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del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIV - novembre 2022

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Crimini del capitalismo, note sul passato e sul presente

Presentazione

Pubblichiamo questo articolo di Jorge Cadima, membro del Dipartimento Relazioni Internazionali del Partito Comunista Portoghese (PCP), comparso il 20.10.2022 sul sito della rivista teorica del PCP O Militante (www.omilitante.pcp.pt), poi rilanciato sul sito O Diario.info (www.odiario.info). L’articolo è stato tradotto in italiano dal Centro di Cultura e Documentazione Popolare di Torino (www.resistenze.org), che lo ha incluso nella raccolta Nuove Resistenti 845 del 27.10.2022 e che ringraziamo per l’utile lavoro svolto. In esso Cadima illustra chiaramente alcuni aspetti relativi all’epoca imperialista, cioè l’epoca della rivoluzione socialista e della decadenza della società borghese:

1. il ruolo preminente del movimento comunista cosciente e organizzato nella storia mondiale del XX secolo, con particolare enfasi sulla conduzione delle lotte di liberazione nazionale dei popoli oppressi dell’America, dell’Africa e dell’Asia ispirati alla Rivoluzione d’Ottobre e all’Unione Sovietica;

2. il ruolo nefasto degli imperialisti USA che, giovandosi dei propri alleati europei, hanno condotto guerre ibride (militari, chimico-batteriologiche, diplomatiche, comunicative) contro le masse popolari e i partiti comunisti di alcuni paesi nei quali questi ultimi erano avviati a conquistare il potere;

3. la resistenza antimperialista e la connessa lotta per la sovranità nazionale, la pace e l’autodeterminazione dei popoli manifestatesi in molti paesi.

Ai fini della valorizzazione del testo, preveniamo i lettori che Cadima

- indica l’instaurazione del socialismo come sua convinzione e auspicio, non come risultato dell’analisi scientifica della storia dell’umanità e nulla dice della strategia da adottare per farla finita con il corso delle cose che denuncia;

- non distingue tra l’epoca nella quale con il modo di produzione capitalista la borghesia ha avuto un ruolo progressista nella storia dell’umanità dall’epoca imperialista;

- non inquadra i crimini che la borghesia ha compiuto e compie nell’epoca imperialista nel suo sforzo disperato di impedire il parto che preme, l’instaurazione del socialismo e come espressione ineliminabile delle contraddizioni tra potenze e gruppi imperialisti.

Buona lettura!

La Redazione di La Voce


Avvertenza redazionale: tra le 21 note del testo originale abbiamo omesso quelle inutili per i nostri lettori e riassunto nel corpo del testo o numerato e inserito alla fine del paragrafo di riferimento le altre, alcune di queste ultime con piccoli ritocchi.



La storia del capitalismo, dalla sua fase originaria di accumulazione del capitale fino ai giorni nostri, è una lunga storia di violenze e crimini. C’è un filo conduttore che va dalla tratta degli schiavi su larga scala o dallo sterminio di intere popolazioni (come nelle Americhe), alla minaccia odierna di scatenare un conflitto globale nell’era nucleare. Questo filo conduttore è un sistema basato sullo sfruttamento e sull’oppressione, che divora le vite umane e l’ambiente per generare profitti e ricchezza a beneficio di una piccola minoranza. Conoscere la storia è importante anche per capire la natura delle grandi potenze imperialiste che amano dichiararsi “democratiche” e detentrici di “valori”, ma il cui potere si basa su molti milioni di morti, fiumi di sangue e crimini senza precedenti nella storia del mondo.


L’accumulazione originaria e l’espansione mondiale del capitalismo

Più di 150 anni fa, Marx scrisse sull’accumulazione originaria in Il capitale, libro I, capitolo 24: “La scoperta delle terre aurifere e argentifere in America, lo sterminio e la riduzione in schiavitù della popolazione aborigena seppellita nelle miniere, l’incipiente conquista e il saccheggio delle Indie Orientali,(1) la trasformazione dell’Africa in una riserva di caccia commerciale delle pelli nere, sono i segni che contraddistinguono l’aurora dell’era della produzione capitalista”.

L’accumulazione originaria del capitale era iniziata con l’espropriazione di vaste masse di contadini nei principali paesi europei. Marx scrive: “Così il movimento storico che trasforma i produttori in operai salariati si presenta, da un lato, come loro liberazione dalla servitù e dalla coercizione corporativa; per i nostri storiografi borghesi esiste solo questo lato. Ma dall’altro lato questi affrancati diventano venditori di se stessi soltanto dopo essere stati spogliati di tutti i loro mezzi di produzione e di tutte le garanzie per la loro esistenza offerte dalle antiche istituzioni feudali. La storia di questa espropriazione degli operai è scritta negli annali dell’umanità a tratti di sangue e di fuoco”. Prima all’interno dei paesi più avanzati nel processo di sviluppo capitalista, poi a livello mondiale con il saccheggio da parte di questi di interi popoli e regioni.


1. La denominazione “Indie Orientali” si riferisce alla costa indiana e a Stati insulari quali Indonesia, Malesia e Filippine.


Marx cita il suo contemporaneo inglese William Howitt: “Gli atti di barbarie e le infami atrocità delle razze cosiddette cristiane in ogni regione del mondo e contro ogni popolo che sono riuscite a soggiogare non trovano parallelo in nessun’altra epoca della storia della terra, in nessun’altra razza, per quanto selvaggia e incolta, spietata e spudorata”. E nel futuro c’erano ancora l’espansione coloniale della fase imperialista del capitalismo (transizione XIX-XX secolo) (2); gli orrori delle due guerre mondiali e del nazifascismo; l’olocausto atomico statunitense di due città giapponesi; i massacri anticomunisti e dei movimenti di liberazione nazionale, come quelli perpetrati dagli Stati Uniti in Indonesia nel 1965.


2. Per approfondimenti, rimandiamo allo studio di Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916), Edizioni Rapporti Sociali, 2022, acquistabile su www.carc.it o inviando una mail a edizionirapportisociali@gmail.com.



Rivoluzione d’Ottobre, liberazione nazionale e nazifascismo

L’ascesa del movimento operaio - cioè di coloro che sono stati espropriati dal processo originario di accumulazione - nel corso del XIX secolo è culminata nella Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre in Russia nel 1917. Quella rivoluzione fu anche una rivolta contro uno dei grandi crimini della storia, la Prima guerra mondiale, in cui le potenze imperialiste in lotta per le colonie e il potere sacrificarono le vite di molti milioni di lavoratori.

La Rivoluzione d’Ottobre ha dato un grande impulso alla lotta del movimento operaio. Grandi movimenti sociali e persino rivoluzionari scossero l’Europa alla fine della guerra. La risposta delle classi dirigenti includeva la promozione del fascismo, l’espressione più violenta e barbara del capitalismo, che godeva del più ampio sostegno tra le classi dirigenti della maggior parte dei paesi. Questa posizione filofascista si rese evidente quando la Repubblica spagnola venne abbandonata dalle “democrazie liberali” (con la “politica di non intervento”) di fronte al colpo di Stato militare fascista. La cosiddetta Guerra civile e i massacri del franchismo avrebbero provocato un milione di morti.

L’ascesa del nazifascismo fu accompagnata dal terrore esercitato nei confronti delle organizzazioni del movimento operaio e, in molti paesi (come la Germania o la Spagna), dalla distruzione fisica su larga scala dei suoi membri. Ha portato direttamente alla Seconda guerra mondiale, con le sue decine di milioni di morti e la barbarie dei campi di concentramento nazisti.

La storica vittoria dei bolscevichi sotto la guida di Lenin e la loro politica di sostegno alla liberazione nazionale dei popoli colonizzati hanno avuto un impatto decisivo sul processo storico di liberazione nazionale e sociale dei popoli soggiogati dall’imperialismo e dal colonialismo. Nel corso del XX secolo, furono abbattuti gli imperi coloniali dell’Inghilterra (“l’Impero su cui non tramontava mai il sole”, che colonizzò paesi giganteschi come l’India e gran parte dell’Africa e dell’Asia) e della Francia (soprattutto in Africa e nel Sud-Est asiatico, allora chiamato Indocina), ma anche dell’Olanda (potenza coloniale in Indonesia), del Belgio (la cui colonizzazione del Congo fu uno degli episodi più criminali dell’espansione mondiale del capitalismo) e del Portogallo. L’influenza della Rivoluzione d’Ottobre su questo gigantesco processo di liberazione nazionale è visibile nel ruolo, spesso decisivo, che i partiti comunisti hanno svolto nella lotta anticoloniale e antimperialista.(3)


3. Già nel 1920, nel pieno dell’aggressione imperialista contro la Russia sovietica, i bolscevichi promossero la celebrazione del Congresso dei Popoli Orientali a Baku (Azerbaijan).


È stato così in India, Indonesia, Vietnam, Corea, Iraq, Malesia, Sudan, Sudafrica, Siria e tanti altri. È stato così anche nella gigantesca Cina, dove decenni di dominazione semi-coloniale, segnati dalle Guerre dell’Oppio e dalle “concessioni occidentali”, sono diventati noti come il “secolo dell’umiliazione”. Lo storico britannico John Newsinger scrive in The Blood Never Dried, A People’s History of the British Empire (2013): “L’atteggiamento britannico nei confronti della Cina è stato forse espresso nel modo migliore da Palmerston [Primo ministro inglese nel XIX secolo, nota di Cadima] che si riferiva a come trattare con ‘governi semi-civilizzati come quelli di Cina, Portogallo e America spagnola’. Avevano tutti bisogno di ‘subire una batosta ogni otto o dieci anni per tenerli al loro posto... non devono solo vedere il randello, ma devono sentirlo sulla schiena’”. Circa un secolo e mezzo dopo, Jonah Goldberg, uno degli agenti della politica imperialista degli Stati Uniti, ha ripetuto la stessa tesi con parole quasi identiche in Baghdad delenda est (parte II, pubblicato nel 2022 su National Review): “Una volta ogni dieci anni gli Stati Uniti devono prendere un piccolo paese di merda e sbatterlo contro il muro, solo per dimostrare al mondo che facciamo sul serio”.

Sotto l’influenza decisiva dei comunisti, la liberazione nazionale si è fusa con la liberazione sociale di vaste masse, in particolare di vaste masse di contadini che si sono visti restituire i mezzi di produzione (in particolare la terra), in un processo inverso a quello dell’accumulazione originaria descritto da Marx. Questo è stato il caso della Cina, della Corea e del Vietnam, ma anche di altri paesi in cui la liberazione nazionale non ha assunto la forma di una rivoluzione socialista.

Il processo di liberazione nazionale e sociale ha trovato particolare espressione dopo la Seconda guerra mondiale, con il ruolo decisivo dell’URSS nella sconfitta del nazifascismo e nell’alternativa economica rappresentata dalla creazione di un sistema socialista. Ma presto fu chiaro che questo processo sarebbe stato tutt’altro che pacifico.


La “guerra fredda” come controffensiva imperialista

Il 2 settembre 1945, il grande dirigente nazionale e comunista vietnamita Ho Chi Minh proclamò ad Hanoi l’indipendenza del Vietnam, fino ad allora colonia francese. Il 17 agosto dello stesso anno, il dirigente nazionalista indonesiano Sukarno aveva proclamato l’indipendenza del suo grande paese. La Siria aveva fatto lo stesso annuncio. Ovunque, il desiderio di liberazione nazionale stava sorgendo impetuosamente. Le vecchie potenze coloniali entrarono in azione per cercare di fermare il corso della storia. Nel maggio 1945, pochi giorni dopo la fine della Seconda guerra mondiale in Europa e pochi mesi dopo che la Francia si era liberata dall’occupazione nazista, il governo francese ordinò il bombardamento di Damasco e del suo Parlamento. La libertà non era un concetto che la Francia o l’Inghilterra liberal-borghesi accettavano di estendere ai popoli delle loro colonie, come si sarebbe visto negli anni successivi in molti paesi, dall’Algeria all’Indocina, dal Kenya alla Malesia.

In Indonesia, le truppe britanniche per volere del governo laburista di Attlee sbarcarono nel 1945 per impedire l’indipendenza e restituire la colonia all’Olanda. Secondo il giornalista John Newsinger, “le forze nazionaliste furono disarmate e disperse e gli olandesi furono rimessi al comando. [...] La risposta britannica provocò intensi combattimenti che terminarono solo con l’arrivo dei rinforzi e il riarmo dei giapponesi”. I nemici fascisti del giorno prima erano ora alleati, come era già accaduto in Grecia nel 1944 e sarebbe accaduto su scala mondiale negli anni della cosiddetta “guerra fredda”.

Lo stesso ruolo è stato svolto dalla Gran Bretagna in Vietnam. Appena quattro giorni dopo la proclamazione dell’indipendenza da parte di Ho Chi Minh, le truppe britanniche sbarcarono nel sud del Vietnam, aprendo la strada al ritorno della potenza coloniale francese, che il 23 settembre “prese il potere a Saigon [...] arrestando un gran numero di vietnamiti”. Un generale francese ringraziò gli inglesi per aver “salvato l’Indocina francese”. I ringraziamenti erano prematuri. Nove anni dopo la Francia fu sconfitta dall’esercito popolare vietnamita guidato dai comunisti di Ho Chi Minh e dal leggendario comandante militare Vo Nguyen Giap nella battaglia di Dien Bien Phu (maggio 1954).

Quando è stato impossibile fermare l’ondata di liberazione nazionale, fu applicata la vecchia tecnica imperialista del divide et impera. Prima di lasciare l’India, i colonialisti britannici promossero una divisione tra le comunità indù e musulmane che sfociò in terribili massacri e divise l’ex colonia in due nuovi paesi, l’India e il Pakistan (in seguito tre, con la creazione del Bangladesh). Abile nell’arte della divisione, l’imperialismo inglese ha gettato i semi di molti conflitti che sono ancora presenti oggi, da Cipro alla Palestina.

Il Belgio “democratico” (con la complicità degli Stati Uniti) assassinò l’eroe dell’indipendenza congolese Patrice Lumumba nel 1960 e promosse la sovversione che avrebbe portato al potere il corrotto e sanguinario Mobutu, amico di Mario Soares [socialista, ex primo ministro ed ex presidente portoghese, nota di Nuove Resistenti].

Nonostante i loro sforzi, nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale le vecchie potenze coloniali si sono viste sfuggire il potere dalle mani. Gli Stati Uniti, evitando la guerra sul loro territorio, si sono affermati come il nuovo centro del capitalismo mondiale. Nel dopoguerra erano responsabili di circa la metà della produzione industriale mondiale. Inoltre, avanzavano dal vecchio impero britannico crediti tanto grandi da renderlo subordinato agli USA. Scambiando i vecchi abiti colonialisti con nuove e più sofisticate forme di controllo neocoloniale (già sperimentate in America Latina), gli Stati Uniti hanno presto costruito una vasta rete di relazioni per affermare il loro potere mondiale. La nuova alleanza mondiale anticomunista comprendeva le forze fasciste sconfitte nella Seconda guerra mondiale (in particolare le forze repressive e militari e gli eserciti segreti stile Gladio) e le dittature fasciste come quella di Salazar in Portogallo, cofondatore della NATO. L’obiettivo strategico era quello di contrastare la crescente tendenza dei lavoratori e dei popoli alla liberazione. Tra i suoi bersagli c’erano le forze che avevano guidato la resistenza al nazifascismo.

La Seconda guerra mondiale non era ancora finita che le truppe britanniche intervennero in Grecia, massacrando i dimostranti disarmati ad Atene. La guerra da loro lanciata e continuata dagli Stati Uniti contro il movimento di resistenza antinazista greco, guidato dai comunisti, causò la morte di 150.000 persone. Fu in Grecia che gli Stati Uniti utilizzarono il napalm per la prima volta.(4)


4. Notes on the Greek Civil War, Partito Comunista di Grecia, 2006, reperibile al link www.mltoday.com/notes-on-the-greek-civil-war-1946-1949/ e Contro l’uso menzognero della storia del Partito Comunista Greco (KKE) in La Voce 69 - novembre 2021.


La controffensiva restauratrice imperialista, che alcuni chiamano “guerra fredda”, è stata tutt’altro che “fredda”. Uno dei suoi primi atti fu il lancio delle bombe atomiche sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki (agosto 1945), con l’obiettivo di intimidire le forze del progresso sociale nel dopoguerra. Gli attacchi nucleari hanno causato la morte e la sofferenza atroce di centinaia di migliaia di giapponesi.

Una delle guerre più letali e barbare dell’imperialismo ebbe luogo in Corea (1950-53) nel tentativo di schiacciare le forze patriottiche guidate dai comunisti coreani, che conducevano la lotta contro l’occupante giapponese. In Targeting North Korea Gregory Elich riporta le parole del generale americano Curtis LeMay che si vantò dicendo: “abbiamo raso al suolo quasi tutte le città sia della Corea del Nord che della Corea del Sud”, “abbiamo ucciso più di un milione di civili coreani e ne abbiamo cacciati diversi milioni dalle loro case”. Il professore di storia nordamericano Bruce Cumings in The Korean War (Modern Library Edition, 2010) afferma: “la guerra causò più di 4 milioni di vittime, di cui almeno la metà erano civili”. L’uso di armi biologiche da parte degli Stati Uniti durante questa guerra è stato dimostrato dalla Commissione Scientifica Internazionale che, sotto gli auspici del Consiglio Mondiale della Pace, visitò la Corea e la Cina nel 1952.(5)


5. La Commissione Scientifica Internazionale fu promossa e organizzata nel 1952 dalle autorità della Repubblica Popolare Cinese e della Repubblica Popolare Democratica di Corea. Esse chiesero supporto al movimento democratico e pacifista per approfondire la questione degli attacchi biologico-chimici compiuti dagli USA in entrambi i paesi. La relazione completa è reperibile al link https://medium.com/insurge-intelligence/the-long-suppressed-korean-war-report-on-u-s-use-of-biological-weapons-released-at-last-20d83f5cee54


Dopo la sconfitta a Dien Bien Phu, la Francia fu costretta a firmare un accordo che prevedeva l’indipendenza del Vietnam, con elezioni generali nel 1956. Per impedire lo svolgimento delle elezioni, che sarebbero state sicuramente vinte dalle forze patriottiche guidate da Ho Chi Minh, gli Stati Uniti sostituirono la Francia in un’escalation interventista che portò a un altro grande crimine storico dell’imperialismo. Lo storico britannico John Newsinger scrive: “Praticamente non esiste crimine di guerra che non sia stato commesso dagli Stati Uniti in Vietnam (torture e omicidi di prigionieri, massacro di civili, bombardamenti indiscriminati, guerra chimica, persino esperimenti medici sui prigionieri)”.

L’uso indiscriminato del napalm e di armi chimiche come l’agente arancio che ancora oggi, quasi mezzo secolo dopo la fine della guerra, sono responsabili di numerose malformazioni congenite nei bambini vietnamiti, è uno dei tratti distintivi dell’intervento “democratico” degli Stati Uniti. Il giornalista americano Vincent Bevins traccia il bilancio: “I comunisti vietnamiti alla fine avrebbero vinto contro gli americani, ma a un costo enorme. Tre milioni di vietnamiti sono stati uccisi in quella guerra e due milioni di loro erano civili. Molti altri sono stati uccisi in Cambogia e in Laos. In Indocina, la crociata anticomunista di Washington spazzò via la vita su scala davvero colossale”.

In un interessante libro recentemente tradotto in Portogallo, The Jakarta Method, il giornalista americano Vincent Bevins traccia un quadro della vastità dei massacri e del brutale sterminio di alcuni dei principali partiti comunisti e delle forze rivoluzionarie nel cosiddetto Terzo Mondo. Bevins sottolinea il massacro di “almeno un milione di indonesiani, forse di più, [che] sono stati uccisi come parte della crociata globale anticomunista di Washington” e che ha distrutto (temporaneamente) il terzo partito comunista più grande del mondo (dopo URSS e Cina). Forte del prestigio ottenuto nella lotta per l’indipendenza, il Partito Comunista dell’Indonesia raggiunse 3 milioni di membri e il 17% dei voti espressi nelle elezioni generali (1955). Secondo Bevins, “i servizi segreti britannici conclusero nel 1958 che se si fossero tenute le elezioni, il Partito Comunista sarebbe arrivato primo. Sono stati i militari, la forza più anticomunista del paese, che stavano costruendo un legame sempre più stretto con Washington [...] a forzare la cancellazione delle elezioni previste per il 1959”. Ed è stato l’esercito, sotto la guida di Washington, che nel 1965 ha scatenato uno dei più grandi massacri politici della storia. L’ambasciata degli Stati Uniti redasse “liste con i nomi di migliaia di comunisti e sospetti comunisti e le consegnò all’esercito, in modo che queste persone potessero essere uccise”. La ricetta indonesiana è stata ripetuta, su scala diversa, in numerosi altri paesi contro importanti partiti comunisti o forze rivoluzionarie, come l’Iraq (con Saddam Hussein allora al servizio degli USA), il Sudan, il Brasile, il Guatemala, il Cile, l’Argentina, l’Iran. Ed è stata ripetuta dai militari golpisti indonesiani a Timor Est.

Con sue caratteristiche particolari, il metodo è stato sperimentato anche nei paesi del centro imperialista. I massacri dei dirigenti del movimento per i diritti degli afroamericani negli Stati Uniti (Malcolm X, Martin Luther King, Pantere Nere) - in seguito alle persecuzioni maccartiste contro i comunisti negli Stati Uniti negli anni ‘50 - e la violenta “strategia della tensione” dinamitarda e terroristica che causò centinaia di morti in Italia negli anni ’70-’80 e che mirava a impedire l’affermazione elettorale dei comunisti italiani, sono due esempi.

Il “metodo Jakarta” non mirava solo a distruggere forze rivoluzionarie potenti e influenti, ma anche a distruggere la prospettiva di uno sviluppo economico sovrano, libero dal saccheggio imperialista. Una prospettiva alla quale l’Indonesia indipendente e il suo presidente Sukarno avevano dato un importante impulso, con la Conferenza di Bandung del 1955 e la successiva creazione del Movimento dei Non Allineati.


Dalla “fine della storia” ai giorni nostri

Le contro-rivoluzioni della fine del XX secolo hanno cambiato profondamente i rapporti di forza mondiali. I lavoratori e i popoli sono stati messi sulla difensiva. La nuova realtà ha rivelato ancora più chiaramente l’essenza dell’imperialismo. Il notevole indebolimento del movimento comunista e operaio internazionale non ha portato a una mitigazione delle guerre di aggressione, delle cospirazioni, della sovversione e dell’ingerenza. Al contrario, con la loro superiorità militare quasi egemonica, le potenze imperialiste, con gli Stati Uniti in testa, hanno lanciato un’offensiva per ricolonizzare il pianeta (evitando le responsabilità derivanti dalla dominazione coloniale aperta), ora sotto il nome di “globalizzazione”.

Con le mani libere, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno proseguito con l’espansione della NATO. La guerra contro la Jugoslavia, che ha contrassegnato il 50° anniversario della creazione di questo blocco militare, ha dimostrato che se l’URSS è scomparsa, l’aggressività dell’imperialismo non è scomparsa. È nella sua natura. Seguirono innumerevoli guerre di aggressione in Medio Oriente e nelle aree circostanti (Iraq, Afghanistan, Libia, Libano, Siria, Yemen), che trasformarono la regione del pianeta più ricca di risorse energetiche in un mare di sangue e distruzione, con molte centinaia di migliaia di morti.

Qualsiasi paese che esprime un desiderio di sviluppo sovrano (Venezuela, Nicaragua, Cuba, Bolivia, Honduras, Cina, Russia, Bielorussia, Iran, Corea del Nord, Siria e molti altri) è sottoposto a campagne di sovversione, blocco economico e guerre di aggressione. Anche i governi, come quelli pre-Bolsonaro del Brasile, che hanno sfidato il “consenso di Washington” sono considerati obiettivi da abbattere. Non si accetta la neutralità, ma solo la sottomissione. Il campo di concentramento e di tortura di Guantánamo è ancora oggi in funzione. Israele bombarda impunemente il popolo palestinese, soprattutto nella martoriata Gaza, che è sotto assedio da 15 anni. Il centro imperialista “nomina” i presidenti di altri paesi (Guaidó in Venezuela). Le riserve d’oro e i conti depositati nelle banche dei paesi imperialisti vengono spudoratamente saccheggiati (Venezuela, Afghanistan, Iran, Russia). I leader politici vengono assassinati, anche se sono stati loro servitori (come Saddam Hussein). L’arbitrio è totale e spudorato.

Ma tutto ciò non impedisce la crisi del sistema imperialista, che è evidente nel declino economico degli Stati Uniti e dell’Unione Europea e che si è manifestato chiaramente nel 2007-2008. Un motivo in più per rafforzare le tentazioni di una risposta violenta da parte dei centri imperialisti. La promozione del fascismo, dell’autoritarismo e della censura oggi è, come nel secolo scorso, inseparabile da questa crisi del capitalismo.

Il pericolo di una catastrofe provocata dall’imperialismo è oggi evidente. Una delle espressioni più pericolose dell’aggressione imperialista è la strategia di assedio e di provocazione permanente alla Russia capitalista. Dopo la fine dell’Unione Sovietica socialista essa è stata trattata come un obiettivo da abbattere (date le sue gigantesche ricchezze naturali, ma anche in un atto di “vendetta” storica che l’imperialismo pretende di esemplificare). Questo ha portato alla guerra in Ucraina. Le recenti provocazioni statunitensi nei confronti di Taiwan dimostrano che la stessa strategia di destabilizzazione e di guerra per procura viene perseguita nei confronti della Repubblica Popolare Cinese, la cui crescita economica (in un contesto internazionale ampiamente plasmato dall’imperialismo e dalle sue strutture finanziarie) è uno dei fatti salienti del mondo di oggi ed è vista come una “minaccia” dalle potenze imperialiste che non la controllano.

L’allineamento totale dell’UE a questa offensiva statunitense smentisce la tesi che essa funzionerebbe da “contrappeso” all’imperialismo USA. Nonostante le contraddizioni reali visibili anche nel modo in cui gli Stati Uniti hanno condotto l’UE alla folle politica di sanzioni contro la Russia, che sta distruggendo l’economia della Germania e di altri paesi, questo allineamento si basa sull’interesse comune delle sue classi dirigenti a schiacciare i popoli, sognando un ritorno alla dominazione mondiale del passato. L’UE ama proclamare il suo “modello sociale” (in realtà imposto dalla lotta dei popoli), ma sta lavorando alla sua distruzione e per la ripresa di un modello di capitalismo senza vincoli, sia all’interno che all’esterno.

I meccanismi di dominio non vivono solo di violenza, ma anche di controllo ideologico e di propaganda. Le valanghe di bugie che i media del regime ci propinano quotidianamente ne sono un’espressione. Nel corso della storia, le vittime della dominazione del capitale sono sempre state trasformate in “aggressori” o “barbari” violenti. È stato così con gli indiani del Nord America, quando sono stati sterminati dai colonizzatori europei; con gli africani che sono stati strappati alle loro famiglie per essere resi schiavi all’estero o che hanno resistito alla colonizzazione; con il presunto “pericolo giallo” della Cina; con le migliaia di comunardi fucilati dopo la repressione della Comune di Parigi; con i comunisti. Oggi è così per chiunque resista all’imperialismo. Ma le menzogne e la violenza non fermeranno il corso della storia. E il capitalismo, con il suo corteo di crimini, ingiustizie e sfruttamento, finirà sconfitto dalla lotta dei lavoratori e dei popoli.

Jorge Cadima