La Voce 73 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXV - marzo 2022

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Il corso delle cose e le direttrici della nostra attività nei prossimi mesi

Da Genova a Firenze, da Milano a Crotone, da Cagliari a Niscemi, da Piombino a Portovesme si moltiplicano anche in Italia le manifestazioni dell’insofferenza delle masse popolari per il corso delle cose che i vertici della Repubblica Pontificia (Vaticano, gruppi imperialisti USA-sionisti-UE, clan della criminalità organizzata, associazioni padronali) impongono nel nostro paese e della rottura tra di esse e le classi dominanti.

Anche l’esito delle elezioni regionali del 12 e 13 febbraio 2023 in Lazio e in Lombardia ha confermato che cresce il distacco delle masse popolari dagli esponenti politici dei vertici della Repubblica Pontificia. In particolare ha mostrato che il successo ottenuto da Fratelli d’Italia nelle elezioni politiche dello scorso 25 settembre è aleatorio: era dovuto all’apparente opposizione di FdI al governo pro UE e pro NATO delle Larghe Intese presieduto da Mario Draghi (succeduto nel febbraio 2021 all’esaurimento dei governi Conte - M5S) ed è stato anzi una conferma della crescente opposizione delle masse popolari alle autorità della Repubblica Pontificia.

Il risultato delle primarie del PD del 26 febbraio indica la stessa cosa. L’elezione di Elly Schlein a segretaria non cambia la natura del PD, ma anche se fosse solo o principalmente un’operazione di facciata e non l’affermazione di quella parte di iscritti ed elettori del PD che non ne vogliono più saperne di “turarsi il naso”, il fatto che per cercare di arginare l’emorragia di iscritti e voti il PD deve ricorrere a qualcuno che “dice qualcosa di sinistra”, è indicativo del malcontento e dell’insofferenza delle masse popolari.

Non solo si è allargato il distacco tra masse popolari e classi dominanti, ma nel movimento di resistenza alcuni organismi operai e popolari (il Collettivo di Fabbrica della GKN di Firenze e, a seguire, altri come il Collettivo Autonomo dei Lavoratori del Porto di Genova-CALP, i Comitati contro il rigassificatore di Piombino) sono diventati, a livelli diversi, centri di organizzazione, mobilitazione, orientamento e coordinamento popolare su scala nazionale. È quello che, nella nostra letteratura, indichiamo con “agire da nuove autorità pubbliche”.

 

Il governo Meloni sta facendo (e finché resta in piedi non può che continuare a fare) quello che prima di esso facevano il governo Draghi e quelli delle Larghe Intese, in ogni campo: dalla cessione della sovranità nazionale alla partecipazione alla guerra USA-NATO contro la Federazione Russa, dallo smantellamento dell’apparato produttivo alle opere speculative, dalla “transizione ecologica” fatta a colpi di trivellazioni, di rigassificatori, di gasdotti sottomarini come quello con Israele e di ritorno al nucleare (vedi accordo tra Ansaldo e la francese EDF, in barba al referendum del 1987 e a quello del 2011) alla privatizzazione della sanità, della scuola e degli altri servizi pubblici, dalla persecuzione dei migranti all’eliminazione del reddito di cittadinanza, dal carovita al regolamento di conti tra esponenti del regime spacciato per “lotta alla criminalità organizzata”, dalla censura all’impunità per i ricchi e i loro agenti e servi. A differenza di Draghi & C., si avvale di un’accozzaglia di fascisti che hanno perso il pelo ma non il vizio, di questurini incalliti e cinici, di razzisti in doppio petto, di personaggi selezionati per la provata fede reazionaria; alterna i proclami su diritti, libertà, giustizia in cui è specializzato Sergio Mattarella e in cui si sta impratichendo anche Giorgia Meloni (proclami tanto più altisonanti quanto più hanno le mani grondanti del sangue e della disperazione che seminano tra le masse) alle dichiarazioni sfacciate, ciniche e forcaiole dei Valditara, dei Piantedosi e dei Salvini; fa ricorso su scala più ampia e aperta alla combinazione di manipolazione dell’informazione, delle idee e dei sentimenti, abbrutimento, repressione e guerre.

  Riscrivere la storia e diffondere una versione falsa del corso delle cose, ottundere e abbrutire le menti e i cuori delle masse popolari e combinare questo con la repressione è l’arma con cui la borghesia distoglie le masse popolari dalla rivoluzione socialista. È l’arma principale di cui dispone per prolungare la vita del suo sistema sociale. Certo la borghesia è in grado di “riscrivere la storia” e lo fa su grande scala e senza ritegno, ma non è in grado di fare di più. Nella guerra che il proletariato conduce contro di essa, la borghesia è in grado di vincere alcune battaglie approfittando dei limiti e degli errori dei comunisti che guidano o dovrebbero guidare il proletariato, ma non è in grado di vincere la guerra: non può fare a meno del proletariato e di sfruttarlo. Il ricorso crescente all’arma che combina abbrutimento e repressione è la dimostrazione che la borghesia non ha un futuro di progresso da proporre all’umanità: è la conferma che la permanenza dei suo regime è decadenza intellettuale e morale dell’umanità e distruzione delle condizioni della vita umana sulla Terra e che far avanzare la rivoluzione socialista è possibile, oltre che necessario, perché il genere umani abbia un futuro.

A fronte di questo i comunisti (anche quella parte di loro che per instaurare il socialismo ha già fatto propria la linea del Governo di Blocco Popolare indicata e seguita dal (nuovo)PCI) devono chiedersi cosa fare per accelerare la trasformazione delle masse popolari, che hanno rotto con il regime politico vigente nel nostro paese, in una forza rivoluzionaria che lotta per instaurare il socialismo. E le persone responsabili anche non comuniste (gli esponenti della sinistra sindacale, i sinceri democratici delle amministrazioni locali e della società civile, gli esponenti della sinistra borghese), devono chiedersi cosa fare per spezzare la spirale distruttiva di guerra, miseria e devastazione ambientale in cui le classi dominanti sprofondano il nostro paese e il resto del mondo.

 

Dare un obiettivo politico alla crescente mobilitazione delle masse popolari

Il distacco di larga parte delle masse popolari del nostro paese dalle istituzioni politiche della borghesia imperialista è un ottimo punto di partenza. Molti esponenti e organismi del movimento comunista cosciente e organizzato e anche della sinistra borghese denunciano il catastrofico corso delle cose: anche questa è un’ottima cosa. Ma a fronte di questo dobbiamo non solo promuovere la mobilitazione e l’organizzazione delle masse popolari in proteste e rivendicazioni contro le classi dominanti, elevare il livello della loro resistenza, moltiplicare nelle aziende, nelle scuole e università, nelle zone d’abitazione il numero degli organismi operai e popolari che organizzano la resistenza, sviluppare tra organismi operai e popolari il coordinamento a livello locale e nazionale, estendere il fronte unito di tutti gli organismi e gli individui che promuovono la resistenza delle masse popolari. Dobbiamo anche rafforzare in ognuno di essi l’indirizzo a costituire e imporre un proprio governo d’emergenza, costituito da persone di loro fiducia. La fiducia che sia la borghesia imperialista, che siano i vertici della Repubblica Pontificia a cambiare il corso delle cose è un’illusione che le classi dominanti per prolungare l’esistenza del loro sistema sociale fomentano senza successo tra le masse popolari. Per sua natura la borghesia oramai non può che condurre l’umanità alla guerra, all’abbrutimento delle menti e dei cuori, all’inquinamento della Terra e alla distruzione della vita. Questo perché ogni capitalista deve valorizzare il suo capitale: chi non lo fa viene sostituito da un concorrente. Questa è la fonte, la causa del disastro in cui siamo da quando la società borghese è entrata nell’epoca imperialista.

 Nel nostro paese i capitalisti chiudono le aziende per speculare su terreni e immobili, per delocalizzare dove possono sfruttare di più e con meno vincoli; ottengono prestiti dalle banche per far fallire un’azienda o comprano un’azienda a 1 euro e tengono per mesi senza salario gli operai al solo scopo di piegarli e riuscire a chiuderla, anche se può produrre cose che servono. Le aziende possono essere comprate, spolpate e liquidate da multinazionali estere, usate dai fondi d’investimento per guadagnare sul corso futuro delle azioni o ad altri fini speculativi, acquistate a quattro soldi da capitalisti che le rimettono in funzione solo sulla carta per intascare soldi dallo Stato. I capitalisti si accaparrano soldi pubblici per costruire impianti sciistici in località dove a causa del cambiamento climatico non nevica da anni, ma “non ci sono i soldi” per sistemare gli acquedotti che perdono acqua o far funzionare degnamente gli ospedali pubblici. In mano a gente così il nostro paese va in rovina, perde il suo apparato produttivo, i giovani devono emigrare, la gente si adatta a elemosine e ammortizzatori sociali, il dissesto idrogeologico si aggrava e gli eventi meteorologici estremi e mortali si moltiplicano, la miseria aumenta e la vita diventa più dura e difficile per tutte le masse popolari, immigrate e italiane.

 A ragione i sindacati alternativi e di base (e persino parte di quelli di regime) dicono che ci vuole una politica industriale, un piano di investimenti pubblici, la nazionalizzazione delle aziende strategiche, la transizione ecologica e la tutela dell’ambiente: è un problema generale, non di questa o quella singola azienda. Sono misure di buon senso, ma occorre un governo che le faccia, cioè deciso e in grado di imporsi a capitalisti, multinazionali, fondi di investimento. Che quello di Meloni e soci sia un governo del genere, neanche i sindacati di regime si azzardano a dirlo. Quindi, che fare? Cercare di condizionare l’operato del governo Meloni? Forse ci conta Maurizio Landini che ha invitato Giorgia Meloni a parlare al congresso nazionale della CGIL (“non abbiamo pregiudiziali, facciamo i conti con i governi che ci sono”). Sperare in un nuovo governo del PD a guida Schlein magari con dentro anche il M5S di Conte? È un copione già visto e sperimentato, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Oppure costituire un governo d’emergenza che nazionalizza le aziende lasciate andare in malora dai capitalisti, che crea nuove aziende pubbliche o riconverte e amplia l’attività di quelle esistenti, che inquadra in un piano economico nazionale le aziende capitaliste e pubbliche, le cooperative (vecchie e nuove) e altre strutture economiche? Qual è il collante delle singole battaglie dei diversi settori di lavoratori, dei precari e dei disoccupati? La lotta sul salario anche se non fatta azienda per azienda (lotta rivendicativa sindacale), ma premendo sul governo Meloni (lotta rivendicativa politica)? Oppure inquadrare la lotta per il salario nell’obiettivo generale di costituire un governo composto da persone di loro fiducia che sottopone i capitalisti a una legislazione d’emergenza, che fissa un salario minimo, che lo introduce da subito nelle aziende statali o controllate o partecipate dallo Stato e dagli enti locali, che non manda qualche controllore ogni tanto, ma incarica le RSU o altre organizzazione di lavoratori di segnalare i capitalisti che fanno i furbi? Cos’è di prospettiva e mobilitante per i lavoratori: far fronte una volta qui e una volta là alla multinazionale che “morde e fugge” o costituire un governo che impone a ogni azienda operante in territorio italiano di sottoporre i propri piani industriali a un ministero o a un’apposita agenzia governativa per ottenere il benestare dal punto di vista della qualità dei prodotti, dell’occupazione e dell’impatto ambientale?

 Nell’idea delle persone responsabili non comuniste sarà la soluzione dei problemi o una fase di emergenza (come è stata quella della pandemia) da cui tornare alla normalità. Per noi comunisti, anche se con il Governo di Blocco Popolare iniziamo dai casi in cui l’azienda non funziona o non fornisce i beni e servizi necessari o fornisce beni e servizi non corrispondenti alle esigenze della società oppure nocivi, sarà un salto avanti nella lotta che concluderemo sostituendo le aziende gestite dai capitalisti per aumentare il loro capitale con unità produttive gestite dai lavoratori organizzati che lavorano secondo un piano pubblicamente deciso per produrre tutti e solo i beni e i servizi necessari alla vita dignitosa della popolazione e ai rapporti di solidarietà, di collaborazione e di scambio con gli altri paesi.

 

Portare un numero crescente di organizzazioni operaie e popolari ad agire come nuove autorità pubbliche

Il CdF e gli operai della GKN hanno mostrato concretamente cosa significa.

- Si sono ribellati al licenziamento mettendo in chiaro fin da subito che il loro non era un caso isolato, ma la manifestazione particolare di un problema generale e hanno quindi lanciato, seguito e indicato una linea a tutti i lavoratori: “insorgere” (organizzarsi e non rassegnarsi alle decisioni dei padroni o al meno peggio) e “convergere” (collegarsi, fare rete, coordinarsi su scala più ampia possibile, crescente).

- Su questa base hanno chiamato alla solidarietà con la loro battaglia, hanno fatto della solidarietà lo strumento per coordinare la lotta dei lavoratori contro la chiusura delle aziende con i movimenti studentesco, ambientalista, contro la guerra, con le organizzazioni dei disoccupati, antifasciste, antirazziste, femministe e attraverso gli Insorgiamo tour hanno elevato l’orientamento di ogni movimento e organizzazione: di contro alla “guerra tra poveri” e al “divide et impera”, hanno rafforzato la consapevolezza che il nemico è comune, che l’origine dei tanti e diversi problemi contro cui si battono è una sola, che per farvi fronte devono “diventare nuova classe dirigente”.

- Hanno organizzato manifestazioni nazionali senza l’appoggio e anzi facendo fronte all’ostilità della CGIL.

- Hanno mobilitato e organizzato in comitato ricercatori, ingegneri, economisti e altri tecnici che hanno messo a punto insieme agli operai piani per la reindustrializzazione dello stabilimento.

 - Hanno chiamato direttamente in causa le istituzioni locali e nazionali e gli “amici del popolo” ovunque collocati: in questo modo hanno messo a contribuzione quelli realmente disposti a darsi da fare contro la chiusura della fabbrica, sbugiardato agli occhi delle masse quelli che non fanno seguire alle parole i fatti, quelli interessati solo ai voti, quelli che cercano solo di confondere le acque, calmare gli animi, tirare in lungo e mostrato che la rimessa in funzione della fabbrica è una questione di volontà politica.

- Hanno indetto, tra l’1 e l’11 dicembre 2022 a Firenze, un referendum autogestito per la cui realizzazione si sono mobilitati 900 volontari e a cui hanno votato 17mila persone.

Il loro esempio sta facendo scuola. Il 25 febbraio 10mila persone sono scese in piazza a Genova mobilitate dal CALP con la parola d’ordine “abbassare le armi, alzare i salari”; la manifestazione di Piombino dell’11 marzo, anche se meno partecipata, ha rafforzato il legame tra i comitati locali con quelli mobilitati contro rigassificatori e gasdotti in Emilia Romagna, Marche, Abruzzo e Puglia, creato un terreno favorevole a che la lotta continui anche dopo l’arrivo dagli USA della nave con il gas naturale liquefatto e allargato la contraddizione tra governo Meloni e Comune (anche il sindaco, di Fratelli d’Italia, era in piazza).

 “Portare un numero crescente di organizzazioni operaie e popolari ad agire come nuove autorità pubbliche” significa fare sì che altri organismi operai e popolari assumano, a livello locale e su su fino a quello nazionale, un ruolo analogo a quello del CdF della GKN, del CALP di Genova, dei Comitati contro il rigassificatore di Piombino, un ruolo analogo a quello delle Brigate di solidarietà durante la pandemia e dei comitati NO TAV nella lotta ambientale.

 

Sviluppare la lotta contro il legalitarismo

Il legalitarismo è un freno allo sviluppo del movimento di trasformazione del paese. Non consiste solo nel praticare e predicare l’osservanza delle leggi, nelle resistenze a fare blocchi stradali, occupazioni, espropri proletari, scontri con la polizia, nelle resistenze e difficoltà a non pagare multe, bollette, ecc. e a prendere altre iniziative che violano le leggi borghesi. Consiste anche nell’idea che, benché con alcune storture, siamo in un paese democratico: indicativo a questo proposito il fatto che gli operai della GKN, quando sono arrivati a Cassino per fare un presidio di protesta contro Borgomeo che non avevano pubblicizzato via social e quindi “a sorpresa”, sono rimasti sorpresi che hanno trovato ad attenderli le camionette della polizia. Consiste anche e soprattutto nella fiducia nello Stato della Repubblica Pontificia e nel suo governo come Stato e governo da cui dipende il proprio futuro e che si tratta di influenzare, migliorare e far piegare a sinistra anziché spazzarli via sostituendoli con un proprio Stato e un proprio governo. Nella nostra attività dobbiamo quindi dedicare maggiore attenzione a contrastare la soggezione alle leggi e alle regole dei padroni e delle loro autorità e a educare al criterio che “è legittimo tutto quello che è conforme agli interessi delle masse popolari anche se è vietato dalle leggi dei padroni”, sul piano pratico e sul piano ideologico.

 Nel movimento di resistenza popolare del nostro paese ci sono varie esperienze avanzate: farle conoscere, valorizzarle ed estenderle è un modo per sviluppare la lotta contro il legalitarismo. Il movimento NO TAV, ad esempio, ha insegnato a non accettare il tentativo delle autorità di dividere tra i “buoni pacifici” e “i cattivi violenti”, a resistere alla repressione anche violando arresti domiciliari e fogli di via, a usare la lotta contro la repressione per allargare la solidarietà e alimentare la mobilitazione contro le grandi opere e la devastazione ambientale in altre zone del paese. Ha anche insegnato a lottare per impedire che le autorità adottino misure antipopolari e che, se le autorità le adottano lo stesso, i giochi non sono fatti ma si tratta di boicottarne l’attuazione: su questo è riuscito anche a far prendere posizione in suo favore ad alcuni intellettuali, in particolare fece scalpore la dichiarazione pubblica dello scrittore Erri De Luca. Allo stesso tempo ha mostrato che organizzare il rifiuto del pagamento di multe e sanzioni pecuniarie comminate dai Tribunali è più difficile che violare arresti domiciliari e fogli di via, perché il timore del pignoramento è anche più forte di quello di essere arrestati, e quindi ha usato la raccolta di sottoscrizioni. È lo stesso problema che incontrano le campagne contro il caro-bollette promosse dai coordinamenti Noi Non Paghiamo e Io Non Pago e dall’USB. L’articolo E se mi staccano luce e gas? di VO 72 indica alcuni criteri per farvi fronte: allargare il numero di persone coinvolte nella mobilitazione, usare metodi e strumenti di lotta all’altezza della situazione, adottare una linea d’azione giusta verso le classi non proletarie delle masse popolari. Sono criteri relativi alla mobilitazione contro il carovita, ma valgono anche per la lotta contro il legalitarismo. In più, è necessario distinguere e trattare diversamente la soggezione a leggi, regole e prassi borghesi e il timore della repressione (denunce, multe, arresti, ecc.) e soprattutto le arretratezze dei lavoratori e delle masse popolari organizzate da una parte e dall’altra le posizioni, teorie e linee sbagliate degli attuali capi delle masse popolari (esponenti della sinistra sindacale, sinceri democratici, esponenti della sinistra borghese non anticomunisti) e anche dei partiti, organizzazioni ed esponenti del movimento comunista cosciente e organizzato per come è oggi nel nostro paese.

 1. Per superare le prime facciamo leva principalmente sull’esperienza pratica e il bilancio di essa. Nelle lotte, “non dobbiamo contrapporre le vie di rottura alle vie legali, che sono quelle più accessibili al senso comune, ma 1. guidare i tentativi di percorrere le vie legali per portare all’occorrenza a percorrere le vie di rottura, tenendo presente che senza mobilitazione percorrere le vie legali spesso vuol dire impantanarsi in cavilli a non finire, mentre intanto gli amici degli amici di banchieri, amministratori pubblici, funzionari la fanno da padroni; 2. partire dalle iniziative di rottura percepite come giuste anche nel senso comune” (vedasi, in VO 44, Mobilitare le OO e OP in mille iniziative di base…).

Nella propaganda, la nostra denuncia deve educare all’odio di classe e alla comprensione della realtà, non alla “comprensione per il caso umano”, a sperare nella benevolenza del nemico, alla fiducia nei Tribunali: Alfredo Cospito è condannato all’ergastolo e sottoposto alla tortura del 41 bis non per i reati veri o presunti che ha commesso, ma perché è un oppositore politico, basta vedere l’impunità di cui godono o comunque il trattamento ben diverso riservato ai responsabili delle stragi sul lavoro, delle stragi ferroviarie, ecc.

2. Le posizioni, teorie e linee sbagliate dei secondi sono il tema della lotta ideologica sulla natura del regime vigente nel nostro e negli altri paesi imperialisti. Molti di essi parlano di “post-democrazia”, “democratura”, “democrazie autoritarie”, “democrazie illiberali”, “notte della democrazia” e simili, ma si comportano come se lo Stato vero fosse quello ideale, “democratico”, “di tutto il popolo”, come se il Parlamento e quindi le elezioni decidessero del governo del paese. Il Parlamento non ha mai deciso del governo del nostro paese, anche se la Costituzione del 1948 dice che al Parlamento spetta di decidere. In Italia dal 1947 (fine dei governi del Comitato di Liberazione Nazionale) vige un regime di controrivoluzione preventiva analogo a quello degli altri paesi imperialisti. È il regime che all’inizio dell’epoca imperialista ha preso il posto della democrazia borghese (che invece era il potere politico in mano a istituzioni elette solo dai membri delle classi dirigenti). La particolarità del regime di controrivoluzione preventiva del nostro paese sta nell’esistenza di un governo occulto di ultima istanza (il Vaticano) e del protettorato USA di fatto. Una realtà alla quale chi opera per cambiare il corso delle cose deve porre fine e che quindi deve ben comprendere. Gli intellettuali e gli esponenti politici che trattando del regime politico vigente in Italia trascurano questi fatti e parlano ancora di democrazia borghese, sono fuori strada: o non conoscono abbastanza o cercano di ingannare il loro pubblico.

 

Promuovere l’unità dei comunisti

  Noi comunisti dobbiamo promuovere ed essere alla testa di ogni mobilitazione delle masse popolari, di ogni loro settore, contro il corso delle cose che la borghesia imperialista impone, di ognuna delle rivendicazioni delle masse popolari anche se contrastanti tra loro: l’incompatibilità di misure necessarie al progresso dell’umanità deriva dall’arretratezza del sistema sociale che la borghesia ancora impone. Dobbiamo promuovere ed estendere il fronte unito di tutti gli organismi e gli individui che promuovono la resistenza delle masse popolari. Ma l’unità d’azione contro il nemico non basta, non porta lontano. Bisogna che ci uniamo organizzativamente e anzitutto intellettualmente. Senza teoria rivoluzionaria, il movimento rivoluzionario del proletariato contro la borghesia non si sviluppa. Dobbiamo quindi promuovere l’unità dei comunisti, di tutti quelli che aspirano a instaurare il socialismo: cioè la “dittatura del proletariato”, la gestione pubblica pianificata delle attività economiche, l’accesso della massa della popolazione alle attività specificamente umane e alla gestione della vita sociale. Dobbiamo elevare il livello di ogni organismo e gruppo del movimento comunista cosciente e organizzato: la sua comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta del proletariato e delle masse popolari contro la borghesia. Oggi molti sono demoralizzati perché i comunisti sono divisi. Ma siamo divisi perché abbiamo subito una grande sconfitta, fino all’eliminazione di molte delle conquiste di civiltà e benessere che le masse popolari avevano strappato alla borghesia, allo scioglimento dei grandi partiti comunisti che avevamo costituito anche nei paesi imperialisti e fino alla dissoluzione del primo paese socialista della storia, l’Unione Sovietica di Lenin e di Stalin. Abbiamo subito questa sconfitta non perché la borghesia è forte: basta vedere il corso delle cose che essa impone per capire che non sa che pesci pigliare, che agisce alla cieca. Il governo Meloni sta facendo quello che prima di esso facevano i governi delle Larghe Intese e il governo Draghi. I governi Conte non hanno cambiato il corso delle cose perché non hanno fatto leva sulla mobilitazione delle masse popolari. Abbiamo subito una grande sconfitta a causa dei nostri stessi limiti nella comprensione del corso delle cose. Avevamo guidato la Resistenza vittoriosa al punto che le classi dominanti ci avevano pregato di entrare nel governo e, invece di isolare e cacciare ministri e funzionari irriducibilmente ostili alle masse, abbiamo lasciato che De Gasperi nel 1947 cacciasse dal governo i nostri ministri. Avevamo guidato le masse popolari a compiere imprese che hanno cambiato il corso delle cose, in alcuni dei primi paesi socialisti la nostra impresa continua. Ma nei paesi imperialisti noi comunisti abbiamo lasciato che i Togliatti e peggio ancora i Berlinguer dirigessero i partiti comunisti fino allo scioglimento e nell’URSS che Kruscev e i suoi successori dirigessero il primo paese socialista fino alla sua dissoluzione. La lezione da trarre non è che la borghesia è forte, ma che noi comunisti dobbiamo comprendere più a fondo condizioni, forme e risultati della lotta che promuoviamo, della lotta che avevamo guidato le masse popolari a condurre. Quindi oggi non accontentiamoci di moltiplicare e rafforzare mobilitazioni e proteste. Siamo in grado di creare le condizioni perché gli organismi operai e popolari costituiscano un proprio governo d’emergenza, lo impongano alla borghesia e al clero e, a fronte della reazione della borghesia e del clero alle misure che con esso gli organismi operai e popolari prenderanno, lo difendano fino a instaurare il socialismo.

Ernesto V.