La Voce 62 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXI - luglio 2019

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La legge del valore-lavoro è storicamente superata

Pubblichiamo queste note di lettura dell’articolo La legge del valore-lavoro è storicamente superata - resta da superarla anche di fatto pubblicato in La Voce 41 (luglio 2012) perché da una parte l’autore espone in parole semplici e illustra con esempi attuali l’origine, recondita perché incomprensibile da chi non ha una concezione dialettica del mondo, della crisi generale che lacera la società attuale (illustrata in Rapporti Sociali 0 (Don Chisciotte) del 1985 sulla scorta del libro III di Il capitale cap. 13-15 e dell’analisi del corso delle cose nei decenni successivi alla stesura di Il capitale), dall’altra il compagno indica implicitamente la “chiave di lettura” dei risultati della sinistra del governo M5S-Lega nelle recenti elezioni europee, risultati che le hanno dato un salutare scossone e un insegnamento fecondo per chi lo raccoglierà.


La divisione del lavoro tra gli individui (di contro a “ogni individuo fa tutto”) e la collettivizzazione della produzione (oltre il gruppo basato sul legame di sangue o sulla contiguità territoriale), legate al furto del tempo di lavoro della massa dei proletari, sono storicamente i pilastri del modo di produzione capitalista.

Per tutto un periodo della storia il modo di produzione capitalista ha svolto un ruolo positivo: ha permesso di fare salti di qualità in avanti nelle condizioni materiali, morali e intellttuali della vita degli uomini e nel loro controllo sulla natura. Il lavoro eccedente (il pluslavoro) era la fonte dello sviluppo della ricchezza generale e la classe dominante, la borghesia, aveva nel suo aumento il fondamento del suo dominio.

Da quando il sistema capitalista è entrato nella fase imperialista, cioè nella sua fase terminale, il furto di pluslavoro (del tempo di lavoro che eccede quello necessario alla produzione dei beni e servizi usati dal lavoratore stesso) ha smesso di essere la fonte dello sviluppo della ricchezza generale. Al contrario è divenuto un ostacolo per lo sviluppo della società intera, in quanto l’iniziativa economica dei capitalisti si sviluppa soltanto laddove vi sono adeguati (per loro) margini di profitto (quindi di furto di lavoro eccedente).

Questa fonte è una fonte povera in confronto alla nuova fonte per lo sviluppo della ricchezza generale che lo stesso modo di produzione capitalista ha generato: l’operaio oggi non si presenta più come incluso nel processo produttivo, bensì come regolatore del processo produttivo. Infatti questi è passato dall’utilizzo dell’utensile come termine di mediazione tra sé e la natura, a trasformatore, attraverso un processo industriale, della natura. Quindi oggi il semplice utensile o strumento di lavoro viene sostituito da un intero processo industriale di cui l’operaio è sorvegliante e regolatore. In pratica quindi la ricchezza generale oggi si basa sull’individuo sociale e cioè quell’individuo che attraverso il modo di produzione capitalista si è “staccato” dalla produzione immediata ed è divenuto una piccola parte della produzione generale di ricchezza.

Fin tanto che il capitalista sarà il promotore della produzione, il lavoro necessario (cioè quello che al proletario è necessario per vivere) sarà subordinato alla produzione del pluslavoro, cioè ciò che è necessario alla società sarà prodotto solo se dà luogo a un certo margine di profitto (attraverso il furto di lavoro eccedente) che andando avanti nella fase terminale del capitalismo le pubbliche autorità e le stesse relazioni sociali instaurate dal capitalismo non sono più in grado di garantire se non attraverso l’erosione ed eliminazione dei diritti conquistati dalle lotte operaie e proletarie e la crescente competizione tra capitalisti, gruppi di capitalisti e Stati.

Le forze produttive sociali e le relazioni sociali per il capitale sono un mezzo, un mezzo di cui non può fare a meno. Di contro sono le condizioni materiali (oggettive, storicamente determinate) per il superamento del capitalismo stesso perché base dell’esistenza della società intera. Pertanto finché le forze produttive sociali restano proprietà dei capitalisti, la società non si sviluppa secondo le potenzialità che la base dell’individuo sociale (che ricordiamo è reso tale dallo stesso modo di produzione capitalista) offre. Al contrario, se fa passi in avanti su un aspetto, ne fa due indietro in un altro (basti pensare alle grandi costruzioni di centinaia di piani nelle metropoli imperialiste e nelle principali città del mondo e alle baraccopoli che le affiancano, oppure alle auto elettriche e a emissioni zero alle quali si affiancano deforestazioni indiscriminate e territori dichiarati non bonificabili).

Lo studio di questo testo permette di comprendere più a fondo i limiti della sinistra borghese che in Italia in definitiva promuove ricette che mostrano (mettono in luce, confermano) l’incapacità di uscire dal confine della società borghese.

Mi viene da pensare in particolare alla questione dei robot, quindi della produzione robotizzata che è, ad oggi, la massima espressione del “distacco” dell’operaio dal processo produttivo vero e proprio di cui si parlava precedentemente. I robot oggi, nella visione della sinistra borghese, o sono demonizzati imputando loro la colpa della precarietà, o sono enfatizzati tralasciando l’analisi delle ricadute sul piano occupazionale che inevitabilmente, al di là dei robot, lo sviluppo delle forze produttive ha in termini generali. Nella migliore delle ipotesi la sinistra borghese parla di appropriazione da parte dei lavoratori del processo produttivo, ma il come è tutto un mistero.

Lo sviluppo delle forze produttive è un aspetto positivo che non può essere eliminato (lo sviluppo della società, che si basa sulla produzione di ricchezza, non torna indietro). Sulla base di questa affermazione, che è una verità oggettiva in senso generale, possiamo dire che;

- chi si affanna a condannare l’utilizzo dei robot nella produzione, in definitiva auspica un ritorno al capitalismo dal volto umano, controllato dallo Stato, in cui in definitiva anche il progresso tecnologico non potrebbe svilupparsi in maniera lineare. Non è in grado di mettere in relazione lo sviluppo delle forze produttive con la riduzione del tempo di lavoro necessario generale. Il “lavorare meno lavorare tutti” della sinistra borghese è una rivendicazione che la borghesia usa per dividere la povertà tra i proletari;

- chi osanna l’utilizzo dei robot banalizzando la ricaduta occupazionale e promuovendo ricette che in definitiva sono ammortizzatori sociali, senza promuovere la mobilitazione dei lavoratori per prendere in mano la produzione, sostiene i padroni nella ricerca del profitto a ogni costo.

Dopo la lettura del testo di La Voce 41 mi è chiaro che lo sviluppo delle forze produttive ha come tendenza oggettiva la riduzione del lavoro necessario in funzione del plusvalore (del tempo di lavoro eccedente), ed è quindi comprensibile perché oggi lo sviluppo delle forze produttive (e dell’individuo sociale) non è più compatibile con il modo di produzione capitalista.

Infatti guardiamoci intorno e vediamo quanto lavoro è necessario fare per migliorare le condizioni di vita delle masse popolari (e in alcuni casi perfino per garantire le condizioni di vita minime necessarie). Basta metterlo in rapporto a quanti individui il modo di produzione capitalista invece espelle dalla produzione, per comprendere che non sono gli ammortizzatori sociali o il ritorno a metodi produttivi antiquati che risolvono il problema della disoccupazione, bensì la conquista da parte dei lavoratori del processo produttivo generale in modo tale che venga prodotto ciò che serve, che si svolgano i lavori che servono.

Sono i lavoratori e la classe operaia organizzata che devono avere l’iniziativa in campo economico, promuovere la produzione di ciò che serve alla società e alle classi oppresse. Ma questo senza un governo di emergenza che si faccia promotore degli interessi delle masse popolari organizzate non può accadere.

Ogni proposta della sinistra borghese proprio perché resta nell’ambito delle relazioni e istituzioni politiche fondate e imposte dalla borghesia (perché confacenti ai suoi interessi) o finisce nel dimenticatoio o devia sul terreno borghese: in definitiva frena il movimento rivoluzionario e media tra interessi di classe contrapposti.

Per questo è necessario un governo che sostenga i lavoratori e che sia sostenuto dai lavoratori nella lotta contro la borghesia imperialista. Nella lotta per il Governo di Blocco Popolare noi dobbiamo portare le masse popolari a far fare alla borghesia ciò che non vuole fare, dobbiamo portare la sinistra dello schieramento borghese a mettersi al servizio delle masse popolari o a mostrare il proprio vero volto (smascherarsi). Nell’attuale fase politica di crisi profonda del sistema delle Larghe Intese, gli esponenti del governo si trovano davanti a due scelte: sostenere le mobilitazioni delle masse popolari dall’alto promuovendo azioni di governo conformi ai loro interessi (e contro quelli della borghesia) oppure mostrare il vero volto dello Stato borghese che è organizzato e amministrato per garantire profitti alla borghesia.

Non vi sono oggi i margini di “conciliazione” tra borghesia e proletariato, è la crisi che non concede sconti.


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Due deviazioni che sono nell’aria


Quando consideriamo il rapporto tra le masse popolari e in particolare la classe operaia e i comunisti, ai fini della lotta di classe che è compito di noi comunisti spingere in avanti fino all’instaurazione del socialismo, dobbiamo guardarci da due deviazioni che nei paesi imperialisti “respiriamo con l’aria”, tanto sono correnti.

- Trascurare, sottovalutare e non valorizzare la resistenza che spontaneamente le masse popolari oppongono al corso delle cose imposto dalla borghesia imperialista. Questa resistenza è la più larga base su cui dobbiamo far leva nel nostro lavoro di massa. Dobbiamo imparare a vederla, capire la sue varie espressioni e, per ognuna, a cosa si presta, prendere le iniziative utili a farla crescere a un livello superiore. Chi ritiene di poterne fare a meno, si condanna alla sconfitta.

- Attribuire alle masse popolari la capacità di andare verso l’instaurazione del socialismo da sole, senza l’intervento dei comunisti. Un compagno ci scrive che “la classe operaia sta cercando di riprendersi anche se con enormi difficoltà”: no, compagno! La verità è che noi comunisti abbiamo enormi difficoltà (capacità di vedere e di capire, dedizione alla causa, esperienza, numero) a valorizzare la resistenza delle masse popolari, ne valorizziamo una parte minima.

Attribuire alla classe operaia un ruolo che essa può svolgere solo se i comunisti sono all’altezza del loro ruolo, vuol dire esimersi dallo svolgere il proprio ruolo e dal darsi i mezzi per svolgerlo.

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I sindacati di regime asserviti alla borghesia imperialista insinuano e alimentano nella classe operaia la concezione che l’innovazione fa bene perché “aumenta la produttività”. Questa affermazione dimostra tutto l’opportunismo (servire la borghesia facendo mostra di servire i lavoratori) di questi sindacati. L’innovazione fa bene perché riduce i tempi di lavoro necessario, perché riduce la fatica e può garantire più sicurezza sul lavoro, mentre l’aumento della produttività è positivo soltanto per i padroni!

Quando i capitalisti minacciano di tagliare sul personale in vista di ristrutturazioni, i sindacati di regime si appellano al governo di turno:

- “Ci vogliono più investimenti!” dicono, alludendo al fatto che devono essere le autorità di governo a compensare l’abbassamento dei profitti dei capitalisti.

- “Bisogna salvaguardare i lavoratori!” dicono, mentre sottobanco li lasciano in pasto agli ammortizzatori sociali.

In sintesi lo Stato attraverso le autorità di governo dovrebbe farsi garante della conciliazione tra classe operaia e borghesia, garante della coesistenza di interessi contrapposti.

Così facendo da una parte staccano la lotta della classe operaia dalla lotta contro i capitalisti (prendendosela con il governo che non tutela assieme interessi di operai e capitalisti). Ma contemporaneamente dimostrano alla stessa classe operaia che i governi asserviti alla borghesia non garantiscono un bel nulla alle masse popolari; se sostengono una parte delle masse popolari, lo fanno attraverso l’attacco ad altre classi delle masse popolari (pensionati, studenti, immigrati, lavoratori autonomi e artigiani, piccoli proprietari, ecc.).

I padroni per fare profitti alle spalle delle masse popolari hanno bisogno di un governo a loro asservito, che non può coincidere con il governo di cui le masse popolari hanno bisogno. L’attacco alla destra di governo (e alle misure antipopolari che promuove) e il sostegno alla sinistra di governo (e alle misure concretamente emergenziali in favore delle masse popolari che promuove) alimentano il distacco tra esso e la borghesia, mettono il governo nella condizione di dover scegliere se essere credibile agli occhi delle masse popolari o agli occhi dei padroni, alimentano in definitiva la crisi politica. Ma per andare fino in fondo la classe operaia deve prendere in mano le aziende e far tremare i padroni ora che non hanno il pieno e incondizionato controllo del governo. Le rivendicazioni cadono nel dimenticatoio e i sindacati di regime sono i pompieri migliori in questi casi. La linea di occupare le aziende e di costruire OO e OP fa mettere i piedi per terra alle tante promesse della sinistra di governo che finché resterà tentennante farà di fatto gli interessi della borghesia imperialista.

Così come è storicamente superata la legge del valore-lavoro, è storicamente superato il ruolo delle istituzioni politiche borghesi.

Giorgio G.