La Voce 61 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXI - marzo 2019

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La lotta tra le linee nel Partito è un mezzo indispensabile per elaborare la linea giusta

Una premessa in tre punti…

1. Noi siamo tanto più liberi nell’azione, la nostra attività è tanto più proficua e feconda di risultati che corrispondono ai nostri obiettivi, quanto più gli obiettivi che consapevolmente perseguiamo sono conformi alle leggi di sviluppo proprie del mondo che vogliamo trasformare, quanto più giusta e avanzata è la nostra conoscenza della leggi proprie del mondo in cui operiamo e quanto più la nostra azione si avvale di esse. Questo principio vale in ogni campo dell’attività umana (nelle costruzioni, nella medicina, nell’industria e in ogni altra) e oggi è universalmente accettato: esso vale anche per chi vuole trasformare la società capitalista e porre fine all’attuale catastrofico corso delle cose. Qui però non è universalmente accettato, perché contrasta con gli interessi delle classi dominanti, quindi esse, in questo campo più che altrove, seminano confusione, disinformazione e intossicazione (esse chiamano “libertà” la libertà dei loro esponenti di opprimere le masse popolari). In realtà però anche lo sviluppo della specie umana è un processo che si è svolto e si svolge secondo leggi sue proprie.

2. Gli uomini hanno sempre fatto la loro storia, ma non consapevolmente. La società attuale è il risultato del percorso che gli uomini hanno fatto, senza avere coscienza di dove li avrebbero condotti le strade che via via imboccavano. Il corso delle cose imposto dalla borghesia non è frutto di un piano consapevolmente elaborato e di un progetto perseguito: è la risultante degli sforzi di ogni singolo capitalista per valorizzare il suo capitale e dell’azione delle istituzioni che i capitalisti creano per mediare tra il carattere collettivo dell’attività umana ormai affermato e la proprietà privata capitalista (le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale, per usare la denominazione che Marx diede a queste istituzioni).

L’insieme delle leggi del processo che gli uomini hanno compiuto costituisce la scienza fondata da Marx ed Engels all’inizio del secolo XIX: il materialismo storico è una di esse. Sono (come per ogni altro campo dell’attività umana) leggi che gli uomini possono scoprire elaborando l’esperienza e sperimentando. L’esistenza di leggi non contrasta con la libertà dei singoli individui, come una rete stradale non contrasta con la libertà di ogni individuo nello spostarsi, con la sua libertà di scegliere la strada da prendere: ogni individuo sceglie tra le opzioni che presenta il sistema stradale su cui egli si sposta (questa è la combinazione tra la libertà dell’individuo di scegliere e la necessità posta dal sistema stradale).

3. Fare consapevolmente la storia implica conoscere quali opzioni la società attuale presenta e scegliere a ragion veduta. Per questo Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista (1848) hanno scritto che i comunisti si distinguono da tutti gli altri che si applicano a trasformare la società capitalista, perché hanno una comprensione superiore delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe e si giovano di questa comprensione per spingere in avanti la lotta del proletariato, fino a realizzare il risultato che il capitalismo ha reso possibile e che dà soluzione ai bisogni che il capitalismo stesso ha fatto sorgere: l’estinzione della divisione dell’umanità in classi e la creazione della società comunista che aprirà una nuova fase della storia della specie umana.(1)


1. A proposito del percorso che l’umanità ha di fronte a sé, rimandiamo alla celebre lettera di Marx a Weydemeyer (5 marzo 1852) che i lettori di La Voce già conoscono (vedi n. 58, pagg. 19-21).


I comunisti si distinguono, cioè, da personaggi e organismi (Potere al Popolo è il caso esemplare) che dichiarano (e diamo per scontata la sincerità delle loro parole) di voler cambiare il corso delle cose (porre fine alla miseria e alla disoccupazione, all’oppressione dei popoli, delle classi e delle donne, al maltrattamento dei bambini, al disastro ecologico, ecc.) ma si guardano bene dall’analizzare le origini e i motivi di questo corso delle cose, non si preoccupano di capire se gli obiettivi particolari in cui essi traducono l’obiettivo generale sono conformi alle opzioni che la società attuale offre e di scoprire quali sono le vie per realizzarli.


Il partito comunista non definisce il suo obiettivo strategico sulla base del buon senso comune: lo ricava dalla scienza della storia che stiamo facendo, cioè dal marxismo-leninismo-maoismo.


Noi comunisti non scegliamo a caso né i nostri obiettivi, né la via per realizzarli, ma procediamo come, ad esempio, si procede nell’edilizia: a nessuno viene l’idea di decidere a caso la forma dell’edificio da costruire e i mezzi e i lavori necessari per costruirlo.

La borghesia fa quanto le riesce per impedire che la massa delle classi oppresse conosca e sia in grado di elaborare la via da seguire per la propria emancipazione. L’ignoranza delle classi oppresse, l’intossicazione intellettuale, sentimentale e psicologica, la disinformazione sono indispensabili ai capitalisti e al clero per mantenere il loro dominio.

I comunisti sono quegli individui che alla scuola del Partito imparano la scienza della trasformazione della società borghese e si rendono capaci di mobilitare e guidare le masse ad applicarla passo dopo passo: le masse imparano quella scienza principalmente man mano che la mettono in pratica spinte dall’esperienza diretta dell’oppressione di classe e dalla guida dei comunisti. Per questo noi comunisti sosteniamo che senza teoria rivoluzionaria non c’è movimento rivoluzionario, che i comunisti non devono agire alla cieca ma elaborare la scienza della rivoluzione e verificarla e usandola nel concreto.

La lotta tra le linee nel Partito è un mezzo indispensabile per elaborare la linea giusta. La linea giusta non è istintiva, non cade dal cielo, non è fissata in dettaglio una volta per tutte.

L’instaurazione del socialismo è l’obiettivo del proletariato. Durante la prima ondata della rivoluzione proletaria sollevata nel mondo intero dalla vittoria della Rivoluzione d’Ottobre, il movimento comunista cosciente e organizzato (impersonato dall’Internazionale Comunista e dalle sue sezioni nazionali) non ha instaurato il socialismo in tutto il mondo e in particolare in nessun paese imperialista: significa che non aveva una comprensione, avanzata quanto i risultati raggiunti lo richiedevano, delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe.

La rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato implica che noi scopriamo e superiamo i limiti del vecchio movimento comunista.

L’esaurimento della prima ondata non è questione di cattiva volontà e di tradimento di individui e gruppi: è questione di insufficiente comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe della quale l’IC aveva preso la direzione.

Le celebrazioni del centenario della fondazione dell’IC e di quello del Biennio Rosso presenteranno molte occasioni per intervenire a proposito degli insegnamenti che l’esperienza della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria dà per la lotta che conduciamo. Dobbiamo contrastare con chiarezza la tendenza a trattare i problemi di linea come problemi morali o di tradimento.

Un caso esemplare in tal senso è la relazione sul bilancio della linea seguita dal PCI presentata dal PC (Italia) di Marco Rizzo alla Conferenza di Istanbul (16-17 febbraio 2019) dei partiti e gruppi dell’Iniziativa dei Partiti Comunisti e Operai d’Europa. Il relatore Guido Ricci

- riconosce che il PCI in definitiva ha tenuto una linea fallimentare (la sua relazione è intitolata Il fallimento della strategia di collaborazione con i governi borghesi dopo la Seconda Guerra Mondiale) e che nel PCI vi sono stati di fase in fase indirizzi divergenti. Ma si affretta a dire che sia i sostenitori di un indirizzo che quelli dell’indirizzo opposto avevano delle buone ragioni, come se fosse possibile sostenere una tesi sfavorevole alla rivoluzione socialista senza addurre buone ragioni. Gli opposti indirizzi erano quindi egualmente legittimi e Guido Ricci si premura di affermare che nessuno era espressione del tradimento degli obiettivi e dei propositi dei comunisti;

- riconosce che in definitiva il PCI è venuto meno al suo compito e al proposito dichiarato di instaurare il socialismo in Italia e di contribuire così alla vittoria della rivoluzione socialista nel mondo, al successo dell’ondata della rivoluzione proletaria sollevata nel mondo intero dalla vittoria della Rivoluzione d’Ottobre in Russia. Ma non vede connessione tra i differenti e opposti indirizzi e la comprensione delle condizioni in cui si svolgeva la lotta. Esclude, non vi accenna neanche, come se non fossero mai state enunciate, la lotta tra due linee nel Partito (uno dei sei principali apporti del maoismo al patrimonio scientifico del movimento comunista) e le tre contraddizioni del processo conoscitivo dei comunisti: tra l’influenza delle due classi che hanno interessi antagonisti (proletariato e borghesia), tra nuovo e vecchio, tra giusto (conforme alla realtà) e sbagliato. Insomma, come se il processo reale della guerra del proletariato contro la borghesia si svolgesse senza leggi sue proprie.

La questione non è “avere buone ragioni” o “essere in buona fede”. Non si tratta di una questione morale, ma di linea politica!

Anche Bukharin e Zinoviev avevano delle “buone ragioni” per opporsi all’insurrezione del 7 novembre 1917, ma se la loro linea non fosse stata sconfitta, la Rivoluzione d’Ottobre non ci sarebbe stata. Anche tutti gli “oppositori di sinistra” alla pace di Brest-Litovsk (1918), alla NEP (1921), alle epurazioni del 1936-1937, al patto Molotov-Ribbentrop (1939), ecc. avevano delle “buone ragioni”. Ma la loro linea avrebbe portato al soffocamento dell’URSS da parte dei gruppi imperialisti. Anche Bukharin, Kamenev, Zinoviev e Trotzki avevano delle “buone ragioni” a sostegno della loro sfiducia nella possibilità di costruire il socialismo in URSS dato il ritardo della rivoluzione nei paesi imperialisti e l’arretratezza economica e culturale dell’URSS. Ma fondamentalmente la loro linea era sbagliata perché portava alla disfatta.

Leggendo la relazione di Ricci, sembra di rileggere la lettera aperta di Giacinto Menotti Serrati a Lenin (l’Avanti 20 dicembre 1920). G.M. Serrati rivendica presso Lenin la propria dedizione alla causa e la propria opposizione alla guerra che gli era valsa persecuzione e prigione. Pare non comprendere neanche che non è questo che Lenin aveva messo in discussione. Lenin criticava la linea che Serrati seguiva nella direzione del PSI nel corso del Biennio Rosso e dava indicazioni sulla linea che doveva seguire per far avanzare il proletariato italiano verso l’instaurazione del socialismo.

Il bilancio della prima ondata non è una questione di cultura e tanto meno di valutazione dell’onestà dei dirigenti: deve servirci a ricavare orientamenti per la linea da seguire oggi. Noi conosciamo per fare.

Rosa L.