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del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXI - marzo 2019

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

Cinque questioni sulla direzione


In questo articolo trattiamo cinque questioni inerenti la direzione, utili per la formazione dei quadri del Partito. Lo facciamo usando estratti di lettere inviate dal Centro a membri e candidati del Partito e a compagni della Carovana del (n)PCI: ciò permetterà di vedere un altro pezzo del lavoro in corso per il “consolidamento e rafforzamento del (n)PCI”.

La prima questione attiene all’uso del materialismo dialettico per analizzare la realtà e trasformarla, ossia per vedere, in questo caso, i passi che un compagno compie e sta compiendo nel suo processo di trasformazione e rafforzarli e, anche, per imparare a ragionare tenendo conto di cosa costituisce, fase per fase, l’aspetto principale per la sua trasformazione e non mettere sullo stesso piano principale e secondario.

La seconda questione attiene all’orientamento da seguire per far superare ai quadri lo scetticismo rispetto alla nostra linea. Ci stiamo rendendo conto, infatti, che solo chi “mette le mani in pasta” comprende effettivamente le possibilità di sviluppo che ci sono per la nostra opera.

La terza questione attiene all’importanza che il dirigente impari anche dai diretti, che li conosca a fondo, che tiri fuori il meglio da loro e che costruisca collettivi (squadre) per potenziare il lavoro.

La quarta questione attiene alla concezione anarcoide della direzione che c’è in alcuni dei nostri quadri in formazione. Essa poggia sulla non comprensione del ruolo dirigente che i comunisti devono svolgere nella rivoluzione socialista e porta a non distinguere il dirigente comunista dal dirigente della sinistra borghese e, dunque, a confondere l’assunzione di nuovi compiti con l’arrivismo.

La quinta questione attiene alla concezione errata che si presenta spesso nelle nostre fila a proposito dell’essere pratici e, nel caso specifico, dell’essere pratici nella direzione.


1. Vedere e orientare il processo

Positivi i passi che hai compiuto con il tuo compagno: studio collettivo e applicazione del criterio “in ogni campo chi è più avanti insegna a chi è più indietro, chi è più indietro si impegna ad avanzare”. Ho letto alcuni suoi resoconti: nel trattare le questioni inerenti lo stile di vita e la sua gestione del rapporto di coppia di alcuni compagni che dirige, vi è un piglio e una concretezza nuovi e sono portato a pensare che queste evoluzioni sono l’effetto anche dell’intervento che stai facendo su di lui.

Un criterio che devi usare nella coppia ma più in generale nel rapporto con i compagni per verificare le loro evoluzioni, è vedere non solo il campo specifico su cui tu li vuoi far avanzare (ad es. nei rapporti di coppia) ma il complesso della loro attività. In diverse occasioni, infatti, accade che un compagno prima di fare il passo in avanti sul versante su cui tu lo vuoi far avanzare, fa passi in avanti in altri campi, grazie all’intervento che stai facendo su di lui; questi passi in avanti il dirigente deve vederli per avere una visione del processo in atto nel compagno (e non cadere nell’errore di vedere “tutto fermo”) e per usarli come leva per fargli fare passi in avanti anche sul versante su cui lui vuole far avanzare il compagno (far leva sulle posizioni conquistate e dirigere il compagno applicando la concatenazione).

Dato che ci sono, colgo l’occasione per farti un appunto su un’altra questione, sempre attinente alla cura e formazione degli uomini e delle donne. Se vedi che il compagno del tuo CdP è “troppo preso” dai nuovi compiti che il Partito gli ha assegnato, invia tu gli aggiornamenti che lui doveva inviare al Centro: stante i nuovi compiti del compagno, non bisogna “opprimerlo” con quello che non riesce ancora a fare; bisogna essere elastici, a meno che si tratti di aspetti fondamentali che deve assolutamente rettificare ora perché incidono troppo negativamente sulla sua azione.

In sintesi, devi analizzare bene la situazione (senza farti dirigere dalla stizza e dallo stomaco) e capire quali sono aspetti principali da trattare e su cui dare battaglia subito e quali invece non lo sono, almeno in questa fase, e trovare di conseguenza soluzioni creative (in questo caso con una tua mobilitazione). Gli aspetti che oggi sono secondari li riprenderai più avanti con lui. Questo è un criterio di direzione importante”.


2. La migliore cura contro lo scetticismo nei quadri

Tessere, tessere, tessere e, ancora, tessere la rete del nuovo potere! Non date ascolto a chi descrive come nera la situazione: è fuori strada. Non date ascolto a chi piagnucola perché siamo in pochi: non vede le potenzialità che abbiamo per crescere. La verità è che la situazione è favorevole allo sviluppo dell’attività sia del (n)PCI che del P.CARC, compagni.

Solo chi si cimenta in quest’opera con slancio e creatività, chi mette le mani in pasta comprende le potenzialità che ci sono per la crescita della Carovana del (n)PCI, vede gli appigli e le possibilità di sviluppo. Così come solo chi si cimenta nella cura dei compagni, capisce le possibilità che ci sono nella trasformazione degli uomini e delle donne.

Spingere i compagni a sperimentare la linea nella pratica, a “mettersi alla scuola” dell’intervento nella lotta di classe: questa è la migliore cura per lo scetticismo dentro la Carovana del (n)PCI, in particolare per quanto riguarda i quadri. Infatti chi sta alla finestra, chi non si attiva per attuare la nostra linea, chi non mette le mani in pasta o lo fa burocraticamente, senza slancio e interesse, senza impegno, senza usare l’intelligenza, vede solo mare piatto”.


3. Imparare anche dai diretti, tirare fuori il meglio da loro, costruire collettivi (squadre)

La cosa più importante che ho imparato in questi anni nella cura, formazione e direzione degli uomini e delle donne è questa: quanto più hai fiducia nei compagni che dirigi, li curi dal punto di vista politico e anche personale (perché i compagni bisogna conoscerli a fondo, ragionarci anche fuori dalle riunioni, sostenerli e aiutarli non solo rispetto all’attività politica, ecc. e creare un profondo legame di fiducia – non cadere nell’errore di pensare che è una perdita di tempo ragionare e conoscere a fondo un compagno: se non lo farai, non riuscirai a capire sul serio con chi hai a che fare e a fargli tirare fuori il meglio) e ti impegni ad imparare anche dalla sperimentazione che loro fanno sul campo, tanto più gli farai tirare fuori nuove potenzialità e, a cascata, se essi sono dei quadri a loro volta faranno emergere nuovi compagni, che cureranno, formeranno, mobiliteranno. I dirigenti, a tutti i livelli, devono concepirsi per molti versi come “allenatori ” di una squadra e non “giocatori solisti” (per quanto brillanti, determinati, ecc.). Questo è un concetto fondamentale. Costruire “squadre” (collettivi) è molto importante: le squadre sono infatti di gran lunga superiori ai singoli individui e sono anche garanzia di continuità della nostra opera”.


4. Sulla concezione anarcoide della direzione nei quadri in formazione

Stante il ruolo di direzione che ti appresti a svolgere nella Carovana del (n)PCI, ritengo opportuno dedicare una certa attenzione ad alcuni aspetti da correggere della tua concezione della direzione e dell’essere dirigente. Entro nel merito quindi di alcuni aspetti ideologici che abbiamo iniziato a trattare già nel corso dell’ultimo anno ma che richiedono ancora un “pezzo di strada” per essere superati.

L’essenza della direzione è “portare altri a fare cose che spontaneamente (da soli) non farebbero”. A questo aspetto fondamentale della direzione ne sono connessi diversi altri (la crescita dei compagni diretti, lo sviluppo della loro capacità di orientarsi da soli, ecc.), ma questo è l’aspetto fondamentale (l’aspetto dirigente). È bene averlo chiaro, per comprendere adeguatamente tutto quello che ne discende e anche per trasformare aspetti della propria concezione, mentalità e anche personalità che sono in contraddizione con questo concetto così importante per chi si cimenta, appunto, a dirigere.

Dirigere significa quindi guidare e, nel nostro caso specifico, significa guidare le classi oppresse a fare delle cose (liberarsi dalla borghesia e instaurare il socialismo, procedendo poi nella transizione verso il comunismo) che da sole non sono in grado di fare, stante il modo con cui sono “plasmate” sul piano intellettuale e morale dalla classe dominante. Al massimo possono “sognare” questa liberazione (ma con “contorni indefiniti e confusi”), “protestare” o “imprecare”.

Oggi guidiamo i compagni del partito, i collaboratori e simpatizzanti, le organizzazioni operaie e popolari da noi generate e quelle su cui riusciamo a svolgere un’azione di orientamento direttamente (linea di massa) o indirettamente (sistema di leve), gli esponenti della seconda gamba (con tutte le manovre del caso).

Sulla direzione e sull’essere dirigente tu hai ancora le idee confuse (anche se, ovviamente, hai fatto dei passi in avanti rispetto a 4-5 anni fa, quando eri un vero e proprio “anarchico con la bandiera rossa nel cuore”, mi verrebbe da dire!).

Tu riduci sostanzialmente: 1. “all’arrivismo” il proporsi per svolgere nuovi compiti, 2. “alla volontà di apparire” (di “avere prestigio personale”, ecc.) l’assunzione di nuovi compiti, 3. a “far male”, a “passare sopra al prossimo”, ecc. il dirigere e altro ancora. Certo, l’esposizione da parte tua di queste posizioni non è così “netta” (evidentemente neanche a te questa visione “torna tanto”, anche perché stride con l’esperienza che da 4-5 anni stai facendo nella Carovana del (n)PCI e con quanto stai via via imparando sulla direzione), però la sostanza è questa.

La questione di fondo è che hai (anche se non ne sei pienamente cosciente) una concezione della direzione

- metafisica : ragioni come se esistesse una sorta di “natura della direzione” valida per sempre, indipendente dalle classi e dalla lotta di classe, dunque una visione della direzione avulsa dalla lotta di classe e dalla lotta per rovesciare una classe (dominante), scardinare il suo potere e instaurare un nuovo potere. Non distingui, per intenderci, la direzione esercitata dalla classe dominante per opprimere e quella esercitata dall’avanguardia comunista (il partito) che dirige le classi oppresse nella lotta per liberarsi dall’oppressore, un po’ come i pacifisti che non distinguono la guerra coloniale o inter-imperialista dalla guerra rivoluzionaria o gli anarchici che non distinguono lo Stato borghese dallo Stato in mano al partito e alla classe operaia, la dittatura del proletariato

- e, connesso al punto precedente, da classe oppressa : “la direzione è cosa brutta, perché chi dirige opprime e schiaccia gli altri”.

Questi sono strascichi della tua concezione anarcoide. In fondo se si potesse fare a meno della direzione, se si potesse essere tutti liberi e uguali, senza dirigenti e diretti, senza gerarchie, senza istanze, senza centralismo democratico, senza direttive, senza lotta tra le due linee, ecc. tu saresti molto più contento. Per te tutti questi aspetti sono un “boccone amaro” da ingoiare, la “dura realtà”, il “male necessario”, con cui stai, via via, “imparando a convivere”: devi ancora forzarti, in una certa misura, per accettare questi aspetti (che sono il derivato della divisione in classi della società).

Bada bene, metto le cose in modo chiaro e netto perché così il processo della tua trasformazione e crescita sarà più rapido. Tratto con te queste cose perché sono certo che ci rifletterai su seriamente e che avanzerai, tappa dopo tappa e con il sostegno del collettivo e del partito.

Proseguo. Oltre ai due punti su indicati (visione metafisica della direzione e visione da classe oppressa), bisogna aggiungerne un terzo: tu non distingui concretamente quanto avviene nei partiti della sinistra borghese e quanto avviene nella Carovana del (n)PCI. Mi spiego.

Nella Carovana del (n)PCI assumersi nuovi compiti implica, di fatto, sottoporsi ad un processo di trasformazione più profondo e radicale rispetto a quando si svolgono compiti di livello inferiore (“più si sale, più il gioco si fa duro”: la trasformazione richiesta diventa più profonda, i compiti diventano infatti più difficili, le scelte di vita più radicali, ecc.). Questa è una cosa che non si vede o si vede poco quando si milita a livello di strutture locali e di base della Carovana del (n)PCI (CdP territoriali per il (n)PCI e sezioni per il P.CARC, per fare un esempio): è una cosa che si comprende bene e appieno solo vivendola (solo “passandoci”). Ora che ti cimenterai a svolgere compiti di direzione, la capirai o comunque la capirai meglio e più concretamente.

Questo processo è uno dei punti che distingue nettamente l’assunzione di compiti di direzione nella Carovana del (n)PCI dalla “scalata sociale” che si fa nei partiti della sinistra borghese quando si diventa dirigenti federali o nazionali oppure eletti in un grande Comune, alla Regione, in Parlamento o nell’Europarlamento.

La “scalata sociale” nei partiti della sinistra borghese non implica nessuna trasformazione (se non magari di diventare ancora più opportunista e cinico), perché sostanzialmente la “scalata” consiste nell’inserimento nei piani più o meno alti del regime vigente, “sistemandosi”.

L’assunzione di compiti di direzione nella Carovana del (n)PCI significa, invece, assumersi compiti maggiori nella lotta per abbattere questo regime. Sono due ruoli sociali opposti, con opposte implicazioni.

Certo a volte possono esserci concezioni e atteggiamenti ad es. nei nostri rivoluzionari di professione simili a quelli del funzionario della sinistra borghese, ma sono concezioni e atteggiamenti che lasciano il tempo che trovano: o vengono superati con la trasformazione o porteranno il compagno a non tenere il passo e a mollare, a retrocedere. Ad esempio, abbiamo visto in più casi che nei rivoluzionari di professione il “vivacchiare” (nel doppio senso: 1. fare poco e con spirito burocratico oppure 2. fare molto ma senza evolversi intellettualmente e moralmente, senza trasformarsi) o viene corretto o ad un certo punto il compagno in questione fa un passo indietro perché non riesce a “stare al passo”, ecc. ed “entra in crisi”.

Come dicevo su, il dirigente della sinistra borghese e il dirigente della Carovana svolgono due ruoli sociali diversi, con opposte implicazioni. Quella che ho appena descritto è una di queste implicazioni.

Quando tu parli di direzione e assunzione di compiti di direzione nella Carovana del (n)PCI, tutto questo ragionamento manca: ma non per dimenticanza, ma perché non lo hai ancora veramente assimilato. Per farlo hai bisogno di fare esperienza pratica. Ora con i nuovi compiti, farai un’esperienza pratica che ti porterà, per tappe, ad acquisire un approccio più concreto, profondo e maturo anche rispetto alla questione della direzione e avanzerai nell’assimilazione di quanto ti ho scritto fin qui.

Se tra sei mesi rileggerai questa mia lettera, vedrai che la comprenderai molto di più, la comprenderai “più concretamente”, sarà per te “materia viva”.

L’esperienza che farai ti servirà anche per rafforzarti caratterialmente, per “farti le ossa”, per essere “più risoluto”, deciso e operativo. Nella guerra popolare rivoluzionaria per dirigere ci vuole gente decisa e “con il pelo sullo stomaco” e non persone insicure, titubanti, timorose, ecc. che “vogliono questo ma anche quello”, che vorrebbero il socialismo ma non vorrebbero rischiare, che vorrebbero diventare comunisti ma non vorrebbero ferire la mamma o il papà o il “buon senso” dell’ambiente di provenienza, che vorrebbero dirigere ma non urtare nessuno, che ragionano con “si dovrebbe fare, io avevo pensato di fare, sarebbe auspicabile fare” anziché analizzare, decidere ed effettivamente fare, ecc.

Un’ultima questione: nella riflessione sulla direzione, su te stesso e sulla tua esperienza, ometti che qualche anno fa ti sei proposto per ricoprire un ruolo di direzione, pur cosciente che la tua candidatura era in contrapposizione con quella di un altro compagno (quel compito o lo svolgevi tu o lo svolgeva lui, sostanzialmente). Come mai trascuri questa esperienza, quando parli della tua esperienza politica, pur dicendo che sei uno che non si propone per non apparire arrivista?

In quel caso non hai avuto particolari “remore” o “problemi di sorta” a proporti e a illustrare per bene la tua candidatura.

Hai sbagliato a proporti? Sei stato arrivista?

No, certo che no: hai fatto bene a proporti! Dico di più: avresti fatto un errore grande come una casa a non farlo e a non sostenere con forza la tua candidatura!

Sbagli, invece, ad omettere del tutto quella vicenda nella tua lettera. Come mai l’hai omessa? Non mi dire che non era in tema! La vivi forse come una “macchia sul vestito immacolato”? Hai dei sensi di colpa verso l’altro compagno, che ci rimase male?

L’errore in quella vicenda non fu proporti (tra i due eri quello che più adatto per svolgere quel compito): l’errore fu non curare poi l’altro compagno e lasciarlo di fatto “marcire nel suo brodo” (bada bene: fu un errore collettivo e non solo tuo! Anche io commisi grandi errori di superficialità e di scarsa incisività nella gestione di quella situazione e nella cura del compagno).

Quello che voglio dirti e che voglio tu capisca è che nella guerra popolare rivoluzionaria i reparti (tanto più quelli di élite) non si compongono solo “su chiamata”, ma anche raccogliendo volontari (anche nelle Brigate Internazionali di Spagna si partiva “volontari”!), la cui domanda viene vagliata da chi di dovere.

Anche io mi sono candidato per rafforzare il Centro del (n)PCI: sono forse arrivista? Arrivista verso cosa? Avrei dovuto aspettare “la chiamata” per partire? E perché? Ero convinto (da molti anni) che fosse necessario partire per rafforzare la costruzione del (n)PCI (e rafforzare dunque la GPRdiLD) e mi sono proposto.

Tutta la questione della direzione, del dirigere, dell’essere dirigenti, del proporsi come dirigenti, ecc. in definitiva va affrontata in questo modo: anziché farci menate, dobbiamo porci sempre di più come artefici, protagonisti, costruttori della storia, come coloro che “scrivono la storia” e indirizzano il corso delle cose (ovviamente tenendo conto delle leggi oggettive) e non come spettatori, opinionisti, critici, ecc. della storia fatta dagli altri (dalla classe dominante).

Questa è l’angolazione giusta per sciogliere la questione e inquadrare nel giusto modo l’essenza di quello che dobbiamo diventare, che dobbiamo essere e che diventeremo!”


5. Cosa significa essere pratici per i comunisti

Tu concepisci ancora la pratica anche per noi comunisti come fare un lavoro fisico, mentre la pratica per noi comunisti consiste non nel far andare le mani o i piedi, ma nel formare comunisti, mobilitare e dirigere uomini e donne nella lotta di classe. Questa è la nostra pratica. La nostra pratica consiste nel trasformare la società capitalista nella società comunista, quindi nel dirigere le masse popolari a farlo (spingere in avanti la lotta di classe), acquisire a questo fine una comprensione superiore delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe (le idee sono strumenti indispensabili per la nostra pratica).

Tu intendi per pratica i lavori fisici, quello che hai fatto in campagna o in produzione, le tante attività che noi chiamiamo “attività correnti” comprese quelle con cui la borghesia cerca di distrarre i proletari dalla lotta di classe.

Noi diciamo che mettersi a coltivare la terra per avere “prodotti genuini” o lanciarsi in un’attività sfiancante per cercare di creare un’attività produttiva a “chilometro zero” o dedicarsi per anni a costruire una casa, non è un’attività pratica dei comunisti, ma distrazione dall’attività pratica propria dei comunisti.

Quando parliamo di unità teoria - pratica, intendiamo unità delle idee che alimentiamo nei comunisti e che elaboriamo dall’esperienza della lotta di classe, con la pratica che i comunisti svolgono nella lotta di classe, per spingerla avanti. Le idee sono uno strumento per l’azione.

Questo è il viatico per il nuovo tratto della strada. È un lavoro che risponde a necessità pratiche e immediate del lavoro della Carovana del (n)PCI e che, se lo fai bene, avrà un effetto benefico sulla tua Riforma Intellettuale e Morale e sull’azione che svolgi”.