La Voce 68 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIII - luglio 2021

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Ai promotori di “costituenti comuniste”

Da dove iniziare? La parola a Gramsci

Nel nostro paese sono numerosi i compagni che hanno una visione positiva dell’esperienza del movimento comunista (quella che Bertinotti e Ferrero bollavano come “errori e orrori del comunismo novecentesco”), che aspirano a un partito comunista all’altezza dei suoi compiti, che sono per l’unità dei comunisti. A loro è dedicato questo articolo di Antonio Gramsci. A questi compagni Gramsci dà due indicazioni.

1. Non bisogna aver timore di riconoscere i nostri errori e limiti. Certo, dobbiamo contrastare le denigrazioni e le calunnie che la borghesia e il clero non perdono occasione di vomitare sul movimento comunista o l’oblio che cercano di stendere sulla sua esperienza. Ma il nostro compito non è difenderci dalle calunnie della borghesia e del clero, convincerli che sbagliano o esagerano. Non è neanche esibire con orgoglio e fierezza la nostra storia e al diavolo chi non ne vede la grandezza e l’eroismo e chi solleva dubbi e domande. Il nostro compito è far conoscere l’esperienza del movimento comunista e soprattutto farne il bilancio: imparare dai comunisti che ci hanno preceduto per portare a compimento l’opera che essi hanno lasciato interrotta. Dobbiamo cioè correggere gli errori e superare i limiti a causa dei quali i partiti comunisti non hanno instaurato il socialismo in nessun paese imperialista. E a questo fine, come dice Gramsci, non ci sono scappatoie: “bisogna fare una spietata autocritica della nostra debolezza, bisogna incominciare dal domandarsi perché abbiamo perso, chi eravamo, cosa volevamo, dove volevamo arrivare”.

2. L’unità dei comunisti non è una questione organizzativa, non si realizza mettendosi insieme e rinunciando ognuno a qualcosa in nome dell’unità. Gramsci indica in modo chiaro da dove occorre partire: conoscere il terreno in cui operiamo e assumere la concezione comunista del mondo (la scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la loro storia) come base dell’unità del partito. Il problema principale che i comunisti devono risolvere non è una questione organizzativa, ma la questione della teoria. Il partito comunista è l’unione di quelli che assimilano, sviluppano e applicano alle condizioni italiane e mondiali la concezione comunista del mondo e le lezioni del bilancio dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976). Chi mette i problemi e le soluzioni organizzative prima dell’assimilazione e applicazione della scienza comunista adotta un approccio contrario a quello di Marx ed Engels (Manifesto del partito comunista) e di Lenin (che prima di scrivere Che fare? scrisse Che cosa sono gli “amici del popolo” e Lo sviluppo del capitalismo in Russia). E quindi quanto alla linea resta ancora vittima dell’una o dell’altra delle tare del primo PCI: elettoralismo (solo via parlamentare al socialismo), economicismo (solo difesa sindacale e/o politica delle condizioni di lavoro e di vita delle masse popolari), militarismo (agli attacchi del nemico, l’unica risposta possibile è la risposta armata).

In secondo luogo, questo articolo è dedicato ai membri del Partito e della sua Carovana. Ai nostri inizi come Carovana siamo partiti facendo proprio quanto indicato da Gramsci. Sono tante, molte le cose che dobbiamo ancora imparare, ma abbiamo fatto un bel pezzo di strada, abbiamo messo fondamenta solide. Questo ci permette di distinguere tra

- unità delle lotte dei lavoratori (in cui il metodo principale è la linea di massa),

- unità d’azione dei comunisti (in cui il metodo principale è la politica da fronte: iniziative comuni in ogni caso in cui è possibile, dibattito franco e aperto, solidarietà contro la repressione),

- unità dei comunisti (in cui il metodo principale è la lotta ideologica con al centro il bilancio del movimento comunista).

Su questa base possiamo e dobbiamo lavorare oggi per rafforzare ed estendere su scala più vasta il fronte contro Draghi e le Larghe Intese.

Noi non siamo favorevoli alle posizioni ideologiche e politiche sbagliate, non siamo per la pari dignità di giusto e sbagliato. Ma prendiamo atto della realtà (oggi ci sono posizioni ideologiche e politiche differenti e contrastanti), partiamo da questa realtà e siamo convinti che la trasformeremo, che la pratica confermerà o farà emergere le posizioni giuste e smentirà le posizioni sbagliate. Solo chi non ha fiducia in se stesso e nelle proprie posizioni, non fa alleanze e operazioni comuni con persone e organizzazioni che hanno, sulla questione immediata in ballo, lo stesso obiettivo e lo stesso nemico.

Claudio G.


Antonio Gramsci - CHE FARE?

(reperibile sul sito del (n)PCI al link http://nuovopci.it/classic/gramsci/letaredvocegiov.html)


Questo testo scritto a Mosca nell’ottobre 1923 e pubblicato il 1° novembre successivo a firma Giovanni Masci sul giornale della Federazione giovanile comunista italiana (FGCI) La Voce della gioventù, segnala il ritorno di Gramsci all'impegno diretto nella situazione italiana, dopo il periodo (da fine maggio 1922) trascorso come rappresentante del partito italiano nel Comitato esecutivo dell'Internazionale Comunista.

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Cari amici di La Voce,

ho letto nel n. 10 (15 settembre) di La Voce l’interessante discussione tra il compagno G.P. di Torino e il compagno S.V. [redazione di La Voce della gioventù, ndr]. È chiusa la discussione? Si può domandare che ancora per molti numeri la discussione rimanga aperta e invitare tutti i giovani operai di buona volontà a parteciparvi, esprimendo, con sincerità e onestà intellettuale, la loro opinione in proposito?


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In questo testo con l’espressione “movimento comunista” indichiamo quello che è più chiaro chiamare “movimento comunista cosciente e organizzato” (MCCO), l’insieme di organismi che operano per instaurare il socialismo e che, una volta instaurato il socialismo, concorrono alla “costruzione del socialismo”, la transizione dalla società che ereditiamo al comunismo. Il partito comunista è il principale organismo di questo insieme. Marx ed Engels con l’espressione “movimento comunista” (L’ideologia tedesca) indicavano la trasformazione oggettivamente in corso del modo di produzione capitalista e delle concezioni e dei sentimenti espressione di esso.

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Come va posto il problema.

Incomincio io e affermo senz’altro che, mi pare almeno, il compagno S.V. non ha impostato bene il problema ed è caduto in qualche errore, gravissimo del suo stesso punto di vista.

Perché è stata sconfitta la classe operaia italiana? Perché essa non aveva un’unità? Perché il fascismo è riuscito a sconfiggere, oltre che fisicamente, anche ideologicamente, il partito socialista che era il partito tradizionale del popolo lavoratore italiano? Perché il partito comunista non si è rapidamente sviluppato negli anni 1921-22 e non è riuscito a raggruppare intorno a sé la maggioranza del proletariato e delle masse contadine? Il compagno S.V. non si pone queste domande. Egli risponde a tutte le angosciose inquietudini che si manifestano nella lettera del compagno G.P. con l’affermazione che sarebbe bastata l’esistenza di un vero partito rivoluzionario e che la sua organizzazione futura basterà nel futuro, quando la classe operaia avrà ripreso la possibilità di movimento. Ma è vero tutto ciò, o, almeno, in che senso ed entro quali limiti è vero?

Il compagno S.V. suggerisce al compagno G.P. di non pensare più entro determinati schemi, ma di pensare entro altri schemi che non precisa. Bisogna precisare.

Ed ecco cosa appare necessario fare immediatamente, ecco quale deve essere l’ “inizio” del lavoro per la classe operaia: bisogna fare una spietata autocritica della nostra debolezza, bisogna incominciare dal domandarsi perché abbiamo perso; chi eravamo, cosa volevamo, dove volevamo arrivare. Ma bisogna prima fare anche un’altra cosa (si scopre sempre che l’inizio ha sempre un altro... inizio): bisogna fissare i criteri, i principi, le basi ideologiche della nostra stessa critica.

Ha la classe operaia la sua ideologia?

Perché i partiti proletari italiani sono sempre stati deboli dal punto di vista rivoluzionario? Perché hanno fallito quando dovevano passare dalle parole all’azione? Essi non conoscevano la situazione in cui dovevano operare, essi non conoscevano il terreno in cui avrebbero dovuto dare la battaglia.

Pensate: in più di trenta anni di vita, il partito socialista non ha prodotto un libro che studiasse la struttura economico-sociale dell’Italia. Non esiste un libro che studi i partiti politici italiani, i loro legami di classe, il loro significato. Perché nella Valle del Po il riformismo si era radicato così profondamente? Perché il partito popolare, cattolico, ha più fortuna nell'Italia settentrionale e centrale che nell'Italia del sud, dove pure la popolazione è più arretrata e dovrebbe quindi più facilmente seguire un partito confessionale? Perché in Sicilia i proprietari terrieri sono autonomisti e non i contadini, mentre in Sardegna sono autonomisti i contadini e non i grandi proprietari? Perché in Sicilia e non altrove si è sviluppato il riformismo dei De Felice, Drago, Tasca di Cutò e consorti? Perché nell’Italia del sud c’è stata una lotta armata tra fascisti e nazionalisti che non c’è stata altrove?

Noi non conosciamo l’Italia, così com’è realmente e quindi siamo nella quasi impossibilità di fare previsioni, di orientarci, di stabilire delle linee d’azione che abbiano una certa probabilità di essere esatte. Non esiste una storia della classe operaia italiana. Non esiste una storia della classe contadina.

Che importanza hanno avuto i fatti di Milano del ‘98? Che insegnamento hanno dato? Che importanza ha avuto lo sciopero generale di Milano del 1904? Quanti operai sanno che allora, per la prima volta, fu affermata esplicitamente la necessità della dittatura proletaria? Che significato ha avuto in Italia il sindacalismo? Perché ha avuto fortuna tra gli operai agricoli e non fra gli operai industriali? Che valore ha il partito repubblicano? Perché dove ci sono anarchici ci sono anche repubblicani? Che importanza e che significato ha avuto il fenomeno del passaggio di elementi sindacalisti al nazionalismo prima della guerra libica e il ripetersi del fenomeno su scala maggiore per il fascismo?

Basta porsi queste domande per accorgersi che noi siamo completamente ignoranti, che noi siamo disorientati. Sembra che in Italia non si sia mai pensato, mai studiato, mai ricercato. Sembra che la classe operaia italiana non abbia mai avuto una sua concezione della vita, della storia, dello sviluppo della società umana. Eppure la classe operaia ha una sua concezione: il materialismo storico; eppure la classe operaia ha avuto dei grandi maestri (Marx, Engels) che hanno mostrato come si esaminano i fatti, le situazioni, e come dall'esame si traggano gli indirizzi per l’azione.

Ecco la nostra debolezza, ecco la principale ragione della disfatta dei partiti rivoluzionari italiani: non avere avuto una ideologia, non averla diffusa tra le masse, non avere fortificato le coscienze dei militanti con delle certezze di carattere morale e psicologico. Come meravigliarsi che qualche operaio sia diventato fascista? Come meravigliarsene se lo stesso S.V. dice in un punto “chi sa mai anche noi, persuasi, potremmo diventare fascisti”? (Queste affermazioni non si fanno neppure per scherzo, neppure per ipotesi di propaganda). Come meravigliarsene, se in un altro articolo, dello stesso numero di La Voce, si dice: “Noi non siamo anticlericali”? Non siamo anticlericali? Che significa ciò? Che non siamo anticlericali in senso massonico, dal punto di vista razionalistico dei borghesi? Bisogna dirlo, ma bisogna dire che noi, classe operaia, siamo anticlericali, in quanto materialisti, che noi abbiamo una concezione del mondo che supera tutte le religioni e tutte e filosofie finora nate sul terreno della società divisa in classi. Purtroppo... la concezione non l’abbiamo, ed ecco la ragione di tutti questi errori teorici, che hanno poi un riflesso nella pratica, e ci hanno condotto finora alla sconfitta e all'oppressione fascista.


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Il maoismo ci ha insegnato come si svolge la lotta di classe nel socialismo, come evitare che nei prossimi paesi socialisti i revisionisti prendano il potere come è successo in Unione Sovietica. Il socialismo è transizione da una società divisa in classi a una società senza più divisione in classi: quindi è inevitabile che nei paesi socialisti una parte dei dirigenti (del partito comunista, dello Stato, delle istituzioni economiche e sociali) tenda a risolvere anche i problemi della società socialista adottando metodi di direzione già collaudati nel corso della storia dalle classi dominanti. Contro questi dirigenti bisogna sviluppare la lotta di classe (critica di massa, rivoluzioni culturali, epurazione, repressione).

Il maoismo ha portato anche a capire che finora i comunisti non sono riusciti a instaurare il socialismo nei paesi imperialisti perché non hanno assunto la concezione comunista del mondo come base dell’unità del partito né hanno praticato la lotta tra due linee per applicarla; hanno concepito il socialismo come allargamento della partecipazione delle masse popolari alla democrazia borghese e miglioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro; non hanno elaborato il piano della rivoluzione socialista nel proprio paese; non hanno concepito la rivoluzione socialista come una guerra popolare rivoluzionaria, ma come un evento che prima o poi sarebbe scoppiato: i comunisti si preparavano ad approfittarne e cercavano di accelerare l’evento promuovendo lotte rivendicative più accese e creando un partito “grande e forte” con la partecipazione alle lotte, procedure e istituzioni della democrazia borghese.

Il marxismo-leninismo-maoismo è la scienza che i comunisti devono assimilare e usare per mobilitare la classe operaia e le altre classi delle masse popolari a fare la rivoluzione socialista.

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L'inizio... dell'inizio!

Che fare dunque? Da che punto incominciare? Ecco: secondo me bisogna incominciare proprio da questo; dallo studio della dottrina che è propria della classe operaia, che è la filosofia della classe operaia, che è la sociologia della classe operaia, dallo studio del materialismo storico, dallo studio del marxismo. Ecco uno scopo immediato per i gruppi di amici di La Voce: riunirsi, comprare dei libri, organizzare lezioni e conversazioni su questo argomento, formarsi dei criteri solidi di ricerca e di esame e criticare il passato, per essere più forti nell’avvenire e vincere.

La Voce dovrebbe, in tutti i modi possibili, aiutare questo tentativo, pubblicando schemi di lezioni e di conversazioni, dando indicazioni bibliografiche razionali, rispondendo alle domande dei lettori, stimolando la loro buona volontà. Quanto meno finora si è fatto, tanto più è necessario fare, con la massima rapidità possibile. I fatti incalzano: la piccola borghesia italiana, che aveva riposto nel fascismo le sue speranze e la sua fede, vede quotidianamente crollare il suo castello di carta. L’ideologia fascista ha perso la sua espansività, perde anzi terreno: spunta nuovamente il primo albore della nuova giornata proletaria.