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del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXI - marzo 2019

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Le origini e la natura della crisi generale del capitalismo



Quando parliamo della prima crisi generale del capitalismo (quella delle due Guerre Mondiali, della Rivoluzione d’Ottobre e della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria 1917-1976), siamo soliti dire che è iniziata nel primo decennio del secolo scorso.

In realtà Federico Engels, nella Prefazione dell’edizione inglese del libro I di Il capitale scritta nel 1886, delinea già chiaramente l’inizio della prima crisi generale, anche se non ne comprende ancora l'origine, la natura e il ruolo storico. Riferendosi al complesso dei paesi nei quali il rapporto di capitale dominava già in campo economico (detto nel linguaggio marxista: nei quali il capitale aveva già sussunto formalmente il complesso delle attività economiche) scrive:

Mentre la forza produttiva cresce in proporzione geometrica, l’ampliamento dei mercati procede, nella migliore delle ipotesi, in proporzione aritmetica. Il ciclo decennale di ristagno, prosperità, sovrapproduzione e crisi, che dal 1825 al 1867 si era regolarmente riprodotto, sembra, è vero, esaurito ; ma solo per farci approdare nella palude senza speranza di una depressione duratura e cronica. L’agognato periodo di prosperità stenta a venire ; ogni qualvolta crediamo di intravederne i segni premonitori, eccoli andare nuovamente in fumo [pag. 56 di Le Idee 93 Ed. Riuniti, VIII ed. giugno 1974].

Oggi noi ci gioviamo della conoscenza della storia dei decenni successivi a quando Engels scrisse queste righe. Risulta oggi evidente che in quella palude che Engels constata nel 1886, la società borghese è cresciuta dimenandosi per far fronte ai suoi guai (ogni capitalista deve valorizzare il suo capitale e si scontra con i proletari che assolda e con i capitalisti concorrenti nella gara ad essere competitivi: chi perde muore ; la classe dei capitalisti deve mantenere sottomesse le classi oppresse e far funzionare l’intera società) sviluppando già negli ultimi decenni del secolo XIX a livelli crescenti e su scala via via più ampia le caratteristiche economiche, politiche e culturali della fase imperialista del capitalismo. In L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (scritto nel 1916 e pubblicato per la prima volta nell’aprile 1917) Lenin illustra in dettaglio anche nel loro sviluppo cronologico le cinque principali caratteristiche economiche: 1. nella produzione di merci i monopoli hanno reso marginale la libera concorrenza tra capitalisti ; 2. il capitale finanziario ha preso la direzione del capitale impiegato nella produzione di merci e ne ha fatto un suo strumento ; 3. l’esportazione di capitali ha preso il sopravvento sull’esportazione di merci ; 4. le maggiori potenze capitaliste si sono suddivise tra loro il mondo e hanno instaurato il sistema coloniale (la Conferenza di Berlino per la spartizione dell’Africa si svolge tra novembre 1884 e febbraio 1885) ; 5. pochi grandi monopoli si dividono tra loro la produzione mondiale delle merci più importanti.

Questo corso delle cose sfocerà nella Prima Guerra Mondiale (1914-1918) ed essa darà inizio alla prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (1917-1976). L’esaurimento della prima ondata darà inizio al quarantennio della seconda crisi generale con la quale siamo ora alle prese.

Engels però nella Prefazione del 1886, la lunga depressione e le vie già imboccate dalla borghesia per farvi fronte non le connette con la sovrapproduzione assoluta di capitale che Marx aveva trattato nei capitoli 13, 14 e 15 del libro III di Il capitale , che Engels consegnerà alle stampe nel 1894. In quei capitoli Marx aveva illustrato sia la tendenza intrinseca del capitalismo alla sovrapproduzione (sovraccumulazione) assoluta (cioè non limitata ad alcuni settori, ma estesa all’intera economia) di capitale (dovuta a sua volta alla caduta tendenziale del saggio del profitto (1) connaturata al modo di produzione capitalista delle merci) che prima o poi sarebbe diventata un fattore determinante del corso delle cose, sia le misure a cui per loro natura i capitalisti ricorrevano per ritardare lo sbocco catastrofico di esso. (2) I nostri lettori possono trovare una sintesi dei tre capitoli di Marx in Rapporti Sociali n. 8 (novembre 1990), Marx e la crisi per sovrapproduzione di capitale e un’illustrazione esauriente della crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale nell'Avviso ai naviganti 8 - 21 marzo 2012.

La connessione non venne fatta da Engels, ma neanche dai dirigenti comunisti negli anni successivi alla pubblicazione del libro III di Il capitale , neanche da Lenin, (3) nonostante l’intenso dibattito che si svolse tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX sul corso delle cose. In esso intervennero, oltre a Lenin, anche R. Hilferding ( Capitale finanziario , 1910), Rosa Luxemburg ( L’accumulazione del capitale , 1913), N. Bukharin ( L’imperialismo e l’economia mondiale , 1916) e tanti altri marxisti.


1. Il saggio del profitto è il rapporto tra la quantità di plusvalore (pluslavoro) e l’intero capitale (costante [materie prime e mezzi di produzione] e variabile [salari]) anticipato dal capitalista. Il saggio diminuisce perché ogni capitalista deve aumentare la produttività dei suoi operai. Di conseguenza il numero di operai (e quindi il pluslavoro che il capitalista può loro far fare) aumenta proporzionalmente sempre meno di quanto cresce la quantità delle materie prime e dei mezzi di produzione (quindi il capitale costante).


2. Marx non arrivò alla sovrapproduzione assoluta di capitale elaborando l’esperienza come aveva fatto per le crisi cicliche, ma riuscì a prevedere che il capitalismo sarebbe entrato in crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale sulla base della comprensione delle leggi di funzionamento del modo di produzione capitalista (allo stesso modo in cui in vari campi della scienza astronomia, fisica, chimica, ecc. gli scienziati hanno previsto l’esistenza di elementi e l’avverarsi di fenomeni prima di poterli constatare sperimentalmente).


3. A proposito di Lenin, dobbiamo tenere presente che conosceva a fondo il movimento socialista europeo e USA, ma a ragion veduta non si è mai posto il compito di studiare a fondo le condizioni della lotta di classe in Europa e negli USA.


Questa lacuna nella comprensione delle condizioni della lotta di classe rientra in quella incomprensione del marxismo a mezzo secolo dalla morte di Marx a cui Lenin accenna nei suoi appunti del dicembre 1914 ( Quaderni filosofici pag. 167 Ed. Riuniti, 1969) e ha contribuito a quei limiti nella comprensione del corso delle cose che impedirono che il movimento comunista cosciente e organizzato instaurasse il socialismo nei paesi imperialisti nel corso della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (1917-1976). Nei paesi imperialisti il maggior teorico comunista del periodo della prima ondata è stato Antonio Gramsci e neanche lui fece la connessione tra le manifestazioni politiche e culturali della crisi generale e il processo economico della società capitalista. In proposito rimandiamo al supplemento a questo numero di La Voce Gramsci e la crisi generale del capitalismo di prossima pubblicazione.

Engels, e dopo di lui Lenin e Stalin, hanno 1. capito che il capitalismo era entrato in una fase nuova e 2. individuato le sue caratteristiche economiche e politiche. Non hanno però compreso che l’origine della nuova fase era la sovrapproduzione assoluta di capitale scoperta da Marx. Sono quindi stati come medici brillanti che, a fronte di un’epidemia sconosciuta, analizzando la situazione hanno 1. capito che non si trattava di una delle epidemie già note e 2. individuato le sue caratteristiche principali, ma non sono risaliti alla causa fondamentale. Questo, tornando a Engels, Lenin e Stalin, non ha loro permesso 1. di prevedere oltre un certo livello il corso delle cose e 2. di dirigere adeguatamente i comunisti della loro epoca (Seconda e Terza Internazionale). Per quanto riguarda le conseguenze di questa lacuna, è emblematico che i comunisti rimasero sorpresi dagli eventi:

- dall’avvento e durata del fascismo in Italia e del nazismo in Germania,

- che alla fine della Seconda Guerra Mondiale si aspettavano una ripresa della crisi economica, invece della ripresa dell’accumulazione di capitale. I revisionisti moderni, fautori della via pacifica al socialismo, della collaborazione del campo socialista con il campo imperialista, della selezione nei paesi socialisti dei dirigenti sulla base dei loro risultati in termini di rendimento economico e di soluzione dei compiti immediati invece che in termini di avanzamento della costruzione del socialismo, (4) sfruttarono l’errore di analisi della sinistra a favore della loro tesi che le società borghesi erano entrate in una fase di stabile sviluppo progressista in campo economico e politico e dell’interpretazione del capitalismo dal volto umano (1945-1975) come segnale che i due sistemi sociali convergevano.


4. In proposito vedere a La Carta dell’acciaieria di Anshan (1960) in Opere di Mao Tse-tung vol. 18, (Edizioni Rapporti Sociali).


La comprensione dell’origine e della natura della prima crisi generale del capitalismo è determinante per capire la storia politica e culturale del secolo scorso e trarne insegnamenti per far fronte oggi con successo alla seconda crisi generale in corso, in cui siamo coinvolti da circa quarant’anni a questa parte, farne il terreno in cui si sviluppa la rivoluzione socialista e porre fine alla crisi con l’instaurazione del socialismo. Oggi sia la destra che la sinistra borghesi di fronte alla crisi persistente elaborano, propagandano e mettono in opera cure che non tengono conto della fonte e della natura della crisi. Sia le cure basate sulla teoria dell’offerta (il governo deve prendere misure che aumentano i profitti ai capitalisti che impiegano proletari nella produzione di merci), sia quelle basate sulla teoria della domanda (il governo deve elargire soldi ai proletari e agli altri lavoratori in modo che aumentino il loro consumo e quindi comprino più merci) confermano il carattere collettivo assunto dall’economia. Ma né le une né le altre hanno posto né porranno fine alla crisi perché, dopo l’esaurimento della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria, l’iniziativa in campo economico è di nuovo nelle mani dei capitalisti e il motore dell’economia capitalista (ciò che spinge un capitalista a impiegare proletari) non è la produzione di merci ma la produzione di profitti: l’intoppo sta proprio nel fatto che oltre certi limiti l’aumento della produzione di merci non determinerebbe aumento bensì diminuzione della massa dei profitti e nessun capitalista assume più operai per avere meno profitto. La competizione e la corsa a essere più competitivi spostano la crisi da un paese a un altro, ma non vi pongono fine.

Oggi la produzione di merci è un’appendice del capitale finanziario e speculativo, quindi la ricchezza della società borghese si presenta sempre meno come “un’immane raccolta di merci” (valori d’uso, beni o attività ognuno dei quali soddisfa un bisogno ma viene prodotto in quanto portatore di valore di scambio, in pratica come prodotto vendibile) e si presenta invece sempre più come “un’immane raccolta di denaro”. E, siccome per sua natura il denaro può aumentare di quantità oltre ogni limite, mentre la quantità di merci non lo può, questo altera anche la natura delle merci. Esse sono infatti sempre meno intese a soddisfare bisogni creati dallo sviluppo generale della società umana (lo sviluppo della civiltà rese bisogni da soddisfare la produzione di utensili, armi, carta, costruzioni, ecc.) e sempre più intese a creare nuovi bisogni nella popolazione che ha potere d’acquisto, per aumentare la massa di denaro che la loro vendita accumula nelle mani di ogni singolo capitalista. Le grandi opere inutili e dannose (TAV, TAP, Ponte sullo Stretto di Messina, ecc.), i beni rapidamente obsoleti o comunque deperibili, l’imballaggio (con l’enorme uso di materie plastiche) e la pubblicità, la presentazione della merce che prevale sulla sua qualità con tutto quello che ne consegue: queste e altre simili sono le leggi che determinano quantità e qualità delle merci prodotte. La borghesia non si limita a soddisfare i bisogni creati dallo sviluppo generale dell’umanità, ma nei limiti consentiti dalla divisione della società in classi di oppressi e oppressori plasma il sistema di relazioni sociali e di condotte individuali su misura delle merci di cui, per valorizzare il suo capitale, di sua iniziativa ogni capitalista riesce a imporre l’uso, con il risultato che “tutti” deprecano. Tutto ciò aggrava la crisi morale e intellettuale delle masse popolari dei paesi imperialisti. Per vendere, infatti, la borghesia non soddisfa solo bisogni, ma crea sempre nuovi bisogni scollegati dalle attività necessarie per vivere e progredire: introduce la tecnologia 5G (trasmissione potenziata di dati ai cellulari) mentre anche nei paesi imperialisti aumentano le persone che non possono accedere alle cure mediche. È come un produttore di cibo che per vendere di più, in mille modi induce le persone a spendere i soldi che hanno per ingozzarsi, incurante della loro salute e della loro vita.

Il modo di produzione capitalista è sorto e ha soppiantato gli altri modi di produzione (anch’essi basati sulla divisione dell’umanità in classi di sfruttati e di sfruttatori, di oppressi e di oppressori), come modo di produzione atto ad aumentare la produttività del lavoro, cioè ad aumentare la quantità di beni che gli uomini producevano in un dato tempo di lavoro e quindi atto a rendere gli uomini complessivamente più liberi dalla natura e più ricchi in termini di tempo e di mezzi per esercitare attività umane superiori (dalle quali però restava e resta esclusa la massa della popolazione). La crisi generale del capitalismo elimina questi presupposti del successo del capitalismo e rende la sua sostituzione una necessità per la sopravvivenza della specie umana.

La sovrapproduzione assoluta di capitale genera il disastro ecologico, lo sfruttamento delle donne ridotte a strumento della pubblicità e a oggetto sessuale, la deformazione psicologica, intellettuale e morale della nuova generazione e il suo maltrattamento, la criminalità gratuita (cioè senza le motivazioni che l’insufficienza della produzione dava un tempo alla guerra e alla criminalità), l’insicurezza generale e l’uso diffuso di droghe che solo demagoghi come Salvini & C. forse davvero sono convinti di curare con più poliziotti e pene maggiori, l’emigrazione che supera di gran lunga quella dell’inizio del secolo scorso (quando dalla sola Italia con una popolazione minore alla metà di quella attuale nei 60 anni successivi all’Unità emigrarono più di 15 milioni di lavoratori a un ritmo annuale che nel 1900 superò i 350 mila emigranti permanenti registrati - Del Carria Proletari senza rivoluzione , vol. 1 Ed. Oriente 1966, pagg. 251-252).

Ma le trasformazioni indotte dalla crisi a loro volta fanno crescere la resistenza spontanea delle masse popolari al corso delle cose e aumentano i potenziali alleati del proletariato nella rivoluzione socialista. L’oppressione suscita una resistenza spontanea, allarga il divario tra le masse popolari e la classe dominante. Le masse popolari imparano dalla loro esperienza: non sono “manipolabili all’infinito”, come pensa la sinistra borghese e come teorizzano gli intellettuali del “controllo sociale totale” (Renato Curcio & C.).

Questa resistenza spontanea che, a causa della sua crisi, la borghesia non può cessare di alimentare, è il terreno che ha bisogno dell’opera di noi comunisti per diventare una marea montante e spazzare via il sistema capitalista.


Ernesto V. e Nicola P.


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Sussunzione formale e sussunzione reale nel capitale


1. Produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza

L’economia è l’insieme delle attività con cui gli uomini producono e riproducono le condizioni materiali dell’esistenza (quello che usano per vivere). La produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza è l’attività intorno alla quale si è sviluppato il resto della civiltà umana: questa è la sintesi del materialismo storico, la concezione della storia elaborata da Marx ed Engels (trascuriamo qui la marea di considerazioni che sono state fatte successivamente sulla natura, deterministica o dialettica, della relazione tra le attività economiche e le altre attività umane).

Gli uomini si differenziano dagli animali perché oltre a produrre quanto usano per vivere, creano anche le condizioni per riprodurlo: non si limitano a prendere dalla natura quanto occorre loro per sopravvivere. È questa caratteristica che ha permesso all’uomo di differenziarsi sempre di più dagli altri animali e di sviluppare la civiltà umana.

Le condizioni materiali dell’esistenza mutano di epoca in epoca, esprimono il grado di civiltà raggiunto, i bisogni che le classi dominanti elaborano e quelli che inducono nelle classi oppresse (attualmente la borghesia crea spasmodicamente bisogni per estendere i campi per valorizzare il suo capitale), ecc. Le condizioni materiali dell’esistenza sono quindi “storicamente definite” e non fisse, immutabili nel tempo (ad es. gli uomini nel Medioevo non avevano il riscaldamento centralizzato della casa, il frigo, la TV, il computer, l’auto, ecc.).


2. Modi di produzione

Sulla spinta della lotta per la produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza, nella storia dell’umanità si sono susseguiti vari modi di produzione (i principali sono stati: comunismo primitivo, schiavistico, asiatico, feudale, borghese). Nei modi di produzione si combinano due aspetti: 1. l’attività che il lavoratore svolge (il lavoro che fa) e 2. i rapporti in cui entra con le altre persone nell’ambito della produzione (i “rapporti di produzione”, caratteristici di ogni modo di produzione).


3. Contenuto e forma del processo produttivo

Nella produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza (dunque nel processo lavorativo) bisogna distinguere tra contenuto e forma.

Il contenuto del processo produttivo è il lavoro che viene svolto (ad es. il contadino che ara il campo, semina, irriga, raccoglie i frutti, ecc.).

La forma del processo produttivo sono i rapporti nell’ambito dei quali il lavoratore svolge la sua attività. Ad esempio (se consideriamo il corso della storia) un contadino può svolgere lo stesso lavoro, ma: 1. per autoconsumo (quindi unicamente per il consumo suo e della sua famiglia), 2. come schiavo, 3. al servizio di un nobile feudale, 4. per un capitalista.


4. Sussunzione formale e sussunzione reale delle attività economiche nel capitale

Il capitalismo ha inglobato attività produttive che esistevano nei modi di produzione precedenti e ne ha create di nuove, produce cose che si producevano anche prima (cibo, vestiti, abitazioni, ecc.) e cose che prima non si producevano (radio, servizi sanitari, trasporti, internet, ecc.). Le attività produttive che già esistevano hanno subito un processo di sussunzione formale o di sussunzione reale.

La sussunzione formale consiste nell’assenza di variazione del contenuto del processo lavorativo ma nella trasformazione del rapporto tra i lavoratore e il resto della società: ad es. il contadino passa da lavorare il suo pezzo di terra per l’autoconsumo o al servizio del nobile feudale a lavorare per un capitalista, quindi diventa un lavoratore salariato, un bracciante. Il suo lavoro però al momento rimane invariato.

La sussunzione reale consiste nella trasformazione da parte del capitalista del contenuto del processo lavorativo: introduce nuovi ritmi di lavoro, aumenta (o riduce anche) il numero di lavoratori, li riunisce in aziende, li fa lavorare insieme alla catena, adotta nuovi macchinari, cambia cosa si produce, ecc. per incrementare la valorizzazione del capitale (per aumentare la produttività del lavoro). Ad es. il contadino in questo caso passa dal lavoro senza macchinari, con un uso ridotto di fertilizzanti, con una coltivazione non intensiva, ecc. ad un lavoro con strumenti moderni, uso di agenti chimici, maggiore produttività, minori pause, ecc.

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