La Voce 59 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XX - luglio 2018

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)Partito comunista italiano

Orientamento generale sul funzionamento clandestino

Nel n. 1 di La Voce (marzo 1999) vi è la prima argomentazione sistematica pubblica e la prima dichiarazione della clandestinità del (nuovo) Partito comunista italiano: Quale partito comunista? (pagg. 17-52). Questo tratto del Partito è chiamato anche settima discriminante (si aggiunge alle sei discriminanti già indicate in Rapporti Sociali n. 19 e ricordate in La Voce n. 1 pagg. 15 e 16: ad essa successivamente abbiamo aggiunto l’ottava discriminante esposta nei n. 9, 10 e 41 di La Voce). È bene che i nuovi membri del Partito leggano quello scritto perché da esso si desume chiaramente lo stretto legame tra questa discriminante e 1. l’esperienza fatta dal movimento comunista italiano ed europeo durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, 2. lo scontro di posizioni e di esperienze in seno alle Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista italiane che ribellandosi al revisionismo moderno volevano riprendere la rivoluzione socialista. Il vecchio PCI prima aveva dimostrato di essere inadeguato a condurla alla vittoria e infine l’aveva anche rinnegata: i promotori del (nuovo)PCI, una volta capite le ragioni di questo, dovevano tirarne le conseguenze anche a proposito della natura e del ruolo del partito. Lo scritto di La Voce n. 1 le espone. La clandestinità fa del Partito un collettivo libero nell’elaborazione dell’esperienza e nell’azione che verifica la nostra concezione.

Dalla costituzione della Commissione Preparatoria nel 1999 abbiamo fatto molti progressi imparando dalla nostra stessa esperienza, con l’obiettivo di costruire un partito non solo capace di elaborare una linea politica giusta ma anche di condurre un’azione di massa via via più efficace e più vasta. Partito clandestino infatti significa partito che combina in un tutto unico una struttura clandestina di rivoluzionari di professione e una vasta rete clandestina di membri profondamente legati alle masse e capaci di orientarle e dirigerle nella lotta per costruire il nuovo potere che si contrappone a quello della borghesia e del clero, lo erode e corrode e, arrivato a un certo livello, lo eliminerà e instaurerà la dittatura del proletariato. Inutilmente la borghesia e il clero cercano con ogni mezzo di impedirlo. Essi sono per la loro natura storicamente superati, svolgono un ruolo negativo rispetto al resto dell’umanità: questo li condanna alla morte quale che sia la crudeltà della repressione che scatenano.

Uno dei compiti più importanti del Partito consiste nel ridurre il più possibile gli effetti della repressione sull’insieme delle organizzazioni popolari e in particolare nel ridurre al minimo gli arresti dei suoi membri. Per questo sosteniamo la professionalizzazione dei membri del Partito, la compartimentazione dell’organizzazione e l’adozione di norme che assicurano la continuità degli organi del Partito.

Dobbiamo essere coscienti che lo Stato borghese è principalmente una macchina di repressione diretta soprattutto contro il movimento rivoluzionario che instaurerà il socialismo. Per questo motivo ogni organizzazione che si propone di essere alla testa e di dirigere la lotta delle classi oppresse contro lo Stato e in particolare la guerra per costruire il nuovo potere, eliminare lo Stato borghese e instaurare lo Stato della dittatura del proletariato, riuscirà ad assolvere ai complessi compiti che questa lotta implica e a far fronte con successo alle forze della repressione solo se si dà una struttura clandestina di professionisti della rivoluzione socialista, un piano di lavoro ben elaborato con il materialismo dialettico ed è composta di uomini e donne capaci di attuarlo e decisi a farlo anche a costo della propria vita. Sappiamo che la contraddizione che oppone il proletariato alla borghesia può essere risolta solo per mezzo della guerra civile perché le classi dominanti cedono solo di fronte alla forza. Anche la storia ci insegna che le classi decadenti sparano fino all’ultima cartuccia prima di sparire. La lotta, dunque, sarà lunga e cruenta. La borghesia imperialista non si fermerà di fronte  ad alcuna barbarie per conservare il potere e cercherà di distruggere la forza politica che le si oppone direttamente e radicalmente: che cerchi di farlo nessuno potrà evitarlo. Per la stessa ragione, il Partito deve accettare coscientemente i sacrifici che la lotta ci impone e non deviare mai dai suoi obiettivi.

Il lavoro rivoluzionario richiede, prima di tutto, un’organizzazione composta da rivoluzionari di professione. Questo significa un’organizzazione ben strutturata e centralizzata e con una precisa divisione del lavoro al suo interno; un’organizzazione composta da uomini e donne determinati, devoti alla causa, disciplinati in modo ferreo e che sappiano fare bene il loro lavoro; uomini e donne consacrati interamente alla causa del comunismo e che facciano di essa la loro unica professione. Essi devono perfezionarsi continuamente sul piano teorico e sul piano pratico e risolvere via via i problemi, in modo da realizzare con efficacia il loro lavoro fra le masse e affrontare con successo la lotta contro la polizia politica. Senza questa condizione, ogni discorso su “organizzazione” e “lotta rivoluzionaria” resterà solo una chiacchiera.

Bisogna tener presente che, in questo come in altri campi della nostra attività, la pochezza dei mezzi di cui disponiamo attualmente - tanto più limitati se li confrontiamo con i mezzi che utilizza il nemico - impedisce che noi ci liberiamo completamente dai metodi artigianali di lavoro che al contrario gli spontaneisti non solo praticano, ma addirittura esaltano e contrappongono ai nostri metodi. Quelli che hanno il culto del movimento spontaneo pensano che l’organizzazione professionale rivoluzionaria non è necessaria. Essi non percepiscono nemmeno l’oppressione di classe in campo intellettuale e morale tanto ne sono vittime: sono ciechi che non hanno mai conosciuto la luce e i colori. Secondo loro “le masse da sole”, senza l’intervento del Partito (dell’elemento cosciente) e con la lotta sindacale o con le riforme, potranno raggiungere tutti gli obiettivi e rimpiazzare lo Stato nemico. Per questo motivo, mentre ci dotiamo dei mezzi necessari e avanziamo nell’adempimento dei compiti che ci proponiamo nei confronti delle masse, noi dobbiamo condurre una lotta incessante e intransigente contro le tendenze spontaneiste, perché senza questa lotta risulterà molto difficile sradicare anche al nostro interno i metodi artigianali di lavoro. Questi metodi inevitabilmente fanno il gioco del riformismo (a chi ne è imbevuto, la rivoluzione socialista appare difficile se non impossibile e le riforme l’unica via praticabile in attesa di tempi migliori) e facilitano le cose alle forze della repressione. La lotta contro lo spontaneismo, contro la disorganizzazione del movimento, contro il riformismo, implica anche la lotta contro il legalitarismo: la soggezione a quello che le leggi prescrivono, la tendenza a rispettare le autorità, la soggezione alle abitudini e alla mentalità frutto dell’asservimento delle classi oppresse alla classe dominante, la soggezione ai familiari e all’ambiente anche se arretrati, ecc.

La clandestinità è fondata sul segreto e sulla rigorosa divisione del lavoro in seno al Partito. Ma deve essere combinata con l’attività pubblica per la quale sfruttiamo tutte le pratiche correnti che la storia della prima ondata della rivoluzione proletaria ha creato. Per chi sa vederle, esse sono illimitate. Oggi, ad esempio, sono migliaia i chiacchieroni cani sciolti: ebbene, proprio questo fatto permette che senza destare sospetti un nostro compagno diffonda tra le masse analisi e indicazioni che, a differenza di quelle dei chiacchieroni, sono giuste e, fatte proprie dalle masse, le fanno avanzare nella rivoluzione socialista.

Un partito clandestino non è un partito slegato dalle masse, al contrario: il lavoro clandestino del Partito è basato sul suo stretto legame con la classe operaia e con gli altri settori sfruttati e oppressi della popolazione, la clandestinità permette al Partito di arrivare dappertutto: dove ci sono spontaneisti e chiacchieroni, ci può essere anche il membro del Partito ma questi arriva anche dove spontaneisti e chiacchieroni non arrivano. Non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che la rivoluzione la deve fare il popolo e non un pugno di rivoluzionari che cerca di sostituirsi ai lavoratori con le sue azioni eroiche. Per questa ragione, la sicurezza del Partito non si può ridurre solo a una serie di misure pratiche e organizzative che assicurano il segreto. Queste misure, assolutamente necessarie, sono realmente efficaci soltanto quando  sono basate su una linea politica giusta e su un giusto funzionamento dell’organizzazione.

La compartimentazione dell’organizzazione significa la separazione più rigorosa fra le organizzazioni che compongono il Partito, che erige i necessari “muri tagliafuoco” di fronte al lavoro di indagine delle forze della repressione. La repressione si ferma là dove terminano le “connessioni”. Perciò la compartimentazione ci permette di porre al riparo l’insieme del Partito quando una parte è “contagiata” (cioè infiltrata, individuata, messa sotto controllo). La separazione non può essere assoluta poiché, se fosse così, ciò impedirebbe ogni relazione e ci sarebbe impossibile compiere anche la più piccola attività. Il nostro funzionamento di Partito permette al Comitato Centrale di stabilire i limiti delle relazioni. Questo stesso compito di cui è incaricato il CC, lo obbliga, a sua volta, a prendere alcune misure supplementari che preservino la sua sicurezza, dalla quale dipende in gran parte quella dell’insieme del Partito. La continuità del CC assicura la continuità del Partito. Il vuoto lasciato dalla caduta di un membro o di un organismo del Partito viene rapidamente colmato con la formazione di un nuovo organismo.

Oltre alla compartimentazione, è necessario stabilire una distinzione netta fra l’organizzazione clandestina e le organizzazioni più aperte generate o comunque influenzate o dirette dal Partito: il Partito deve essere capace di dirigerle. Non è sempre facile stabilire una chiara delimitazione di campo fra l’uno e l’altro tipo di organizzazione e di lavoro, però bisogna farlo se vogliamo evitare più di un contrattempo e le confusioni che si generano a causa della mancanza di questa delimitazione. A tal fine il Partito deve seguire il criterio della subordinazione dell’organizzazione e del lavoro pubblici alle necessità dell’organizzazione e della lotta clandestine, perché solo in questo modo, e se si realizza un buon lavoro di direzione, potranno essere risolti i problemi e le situazioni difficili che si presentano.

L’applicazione delle norme di sicurezza e le perdite che ci infligge il nemico non devono impedire la prosecuzione del lavoro rivoluzionario. Preserviamo le nostre forze proprio allo scopo di aumentare l’efficacia del lavoro politico, per trovarci dove le masse hanno bisogno che noi siamo. Quanto alle perdite e agli arresti, noi non possiamo evitare in assoluto che essi avvengano. “Non c’è lotta senza caduti - scrisse Lenin - e di fronte alla ferocia della polizia politica noi dobbiamo rispondere con calma: ‘Alcuni rivoluzionari sono caduti. Viva la Rivoluzione!’”. Questa deve essere anche la nostra posizione.

Dobbiamo respingere ogni espressione di debolezza ideologica di fronte alla repressione dello Stato. È sicuro che sottovalutare i rischi che l’organizzazione e ogni suo membro corrono nell’attività rivoluzionaria conduce all’avventurismo. Però sopravvalutare questi rischi conduce nel pantano del revisionismo e alla capitolazione. Dobbiamo tenere conto che le forze della repressione possono ostacolare il lavoro del Partito, possono frenare la rivoluzione, ritardarla, ma non riescono a impedirla. Il nostro compito consiste nell’accelerare la vittoria organizzando la rivoluzione. Per questo, fra l’altro, è necessario difendere i segreti del Partito e saper eludere le ricerche della polizia.

È impossibile impedire che la borghesia cerchi di reprimerci. Ma la repressione presenta per noi anche aspetti positivi che sta a noi sfruttare. Se il nemico delle masse popolari attacca il Partito, certo in alcuni aumenta la paura, ma in altri aumenta l’amore per il Partito: per questo dobbiamo denunciare la repressione, non per lamentarci. Se il nemico estende la sua repressione, esso estende il legame tra le masse popolari e il Partito che resiste e indica la via della resistenza alla repressione, che mostra la strada per lottare contro la repressione e organizza e pratica la lotta.

Nonostante l’esperienza acquisita nella pratica della tortura e nonostante i mezzi e i metodi perfezionati di cui dispone, la polizia non è onnipotente. Per convincersene basta considerare che la Carovana del (n)PCI è stata fin dalla sua nascita bersaglio della persecuzione e della repressione della forze di polizia. Dopo la formazione della Commissione Preparatoria nel 1999, alcuni suoi esponenti di primo piano sono stati anche arrestati. Nonostante tutto ciò, il partito è vivo e vegeto, prosegue il suo lavoro e avanza. Il freno maggiore alla nostra avanzata non è la repressione, ma la distrazione  dalla rivoluzione che la borghesia genera tra le masse popolari con le tre trappole (vedere La Voce n. 54, pagg. 17-19) e quindi, in definitiva, il freno maggiore alla nostra avanzata è la nostra ancora limitata capacità nel formare chi vuole arruolarsi a liberarsi personalmente dalle tre trappole.

La chiave della relativa impotenza delle forze della repressione sta nel fatto che noi comunisti difendiamo gli interessi delle masse popolari e analizziamo la realtà con il materialismo dialettico e da questo traiamo la nostro linea di condotta. Qui stanno il carattere giusto della nostra lotta e la nostra onnipotenza. Da qui viene che le masse popolari e in particolare la classe operaia in definitiva non ci negheranno il loro appoggio per quanto la repressione sia grande e feroce.

A lungo termine la vittoria sta dalla parte delle masse popolari: questo è un principio che non dobbiamo mai dimenticare, neanche nei momenti individualmente più neri e amari. Parimenti dobbiamo essere consapevoli che al momento i mezzi di cui dispone lo Stato sono relativamente potenti. Quindi per contrastare e combattere la sua attività bisogna che la prendiamo in seria considerazione e che le attribuiamo l’importanza che essa merita. Ma non c’è dubbio che ciò che ha consentito che i nostri militanti superassero vittoriosamente i colpi che la forze nemiche ci hanno inferto è stata la nostra concezione politica. Essa è la stessa che ha animato i nostri predecessori, dai comunisti sovietici di Lenin e di Stalin ai comunisti come Antonio Gramsci che hanno fatto fronte al fascismo, dai partigiani ad alcuni brigatisti, vale a dire la chiara comprensione del fatto che se il nemico ricorre a metodi così barbari come le detenzioni arbitrarie e la tortura è perché esso si sente debole e sente che i suoi giorni sono contati.

Chi entra nel Partito, deve sapere che si arruola in un esercito di combattenti, che la nostra vittoria è certa ma la sorte di ogni soldato è esposta alle vicissitudini della guerra. A volte si attribuisce alla sorpresa dell’arresto lo stato di abbattimento e di demoralizzazione che si impadronisce di alcuni compagni. In realtà la vera origine di questa demoralizzazione è la loro mancanza di fiducia nelle masse popolari e nel Partito. Questa mancanza di fiducia fa sì che si crea la falsa impressione che “tutto è nero”. La nostra vittoria finale è sicura, ma dobbiamo comprendere che il nemico dispone di un dispositivo di repressione che opera con continuità. Per questo ogni errore o passo falso da parte nostra, per piccolo che a volte possa sembrare, facilita un arresto. È logico che, nella situazione in cui si trova, il prigioniero sia preoccupato dei danni che l’arresto infligge alla nostra causa. Il contrario sarebbe un segno di irresponsabilità, dato che, lo si voglia o no, un arresto causa sempre danni e scompiglio nel Partito. Ma questo non deve portare alla demoralizzazione. Bisogna sempre avere fiducia nel trionfo della nostra causa, una fiducia fondata sulla certezza che il Partito e tutti i suoi militanti proseguiranno la lotta assieme agli operai e agli altri proletari, che recupereranno le forze e il terreno persi e che in questa lotta continueranno a contare sullo sforzo e sulla volontà inflessibile dei prigionieri. Se siamo consapevoli di quello che abbiamo appena detto, succederà il contrario della demoralizzazione: il dolore e la sofferenza si trasformeranno in coraggio e in volontà di vincere.

Più di uno sarà portato a pensare che attenersi alle norme che regolano il nostro funzionamento comporterebbe una disdicevole “perdita di tempo”. Noi non la pensiamo così, la pensiamo in altro modo: consideriamo che applicando le norme di sicurezza nel lavoro politico quotidiano, non solo non si perde, anzi al contrario si guadagna molto tempo, giacché non bisogna solo creare l’organizzazione, ma bisogna anche preservarla e il tempo che dedichiamo a questo non sarà mai “tempo perso”.

Un rivoluzionario, conviene ricordarlo, non è qualcuno con molta esperienza nel lavoro “di massa”. Un rivoluzionario è qualcuno che sa, tra le altre cose, lottare contro la polizia politica. Al contrario, chi pretende di abbracciare molte cose, chi cade nell’attivismo e nella faciloneria, lasciando dappertutto tracce che facilitano il lavoro della polizia, questi è solo un misero artigiano, uno spontaneista che obiettivamente provoca molto danno al Partito e alla causa.

D’altra parte, bisogna tener presente che le norme di sicurezza non sono un ricettario da applicare in ogni occasione o  momento di pericolo, non sono un rimedio capace, per se stesso, di liberarci dagli attacchi della repressione. L’attività rivoluzionaria clandestina presenta situazioni tanto differenti, sono tanti i problemi a cui dobbiamo fare fronte e tanto diverse le misure che si possono adottare per cercare le soluzioni, che sarebbe stupido pretendere di ridurle tutte a qualche formula. Inoltre bisogna considerare che la lotta contro la polizia politica è evoluta talmente negli ultimi tempi, si sviluppano con tanta rapidità i procedimenti di investigazione e di controllo usati dalla polizia, che qualunque norma che tentiamo di stabilire con “carattere permanente” si ritorcerebbe molto presto contro noi stessi.

Bisogna liberarci dalla mentalità schematica e da tutti quei pregiudizi che ci impediscono di andare avanti e di adattarci tempestivamente alle condizioni. È assurda e pregiudizievole l’idea che tutto quello che non quadra con la concezione che noi ci siamo formati e con il modo abituale di fare le cose risulta “sospetto” e, quindi, deve essere rigettato. Questo ci porterebbe in un vicolo cieco. Al contrario dobbiamo essere aperti a tutto il nuovo e analizzare continuamente le esperienze. Ciò è ancora più importante in un mondo come quello attuale immerso in un processo accelerato di trasformazione e in cui la tecnica, i comportamenti e le abitudini delle persone cambiano quasi da un giorno all’altro. Questo è un’ulteriore conferma, fra le molte altre che si potrebbero portare, del carattere ineluttabile dell’instaurazione del socialismo, del terreno sempre più favorevole all’avanzamento della rivoluzione socialista che sta a noi far fruttare, dedicando a questo lavoro tutto il tempo e i mezzi che sono necessari.

Il futuro è nelle nostre mani!

Dipende da ognuno di noi!

Avanti verso la vittoria!

Il Comitato Centrale del (n)PCI

 

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