La Voce 68 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIII - luglio 2021

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Settori produttivi e guerra popolare rivoluzionaria

In questo numero di La Voce pubblichiamo due quadri d’insieme: 1. i lavoratori del settore siderurgia e 2. i lavoratori che il gruppo Agnelli-Elkann ha coinvolto nell’operazione Stellantis. Sono quadri grezzi e lacunosi per alcuni aspetti che chiaramente indichiamo. Lavoreremo a completare e precisare questi quadri d’insieme e chiediamo ai nostri lettori di mandarci critiche e informazioni. Per noi comunisti l’analisi della struttura produttiva e della composizione di classe del nostro paese fa parte della conoscenza del terreno in cui conduciamo la guerra per costruire il potere delle masse popolari organizzate che soppianterà quello dei capitalisti e delle loro autorità. È quello che Lenin e Mao Tse-tung hanno fatto nei rispettivi paesi. È quello che Lenin nella Relazione al IV Congresso dell’IC raccomandava ai comunisti dei paesi d’Europa e dell’America del Nord. È quello che Gramsci indicava che i comunisti italiani dovevano fare perché senza “conoscere l’Italia così com’è realmente”, la sua struttura economico-sociale, essi sono “nella quasi impossibilità di fare previsioni, di orientarsi, di stabilire delle linee d’azione che abbiano una certa probabilità di essere esatte” (Che fare?, lettera di Gramsci pubblicata il 1° novembre 1923 sul giornale della FGCI).

Già così comunque emergono ben chiare alcune cose.

Il campo dei lavoratori che è possibile organizzare, coordinare e mobilitare nella lotta contro chiusure, delocalizzazioni, peggioramento delle condizioni contrattuali, lavorative e salariali è molto ampio. Per coordinarli occorre partire dagli interessi comuni (pratici, oggettivi) dei lavoratori anziché dall’assetto societario delle aziende (che serve ai capitalisti anche per non affrontare la resistenza collettiva degli operai), avere una visione d’insieme della situazione e svolgere un lavoro tenace, paziente e creativo per far fronte allo spezzettamento tra lavoratori in diverse aziende dello stesso gruppo, all’interno dello stesso stabilimento, tra aziende di gruppi e settori diversi ma strettamente collegate tra loro.

In mano ai capitalisti le aziende non servono per produrre quello che è necessario alla popolazione, ma per aumentare il capitale dei loro padroni. Se un’azienda non produce profitti, al padrone non serve, va chiusa; se produce profitti ma lo stesso capitale può produrre profitti maggiori impiegandolo in altri modi, in particolare ora nella speculazione finanziaria, anche in questo caso l’azienda è condannata. E quanto alla sorte degli operai che lavorano nelle aziende destinate a chiudere, al massimo gli amministratori del capitale si preoccupano di non far pesare troppo il futuro dell’azienda sulla vita degli operai (con ammortizzatori sociali, cassaintegrazione, prepensionamento e altre soluzioni analoghe, nel migliore dei casi con posti di lavoro suppletivi) per frenare la loro resistenza.

Quali che siano le motivazioni che caso per caso i capitalisti, le loro autorità e i sindacati complici adducono, questa è la fonte comune di ogni chiusura, delocalizzazione, riduzione di aziende che producono beni e servizi e più in generale del malandare della nostra società, dalla disoccupazione all’inquinamento, dalla miseria all’ignoranza, dalla distruzione della terra su cui viviamo all’abbrutimento di tanti individui, dalla precarietà all’insicurezza generale, dalla menzogna dilagante alla corruzione, dalle alluvioni alla violenza.

Gli uomini oggi producono i beni e i servizi necessari alla loro esistenza in aziende collegate tra loro a formare reti nazionali, già oggi in una certa misura connesse a formare una rete mondiale. Ogni azienda usa prodotti di altre aziende e attinge risorse in natura. Il singolo lavoratore da solo non è in grado di produrre niente di quello che usa: ognuno contribuisce a un meccanismo di produzione di beni e servizi che è collettivo e in larga misura mondiale. La produttività di questo meccanismo è potenzialmente illimitata: dipende soprattutto dall’applicazione alla produzione del patrimonio scientifico e tecnologico. Esso funziona grazie all’opera di molte persone che fanno ognuna la propria parte (e tutte possono fare la loro parte solo se ognuna fa la propria). Questo è diventato incompatibile con il permanere dell’attività economica in mano ai capitalisti (singoli o gruppi): infatti ognuno di essi gestisce l’azienda di cui è titolare come un suo affare privato e come uno strumento per accrescere il suo capitale. E se non lo fa, fallisce e un altro capitalista prende il suo posto. Questo meccanismo per funzionare bene e senza distruggere il mondo, richiede che le aziende siano in mano pubblica e gestite secondo un piano per produrre i beni e servizi necessari alla popolazione e alle relazioni di solidarietà, cooperazione e scambio con gli altri paese, un piano pubblicamente deciso e noto ai lavoratori i quali contribuiscono, ognuno con un proprio apporto, a elaborarlo e ad attuarlo nelle aziende e che dal sistema di aziende ricevono quanto destinato al consumo individuale. Per questo il futuro prossimo della società attuale non può che essere il socialismo, periodo di transizione dal capitalismo al comunismo.