La Voce 72 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIV - novembre 2022

Scaricate il testo in formato PDF - Formato Open Office - Formato Word

Sovranità nazionale e misure d’emergenza

Sovranità nazionale e misure d’emergenza

I gruppi imperialisti USA stanno sempre più coinvolgendo l’Italia come altri paesi europei nelle guerre che essi scatenano nel mondo per mantenere l’egemonia che alla fine della seconda guerra mondiale, nel 1945, hanno instaurato nel sistema imperialista mondiale. Esemplare la guerra a cui hanno dato il via nel 2014 per espandere la NATO all’Ucraina, contro cui quest’anno ha reagito la Federazione Russa con la sua “operazione militare speciale”. In Italia la lotta per il recupero della sovranità nazionale è balzata in primo piano tra gli interessi impellenti delle masse popolari italiane. È incontestabile che il nostro paese con la creazione della NATO nel 1949 è stato ridotto alla condizione di protettorato USA, in aperta violazione della Costituzione della Repubblica del 1948 (vedasi art. 11). È un aspetto della condizione del nostro paese di cui il vecchio PCI, diretto dai revisionisti moderni capeggiati da Togliatti, ha sempre cercato di evitare che se ne parlasse. La stessa Corte Costituzionale ha sempre evitato di affrontare la questione né è mai stata chiamata a farlo. Gli attuali esponenti della sinistra borghese e anche gran parte di quelli delle forze soggettive della rivoluzione socialista (FSRS) hanno a lungo eluso la questione come ancora persistono a eludere la questione del ruolo del Vaticano. Uno degli aspetti positivi della recente campagna elettorale è che la questione della sovranità nazionale ha invece avuto spazio, merito soprattutto della lista Italia Sovrana e Popolare (ISP) e della sua componente Riconquistiamo l’Italia.

A questo proposito pubblichiamo la lettera che ci ha inviato un compagno del P.CARC. Anche se esamina solo un aspetto in cui si traduce nel nostro paese la lotta per la sovranità nazionale (la sottomissione in campo militare agli imperialisti USA), essa afferma la questione essenziale: molte delle misure favorevoli alle masse popolari sembrano facilmente attuabili da ogni governo di buon senso tanto sono appunto di buon senso, ma in realtà nell’epoca che stiamo vivendo da vari decenni solo un governo d’emergenza popolare è in grado di attuarle e questo solo nel contesto della lotta per instaurare il socialismo, di cui la riconquista della sovranità nazionale è una componente.


Cari compagni della redazione,

durante la campagna elettorale il Partito dei CARC ha cercato di promuovere l’unità d’azione tra gruppi e organismi delle liste anti agenda Draghi su questioni dirimenti e urgenti, una delle quali è la lotta contro la partecipazione del nostro paese alla guerra in Ucraina e più in generale la sottomissione del nostro paese agli imperialisti USA-NATO. Molti degli organismi e degli esponenti delle liste “antisistema” si sono espressi su NATO, ingerenze USA e guerra. Alcuni hanno lanciato parole d’ordine giuste e condivisibili come l’uscita dell’Italia dalla NATO, ma senza promuovere mobilitazioni e iniziative di rottura coerenti con quello che affermavano dai palchi nei comizi. Questo vale in particolare per il Partito Comunista di Marco Rizzo aderente alla lista Italia Sovrana e Popolare. Altri, come gli organismi aderenti alla lista Unione Popolare, anche se poco netti nelle parole d’ordine hanno promosso o sono stati presenti nelle principali iniziative di lotta contro la NATO e la guerra che ci sono state durante la campagna elettorale (Ghedi, Camp Darby, Aviano, Bologna, ecc.). Da parte di entrambe le liste, la lotta contro la sottomissione del nostro paese alla NATO e agli imperialisti USA (e più in generale la questione della sovranità nazionale) ha assunto e mantiene tutt’ora un carattere prettamente rivendicativo, che si sostanzia o nel denunciare la sottomissione senza indicare come porvi fine oppure nell’indicare la necessità di uscire dalla NATO ma senza indicare come farlo, quali sono i passaggi intermedi e le iniziative da adottare, chi deve farlo: quale governo. Questa è invece la questione principale e decisiva. Faccio solo due esempi di provvedimenti che come rivendicazioni fatte a un qualsiasi governo di Larghe Intese portano a “pestare l’acqua nel mortaio”, mentre diventano semplici e rapidamente realizzabili con un governo che si è imposto ai vertici della Repubblica Pontificia e agisce su mandato dei centri di organizzazione e mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari. Con un governo che, proprio grazie al fatto che le organizzazioni operaie e popolari costituiscono le sue autorità pubbliche locali e i suoi agenti locali (analogamente a come ora le amministrazioni locali, i prefetti, i questori, ecc. sono le autorità pubbliche locali e gli agenti del governo centrale), ha non solo la volontà politica, ma anche e soprattutto la forza necessaria per attuare provvedimenti semplici e di buon senso contro chi vi si oppone all’interno e per far fronte al boicottaggio, alle pressioni, ai ricatti dall’esterno.

1. Il ritiro dei contingenti italiani all’estero e il rifiuto di finanziare direttamente e indirettamente le missioni di guerra della NATO. Sono due misure su cui convergono quasi tutte le liste anti Larghe Intese ed entrambe sono facilmente realizzabili (addirittura prima ancora di uscire formalmente dalla NATO). Per quanto riguarda l’invio di militari italiani all’estero (ne tratta l’articolo La Repubblica Pontificia e le sue missioni militari all’estero, in VO 70 - marzo 2022), esso si basa esclusivamente su accordi fatti di volta in volta tra i governi italiani che si sono succeduti nei decenni (in particolare negli ultimi 30 anni) e vari paesi NATO impegnati nelle guerre promosse dal complesso militare-industriale-finanziario USA. Non esiste alcun accordo o legge che obbliga l’Italia a parteciparvi, anzi tale partecipazione è in aperta violazione della Costituzione (art. 11) anche se la Corte Costituzionale non se ne è mai occupata né, che io sappia, è stata mai chiamata a occuparsene. La decisione di farlo è puramente politica: dipende dal governo italiano e quindi o dal suo asservimento al governo USA o dalla volontà di gruppi imperialisti italiani di partecipare al banchetto: spartizione di zone di influenza, sfruttamento delle risorse e delle materie prime, ecc. La procedura di ritiro dei contingenti italiani all’estero può essere fatta in tempi brevi, tanto brevi quanto può essere l’emissione di un decreto d’urgenza che richiama in patria i militari all’estero. In quasi ogni caso si tratta di reparti formati a diverse specializzazioni (genio, costruzioni, logistica da campo, ecc.) utili a far fronte ad alcuni problemi urgenti che attanagliano il paese: il dissesto idrogeologico generale e il rifacimento di interi territori, come le zone marchigiane interessate dall’alluvione del 15 settembre; la ricostruzione delle zone terremotate del centro Italia ancora abbandonate a se stesse e in attesa di ricostruzione; per la prevenzione dei futuri e annunciati disastri naturali fatti passare come “imprevedibili disgrazie”. Il ritiro dei militari da quelli che vengono pudicamente definiti “teatri operativi” all’estero non solo toglierebbe forze alle operazioni di guerra della NATO ma ridurrebbe di molto il numero di soldati contaminati da metalli pesanti (uranio impoverito, torio, ecc.) utilizzati negli armamenti, che oggi hanno un contenzioso aperto con il Ministero della Difesa e che ammontano ad oltre 8.000. Di fatto, il ritiro dei militari dalle missioni all’estero sarebbe anche una misura di salute pubblica.

Per quanto riguarda il finanziamento diretto e indiretto dei conflitti in corso, nessun accordo obbliga l’Italia a parteciparvi o a sostenerlo. Esempi di finanziamenti diretti sono sotto gli occhi di tutti: l’invio di armi e denaro pubblico all’Ucraina. Essi passano attraverso decreti legge in alcuni casi solo formalmente discussi in Parlamento. Forme di finanziamento indiretto sono le decine di accordi che le aziende operanti in Italia ancora parzialmente sotto controllo pubblico hanno in corso con paesi belligeranti: ad esempio la produzione di navi militari d’attacco e di difesa per USA, Arabia Saudita e Qatar da parte di Fincantieri; gli accordi tra Leonardo-Finmeccanica e le aziende israeliane (in proposito vedi Sul ruolo dei sionisti in Italia in VO 71 - luglio 2022). Sia nel primo che nel secondo caso, un governo deciso a non sostenere l’escalation militare e non accondiscendente ai padroni dell’industria militare italiana (di cui il neo-ministro Guido Crosetto, fondatore di Fratelli d’Italia, è esplicitamente un rappresentante) può fare leva anche sul controllo pubblico sia pur parziale di queste aziende e quindi sulla nomina dei vertici, l’imposizione di linee guida rispetto alla produzione, la stipula di accordi produttivi con altri paesi.

2. Il divieto di utilizzo a tempo indeterminato dei poligoni NATO sotto amministrazione italiana (è il caso del Poligono Interforze di Salto di Quirra, Capo Teulada e Capo Frasca in Sardegna) anche solo per motivi di sicurezza e salute pubblica. La maggior parte dei poligoni NATO in Italia ha bisogno di essere bonificato dalle tonnellate di metalli pesanti e altre sostanze cancerogene che vi sono all’interno. Queste bonifiche ad oggi non vengono effettuate sistematicamente e laddove lo sono, vengono fatte fare al corpo militare in addestramento che è chiamato a farle alla maniera di come fa qualsiasi clan di camorra nella Terra dei Fuochi: seppellire gli inerti, incendiarli o farli esplodere in fosse da ricoprire con le ruspe, incuranti dell’inquinamento di aria, acqua e terra che queste attività contribuiscono ad alimentare oltre quello fatto già dalle attività di addestramento e dai test militari.

La maggior parte dei poligoni NATO su suolo italiano non sono di proprietà della NATO o di altri paesi (non godono quindi di extraterritorialità) e possono essere oggetto dell’intervento del governo italiano senza passare dal benestare di altri paesi o delle industrie militari italiane e straniere che al loro interno vi sperimentano armi di ogni tipo. Anche la bonifica di queste aree è un problema di salute pubblica.