La Voce 66 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXII - novembre 2020

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Far nazionalizzare le aziende e i settori che i capitalisti hanno condannato a morte lenta o a delocalizzazione?

Dopo la prima ondata di rivoluzioni socialiste e di nuova democrazia, in nessun paese il capitalismo esiste più in forma pura, in nessun paese il socialismo nasce in forma pura.

“(…) Abbiamo deciso di concentrarci sulla ZZ, una fabbrica della nostra zona dove “girano voci” di chiusura e dove lavora un amico stretto e fidato del compagno XY (è un operaio non attivo sindacalmente, ma incazzato per come vanno le cose, preoccupato, con simpatie comuniste… è un po’ un ‘ribelle solitario’). Ci siamo mossi su due livelli. Abbiamo individuato i posti ‘strategici’ (di passaggio degli operai) e in alcuni abbiamo affisso 10 copie della locandina pubblicata sull’ultima pagina di VO 65, in altri abbiamo lasciato un po’ di copie della stessa locandina ma in formato volantino, in altri ancora abbiamo messo un po’ dei nuovi adesivi con la scritta Facciamo dell’Italia un nuovo paese socialista - Nessuna azienda va chiusa, espropriare padroni e ricchi, economia pianificata, infine in un posto che si prestava bene abbiamo attaccato uno striscione con scritto nazionalizzare le fabbriche che i padroni vogliono chiudere (abbiamo deciso di non fare una scritta murale, anche se è più resistente dello striscione, per potere svolgere l’operazione in modo rapido e sicuro e la cosa è importante). Nello stesso tempo il compagno XY si è accordato con il suo amico operaio perché richiamasse ‘casualmente’ l’attenzione dei suoi colleghi su locandine, adesivi e striscione (che tra l’altro è sparito quasi subito, così come le locandine, invece gli adesivi dopo una decina di giorni erano ancora lì), raccogliesse reazioni e commenti e glieli riferisse. I risultati sono stati buoni (…). Ha anche detto a XY che vari operai hanno commentato lo striscione dicendo “nazionalizzare, e poi? vedi come è messa l’ex Ilva di Taranto!” (…)

Dal rapporto di un CdP di base sull’attività del mese


Della nazionalizzazione abbiamo trattato in VO 63 (Misure per far fronte al disastroso corso delle cose e ruolo delle OO e OP) e poi ancora in VO 65 (Il ruolo dello Stato nell’economia), a cui rimando per gli aspetti generali.(1)

1. In particolare l’articolo di VO 63 mette l’accento sulle principali obiezioni e perplessità di operai rispetto alla possibilità di nazionalizzare singole aziende e settori produttivi, l’articolo di VO 65 sul legame tra nazionalizzazione, piano per instaurare un governo adeguato al compito e gestione complessiva dell’apparato produttivo del paese.

Prendo invece spunto da questo rapporto perché il commento degli operai sull’ex Ilva ci aiuta a fissare meglio il criterio generale che deve guidare nell’azione noi comunisti in questa fase.

Lo smantellamento dell’apparato produttivo del nostro paese è in corso dalla fine degli anni ’70, con un’accelerazione dal 2008 in poi, quando la crisi è entrata nella sua fase acuta e terminale. A “saltare” non sono solo singole aziende, ma interi settori (siderurgia, autoveicoli, elettrodomestici, trasporto aereo e altri: pensiamo all’aeronautica, ai calcolatori dell’Olivetti, ecc.). La pandemia, con le connesse misure del governo Conte 2 e delle istituzioni europee, ha aggravato in vari settori produttivi la situazione delle piccole e medie aziende sia dirette che dell’indotto (quelle dei lavoratori autonomi, quelle a conduzione familiare, quelle di piccoli capitalisti) specialmente nei settori della ristorazione, del turismo, dello spettacolo (con rovina di lavoratori autonomi e piccoli imprenditori, disoccupazione dei lavoratori dipendenti da queste aziende, ulteriore accentramento di capitali); è stata occasione di lauti profitti per i gruppi industriali e finanziari di settori come la farmaceutica e la sanità privata, l’agroalimentare, le telecomunicazioni, i videogiochi, il commercio elettronico, ecc.; ha spinto alcuni capitalisti a prolungare la morte lenta delle aziende che dirigono per partecipare alle vacche grasse degli aiuti statali ed europei o per approfittare delle occasioni di lucro (vedi gli operai del reparto confino della FCA Mirafiori di Torino convertiti a produzione di mascherine) e altri invece a portare a termine rapidamente progetti di chiusura o delocalizzazione già in corso.

In sintesi, la pandemia ha in parte mutato il contesto, ma non il senso di marcia: finché i capitalisti continuano a dettare legge, la liquidazione della produzione industriale nel nostro paese è destinata a proseguire. Il motivo è semplice. L’Italia è uno dei paesi in cui, quando il movimento comunista nel mondo era forte, i lavoratori hanno strappato ai padroni maggiori diritti e conquiste: quello che resta di questi diritti e di queste conquiste basta a rendere l’Italia un paese poco appetibile per i capitalisti industriali e invece appetibile per speculazioni finanziarie e immobiliari, per la gestione su concessione di beni e servizi pubblici (le Autostrade dei Benetton sono un caso esemplare), per grandi opere inutili e dannose. Vi sono inoltre le piaghe “storiche” del nostro paese: ruolo economico, politico e culturale del Vaticano e della sua chiesa, formazione parassitaria della borghesia, malavita organizzata radicata in alcune zone che ha permeato l’intero paese. Allo stesso tempo, la pandemia ha mostrato su larga scala che abbiamo bisogno di produrre in proprio quello che serve al paese per funzionare: la mancanza di mascherine perché nessuna azienda in Italia le produceva è stato il caso più esemplare.

In una situazione del genere, nazionalizzare le aziende che i padroni vogliono chiudere, delocalizzare o ridurre non è socialismo, ma una misura di buon senso. Tanto vero che la sua necessità fa capolino da varie parti e in vari modi: in settori come la siderurgia è la soluzione indicata da gruppi di operai avanzati,(2) l’Unione Sindacale di Base parla di “creazione di una nuova IRI”, il segretario della CGIL Maurizio Landini pudicamente dice che “in tutto il mondo se lo Stato non ci mette i soldi, l’economia salta. Penso che la questione dello Stato emerga da tutti i settori”, il governo Conte 2 è tirato a fare passi, per quanto limitati, contorti e contraddittori, in questa direzione con Alitalia, Autostrade per l’Italia, ex Ilva.

2. Vedasi in proposito https://www.carc.it/2020/09/02/italia-verso-la-costruzione-di-un-coordinamento-nazionale-di-operai-della-siderurgia-resocommento-del-tavolo-tematico-del-14-agosto/

Di tutto questo noi comunisti dobbiamo e possiamo avvalerci per far nascere o rafforzare organismi operai, per coordinarli e soprattutto per orientarli a formare un loro governo d’emergenza: per nazionalizzare anche solo un’azienda, ci vuole infatti un governo che lo faccia. Ma non è che quindi ovunque andiamo a indicare agli operai la nazionalizzazione come obiettivo e se non sono d’accordo allora li lasciamo perdere: in ogni caso concreto dobbiamo partire dall’obiettivo intorno al quale è possibile mettere insieme due, tre, quattro operai decisi a darsi da fare. Il nostro compito non è cercare “operai d’accordo con la parola d’ordine della nazionalizzazione”. Noi non siamo i paladini della nazionalizzazione, siamo i paladini del socialismo: della gestione pubblica e pianificata delle attività economiche dell’intero paese in funzione delle esigenze della popolazione, della tutela e del miglioramento dell’ambiente, dei rapporti (di solidarietà, collaborazione e scambio) con gli altri paesi. Ma per arrivare a questo, promuoviamo e sosteniamo ogni lotta e ogni misura, pur temporanea e parziale, che serve a tenere aperte e in funzione le aziende che i capitalisti vogliono chiudere, delocalizzare o ridurre, che sia la nazionalizzazione, il subentro di un altro capitalista, la formazione di una cooperativa, l’assorbimento in un’azienda pubblica o partecipata esistente oppure la creazione di una nuova azienda. Al socialismo arriveremo perché le masse popolari constateranno che per attuare queste misure “di buon senso” devono affidarsi a se stesse (organizzazioni operaie e popolari) e ai comunisti. I dettagli di questo cammino li regoliamo man mano che avanziamo: fare piani dettagliati oggi, sarebbe fare dell’accademia al modo di intellettuali perdigiorno.

Ogni azienda che produce beni o servizi deve cambiare per produrre beni e servizi utili e migliori per le masse popolari, con meno rifiuti e meno inquinamento, minore consumo d’energia e di materie prime, in condizioni di lavoro più sicure e più sane. Nazionalizzare vuol dire che ogni azienda sarà gestita secondo questi e analoghi criteri, non più per aumentare la massa di denaro di cui dispongono i suoi attuali padroni. Nella combinazione FCA-Peugeot, ad esempio, quali progressi di questo genere dettano legge? Stante lo stadio a cui è giunta la società borghese, oggi le aziende (quelle che producono beni e servizi e dove lavorano i proletari), si trasformano solo o principalmente per aumentare la massa di denaro dei loro padroni. Che i prodotti siano utili non occorre: basta che si vendano e facciano guadagnare soldi. Meno durano e (a patto che si vendano) più aumentano le vendite.

Nazionalizzare vuol dire mettere la gestione delle aziende in mano a dirigenti scelti perché conoscono la materia e il settore (esperti) e gestiscono secondo criteri dettati dalle autorità pubbliche che, a loro volta, devono indicare chiaramente alla popolazione i motivi e gli obiettivi delle indicazioni che danno ai dirigenti delle aziende. Perché tutto questo avvenga, le OO e OP hanno un ruolo determinante.

Non ci sono misure e iniziative “da comunisti” e misure e iniziative “non da comunisti”. Non è la singola misura o iniziativa in sé che fa la differenza, ma il percorso di cui essa è parte e la sua combinazione con altre. La singola misura o iniziativa è lo scalino (il mezzo) per salire a quello successivo e poi a un altro ancora fino ad arrivare in cima alla scala oppure è il punto d’arrivo? La singola misura o iniziativa è parte di un insieme di iniziative e misure particolari ognuna delle quali rafforza le altre e alimenta un movimento generale di trasformazione del paese favorevole alle masse popolari oppure è una nicchia, una goccia nel mare, un’illusione per calmare le acque? La stessa misura o iniziativa può servire a far avanzare la rivoluzione socialista o a distogliere da essa.

Pensate all’IRI di ieri (arrivata ad avere mezzo milione di dipendenti) e al settore pubblico dell’economia. L’IRI è stata creata nel 1936 perché c’era l’Unione Sovietica, non perché i capitalisti si erano convinti a fare i “bravi ragazzi”. L’IRI l’ha fondata Mussolini perché per stare in piedi la borghesia da una parte ha scimmiottato l’Unione Sovietica con il settore pubblico dell’economia, i servizi pubblici, la pianificazione economica, ecc. e dall’altra ha fatto ricorso alla guerra: non solo in Italia con il fascismo e in Germania con il nazismo, ma anche negli USA (guerra e New Deal). E poi la Democrazia Cristiana l’ha mantenuta fino agli anni ’80. Il PCI diretto da Togliatti e soci non hanno usato l’IRI e il settore pubblico dell’economia come tappa (base, trampolino) di una lotta più avanzata per togliere ai capitalisti la direzione della società e verso l’instaurazione del socialismo. Dopo il 25 aprile 1945 avevano restituito ai capitalisti le fabbriche e hanno usato l’IRI per avvalorare la tesi che il capitalismo aveva cambiato natura, quindi non occorreva più fare la rivoluzione socialista perché al socialismo saremmo arrivati gradualmente e per via parlamentare. Con il risultato che le aziende pubbliche sono diventate campo d’azione per i boiardi di Stato che le hanno usate per il loro tornaconto individuale o di gruppo, per crearsi situazioni di privilegio e di arricchimento, per costruirsi clientele, ecc. e per questa via le hanno passo dopo passo mandate in malora. Al punto che la borghesia imperialista, quando non ha più avuto il “fiato sul collo” del movimento comunista e contemporaneamente, a causa della sovrapproduzione assoluta di capitale, ha avuto bisogno di aprire nuovi campi di valorizzazione, è riuscita a raccogliere consenso anche popolare alle privatizzazioni giocando le carte del “privato=efficiente”.

Pensate oggi alle iniziative di alcune Brigate volontarie d’emergenza per fare tamponi gratis o a prezzi popolari: rispondono a un bisogno delle masse e allargano il campo d’azione delle Brigate, ma la loro estensione renderà più aperta la lotta perché diventino lievito dell’organizzazione e mobilitazione popolare e non stampella delle istituzioni e beneficenza.

La nostra tattica da comunisti risponde a principi impliciti della scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la storia, scoperta da Marx ed Engels. Rimando il lettore alle Note di Lettura di un compagno della Federazione Campania del P.CARC che VO pubblica in questo numero, pagg. 62-65.

Tonia N.