La Voce 63 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXI - novembre 2019

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L’esempio della Whirlpool di Napoli

Pubblichiamo uno stralcio della lettera che un compagno del P.CARC ha scritto alla Redazione sulla lotta condotta tra maggio e ottobre 2019 dagli operai della Whirlpool di Napoli contro la chiusura decisa dalla direzione. Un lotta in cui gli operai hanno ottenuto una prima vittoria: la Whirlpool ha infatti fatto marcia indietro sulla chiusura dello stabilimento di Napoli annunciata per il 31 ottobre, a dimostrazione che, anche in periodo di crisi, non è vero che l’unica è rassegnarsi al meno peggio e agli ammortizzatori sociali: vincere singole battaglie è possibile.

Oltre a confermare gli insegnamenti della lotta della Rational di Massa che abbiamo illustrato su La Voce 58 - marzo 2018 a cui rimandiamo, la lettera fa “venire fuori” da un caso particolare il legame tra lotta contro lo smantellamento dell’apparato produttivo, lotta contro la vendita di aziende italiane a gruppi industriali stranieri e a gruppi finanziari stranieri e italiani, lotta per la sovranità nazionale, nazionalizzazione del sistema economico.

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Era il 31 maggio 2019 quando FIM, FIOM e UILM hanno incontrato al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) i vertici della Whirlpool per fare il punto sul Piano industriale 2019-2021 firmato il 25 ottobre 2018 sempre al MISE (che prevedeva 17 milioni di euro di investimenti nello stabilimento di Napoli per la realizzazione e il lancio di una nuova lavatrice!). In maggio l’azienda annuncia di voler “rivedere il piano industriale”: mantenimento degli stabilimenti di Cassinetta, di Biandronno-Varese, di Comunanza (Ascoli Piceno) e di Melano (Ancona), di Siena, ma “lo stabilimento di Napoli - specializzato nella produzione di lavatrici di alta gamma - deve chiudere”. Perché improduttivo? No. È una fabbrica in attivo di bilancio, cinque volte premiata negli anni per produttività, eccellenza del prodotto, sicurezza sul luogo di lavoro, professionalità delle maestranze operaie. E allora? Allora, come prima era toccato alla Embraco di Riva di Chieri (dove l’accordo firmato dai vertici Whirlpool con la Ventures per la riconversione industriale ha dato il via, per gli operai, a un lungo periodo di cassa integrazione e poi alla cessazione delle attività), ora è la volta dello stabilimento di Napoli, chiuso il quale l’azienda potrà passare più facilmente agli altri. Con l’annunciata chiusura del sito napoletano, infatti, Whirlpool conferma la tendenza a lasciare l’Italia, dopo essersi avvalsa del sostegno statale (dal 2014 a oggi 27 milioni di fondi pubblici) attraverso ammortizzatori sociali e contratti di solidarietà in tutti gli stabilimenti, con cui ha mantenuto i profitti a fronte di volumi produttivi più contenuti, perché era già in corso la delocalizzazione in Polonia, in Slovacchia, ovunque può sfruttare più liberamente operai, materie prime, risorse energetiche e gode di scudi fiscali e maggiori agevolazioni statali. Così, dopo essersi rafforzata sul mercato internazionale con l’acquisizione di Indesit (ex Ignis) - “pilotata” dall’allora governo Renzi con la motivazione di “attrarre” capitali americani in Italia - Whirlpool annuncia a ottobre 2018 un’ipotesi di riconversione industriale, poi a maggio 2019 direttamente la smobilitazione del sito.

Sapute le intenzioni dell’azienda, gli operai scendono subito in lotta. Presidio permanente davanti allo stabilimento suddiviso in tre turni (al mattino, al pomeriggio e la notte) con 150 operai per turno; ripresa dell’attività produttiva in autogestione; mobilitazione generale: blocchi stradali, cortei, irruzioni e incontri con le istituzioni locali (municipalità, comune, regione) e con il governo, incontri con operai di altri stabilimenti (quelli dell’indotto, di AVIO, della FCA, di Hitachi) e con operai del gruppo Whirlpool in altre città. “Non accetteremo nessun piano di reindustrializzazione né, men che meno, la chiusura - dice un operaio in presidio a Napoli - l’unica soluzione che prenderemo in considerazione è quella di tornare a svolgere il nostro lavoro di sempre”. Questa dichiarazione diventa la parola d’ordine degli operai in lotta, che impongono anche alle sigle sindacali di riferimento unità di posizioni nella trattativa con azienda e governo.

La lotta degli operai Whirlpool di Napoli diventa un caso nazionale: interventi televisivi, dichiarazioni pubbliche, promozione di iniziative e partecipazione a iniziative organizzate da forze sociali e politiche schierate in loro  solidarietà, cinque tavoli al Ministero dello Sviluppo Economico tra giugno e novembre 2019, dove gli operai hanno imposto la presenza delle RSU di stabilimento invece di lasciarli alle sole rappresentanze sindacali nazionali di categoria. Tavoli che mostrano bene il carattere contraddittorio e provvisorio del governo M5S-Lega prima e M5S-PD-LeU-IV oggi, stretti tra promesse elettorali e sottomissione alla borghesia imperialista.

Intorno agli operai in lotta è cresciuto un ampio e variegato movimento di solidarietà: la mobilitazione generale delle aziende dell’indotto, Delban di Napoli, Scamemediterranea di Sant’Angelo dei Lombardi (AV), Pasel di Forino e Montoro (AV), Comap di Carinaro (CA), che sono entrate in assemblea permanente con gli operai dello stabilimento-madre; la presa di posizione degli operai dell’AVIO di Pomigliano (NA), che hanno incontrato gli operai Whirlpool e lasciato davanti allo stabilimento uno striscione di solidarietà; i comunicati pubblici di organismi popolari come GAlleRi@rt e il Comitato Zona Est, la Consulta Popolare per la Salute e lo storico Comitato Vele di Scampia, il nascente nodo campano “Liberiamo l’Italia” e gli organismi studenteschi delle università; le prese di posizione dei commercianti di Napoli e Cosenza, tra le quali particolarmente significativa è stata quella del mobilificio Cirella Arredamenti, che ha lanciato una vera e propria campagna di boicottaggio esponendo in tutti i suoi punti vendita lo striscione “Cirella Arredamenti non vende più elettrodomestici Whirlpool”; l’azione congiunta e sinergica di organizzazioni politiche, da Potere al Popolo al PCI al P.CARC. E, ancora, iniziative di solidarietà in rapida sequenza e in diversi punti della città e del paese: il pranzo sociale organizzato e offerto dalla Rete di Solidarietà Popolare nel piazzale dello stabilimento; le lettere inviate da operai di altre città e altri settori produttivi come quelle degli operai Embraco di Riva di Chieri (TO), degli operai ex Rational di Massa, degli operai della Torre srl di Torrenieri (SI); l’istituzione di una Cassa di Resistenza Operaia con cui tantissimi, anche singoli cittadini e con cifre piccole, stanno sostenendo la lotta; le ripetute interrogazioni consiliari al Comune di Napoli, le prese di posizione del Presidente del Consiglio comunale, l’intervento del sindaco De Magistris all’assemblea pubblica di apertura della campagna di solidarietà Napoli non molla e perfino la riunione straordinaria del Consiglio regionale campano, in cui De Luca, che subito dopo l’annunciata chiusura aveva sentenziato “è il mercato”, ha messo all’ordine del giorno un finanziamento di 20 milioni di euro per il mantenimento del sito produttivo.

Alla vigilia del corteo cittadino indetto il 31 ottobre, giorno previsto per la chiusura e per il quale gli operai avevano organizzato il blocco dello stabilimento per impedirlo, Whirlpool ha fatto marcia indietro, seppur temporaneamente: la cessazione attività è rinviata di cinque mesi.

Adesso sono in programma nuovi tavoli al MISE per trovare soluzioni, soluzioni che gli operai hanno individuato: nazionalizzazione. Nelle assemblee sono gli operai stessi a ragionare sulle modalità e sulle leve da usare:

1. il governo può obbligare l’azienda a risarcire il danno sociale che provocherebbe l’abbandono del sito, facendo riferimento a quanto disposto della Costituzione della Repubblica Italiana (che sancisce all’art. 42 la funzione sociale della proprietà privata e, pertanto, il diritto di esproprio per interesse generale) e formando una nuova società pubblica, 2. il governo può chiedere alla Whirlpool, come forma di indennizzo agli operai e, più in generale, alla città di Napoli danneggiata nel suo movimento economico complessivo, la cessione di un brevetto di alta gamma oltre che degli impianti di produzione, rilevare la produzione sotto altro e nuovo marchio italiano e favorire la formazione di una nuova società cooperativa che avrebbe l’esclusiva di produzione e agevolazioni sul mercato nazionale interno,

3. il governo potrebbe multare pesantemente Whirlpool, che si rifiuterebbe di pagare, e a quel punto rilevare lo stabilimento senza indennizzo e, per impedire rappresaglie da parte dell’azienda magari in altri stabilimenti del paese, minacciare Whirlpool di interdire il mercato italiano ai suoi prodotti. Quindi una battaglia è stata vinta, adesso la guerra continua.

Un compagno del P.CARC