alla borghesia, come hanno fatto tutte le classi dominanti del passato, il capitalismo per sua specifica natura comporta rapporti antagonisti non solo tra le sue due classi fondamentali (proletariato e borghesia), ma anche tra i singoli membri di ognuna delle due classi: capitalista contro capitalista nella valorizzazione del capitale e proletario contro proletario per il posto di lavoro.


Da qui l’interesse che il libro del CE ha per noi impegnati a promuovere la rivoluzione socialista in Italia, anche stante la crescente attività del PCC nel MCCO internazionale.

Alla luce degli sviluppi che ci sono stati dal 1976 ad oggi, in particolare il ruolo assunto dalla RPC a fronte dalla seconda crisi generale del capitalismo e stante le conoscenze che oggi abbiamo della RPC, ritengo che il (n)PCI deve riformulare la tesi secondo cui la RPC è entrata dal 1976 nella seconda fase dei primi paesi socialisti (Manifesto Programma capitolo 1.7.3. Le fasi attraversate dai primi paesi socialisti), ossia nella fase della “lenta e graduale restaurazione del capitalismo”. La RPC, costituita nel 1949 a seguito della vittoria della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata (GPRdLD) promossa dal PCC, è il frutto dell’opera che il PCC ha portato avanti di unificazione politica delle classi che hanno partecipato alla GPRdLD, di cui la lotta di liberazione nazionale è stata la linea tattica principale. In questa lotta il PCC ha aggregato classi diverse (contadini, operai, borghesia nazionale) contro la borghesia compradora e la borghesia imperialista. Dopo la nascita della RPC, si è venuto via via a creare un regime politico formato da associazioni, strutture, enti, ecc. a cui partecipano le diverse classi sociali cinesi e che è diretta espressione del governo della RPC e del PCC.

A partire dal 1976 e con la sconfitta della Grande Rivoluzione Culturale, la direzione di Deng Xiaoping non ha seguito le orme dei revisionisti moderni affermatisi in URSS nel 1956 (XX Congresso), ma ha posto fine all’alternanza di linee dei trent’anni successivi alla fondazione della RPC. È il socialismo con caratteristiche cinesi.

Ciò mi porta a concludere che 1. chi vuole imparare dalla RPC e dal PCC deve sforzarsi innanzitutto di fare una seria analisi di classe della società italiana che non è la società cinese del 1921-1949; 2. che l’esperienza del PCC conferma alcune delle conclusioni a cui il (n)PCI è giunto (RIM, ruolo del partito, indipendenza del partito dalla classe dominante (clandestinità), ecc.).

Roberto Raimondi