La Voce 75 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXV - novembre 2023

Scaricate il testo in formato PDF - Formato Open Office - Formato Word

Usare la teoria come guida per l’azione

Epoca imperialista e lotta contro lo smantellamento dell’apparato produttivo

La caratteristica basilare dell’epoca imperialista è che la produzione di merci è una parte minoritaria delle attività con cui i capitalisti valorizzano i loro capitali ed è diventata un’appendice del capitale finanziario e speculativo. La borghesia imperialista ha così portato l’umanità in un vicolo cieco: una parte importante e crescente di uomini e donne non è impiegata dai capitalisti a produrre beni e servizi, perché per produrre la quantità dei beni e servizi usata basta una frazione del tempo di lavoro dei proletari (ovvero il tempo di lavoro di una frazione dei proletari); ma allo stesso tempo l’accesso dei proletari ai beni e servizi continua a dipendere per ognuno di loro dal tempo che egli dedica alla produzione di beni e servizi (lavoro salariato). Da qui lo smantellamento dell’apparato produttivo e la condanna di una parte dei proletari all’emarginazione e di un’altra parte al superlavoro. Da qui il moltiplicarsi delle grandi opere inutili e dannose, dei grandi eventi, del turismo usa e getta, la pubblicità e la promozione del consumismo, i beni a obsolescenza programmata, ecc. con tutto quello che ne consegue per gli uomini e l’ambiente.

Solo l’attività cosciente di quella parte delle masse popolari che si organizzano in modo da esserne capaci può rompere questo vicolo cieco con la pianificazione economica e la partecipazione crescente della massa della popolazione alla gestione della vita sociale, alle attività politiche, culturali, sportive e ricreative, cioè instaurando il socialismo. Da qui il ruolo specifico dei comunisti.


Questo ha varie ricadute sul lavoro di massa, sull’azione che i comunisti svolgono qui e ora verso i lavoratori contro lo smantellamento dell’apparato produttivo. Di seguito alcune di esse.

1. Non ci sono posti di lavoro sicuri. Ogni azienda è a rischio chiusura, riduzione, delocalizzazione e privatizzazione, indipendentemente da ciò che produce (beni o servizi), dal mercato per cui produce (nazionale o internazionale), dal tipo di prodotto (nuovo o vecchio). Con iniziative opportune e usando ogni spunto, bisogna incitare e portare i lavoratori a organizzarsi fin da subito, a formare in ogni azienda propri organismi senza aspettare di essere sotto attacco, senza aspettare che inizi la mobilitazione o la vertenza sindacale.

2. La vendita di aziende italiane a multinazionali industriali e a fondi di investimento stranieri e italiani è l’anticamera di chiusure, riduzioni o delocalizzazioni, perché a multinazionali e fondi di investimento le aziende non interessano principalmente per quello che producono ma per accaparrarsi sovvenzioni pubbliche, togliere di mezzo dei concorrenti, speculare sulle variazioni del corso delle azioni, ecc. Bisogna promuovere l’iniziativa dei lavoratori per impedirla.

3. Le lotte per salari, sicurezza sul posto di lavoro, diritti sono strettamente legate alla lotta per impedire lo smantellamento dell’apparato produttivo, bisogna combinarle: se conquistano un aumento di salario ma il padrone chiude l’azienda i lavoratori restano con un cerino in mano.

4. È possibile vincere singole lotte, per i governi e le altre autorità borghesi trovare soldi e altre risorse necessarie a tenere in funzione l’azienda che un capitalista vuole chiudere, trovare un capitalista che subentra a quello che vuole delocalizzare, nazionalizzare un’azienda, allargare le attività di aziende pubbliche o partecipate inglobando i lavoratori di un’azienda in chiusura è solo una questione di volontà politica. Si tratta di fare della lotta contro chiusure e delocalizzazioni un problema di ordine pubblico, cioè di costringere con le buone o con le cattive le autorità a intervenire.

5. La chiusura, riduzione, delocalizzazione di un’azienda non riguarda solo i lavoratori di quell’azienda, ma anche quelle dei lavoratori delle aziende a monte e a valle, delle masse popolari della zona, del paese e in molti casi anche di altri paesi. Bisogna far valere praticamente questo legame, costruendo alleanze su ampia scala.

6. È possibile vincere singole lotte, ma non è possibile rimuovere la causa generale comune a ogni chiusura, riduzione, delocalizzazione lottando in ordine sparso, azienda per azienda: è come stuccare una crepa in un edificio che sta crollando. Ogni singola lotta deve servire a promuovere, suscitare e alimentare un movimento generale di trasformazione del paese, per costituire un governo di emergenza che inquadra in un piano economico nazionale le aziende capitaliste e pubbliche, le cooperative (vecchie e nuove) e altre strutture economiche.


Mobilitare le masse popolari contro lo smantellamento dell’apparato produttivo e gli altri effetti del dominio della borghesia imperialista e combattere tra i comunisti la tendenza a limitarsi a questo! Per quanto siano avanzate e grandi le richieste che i lavoratori fanno ai padroni e le rivendicazioni che avanzano, per quanto siano combattive le lotte rivendicative che conducono, queste restano sempre una cosa qualitativamente diversa dal volersi impadronire del potere, eliminare i padroni, instaurare il socialismo e costruire una società senza padroni e senza più divisione in classi.