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del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIII - marzo 2021

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

La rivoluzione socialista e la costruzione dell’uomo nuovo

Contro l’individualismo inculcato dal sistema di controrivoluzione preventiva

Costruire l’uomo nuovo è un aspetto della rivoluzione socialista e della fase socialista (la fase inferiore) del comunismo (1) che si concluderà nel comunismo: la società senza divisione in classi (2) “nella quale il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione del libero sviluppo di tutti”.(3) L’opera di costruzione dell’uomo nuovo è emersa (in specie in URSS) con evidenza (con prepotenza, sarebbe meglio dire) nel corso della prima ondata di rivoluzioni proletarie oltre il rilievo che ad essa i comunisti davano in modo cosciente e organizzato. Aver trascurato questo aspetto nella costruzione del partito (in altre parole, aver trascurato la riforma intellettuale e morale - RIM - dei propri candidati e membri), è uno dei motivi che ha impedito ai partiti comunisti dei paesi imperialisti di adempiere al compito di instaurare il socialismo nel proprio paese e contribuire così alla vittoria del socialismo nel mondo.

L’opera di costruzione dell’uomo nuovo ha due aspetti.

 

1. Marx, Critica del programma di Gotha, 1875.

 

2. Marx Lettera a Weydemeyer 05.03.1852, in www.nuovopci.it/classic/marxengels/weydemeyer.html (Opere vol. 39)

 

3. Marx, Engels, Manifesto del partito comunista (1848) cap. 2.

 

 - Da un lato consiste nel porre le basi del suo dispiegamento con un nuovo assetto sociale, cioè con un paese dove il potere è in mano al partito comunista, organo della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari, dove la produzione dei beni mira al soddisfacimento delle necessità materiali e spirituali della popolazione, dove la misura del progresso è data dal grado di partecipazione delle masse popolari alla direzione della vita sociale e di se stesse.

- Dall’altro lato consiste nell’imparare fin da subito, nel nucleo specifico che è il partito comunista, e a livelli diversi per i membri del movimento comunista cosciente e organizzato, a pensare e a sentire in modo differente dal modo che è prodotto intellettuale e morale della società borghese. I componenti del partito infatti sono da subito impegnati in un lavoro di ricerca e sperimentazione che riguarda loro stessi perché per adempiere al loro ruolo essi per primi devono diventare uomini nuovi, e cioè trasformarsi, dato che la società borghese non insegna loro a essere promotori e dirigenti della rivoluzione socialista, anzi con il sistema di controrivoluzione preventiva li distoglie da questo. Essi si trasformano attraverso una riforma intellettuale e morale che è aspetto indispensabile in ogni rivoluzione socialista: nel partito come suo fattore e nelle masse come suo risultato. È un aspetto che Antonio Gramsci ha fissato con precisione ed acume e che Mao Tse-tung ha posto al centro della Rivoluzione Culturale Proletaria del popolo cinese (1966 - 1976): i comunisti sono soggetto (agenti, fattori) e oggetto (materia, bersagli) della rivoluzione socialista.

Questa riforma intellettuale e morale riguarda, come appena detto, prima di tutto nuclei limitati di soggetti, quali potrebbero essere, per fare un paragone, scienziati impegnati in ricerca e sperimentazione in un laboratorio che in questo caso è il partito comunista.(4) I risultati della sperimentazione e della ricerca vengono poi posti a disposizione di settori sempre più ampi della popolazione fino a che non diventano modi assunti da tutti. Questa rivoluzione per così dire “interiore”, come detto sopra, deve essere necessariamente accompagnata da rivoluzione in campo economico e politico e anzi serve a realizzare la rivoluzione in campo economico e politico, che nel nostro caso significa fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

 

4. Il partito politico è la “prima cellula in cui si riassumono dei germi di volontà collettiva che tendono a diventare universali e totali” (Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino, 1975, vol. III pag. 1558 - Quaderno 13, Nota 1). In questa Nota 1 (pagg. 1551-1561), che è basilare per lavorare da scienziati alla costruzione e al rafforzamento del partito, nella frase precedente Gramsci scrive: “Il moderno principe, il mito-principe non può essere una persona reale, un individuo reale, un individuo concreto, può essere solo un organismo? un elemento di società complesso nel quale abbia già inizio il concretarsi di una volontà collettiva riconosciuta e affermatasi parzialmente nell’azione” (ibidem).

 

 In questo articolo tratto di uno dei modi di pensare che il partito analizza per superarlo, cioè l’individualismo, il pensarsi come soggetti singoli e separati dal mondo e dagli altri. Ad esso è connesso il perseguire il proprio interesse in modo prioritario o esclusivo. L’espressione estrema di questa concezione è la proclamazione di “avere le proprie idee”, cioè il radicarsi nelle proprie idee presumendo che siano l’espressione più preziosa e inattaccabile della nostra identità, ecc. e all’opposto considerare “pecore” non solo quelle che si aggregano al seguito della Chiesa cattolica, che tali le considera e che le fa pascolare e le tosa a proprio uso, ma anche quelli che seguono i partiti comunisti, che pongono le idee elaborate nel loro partito comunista al di sopra delle proprie come una scienza che fanno propria: le imparano, assimilano e usano. Secondo la forma moderna (e finale) dell’individualismo di cui stiamo parlando, sia i credenti in un dio che i credenti in un partito comunista sarebbero “membri di chiese”. Così insegna (primo pilastro del sistema di controrivoluzione preventiva - MP cap. 1.3.3) oggi la classe dominante, la borghesia imperialista, e così pensano gli anarchici e, all’interno del movimento comunista, principalmente tutti i trotzkisti, i bordighisti e “sinistri” di vario genere, tutti i cosiddetti movimentisti, secondo i quali il movimento è tutto e non importa avere conoscenze elaborate, sperimentate e condivise, tutti i revisionisti che nei tempi antichi e moderni hanno dichiarato che il movimento è tutto e il fine è nulla, e quindi è nulla anche l’obiettivo che un proletario avanzato e un comunista elaborano nella propria mente e che per essere raggiunto deve essere condiviso con altri, così come è l’obiettivo di fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

Questo individualismo è modo di pensare delle classi dominanti consolidatosi nel corso millenario della storia del pensiero, quindi è modo di pensare diffuso per quanto uno ritenga così pensando di essere originale. Inoltre è diffuso il pregiudizio secondo il quale non esiste modo di pensare e di pensarsi che sia alternativo ad esso, non è mai esistito né mai esisterà. In realtà l’individualismo è un modo di pensare che solo negli ultimi secoli ha raggiunto dimensioni di massa. Nella forma attuale inizia a porsi con la rivoluzione borghese, e quindi nei primi secoli del millennio scorso. Trova nel secolo XVI formulazione ideologica ed espressione politica nella Riforma protestante (secondo la quale il soggetto ha rapporto diretto con il suo dio e non tramite un funzionario del clero, come nella Chiesa cattolica) e formulazione scientifica nei sistemi filosofici di Cartesio (La Haye en Touraine, 1596 - Stoccolma, 1650) e di Spinoza (Amsterdam, 1632 - L’Aia, 1677). L’individualismo è quindi un aspetto della concezione borghese del mondo ed è modo di pensare avanzato solo rispetto alla concezione che la borghesia ai suoi albori combatteva, la concezione clericale del mondo. Secondo la concezione clericale l’essere umano non doveva porre in sé la consapevolezza di se stesso, la fonte della certezza di sé e delle norme di condotta morale, ma doveva porre tutto questo in un dio ultraterreno e nei suoi rappresentanti in terra: i re, i papi, i signori feudali. Se allora per questa lotta tra classi l’individualismo fu per una classe (la borghesia) liberazione, per un’altra (il proletariato) fu solo una gabbia un po’ meno stretta. Vedremo più oltre perché.

 La concezione clericale del mondo a sua volta si era imposta contro la concezione della classe precedente, quella schiavistica. Quella schiavistica a sua volta si impose sulle altre precedenti concezioni che sorsero molti millenni fa, quando iniziò la divisione della società in classi. Precedentemente le classi non esistevano e così è stato per le centinaia di migliaia di anni in cui si sono sviluppati gli esseri da cui discendiamo. Quegli esseri erano umani costituiti in gruppi, li chiamiamo genericamente clan, essendo assolutamente impossibile vivere separati gli uni dagli altri (5) perché questo significava per loro la morte, così come è destinato alla morte un bimbo da solo in una selva. Così come non vivevano distaccati, non si pensavano distaccati. La loro identità era nel gruppo e il loro distinguere era minimo, come testimoniato dai popoli incontrati dai colonialisti, dai missionari e dagli antropologi nell’Ottocento,(6) che non distinguevano il sogno dalla realtà, che ritenevano il pensiero cosa comune (ciò che noi chiamiamo “telepatia”), che consideravano il dire un’arma (quello che noi chiamiamo “maledizione”), che si muovevano all’unisono spontaneamente nel danzare. Questi fenomeni e altri simili componevano il cosiddetto “pensiero magico”, le cui propaggini si estendono al nostro tempo (e non solo tra le popolazioni dell’Africa e di altri continenti strappate dai colonialisti dai loro costumi e dalle loro terre). I tempi in cui si mantenne e sviluppò non furono però il paradiso terrestre di cui la Bibbia parla, per dire come le nostre pene iniziarono quando ci appropriammo del frutto della conoscenza (conoscere è distinguere, determinare). Furono tempi in cui gli esseri umani erano assediati e uccisi dal freddo, dalla fame, dagli altri animali. Per questo motivo entro le comunità si costituirono divisioni del lavoro e su quelle basi divisioni in classi, funzionali per una meno insicura sopravvivenza. Tali divisioni si mostrarono efficaci e si imposero e tali si sono mantenute fino a oggi, cambiando di forma ma non d’essenza pur con il carico di oppressione, di ingiustizia, di miseria che comportarono per le classi dominate e la lotta di classe che le accompagnò fino dall’inizio e nei millenni.

 

5. Secondo il modo di pensare della borghesia la società sorge dall’individuo singolo, capace di preservarsi e di edificare attorno a sé tutto un assetto sociale. Il borghese pensa in questo modo perché questo gli serve a giustificare la propria posizione dominante nella società. Pensa che è così nel suo caso presente e che è sempre stato così, che cioè la norma ha valore universale, vale per l’eternità, sia per il passato come per il futuro. Se ammettesse che solo a un certo punto della storia dell’umanità il singolo individuo ha assunto questa “forza generativa ”, ammetterebbe che ciò che dice ha valore relativo, che una cosa così come inizia così può avere fine, che la forza dell’uno non sta senza quella dell’altro, che nel caso suo è quella dell’operaio che il borghese sfrutta. Questo mito dell’individuo che “si fa da sé” è illustrato nel modo più compiuto nel personaggio di Robinson Crusoe, nel romanzo omonimo pubblicato nel 1719 da Daniel Defoe (Londra, 1660 – 1731). Il mito è messo in ridicolo già da Marx che dichiara “robinsonate” tutti i discorsi fondati su questo singolo individuo capace di pensare e di fare il mondo. Persiste nel mito del superuomo, del supereroe di fumetti e film e in tutta la filmografia che gli USA ci riversano addosso concentrata sugli individui che da soli affrontano una realtà ostile.

 

6. I fondatori del pensiero comunista, Marx ed Engels, hanno posto immediatamente attenzione agli studi antropologici dell’epoca, e in particolare a quelli di Lewis Henry Morgan (New York, 1818 – 1881). Sulla base dello studio dell’opera di Morgan Engels ha scritto L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884).

 

 Il distinguere di cui parlo, che iniziò con la divisione in classi e con la divisione delle terre dalla cui coltivazione si traevano alimenti (con quanto di matematica, geometria e quanto di filosofia e altre scienze tutto questo generò), procedette nei millenni, e se all’inizio quelli che si distinguevano erano le schiatte dei padroni dai loro schiavi, poi i signori dai loro servi, con la classe borghese (che generalizza la produzione mercantile) la distinzione arrivò a distinguere ogni individuo dall’altro, in modo che l’identità di uno fosse in ciò che possedeva, fosse esso un grande patrimonio o fosse la sua capacità lavorativa. In questo avere stava la libertà di ciascuno, libertà che aveva termine dove iniziava l’avere dell’altro, come si trattasse di due campi confinanti. Su questo confine nell’epoca moderna si sviluppavano e si sviluppano i conflitti tra individui e il conflitto tra classi e, nel caso dello scontro tra borghesia e classe operaia, in particolare lo scontro sul tempo dell’operaio di cui il borghese si appropria per il suo profitto, secondo le leggi che Marx ci ha reso chiare. In questa forma si manifesta nella società borghese la libertà individuale. Essa è strettamente legata a ciò che uno possiede. Nella società borghese quindi liberi sono i borghesi e in particolare attualmente, nella fase imperialista del capitalismo, i membri della borghesia imperialista, ognuno rispetto agli altri in proporzione al suo capitale. Nel corso dell’evoluzione storica della società borghese, il capitale finanziario ha preso il dominio sul capitale industriale (quello impiegato nella produzione di merci: beni o servizi) e in un secondo momento il capitale speculativo ha preso il sopravvento sul capitale finanziario. Oggi il massimo della libertà borghese è la libertà dello speculatore.

Quanto ai proletari, venditori ognuno della sua forza-lavoro, la libertà di ognuno di essi come individuo venditore di forza-lavoro, nel corso dello sviluppo del modo di produzione capitalista è stata sussunta dalla borghesia e si è sempre più ridotta, ma si è in cambio affermata la loro libertà come classe organizzata e cosciente. La prima ondata delle rivoluzioni proletarie (1917 - 1976) è stata la massima espressione della loro libertà. È la libertà di costruire un mondo nuovo, la società comunista.

Nella fase imperialista del capitalismo il proletario come individuo venditore della sua forza lavoro è libero sul piano ideologico, politico, economico, organizzativo entro quei limiti che costituiscono il regime di controrivoluzione preventiva,(7) limiti determinati e tanto più stretti quanto più si aggrava la crisi generale del modo di produzione capitalista. La borghesia non concede ad alcun individuo delle classi delle masse popolari nemmeno la libertà di pensare. Pensare non è cosa spontanea.(8) A pensare si impara e bisogna avere tempo e strumenti per farlo. Chi si crede libero per alcune idee alternative che ha, non sa che quelle idee, esaminate con scienza, sono idee che fanno parte della concezione borghese del mondo e che la borghesia diffonde per creare illusioni tra le masse e sviarle dal lavoro di costruzione della rivoluzione socialista. Chi non organizza le proprie idee e il proprio sentire ai fini della liberazione reale, che coincide con l’abbattimento del potere della borghesia imperialista via via che costruiamo la rivoluzione socialista, chi non ritiene possibile questa liberazione, chi la ritiene possibile ma non si dà i mezzi per attuarla, chi aspetta che cada dal cielo come l’acqua dalle nuvole in tempesta, insomma chi è disfattista e chi attende gli eventi è un uomo libero di fantasticare nel tempo libero dal lavoro o se qualcuno provvede al suo mantenimento. Libero oggi è chi decide della propria vita e cambia il mondo abolendo ciò che impedisce di essere libero, combattendo lo sfruttamento e la disuguaglianza e quindi abolendo la divisione in classi. Questo è ciò che possiamo fare oggi, e che il movimento comunista cosciente e organizzato ha cominciato a fare da più di un secolo e mezzo. Le grandi conquiste strappate nel corso della prima ondata mondiale delle rivoluzioni proletarie sono l’espressione della libertà collettiva del proletariato. Non a caso da quando ha ripreso in mano a livello mondiale la direzione del corso delle cose la borghesia le sta eliminando e in particolare cerca sempre più di limitare la capacità di pensare che con la prima ondata delle rivoluzioni proletarie i proletari si erano conquistati.

  

7. La funzione e l’articolazione del regime di controrivoluzione preventiva è spiegato nella forma più sintetica nel Manifesto programma del (nuovo)Partito comunista italiano (ed. Rapporti sociali, Milano, 2008, pagg. 46-57). Questo regime è quello adottato nei paesi imperialisti e con esso la borghesia mira a mantenere sottomessi i proletari e le masse popolari in generale ma facendo loro credere d’essere liberi, per acquisire il loro consenso che le è indispensabile per mantenere il potere. Tuttavia la borghesia non è in grado di impedire in assoluto ai proletari di essere liberi. Il proletariato con la classe operaia alla sua testa può liberarsi dal dominio della borghesia ed è spinto a farlo. La borghesia stessa genera questa classe che è libera di seppellirla e non ha il potere di sopprimere questa libertà.

  

8. Vedi Pensare non è come cagare – Avviso ai Naviganti n. 22 del (nuovo)Partito comunista italiano, 4 agosto 2013, in www.nuovopci.it/dfa/avvnav22/avvnav22.html. Tutti camminano con le scarpe ai piedi ma non per questo ciascuno è calzolaio. La presunzione che per qualsiasi attività sia richiesto un particolare apprendistato ma non per il pensare e il volere, dipende dal fatto che la classe dominante non vuole che impariamo a dare al corso dei nostri pensieri e sentimenti forma nuova, attiva e liberatoria. Denigra perciò ogni sforzo teso in tale senso, come fosse tentativo di “ingabbiare mente e cuore”, come se libertà fosse lasciare scorrere pensieri e sentimenti e in ciò stessero purezza e verità. In realtà i pensieri che scorrono nella coscienza sono quelli che la borghesia si sforza in modo sempre più parossistico di inoculare, con tutti i mezzi di comunicazione che gestisce. Mettere ordine e trasparenza in pensieri e sentimenti è invece la cosa più complessa, che più richiede rigore scientifico, e quindi per essere veramente liberi nel pensare e nel sentire dobbiamo e possiamo essere veramente rigorosi. Il combattente nella guerra di liberazione deve seguire una disciplina di ferro per costruire il nuovo potere ed eliminare il vecchio.

 

Un processo di liberazione che ponendo fine alla divisione in classi chiude un periodo di millenni non può essere portato avanti da un singolo o da tanti singoli che operano a caso, spinti ad agire all’unisono come fossero uomini primitivi impegnati in una danza magica. Siamo arrivati alla possibilità di abolire la divisione in classi grazie allo sviluppo della conoscenza della realtà, che ci consente di spendere minori energie per produrre il necessario per vivere. Per abolire le classi dobbiamo usare la conoscenza della realtà, svilupparla, sperimentarla, condividerla e tutto questo si fa in un organismo che non è più un collettivo formato spontaneamente quale fu il clan, ma un organismo costruito e generato con quanto di scienza e di arte abbiamo, che è il partito comunista capace di condurre le masse popolari a instaurare il socialismo. In quanto costruito e generato, un simile partito ha una compattezza e organicità ignota a ogni forma di collettivo spontaneo che l’umanità ha conosciuto nelle decine di migliaia di anni che abbiamo alle spalle. È organismo compatto, che comprende e dirige le contraddizioni che lo animano e quindi vivente, che muta e si mantiene identico a se stesso nel corso del tempo, come avviene, ad esempio, per un singolo essere umano nel corso della sua vita. Solo in questo organismo il proletario è libero, nel senso che solo qui gli si apre la prospettiva della liberazione sua e di tutti, e qui fa la sua parte dell’opera, consapevole che gli altri compagni del partito che fanno le altre parti sono parte della sua identità, e che il successo di un altro è il suo successo, la gioia di un altro è la sua, la libertà di un altro è condizione della libertà sua, e altrettanto è ciò che pensa e fa lui per l’altro compagno. Nel partito compare all’orizzonte il nuovo principio che spazza via il vecchio. Nella concezione borghese del mondo e nel sistema dei rapporti sociali borghesi che essa riflette, la libertà dell’uno ha limite e termine nella libertà dell’altro e ciascuno è chiuso in se stesso, separato dagli altri e infine, tra le masse popolari, separato anche da chi ha di più caro, come testimoniano le famiglie che si sgretolano e i casi crudeli degli uccisi dalla privatizzazione della sanità nelle RSA e negli ospedali che i parenti non possono nemmeno vedere. Il nucleo della società borghese poi è proprio nella libertà del padrone che tanto più è libero quanto meno lo sono gli operai di cui consuma i giorni. L’opposto è nella futura società comunista, dove la libertà dell’uno è condizione della libertà dell’altro, e nel partito presente, dove ciascuno si riconosce e si realizza nell’opera comune, nel successo della Guerra Popolare Rivoluzionaria che conduce contro la borghesia imperialista, poco interessato alla propria sorte personale, poco interessato a sé come individuo. Tanto poco lo è da prevedere di dare la vita per la causa, e ciò lo rende capace, come individuo singolo, delle imprese più ardue e sorprendenti, tali da stupire anche se stesso. Questo intendo quando dico che un proletario si realizza come individuo solo nel partito e che nella storia del movimento comunista traspare dalle parole e dall’esperienza che ci tramanda chi ci ha preceduto in questo travagliato e luminoso percorso.

Carlo L.