La Voce 72 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIV - novembre 2022

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

Le elezioni, gli organismi della Carovana del (n)PCI e la Guerra Popolare Rivoluzionaria

Subito dopo che il 21 luglio 2022 la banda Mattarella-Draghi aveva annunciato per conto dei vertici della Repubblica Pontificia la dissoluzione del Parlamento e indetto nuove elezioni per il 25 settembre, il CC del (n)PCI ha illustrato con i Comunicati CC 17 del 22 luglio e 18 del 28 luglio il carattere specifico dell’evento e gli obiettivi che il Partito avrebbe perseguito: coalizzare tutte le forze contrarie alla politiche antipopolari, di guerra, di sottomissione alla NATO e alla UE del governo Draghi e dei partiti delle Larghe Intese.

I vertici della Repubblica Pontificia avevano dissolto in anticipo sui 5 anni previsti dalla legge il Parlamento eletto nel marzo 2018 per farne eleggere uno più prono a registrare e legalizzare senza obiezioni le misure dettate da USA-NATO e da UE-BCE sintetizzate dall’agenda Draghi. Questa agenda era la più aggiornata formulazione concreta del programma comune della borghesia imperialista contro le masse popolari: eliminazione di quello che resta delle conquiste di civiltà e di benessere che le masse hanno strappato alla borghesia a seguito della nascita dell’Unione Sovietica, delle sue vittorie sulle prime tre aggressioni dei gruppi e delle potenze imperialiste e lo sviluppo nel mondo di un forte movimento comunista cosciente e organizzato (MCCO).

La linea del CC per le elezioni si è passo dopo passo sviluppata in una proposta concreta e dettagliata ai capi politici, ai promotori e ai candidati delle 5 liste anti Larghe Intese che nonostante la legge elettorale truffa (il Rosatellum del 2017, la terza legge elettorale truffa dopo il Porcellum del 2005 e il Mattarellum del 1993) che mirava ad escluderle, erano presenti alle elezioni. Questa proposta è dettagliatamente illustrata in ben 8 Comunicati CC, dal n. 19 del 12 agosto al n. 26 del 19 settembre e nell’Avviso ai Naviganti 124 del 12 settembre.

Con la sua proposta il (n)PCI si è rivolto

- ai capi politici, ai promotori e ai candidati, in breve ai portavoce più autorevoli delle 5 liste anti LI;

- ai comunisti (organismi e singoli), compresi quelli della Carovana e ai destinatari dei nostri Comunicati 1. perché premessero sui primi destinatari della proposta ognuno con i mezzi e le relazioni che avevano e 2. per educarli a intervenire praticamente in una campagna elettorale e quindi anche a capire uno dei mille tipi di operazioni con le quali in un paese imperialista come l’Italia facciamo avanzare la rivoluzione socialista.

Per la Carovana era anche un’operazione contro il cordone sanitario e per il (n)PCI era operazione intesa a far avanzare organismi, gruppi ed esponenti del MCCO (vedi bilancio indicato nei Comunicati CC n. 27 del 26 settembre e n. 29 del 25 ottobre).

Non abbiamo raggiuto l’obiettivo principale che ci proponevamo. La nostra campagna ci ha però permesso di illustrare a una vasta parte del pubblico al quale arrivano i Comunicati CC e a quelli raggiunti dall’attività degli organismi e dei membri della Carovana del (n)PCI il reale corso delle cose in un contesto (la campagna elettorale) in cui il loro interesse a capire era più vivo del solito. Allo stesso tempo ha messo in luce i limiti che dobbiamo superare nelle nostre file nella comprensione della natura della Guerra Popolare Rivoluzionaria (GPR) e nel condurla. Anche solo questo risultato ci porta a concludere che abbiamo fatto bene a lanciarla perché i limiti emersi riguardano la capacità delle nostre forze di condurre la GPR, cioè di far avanzare la rivoluzione socialista: ora possiamo lavorare meglio per superarli. Di questi mi occupo in quest’articolo.

Quali sono i limiti qualitativi della nostre forze che la campagna elettorale ha messo in luce?


1. Alcuni compagni della Carovana hanno obiettato che era impossibile che i capi politici, i promotori e i candidati accogliessero la nostra proposta di far confluire i voti su un’unica lista e di fare campagna verso gli astenuti vecchi e potenziali. I risultati elettorali hanno confermato che, se l’avessero applicata, le liste anti LI avrebbero avuto esponenti in Parlamento: quanti ne avrebbero avuti non è possibile dirlo perché dipendeva dai risultati della campagna di mobilitazione degli astenuti vecchi e potenziali che la nostra proposta implicava: oltre 20 milioni di persone su 51 milioni di elettori, in larga misura colpite, disgustate o deluse dal corso delle cose imposto dai padrini di Draghi, dall’inconcludenza del M5S e dalla sempre più chiara sottomissione di Meloni e Salvini ai padrini di Draghi.

La campagna verso gli astenuti vecchi e potenziali era qualcosa che i capi politici, i promotori e i candidati delle liste anti LI non erano in grado di fare? La capacità di mobilitazione che gli attivisti delle liste anti LI hanno dimostrato quando si è trattato di raccogliere a ferragosto le firme necessarie alla presentazione delle liste è lì a dire il contrario.

Per essere attuata la nostra proposta richiedeva che capi politici, promotori e candidati delle liste anti LI, almeno un buon numero di essi, fossero mossi dal sincero proposito di mettere fine alla realizzazione dell’agenda Draghi (o almeno ostacolarla al massimo) più che dall’aspirazione a fare i parlamentari della Repubblica Pontificia e che avessero una discreta comprensione del reale corso delle cose. La nostra proposta ha consentito di misurare sia il loro proposito sia la loro comprensione.

Se era prevedibile o addirittura scontato che i capi politici, i promotori e i candidati delle liste anti agenda Draghi non avrebbero accolto la nostra proposta, che senso aveva lanciarla ugualmente? Quello di porre all’attenzione di capi politici, promotori e candidati delle liste anti LI destinatari della nostra proposta e soprattutto di semplici (in quanto personalmente ancora privi di autorevolezza e prestigio, quindi non in grado oggi di mobilitare altri) lavoratori avanzati e di altri semplici ma avanzati membri delle masse popolari che leggono i nostri Comunicati CC (che sono diffusi ad alcune decine di migliaia di indirizzi), una cosa semplice. “Le masse popolari sono in grado di fare cose che non fanno solo perché chi ha autorità non osa farlo. Noi poniamo cioè alla considerazione degli uni e degli altri che quello che non facciamo, non è che non lo facciamo perché è impossibile farlo. Ci appare impossibile solo perché non osiamo farlo. Acquisito questo, alla disperazione e all’angoscia certamente in alcuni subentrerà l’idea che si può fare, la riflessione sul da farsi, il proposito di fare.

Sarà l’inizio di un cammino. Anche la marcia più lunga incomincia con un passo.

Il nostro appello è quindi rivolto ad autorevoli destinatari che potrebbero già oggi dargli corso se osassero ed è rivolto anche a non ancora autorevoli destinatari che potrebbero decidere di diventarlo con il tempo e il percorso per questo necessari. Ma quanto autorevoli erano all’inizio molti che nella loro zona, nel loro ambiente diedero il via alla Resistenza? Era già autorevole Manolis Glezos quando piantò la bandiera della rivolta in cima all’Acropoli di Atene?”.(1)


1. È il criterio che abbiamo illustrato più in dettaglio nell’Avviso ai Naviganti 16 del 8 aprile 2013, in risposta a un’analoga obiezione all’appello lanciato dal CC del (n)PCI contro il colpo di mano di Napolitano seguito alle elezioni politiche del 2013.



2. Altri compagni hanno sostenuto che il poco tempo a disposizione ha intralciato la nostra campagna elettorale. In effetti la banda Mattarella-Draghi aveva di proposito ristretto il tempo disponibile per la campagna elettorale al massimo compatibile senza un aperto colpo di Stato per il quale i vertici della RP non sono ancora pronti e non vi erano mezzi per costringere la banda ad allungarlo.(2) Questo valeva anche per noi e, oltre a denunciare la violazione dei diritti democratici, dovevamo semplicemente tenerne conto. Cioè la nostra linea doveva essere applicabile in quel tempo massimo e lo era. I membri del Partito che dicono che non l’hanno applicata perché i tempi erano troppo stretti eludono le cause reali della violazione del principio del centralismo democratico costituita dalla non esecuzione franca e leale della linea indicata dal CC nelle condizioni d’emergenza in cui la decisione della banda Mattarella-Draghi costringeva ad agire.


2. L’astensione e le proteste di piazza e di strada non avrebbero impedito che i paladini dell’agenda Draghi e i loro seguaci il 25 settembre votassero: semplicemente il Parlamento sarebbe risultato addirittura più prono a Draghi di quello che ne è uscito.



3. Altri compagni ancora hanno detto che l’indicazione di votare la lista Unione Popolare con de Magistris nuoceva alle relazioni con compagni e organismi in qualche modo legati alle altre liste anti LI. Diamo per scontato che casi di questo genere ci sono stati e che il danno persista. Ma esso dipende dalla nostra capacità di far capire (e dei nostri interlocutori di capire) che in una situazione straordinaria bisogna adottare misure straordinarie e che la lista indicata aveva buone probabilità di essere presente in tutti i collegi elettorali (come di fatto è stato) e quindi consentire l’attuazione integrale della nostra proposta. Questa poneva al centro anche la capacità delle liste anti LI di avere successo tra gli astenuti vecchi e potenziali. Per avere in Parlamento molti eletti anti LI, era indispensabile il successo della campagna contro l’agenda Draghi tra gli astenuti vecchi e potenziali. E fare o meno questa campagna tra gli astenuti non dipendeva dai nostri nemici, i vertici della Repubblica Pontificia, ma da noi, dai capi politici, promotori e candidati della 5 liste e dalla lotta che sapevamo condurre presso gli astenuti vecchi e potenziali: si trattava di fare delle elezioni del 25 settembre non il voto per una lista, ma un referendum contro l’agenda Draghi. Se era grande l’adesione a questo referendum, a elezioni avvenute saremmo stati in grado anche di contestare il significato delle elezioni e imporre nuove elezioni. Con chi delle nostre file non ha dato per questo motivo nella campagna elettorale tutto il contributo che poteva dare, dobbiamo trattare del materialismo dialettico: partire dalle situazioni e dagli obiettivi concreti e non da criteri che astraggono dal reale corso delle cose.


4. Il quarto e più importante limite riscontrato nelle nostre file riguarda la tendenza, a diverse gradazioni, all’astensionismo di principio, in alcuni casi in nome del fatto che “anche i bolscevichi sono stati astensionisti,” e la valutazione del significato dell’astensione dalle elezioni. L’astensione dalla lotta politica promossa dalla borghesia non è di per sé un valore, “non sporcarsi le mani con i borghesi” non porta di per sé alla vittoria contro i borghesi e all’eliminazione del loro potere. I bolscevichi in Russia sono stati astensionisti in due occasioni, ambedue collocate nell’esplosione rivoluzionaria del 1905.(3) Nella prima occasione le elezioni non ci sono proprio state: sarebbero stati eletti solo fautori dello zarismo e la corte zarista ha receduto perché un parlamento di questo tipo non serviva a risolvere la crisi del suo regime. Nella seconda, la corte zarista è riuscita a far eleggere un parlamento semiborghese che ha approvato il governo da essa nominato e Lenin a posteriori riconobbe che i bolscevichi avevano sbagliato a non partecipare.


3. Nell’agosto 1905 la corte zarista aveva annunciato la “Duma di Bulighin” e doveva convocarla non più tardi della prima metà del gennaio 1906. Boicottata dai bolscevichi, non venne alla luce a causa dello sciopero dell’ottobre 1905.

La vicenda è illustrata in Opere complete di Lenin: Il boicottaggio della Duma di Bulighin e l’insurrezione, vol. 9, pp. 163-168, L’unione dello zar con il popolo e del popolo con lo zar, vol. 9, pp. 174-182, Risoluzione del Comitato pietroburghese del POSDR sulla Duma di Stato, vol. 10, pp. 459-460.

La vicenda del boicottaggio della prima Duma (27 aprile-8 luglio 1906) fatto dai bolscevichi è illustrata in Opere complete di Lenin (gran parte del vol. 11 è dedicata alla questione della prima Duma): La dichiarazione del nostro gruppo alla Duma, vol. 11, pp. 25-30, La socialdemocrazia e le elezioni alla Duma, vol. 11, pp. 405-425.

I bolscevichi parteciparono alle elezioni della seconda Duma (20 febbraio-3 giugno 1907). La vicenda è illustrata in Opere complete di Lenin: Rapporto alla conferenza dell’organizzazione di Pietroburgo sulla campagna elettorale e sulla tattica della Duma, vol. 12, pp. 114-118, Progetti di risoluzione per il V Congresso del POSDR, vol. 12, pp.120-129, La tattica del POSDR nella campagna elettorale, vol. 12, pp. 130-135, L’apertura della II Duma, vol. 12 pp. 136-139.


Un conto è boicottare, inondare il paese di azioni radicali, un altro è astenersi e lasciare campo libero agli esponenti politici che attuano il programma comune della borghesia imperialista. Per noi comunisti non si trattava di condannare quelli delle masse popolari che si astengono dal voto, si trattava di mobilitarli e organizzarli a lottare contro l’agenda Draghi e a questo la nostra proposta chiamava le cinque liste anti Larghe Intese: abbandonare ognuna il suo programma particolare di obiettivi radicali a proposito dei quali erano divise e unirsi in azioni radicali nel paese e in un voto anti agenda Draghi.

Gli astenuti vecchi e nuovi non sono il risultato di una campagna di boicottaggio e di azioni radicali, l’astensione non è partecipazione attiva alla lotta contro il regime condotta dalle forze anti Larghe Intese. Nel nostro paese nei vent’anni dal 1975 al 1995 1. i successori di Berlinguer (D’Alema, Occhetto & Co seguiti da Bertinotti) che aveva indicato il rifugio “sotto l’ombrello della NATO”, il “compromesso storico” e “l’eurocomunismo”, hanno attuato le sue indicazioni e sono confluiti con gli esponenti politici (DC e PSI) del protettorato USA instaurato nel 1949 con la NATO dal Vaticano, dalla criminalità organizzata e dalla borghesia imperialista italiana e lo hanno combinato (combinazione per sua natura instabile) con il protettorato UE e BCE; 2. “la ricostruzione del partito comunista con la propaganda armata” promossa dalle Brigate Rosse è deviata nel militarismo e si è estinta sotto la repressione criminale del generale Alberto Dalla Chiesa e dei promotori (Bettino Craxi e seguaci) della dissociazione dalla lotta di classe.(4) Gli astenuti vecchi e nuovi a cui ci rivolgiamo oggi e che chiamiamo alla lotta contro USA-NATO e UE-BCE sono il risultato della resistenza spontanea delle masse popolari a questo corso delle cose.


4. In proposito si vedano Cristoforo Colombo (www.nuovopci.it) e Il proletariato non si è pentito (Edizioni Rapporti Sociali).


Noi oggi portiamo, con scienza, coscienza e pazienza, passo dopo passo la parte organizzata delle masse popolari (che noi chiamiamo “prima gamba”) e i dirigenti della sinistra sindacale, i sinceri democratici della società civile e delle amministrazioni locali e gli esponenti non anticomunisti della sinistra borghese (quelli che chiamiamo “seconda gamba”) che resistono agli effetti della crisi generale del capitalismo, a creare le condizioni e poi costituire un loro governo d’emergenza, il Governo di Blocco Popolare, e a praticare la via della sovranità nazionale e del socialismo. La linea elettorale indicata dal (n)PCI promuoveva questa via nelle circostanze particolari delle elezioni indette il 21 luglio dalla banda Mattarella-Draghi.


La sintesi è che i comunisti imparano a fare la Guerra Popolare Rivoluzionaria solo facendola. La GPR non si fa solo con bombe e fucili: si fa con tutti mezzi, le operazioni e le iniziative che nelle condizioni concrete impediscono al nemico di funzionare e aumentano le nostre forze. La GPR è per eccellenza una guerra ibrida e la prima ondata mondiale della rivoluzione socialista ha mostrato, a chi ha fatto il bilancio della sua esperienza, che è la forma di ogni rivoluzione socialista vittoriosa.

In secondo luogo bisogna che i comunisti imparino a praticare il centralismo democratico: in guerra le indicazioni del comando prima si eseguono (senza di questo, non è possibile vincere alcuna battaglia e neanche tirare il bilancio dei risultati) e poi, appena possibile, il comando mette in discussione a fronte dei risultati le obiezioni e le motivazioni delle indicazioni. È quello che dobbiamo fare ora, tenendo conto della misura in cui organismi e membri del Partito hanno eseguito con lealtà, creatività e spirito d’iniziativa le indicazioni del CC, a fronte del complesso dei risultati ottenuti con la campagna elettorale che abbiamo condotto.

Nicola P.