La Voce 61 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXI - marzo 2019

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

Lettera di un compagno di lungo corso

del Centro del (n)PCI ai lettori di La Voce


Cari compagni,

in occasione del ventennale della creazione della Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del (n)PCI voglio condividere con voi alcune riflessioni e dare il mio contributo su alcuni argomenti che, per via del salto di qualità che dobbiamo compiere, sono utili allo sviluppo del dibattito interno alla Carovana del (n)PCI.

Dopo aver sperimentato la “libertà” della borghesia (fare una vita sregolata, abbuffarsi di cibo, spendere soldi per cose inutili, ecc.) e la via della “liberazione mistica” (buddismo e viaggi indiani) e aver av uto la fortuna di essere uscito vivo e sano da questo “trattamento”, ho iniziato a interrogarmi sul mio ruolo nella società e sul senso che volevo dare alla mia vita. Questa situazione ha fatto sì che il mio incontro alcune decine di anni fa con la Carovana del (n)PCI facesse “scattare la scintilla” che mi ha fatto intravedere un orizzonte diverso. Un cambio di prospettiva. Una causa per cui vivere e combattere. I compagni del CARC di Milano hanno avuto la capacità di mettere al centro i miei aspetti positivi e non fermarsi alla superficie, ai limiti che avevo.

A conferma che il settarismo avrebbe, al contrario, fatto “danni” e ostacolato il mio legame con la Carovana, ricordo che una volta, una Forza Soggettiva della Rivoluzione Socialista che partecipava alle nostre attività mi disse: “Non pensavo che tu saresti stato in grado di affrontare certi compiti, visto il tuo carattere”. In altre parole: non mi considerava adeguato, quasi per principio, ad essere comunista!

La cosa mi fece riflettere sulla trasformazione possibile all’interno del collettivo. I comunisti grazie all’applicazione della loro scienza superano i loro limiti. Questo contrasta con l’influenza della cultura borghese che invece ci fa vivere i nostri limiti come “nostre inadeguatezze” e che cerca di imporre una “visione naturale” dei nostri limiti e dei ruoli che vuole imporci, ad es. “sei basso non puoi fare certe cose, sei donna puoi fare solo certe cose”!

La Riforma Intellettuale e Morale (la nostra trasformazione) si può comprendere solo nell’ambito del lavoro collettivo. La cultura borghese ci fa ritenere la trasformazione o come diventare “delle brave persone” (stile libro Cuore ) o come rinuncia alla libertà personale. Ad esempio la sinistra borghese intende l’educazione come imposizione di regole che snaturano l’individuo e ne limitano la libertà.

Le critiche da comunisti sono quelle fatte da un collettivo che vuole migliorare il suo funzionamento. Quindi non sono accuse o attacchi personali legati al tuo carattere o al tuo aspetto. La critica non castra ma serve a far comprendere ad ogni compagno il ruolo che ha all’interno del collettivo, così è in grado di contribuire all’elaborazione e all’applicazione della scienza per trasformare la realtà. Le critiche nell’ambito del collettivo, contribuiscono alla conquista della libertà di ogni compagno: perché lo rendono parte attiva (gli insegnano a pensare e ad agire) e non un mero esecutore burocratico delle direttive, come avviene nella società borghese per i proletari.

Questo è il principale insegnamento che tiro dalla mia esperienza nella Carovana del (n)PCI e dalla militanza quasi ventennale nel Centro ovviamente clandestino del (n)PCI, che voglio condividere con tutti i compagni.

C’è un altro aspetto importante da trattare. Spesso si pensa che la clandestinità sia un limite allo sviluppo dell’attività: questo è quello che la borghesia vorrebbe far credere. L’agire nella clandestinità è il frutto di un lavoro di organizzazione, non è una scelta individuale. Per questo ci siamo dati i mezzi (abbiamo fondato e reso capace il (nuovo)PCI di agire sullo s tato delle cose), ci siamo organizzati per questo, non siamo fuggiti ed entrati nella clandestinità in preda all’emozione e al furore: “Organizzarsi è oggi più importante che il solo ribellarsi, perché l’organizzazione è la base materiale della costruzione dell’alternativa e non solo la condizione per protestare”.

Dalla clandestinità il Partito non solo anticipa l’azione repressiva e garantisce la continuità della sua azione in caso di colpi, ma si rende autonomo dalla borghesia e libero da gran parte dei vincoli che essa impone alle masse popolari: questo si sperimenta nella pratica con la libertà di espressione e di manovra acquisita praticando la clandestinità. Questa libertà di espressione e azione tanto acclamata dalla borghesia è reale per me e per ogni membro del Partito: si diventa capaci nell’impresa di superare l’orizzonte della cultura borghese.

Quanti operai oggi sperimentano sulla loro pelle che dire la verità sulla situazione nella loro azienda li espone al licenziamento! A quanti di essi fa comodo una scritta di un Comitato di Partito sui muri dell’azienda che denuncia gli sfruttatori senza mettere a rischio di licenziamento gli operai più combattivi!

A chi obbietta l’onnipotenza della borghesia, il “controllo totale” che eserciterebbe sulle masse popolari, dico che noi siamo l’esempio che è possibile praticare la clandestinità. Per farlo non inventiamo nuove tecniche, ma le apprendiamo dalla storia del movimento comunista e le applichiamo alla situazione concreta. Inoltre le armi e la tecnologia per farlo le “rubiamo” a chi le ha già. Nella battaglia fra bande imperialiste, ogni volta che una battaglia volge al termine rimangono sul terreno le armi degli sconfitti, si elevano le denunce dei danneggiati e diventano di dominio pubblico le tecniche e le tecnologie che essi hanno utilizzato per condurre la battaglia (vedi ad esempio quanto accaduto con Assange, Snowden, Manning): noi ce ne serviamo come facevano i Partigiani che sottraevano le armi al nemico!

Un abbraccio a tutti i compagni che partecipano all’impresa di fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

Valerio