La Voce 72 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIV - novembre 2022

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

Contro l’astensionismo di principio

Cari compagni,

con questa lettera mi rivolgo ai compagni della Carovana del (n)PCI e tratto del bilancio del nostro intervento nella campagna per le elezioni politiche del 25 settembre.

In particolare ho voluto trattare un aspetto ideologico che ho avuto modo di toccare direttamente e indirettamente nel lavoro che ho svolto in questi mesi, cioè l’astensionismo di principio che ancora inquina le nostre file.

Spero, con questa lettera, di fornire uno strumento utile ai compagni ai fini del bilancio che ciascuno di loro è chiamato a fare, per imparare e avanzare nel diventare comunisti adeguati ai compiti della fase.

Saluti rivoluzionari. Olga B.


La questione della via che dobbiamo seguire, nell’ambito dell’attuale situazione rivoluzionaria in sviluppo e della seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo, per arrivare a fare dell’Italia un nuovo paese socialista, è una questione della massima importanza. Ogni comunista deve occuparsene seriamente. Occuparsi o no di questa questione è un indizio importante della serietà con cui un compagno che si dichiara comunista lo è effettivamente diventato. Il comunismo cessa di essere in un compagno un’aspirazione più o meno vaga e diventa azione e condotta di vita nella misura in cui ha una visione chiara di come la classe operaia e le masse popolari avanzeranno verso la conquista del potere e di cosa deve quindi fare ogni comunista e i comunisti nel loro insieme (quindi il partito comunista) per svolgere il proprio ruolo di avanguardia e guidare le masse popolari.

Ogni membro del partito riesce ad avere iniziativa, a essere creativo e costruttivo, a non disperdersi in iniziative inutili, a cogliere occasioni e spunti che la situazione concreta presenta e a farli confluire nell’attività del partito, tanto più quanto più chiara e ricca è la comprensione che egli ha non solo dei suoi compiti immediati e diretti, ma anche del percorso generale che il partito sta promuovendo. Quindi la via della rivoluzione socialista non è qualcosa che riguarda il futuro: è qualcosa che orienta tutto il nostro lavoro attuale. La via della rivoluzione socialista non è qualcosa che il partito inventa, ma qualcosa che il partito scopre elaborando l’esperienza passata del movimento comunista nazionale e internazionale e facendo un’attenta analisi del movimento presente e delle sue tendenze. La via della rivoluzione socialista non è un segreto custodito dai capi del partito, anche se il partito è clandestino. Al contrario, permea tutto il programma e le linee d’azione del partito, è il frutto del concorso di tutti i suoi membri, è quanto più possibile patrimonio di tutti i suoi membri, è oggetto della sua propaganda. Infine la via della rivoluzione socialista non è un dogma fissato una volta per tutte, è una guida per l’azione ed è soggetta a verifica: dobbiamo essere pronti a cambiarla se la nostra analisi si rivela sbagliata o se sopravvengono nella realtà avvenimenti che sconvolgono il quadro di riferimento su cui ci eravamo basati per stabilirla.


Con questa premessa affronto il bilancio dell’azione svolta dal Partito nella campagna elettorale del 25 settembre, in particolare il limite ideologico (certo non nuovo) che si è espresso anche nelle nostre file: l’astensionismo di principio. Con astensionismo di principio intendo promozione e propaganda dell’astensione. In circostanze in cui il Partito a ragione ha indicato la partecipazione al voto, è manifestazione di una deviazione ideologica analoga sebbene con manifestazioni opposte all’elettoralismo: cioè alla convinzione che il proletariato può prendere il potere per via elettorale, che le elezioni decidono chi ha il potere.

Tra le nostre file la tendenza dell’astensionismo di principio ha contribuito a ritardare e a rendere meno energica la nostra azione nella campagna elettorale.

In Italia l’astensione dal voto è cresciuta dal 1946 a oggi: in generale è stata una sana forma di resistenza delle masse popolari all’elettoralismo propagandato e imposto dal PCI di Togliatti e dei suoi successori (“via democratica e parlamentare al socialismo” chiamavano dopo il 1956 la loro via alla liquidazione del movimento comunista). Ma l’astensionismo di principio (cioè indipendentemente dalla situazione concreta) è una tara, una deviazione, in noi comunisti dei paesi imperialisti (analoga sebbene contraria all’elettoralismo).

Per un giusto bilancio dobbiamo distinguere tra comunisti e masse popolari. Di principio, i comunisti devono sempre guardarsi dall’accodarsi al senso comune delle masse popolari, anche delle espressioni avanzate di esse.

Alcuni dei nostri compagni hanno mantenuto posizioni astensioniste di principio anche quando formalmente hanno aderito all’indicazione del Partito di intervenire nella campagna elettorale del 25 settembre e hanno esitato di fronte alla lotta ideologica che un intervento del genere inevitabilmente scatenava (sia al nostro interno che all’esterno, nei confronti degli elementi avanzati delle masse popolari, delle altre formazioni comuniste, degli elementi della sinistra borghese con cui abbiamo relazioni, ecc.).

Per superare questo limite dobbiamo guardare all’esperienza, negativa e positiva, del movimento comunista che abbiamo alle nostre spalle. Infatti la matrice di fondo dell’astensionismo di principio di molti dei nostri compagni è il rigetto istintivo che nutrono nei confronti dei revisionisti moderni.

In La Voce 16 la compagna Rosa L., nell’articolo Sul secondo fronte di lotta, scriveva: “I revisionisti moderni hanno propagandato per decenni la ‘via parlamentare al socialismo’. Essi hanno ridotto tutta la politica del partito alla partecipazione alla vita politica borghese, a fare l’ala sinistra dello schieramento politico borghese (…). La partecipazione alla vita politica borghese è diventata così se non la principale comunque una delle principali vie di corruzione e di disgregazione del partito. È quindi più che comprensibile che molti compagni sono diffidenti se non francamente ostili alla partecipazione alla lotta politica della società borghese”. È quindi chiara l’origine storica delle posizioni astensioniste.

Guardando all’esperienza positiva della prima ondata della rivoluzione proletaria e ai suoi insegnamenti, troviamo che il 2 agosto 1920 l’Internazionale Comunista (IC) durante il suo secondo congresso approvò le Tesi sui partiti comunisti e il parlamentarismo. Esse correggono in parte il documento Tesi e risoluzione sulla democrazia borghese e la dittatura del proletariato che l’IC aveva approvato il 4 marzo 1919 durante il suo primo congresso.(1) Entrambi i documenti trattano della linea che i comunisti devono attuare rispetto alla partecipazione o meno ai parlamenti borghesi nella fase imperialista del capitalismo. Il documento del secondo congresso afferma le tesi che Lenin aveva esposto qualche mese prima nell’opuscolo L’estremismo malattia infantile del comunismo (aprile-maggio 1920). In esse l’IC tiene conto che nessun partito comunista europeo (salvo quello russo) aveva preso il potere e a fronte di questo vi si erano sviluppate tendenze estremiste e insurrezionaliste che negavano l’importanza di usare e valorizzare anche forme di lotta legali e parlamentari.


1. I due documenti dell’IC sono riportati in La Terza Internazionale, storia documentaria, Editori Riuniti, vol. 1 (1919-1923) a pag. 31 il primo e a pag. 252 il secondo. L’opuscolo di Lenin è nel vol. 31 di Opere complete, Editori Riuniti.


Venendo all’oggi e ai nostri compiti, è evidente che l’adozione di forme di lotta legali resta obbligatoria anche nel nostro caso, come misura tattica ai fini dell’attuazione del nostro piano strategico: questo perché il regime vigente nel nostro paese (un paese imperialista) è quello della controrivoluzione preventiva (Manifesto Programma 1.3.3), cioè un regime nell’ambito del quale la classe dominante necessita ancora di un’investitura ufficiale, “democratica e popolare”, del proprio potere tramite le elezioni. Inoltre, al netto della crescita dell’astensione, un’ampia parte delle masse popolari del nostro paese pensa di vivere in un paese democratico e che se non riusciamo far valere i nostri interessi la colpa è dell’una o dell’altra parte delle masse popolari stesse.

Gran parte delle masse popolari (che comprende anche un certo numero degli elementi avanzati della classe operaia) è ancora convinta che le istituzioni della Repubblica Pontificia sono espressione della volontà popolare. Noi comunisti dobbiamo dimostrare loro il contrario, utilizzando quelle istituzioni. Nel caso specifico delle elezioni del 25 settembre, il loro utilizzo consisteva per noi comunisti nell’approfittare del fatto che le diverse fazioni della borghesia imperialista lottano in maniera sempre più esasperata tra loro per l’attuazione (senza intralci) del “programma comune della borghesia imperialista” e, ognuno, per i propri interessi particolari: dovevamo alimentare le contraddizioni e gli scontri tra loro, esasperare l’ingovernabilità dall’alto mandando a monte il piano di garantirsi un Parlamento gestibile.

Nel già citato articolo di La Voce 16, Rosa L. spiega bene che nei paesi imperialisti la guerra popolare rivoluzionaria è lo strumento necessario per la conquista del potere e anche che la partecipazione alle elezioni borghesi è uno strumento per far avanzare la guerra popolare rivoluzionaria nell’ambito della sua prima fase (quella in cui siamo attualmente) e cioè la fase della difensiva strategica, la fase connotata da una generale debolezza del movimento comunista cosciente e organizzato, in cui obiettivi del partito sono 1. assicurare la propria esistenza, 2. accumulare forze rivoluzionarie, 3. intervenire nel campo nemico per ostacolare la sua azione portandovi scompiglio.

Entrando nel merito del bilancio della nostra esperienza nella campagna elettorale del 25 settembre, nelle nostre file l’astensionismo di principio ha preso corpo in una serie di posizioni.

- Una prima posizione è il timore di perdere la nostra purezza o comunque di imbrattarci nel pantano della politica borghese. In realtà, la corruzione dei rivoluzionari dipende non dall’ambito in cui operano, ma dalla loro scarsa assimilazione della concezione comunista del mondo e della linea del Partito. Il rischio di corruzione ideologica di un rivoluzionario è presente in ogni contesto in cui opera, anche quando interviene in una lotta rivendicativa. Nella storia la corruzione ideologica si è data anche in chi imbracciava le armi. Questo dimostra che la determinazione rivoluzionaria che resiste alla corruzione non sta nella forma di lotta in cui i comunisti sono impegnati né nel campo di battaglia dove combattono, ma nella concezione e nella linea che hanno assimilato, assimilazione che promuoviamo con la riforma intellettuale e morale.

- Una seconda posizione è quella di considerare l’astensione delle masse popolari unilateralmente e idealisticamente, cioè come a noi piacerebbe che fosse, secondo criteri e idee che sono solo nelle nostre teste, o meglio, nei nostri sogni! In un’iniziativa del Partito dei CARC un compagno affermava che l’astensione delle masse popolari era cosa principalmente positiva: non era da intendersi solo come sfiducia o rigetto della politica borghese, ma principalmente come conquistata comprensione della necessità di cambiare le cose dal basso. Che cosa significhi cambiare le cose dal basso il compagno non lo ha detto, ma è certo che la comprensione di cui parla non implica la comprensione della necessità della rivoluzione socialista e tanto meno la partecipazione alla lotta di classe. E bisogna evitare di fare di un particolare il generale: noi comunisti oggi raccogliamo certo l’esperienza delle masse popolari, ma è una raccolta ancora limitata perché sono ancora poche le nostre forze e gli ambiti a cui arriviamo. Dunque, costruire una sintesi politica e una posizione intorno a una singola esperienza (un astenuto che è anche un attivo promotore della lotta di classe) è, quanto meno, fuorviante!

Un’altra compagna reputava che l’indicazione del Partito sarebbe stata una sorta di promozione tra le masse popolari della fiducia nei confronti della classe dominante e delle sue istituzioni. Fermo restando che il Partito ha illustrato in lungo e in largo gli obiettivi per cui chiamava chi intendeva astenersi ad andare, invece, a votare, anche in questo caso emerge:

1. l’idea che il rifiuto da parte delle masse popolari di partecipare alla politica borghese equivale ad aver compreso l’alternativa storica di fase e a innescare una superiore partecipazione alla lotta di classe in corso;

2. un approccio idealista agli aspetti più sani del senso comune espresso dalle masse popolari. Infatti, il compito di noi comunisti era quello di conquistare i possibili astenuti illustrando: a. l’analisi della fase, b. il significato delle elezioni politiche del 25 settembre per la classe dominante c. i compiti di noi comunisti. Pertanto quelle tendenze astensioniste che in generale manifestano distacco nei confronti delle prassi “democratiche” promosse dalla borghesia e che sono quindi sane, nel caso concreto ostacolavano l’attuazione della nostra linea.

In conclusione impariamo che noi comunisti dobbiamo raggiungere una superiore indipendenza ideologica tanto dalla borghesia imperialista quanto dal senso comune dei nostri referenti, perché la posta in gioco è conquistare la direzione delle masse popolari, conquistare il loro cuore e la loro mente onde dirigere le loro azioni. La borghesia cerca di mantenere le masse popolari soggette: tranquille o mobilitate contro altre masse popolari (mobilitazione reazionaria); noi comunisti invece abbiamo il compito di mobilitarle a emanciparsi dalla borghesia imperialista e instaurare il socialismo, quindi a partecipare alla Guerra Popolare Rivoluzionaria. Condurre una guerra popolare rivoluzionaria e partecipare alla lotta politica della società borghese non sono cose incompatibili, così come non è incompatibile la clandestinità del partito e la sua partecipazione alla lotta politica della società borghese, anzi la clandestinità serve anche a essere presenti ovunque ci serve, conoscere quello che ci occorre conoscere, colpire dove ci serve colpire.

Partecipare alla lotta politica della società borghese fa parte di quella libertà d’azione che il partito comunista conquista proprio perché è clandestino, perché è in condizione di vivere e operare liberamente dalle costrizioni e dalle pressioni della borghesia, perché è partito rivoluzionario.