La Voce 58 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XX marzo 2018

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Mobilitare gli operai avanzati a fare la rivoluzione socialista

Concezione generale, inquadramento di classe
della popolazione italiana e lezioni tratte dall’esperienza

Lo scopo di questo articolo è riproporre la concezione comunista e alcune tesi per lo più già esposte nel nostro Manifesto Programma e nella nostra letteratura, in particolare in articoli di La Voce, ma riproporle con l’attenzione a mettere in risalto il contrasto tra esse e 1. linee particolari e metodi ancora correnti anche tra noi e 2. concezioni, obiezioni, pregiudizi e luoghi comuni correnti sia nella cultura diffusa dalla sinistra borghese (cioè da quelli che proclamano, credono o comunque professano che è possibile porre fine all’attuale catastrofico corso delle cose senza instaurare il socialismo) sia nella cultura di gruppi e partiti che si proclamano comunisti (esemplare il Partito Comunista di Marco Rizzo) ma sono ancorati a concezioni che hanno già reso i partiti della prima Internazionale Comunista incapaci di instaurare il socialismo nei paesi imperialisti e impotenti di fronte ai grandi sconvolgimenti sociali in cui sono stati attivi nel secolo XX.

Invitiamo chi lo leggerà a rilevare nel suo contesto concezioni, linee particolari e metodi analoghi a quelli criticati nell’articolo, ad applicare nel proprio contesto particolare le tesi sostenute nell’articolo e a inviarci informazioni (scoperte, risultati, problemi) di questo suo lavoro.

 

1. I comunisti, la classe operaia, la rivoluzione socialista e il socialismo

Una delle particolarità della rivoluzione socialista rispetto a tutte le precedenti rivoluzioni è che con essa ha inizio l’eliminazione della plurimillenaria divisione dell’umanità in classi di oppressori e di oppressi. Al contrario tutte le precedenti rivoluzioni di cui è fatta la storia umana [non tutta la storia che abbiamo ricostruito finora, ma solo gli ultimi millenni di essa, come giustamente fecero notare, anche a precisazione dell’enunciato con cui si apre il Manifesto del partito comunista del 1848, Marx (vedi la lettera del 3 marzo 1852 a Joseph Weydemeyer) ed Engels (vedi la nota all’edizione 1888 del Manifesto)], sono state rivoluzioni che hanno portato al potere una nuova classe di oppressori. Proprio la borghesia ha creato condizioni tali che le classi degli oppressi finalmente possono e devono porre fine alla divisione dell’umanità in classi di oppressori e di oppressi. La rivoluzione socialista è la rivoluzione con cui gli oppressi compiono quest’opera che solo loro possono compiere, perché, più ancora che l’eliminazione degli oppressori, è l’assunzione da parte degli oppressi di un ruolo da cui le classi dominanti li hanno sempre esclusi: gli oppressi devono trasformarsi. Per la natura stessa della trasformazione, gli oppressi possono compiere quest’opera solo guidati da una delle classi oppresse, la classe operaia.

La classe operaia è la parte della popolazione che può e deve essere la protagonista della rivoluzione che instaurerà il socialismo, dove per socialismo intendiamo un sistema di rapporti sociali fondato su tre pilastri:

1. il potere nelle mani della classe operaia aggregata attorno al partito comunista. Chiamiamo “dittatura del proletariato” il sistema politico della fase socialista: così venne chiamata dai fondatori del movimento comunista per sottolineare che il sistema politico attuale, chiamato democrazia, in realtà è “dittatura della borghesia” che si nasconde sotto i veli di eguaglianza, libertà e diritti umani;

2. la trasformazione del sistema economico attuale in un sistema di aziende pubbliche finalizzato alla produzione di tutto quanto è necessario all’intera popolazione, secondo un piano inizialmente operante a livello nazionale ma teso a combinarsi a livello internazionale con l’attività economica degli altri paesi instaurando rapporti di solidarietà, di collaborazione e, fin quando necessario, di scambio;

3. la promozione della partecipazione crescente della massa della popolazione alla gestione di tutte le attività sociali e alla pratica delle attività culturali da cui le classi dominanti hanno da sempre tenuto ai margini se non escluso le classi sfruttate e oppresse: la loro esclusione dalle attività intellettuali e il loro abbrutimento morale sono stati infatti un tratto essenziale di tutte le società divise in classi.

Il socialismo è la fase di transizione dalla società attuale al comunismo e inizia con l’instaurazione della dittatura del proletariato. Tutte le proclamazioni di socialismo prima dell’instaurazione della dittatura del proletariato (come nicchie di socialismo, anticipazioni del socialismo, “socialismo del XXI secolo”) sono da prendere con le pinze facendo l’analisi concreta dei casi concreti. Bisogna distinguere il loro uso come parole d’ordine di propaganda e come mezzi di mobilitazione per la rivoluzione socialista, dal loro uso per distrarre l’attenzione dagli obiettivi della rivoluzione socialista e dai tre pilastri del socialismo. Per questo abbiamo più volte denunciato la trasposizione indebita nella nostra situazione da parte di Rete dei Comunisti, portavoce Luciano Vasapollo, della parola d’ordine “socialismo del XXI secolo” usata dai bolivariani del Venezuela e abbiamo mostrato che mirava a distrarre l’attenzione dagli obiettivi della rivoluzione socialista. I comunisti sovietici, che nel 1917 hanno portato per la prima volta alla vittoria una rivoluzione socialista, persino del sistema sociale cui diedero inizio con la vittoria parlarono sempre solo come di “costruzione del socialismo”. Mentre il padre del revisionismo moderno, il rinnegato Kruscev, nel XXI Congresso (1961) per distogliere l’attenzione dai tre pilastri del socialismo promise la realizzazione del comunismo entro i successivi 20 anni.

Cosa intendiamo noi comunisti quando parliamo di classe operaia?

Le classe operaia è composta da tutti i proletari impiegati (in funzioni non dirigenti) dai capitalisti in aziende che i capitalisti fanno funzionare per valorizzare i propri capitali producendo merci (beni e servizi) che vendono (a queste aziende, nell’epoca imperialista si sono aggiunte aziende in cui i capitalisti valorizzano il loro capitale con operazioni puramente finanziarie).

Con il termine proletari indichiamo gli individui che per vivere non hanno altra possibilità che vendere la propria forza lavoro. Quindi che non ricavano di che vivere vendendo merci che essi producono o comperano (come fanno invece i lavoratori autonomi: tipicamente il coltivatore diretto, l’artigiano, il bottegaio) né vivono di quello che essi stessi producono, come avveniva nelle società primitive e ancora avviene in una qualche misura in alcuni paesi arretrati. Solo una parte dei proletari, quelli che vendono la loro forza-lavoro ai capitalisti che la comperano per valorizzare i propri capitali, sono operai. Questa è una classe creata dalla borghesia e la distinguiamo dagli altri proletari che vendono la loro forza-lavoro a istituzioni pubbliche, a enti senza fini di lucro, a proprietari (redditieri) di vario genere e tipo, al clero, a ricchi in generale o che la vendono ai capitalisti stessi ma da questi sono assunti per il servizio personale e comunque per scopi diversi dalla valorizzazione dei propri capitali. 

 

Tre sono i tratti oggettivi della società borghese che rendono gli operai moderni capaci, più di ogni altra classe oppressa, di recepire e assimilare la concezione comunista del mondo che porta loro il Partito comunista [se è fondato solidamente sul marxismo, partito che nei paesi imperialisti per ben precise ragioni storiche (su cui qui non ci dilunghiamo) non è finora esistito e questo è il motivo per cui nei paesi imperialisti non è stato instaurato il socialismo, neanche nella prima parte del secolo XX nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria] [VO 58 Duecento anni dopo la nascita di Marx punto 3.8.],(1) di assumerla come guida delle propria attività e di realizzare una trasformazione del mondo conforme ai presupposti che questa concezione mostra essere presenti nel mondo attuale ed essere lo sviluppo di cui il mondo attuale ha bisogno.

1. Qui e di seguito diamo tra parentesi quadre e in corpo minore indicazioni utili al lettore che vuole approfondire l’argomento.

1. La loro contrapposizione, sulla base anche del senso comune borghese (la vendita della propria forza-lavoro, la contrattazione del prezzo di questa e delle condizioni della sua vendita), alla classe principale e portante (dominante) della società capitalista, la borghesia. Gli operai non sono “per natura” comunisti: lo diventano in massa, su grande scala, ma solo se il partito comunista li mobilita e orienta la loro lotta spontanea contro i capitalisti che, questa sì, sviluppano anche solo “per natura”.

2. L’essere dai capitalisti stessi, per i loro propri interessi, riuniti numerosi in un unico luogo (le città e le aziende) e indotti a collaborare tra loro e ad associarsi superando la concorrenza tra operaio e operaio generata dalla concorrenza per la vendita ognuno della propria forza-lavoro. Qui sentiamo già un folla di esponenti della sinistra borghese, da quelli che mettono avanti che “il socialismo è impossibile” a quelli che mettono avanti la banalità che “la rivoluzione socialista è difficile”, gridare

- che oggi sempre meno, nel nostro paese e negli altri paesi imperialisti, gli operai sono aggregati in una stessa azienda, che i capitalisti riducono continuamente il numero degli operai occupati in una singola unità locale (esternalizzazione, appalti e subappalti, telelavoro, ecc.),

- che anche gli operai che ancora lavorano fianco a fianco nella stessa azienda hanno contratti diversi (stabili con contratto a tempo indeterminato, dipendenti a tempo determinato con contratti personalizzati, precari di vario genere e grado, dipendenti da ditte d’appalto, lavoratori somministrati da agenzie di intermediazione, ecc.).

I due fenomeni denunciati sono certamente reali e la borghesia li sta estendendo su scala crescente. Noi comunisti dobbiamo quindi tenerne conto nel definire la linea per fare avanzare la rivoluzione socialista nel nostro paese. Di questi due fenomeni ci occuperemo nella seconda parte di questo articolo.

3. L’essere abituato ognuno di loro a svolgere un suo ruolo in un meccanismo produttivo di una merce, la quale in generale non entra (e comunque, se entra, vi entra solo come una componente tra tante altre) nel consumo diretto dell’operaio stesso, merce che è il risultato di un meccanismo produttivo a cui concorrono molti operai con ruoli diversi (non è il risultato del lavoro del singolo operaio). Ogni operaio è indispensabile perché il meccanismo produttivo funzioni e il singolo operaio svolge la sua parte solo se il meccanismo produttivo funziona. Sotto questo aspetto l’operaio più dei membri di ogni altra classe delle masse popolari è dalla società capitalista stessa educato a considerare il lavoro come la prestazione individuale data a un meccanismo produttivo sociale, quello che abbiamo indicato sopra, nel punto 2 dei tratti distintivi del socialismo.(2)

2. Preveniamo obiezioni ovvie ma inutili chiarendo che ognuno dei termini fin qui usati (e ognuno di quelli che useremo in seguito) indica una categoria della ricostruzione nella nostra mente della società reale, cioè un categoria della concezione comunista del mondo. Nella realtà (nel mondo concreto reale) non esistono solo individui corrispondenti a categorie pure, né una categoria rappresenta completamente un individuo reale. Esistono anche individui che partecipano delle caratteristiche di più di una delle categorie della nostra ricostruzione mentale del mondo (un operaio può essere anche un coltivatore diretto o membro di una banda musicale). Alcuni individui presentano tratti di una categoria e anche tratti di un’altra categoria, ma ogni individuo, salvo eccezioni irrilevanti ai fini pratici, presenta principalmente i tratti di una categoria o i tratti di un’altra. Una categoria non comprende tutti gli aspetti di un individuo. Ogni individuo presenta aspetti che non sono sussunti nella categoria a cui lo ascriviamo (un operaio può essere anche un padre e molte altre cose). Ogni categoria della concezione comunista del mondo è risultato di astrazione da aspetti che giustamente dobbiamo trascurare nella costruzione della nostra teoria, ma di cui altrettanto giustamente dobbiamo tener conto nell’attività con la quale, guidati dalla nostra teoria, trasformiamo il mondo.

Nella nostra scienza, la distinzione tra categoria (concreto di pensiero) e individuo reale (concreto reale) che abbiamo indicato per un individuo, vale anche per ogni relazione, istituzione e cosa. Ma come in ogni altra scienza, anche nella scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la loro storia con le categorie noi ricostruiamo la realtà nella nostra mente, come concreto di pensiero e con esso guidiamo la nostra azione sulla realtà. Il fatto che con la nostra azione sulla realtà trasformiamo questa nel senso che perseguiamo, è la prova (la conferma e la dimostrazione) che la nostra scienza della società è giusta, vera: è valida per il suo scopo [2° Tesi su Feuerbach]. In questa funzione sta anche il ruolo che la nostra scienza svolge nella vita degli individui e nella storia della società. Pensiamo per fare e la nostra scienza è guida nell’azione [11° Tesi su Feuerbach].

Da quanto fin qui detto deriva che oggi gli operai non sono “quelli che lavorano nell’industria”, non sono “quelli che svolgono un lavoro manuale”. Ci sono stati periodi del passato in cui queste definizioni empiriche, superficiali, intuitive indicavano grossomodo tutti gli operai, indicavano attributi in quel periodo comuni a tutti gli operai. Nelle società della fase imperialista quelli che persistono in queste concezioni degli operai sono completamente fuori strada e praticano linee politiche sbagliate.

Gli operai non sono neanche definiti dal contratto di lavoro che li riguarda, non sono divisi dalla differenza del rispettivo contratto di lavoro, dalla denominazione che hanno nelle statistiche in uso, nelle leggi statali, nel linguaggio corrente (esempio: operai, impiegati, tecnici). Non sono operai per il mestiere o la mansione che svolgono nell’azienda (elettricista, addetto alla catena, contabile, progettista, ecc.), per il contenuto del lavoro di ognuno. Nella concezione di operai che indichiamo, non è messo in causa neanche il livello del salario e i diritti che gli operai si sono conquistati: gli operai non sono necessariamente in miseria né privi di diritti garantiti da leggi e contratti e tutelati (a qualche modo) dalla giustizia dello Stato borghese. Gli operai non sono operai nemmeno per il ruolo che hanno nell’attività politica della società attuale: non sono operai per quello che pensano o per come votano. La “composizione politica di classe”, ossia la caratterizzazione delle classi derivata dall’attività politica che svolgono o dalla posizione politica che assumono, tipica delle correnti operaiste (Toni Negri ne è stato l’esponente più noto e rumoroso) è estranea alla nostra scienza. La “ricomposizione del blocco sociale” che Rete dei Comunisti propone a fronte della disgregazione del movimento comunista cosciente e organizzato cresciuto nel corso nella prima ondata della rivoluzione proletaria, è più vicina alla teoria operaista tipo Toni Negri che alla scienza che noi assumiamo a guida della nostra azione, il marxismo. Ciò che caratterizza gli operai è il rapporto di lavoro in cui sono inseriti: la posizione che occupano nel meccanismo della produzione proprio della società attuale (meccanismo già sociale ma fatto di parti ognuna delle quali è ancora proprietà privata).

 

La classe operaia è la parte della popolazione che può e deve essere la protagonista principale della rivoluzione che instaurerà il socialismo, fase di transizione dalla società attuale al comunismo; può e deve essere la classe che mobilita e trascina nella rivoluzione socialista le altre classi oppresse.

Nel corso della fase socialista la classe operaia mobilita, aggrega attorno a sé e guida le altre classi delle masse popolari nella lotta contro i tentativi di rinascita della borghesia, nella trasformazione dei rapporti di produzione e di se stesse e via via le assimila fino alla scomparsa definitiva della divisione dell’umanità in classi.

La rivoluzione socialista è l’insieme delle attività con le quali nella società ancora dominata dalla borghesia i comunisti mobilitano e aggregano la classe operaia attorno al partito comunista e la guidano a mobilitare contro la borghesia le altre classi delle masse popolari fino a instaurare il socialismo. I partiti della prima Internazionale Comunista e prima di loro i partiti socialisti della II Internazionale hanno sempre atteso che la rivoluzione socialista scoppiasse. Predominava la concezione che per il concorso di un insieme di circostanze che non era principalmente l’attività del partito comunista a determinare, le masse popolari avrebbero prima o poi abbattuto il potere della borghesia e lo Stato, che tutela il potere della borghesia e inquadra la società borghese, sarebbe crollato. Il partito doveva prepararsi ad approfittare dell’occasione e “prendere il potere”. I loro teorici professavano la concezione che le condizioni favorevoli alla presa del potere da parte degli operai si sarebbero fatalmente determinate e la presa del potere sarebbe fatalmente avvenuta. Alcuni addirittura sostenevano che era dannoso ogni piano di iniziative elaborato dal partito tendenti a determinare quelle condizioni [Gramsci, Quaderno 13, Noterelle sul Machiavelli, § 23].

L’esperienza storica della lotta di classe del secolo XX, quindi di tutta l’epoca imperialista, ha mostrato che la rivoluzione socialista non scoppia. I partiti socialisti e comunisti che hanno atteso che la rivoluzione socialista scoppiasse preparandosi per approfittare dell’occasione, quando si sono trovati nel mezzo di crisi acute del sistema politico borghese del proprio paese (crisi che effettivamente si determinano per cause connesse alla natura stessa della società borghese), non hanno saputo cosa fare e in definitiva la borghesia ha costruito le condizioni per stabilizzare nuovamente il suo potere. Per il nostro paese basta pensare alla crisi della fine del secolo XIX (1892-1898), alla Prima guerra mondiale, al Biennio Rosso (1919-1920), alla Seconda guerra mondiale, alla Resistenza, alla crisi a cavallo degli anni ’60 e ’70 del secolo sorso.

Due sono le lezioni che abbiamo tratto dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione che si è sviluppata nel mondo nella prima parte del secolo scorso su impulso della vittoria della rivoluzione socialista in Russia nell’Ottobre del 1917 e dell’azione dell’Unione Sovietica come base rossa della rivoluzione proletaria mondiale.

1. Nel processo della storia si determinano momenti in cui o il partito della rivoluzione socialista tira le estreme conseguenze del seguito e favore popolare che riscuote e del corrispondente sbandamento nelle file della classe dominante e prende il potere, oppure l’impotenza che il partito della rivoluzione dimostra, causa lo sbandamento nelle file popolari e la combattività delle masse popolari decade [VO 57, pag. 42]. Portare la rivoluzione fino al punto giusto e approfittare del momento favorevole che così esso crea (questo è la guerra popolare rivoluzionaria che promuoviamo), fa parte dell’arte della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti che il partito comunista deve praticare con maestria. In Italia nessun partito ha mai lavorato in quest’ottica. Sta a noi comunisti imparare quest’arte e dimostrare di averla imparata. Il partito è in grado di approfittare di momenti simili solo se il partito stesso li ha determinati con una sinergia e concatenazione di mobilitazioni della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari nel corso di una situazione rivoluzionaria in sviluppo [VO 52, pag. 8 e segg.] che il corso della società borghese stesso determina: noi dagli anni ’70 del secolo scorso siamo entrati in una situazione rivoluzionaria del genere. Le polemiche a proposito se siamo o no in una fase rivoluzionaria sono sterili se non distinguiamo nettamente la nostra concezione della situazione rivoluzionaria nel corso della quale promuoviamo la rivoluzione socialista, dalla concezione che ne ha chi aspetta che la rivoluzione socialista scoppi [VO 58 articolo Duecento anni dopo la nascita di Marx punto 2.6.].

2. La linea che il partito comunista deve seguire non è “prepararsi per approfittare dello scoppio della rivoluzione”, ma “costruire la rivoluzione”: far leva sulla mobilitazione spontanea degli operai e delle masse popolari prodotta dalla crisi generale della società borghese (dalla situazione rivoluzionaria in sviluppo) e portare passo dopo passo la classe operaia a mettersi alla testa delle altre classi delle masse popolari, a creare un proprio sistema di direzione delle masse popolari (nuovo potere). Usando un’allegoria: far crescere la maionese della lotta di classe e condurla fino al punto in cui la borghesia o scatena la guerra civile (che il partito vincerà perché si è creato le condizioni della vittoria) o cede le armi perché demoralizzata e convinta essa stessa che la guerra oramai è inutile e la partita persa.

La negazione di questa nostra tesi sulla rivoluzione socialista (“la rivoluzione socialista non scoppia”, “il partito comunista costruisce la rivoluzione socialista”) caratterizza i gruppi e partiti che si professano comunisti (abbiamo già nominato il Partito Comunista di Marco Rizzo come esempio) e vorrebbero ripercorrere la strada dei partiti comunisti dell’Internazionale Comunista, strada che si è dimostrata fallimentare nella prima parte del secolo XX nonostante l’ascesa che il movimento comunista allora ebbe nel mondo a seguito della vittoria dell’Ottobre in Russia. Ovviamente non riescono e non riusciranno neanche a ripercorrere la strada dei primi partiti comunisti, perché l’attività di questi si è sviluppata grazie alla solida base costituita dal grande sviluppo mondiale della prima ondata della rivoluzione proletaria.

La sinistra borghese (da Rete dei Comunisti, al PCI di Mauro Alboresi, al PRC ora di Maurizio Acerbo dopo di essere stato il partito di Fausto Bertinotti e di Paolo Ferrero e altri organismi ancora) è invece caratterizzata dalla negazione che solo con l’instaurazione del socialismo è possibile porre fine al catastrofico corso delle cose che la borghesia imperialista impone al mondo da quando negli anni ’70 del secolo scorso, a seguito dell’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria, ha ripreso nelle sue mani la direzione del corso delle cose.

Le concezioni che la divisione in classi e il loro ruolo nello sviluppo della società sono non solo storicamente superati ma superati anche di fatto, la negazione del ruolo particolare della classe operaia, addirittura la concezione che non esiste più classe operaia, popolano come male erbe il campo inquinato da queste due correnti principali.

Le tesi che abbiamo esposto fin qui sono tesi costitutive della scienza delle attività con le quali gli uomini hanno fatto e fanno la loro storia e presuppongono la concezione che sono gli uomini che fanno la loro storia. Nella fase attuale, come in precedenti fasi di sconfitta e demoralizzazione e di costruzione delle premesse di una nuova ondata rivoluzionaria, hanno largo corso nella cultura della borghesia e della sinistra borghese dottrine nichiliste di ogni specie. La borghesia promuove su grande scala concezioni filosofiche secondo cui “il futuro è sconosciuto e per principio non conoscibile”, “nessuna intelligenza è in grado di sapere in anticipo quali forme e quali sistemi nuovi nasceranno in futuro”, “viviamo in un ambiente caotico con solo piccoli spazi di linearità”. Con la stessa energia con cui promuovono disfattismo, demoralizzazione, dissociazione dalla lotta di classe, pornografia (“droga, sesso e rock’nd roll”), criminalità e mille altre pratiche di diversione ed evasione, la borghesia e la sinistra borghese al suo seguito impongono simili concezioni: le narrazioni prendono il posto della scienza, solo i fenomeni e le sensazioni sono conoscibili, ecc.

I compagni che sono turbati dal pullulare di simile verminaio saranno rimessi coi piedi per terra dalla lettura del contesto sociale e culturale in cui Lenin scrisse Materialismo ed empiriocriticismo, contesto ben descritto da Stalin in Storia del PCUS di cui le Edizioni Rapporti Sociali hanno appena stampato una nuova edizione. A chi conosce la letteratura comunista (di Mao e dei suoi compagni di lotta fino al 1976 e la letteratura del nostro partito) non è difficile constatare che tutti i grandi avvenimenti di questi decenni, portati a riprova dell’imprevedibilità degli eventi storici (la rinascita della borghesia nei paesi socialisti, la sconfitta della Rivoluzione Culturale Proletaria nella Repubblica Popolare Cinese, il crollo dell’Unione Sovietica, il disfacimento dei partiti comunisti dei paesi imperialisti, la putrefazione della Repubblica Pontificia, ecc.) erano nell’ordine degli avvenimenti che la concezione comunista del mondo aveva messo in conto. Nella storia che gli uomini fanno, ogni situazione non ha per sua natura un solo esito possibile, ma vari e quale di essi si affermerà dipende dall’attività degli uomini stessi. L’acqua che sgorga da una sorgente di montagna va certo a valle: ma quale percorso seguirà, dipende da svariate circostanze.

Sono gli uomini che fanno la loro storia e le attività con le quali la fanno, come ogni altra attività umana e ogni processo in natura, si svolgono secondo leggi loro proprie che chi le studia con metodo scientifico (elaborando ipotesi, provando e sperimentando, verificando nell’attività di trasformazione del mondo, ritenendo e ulteriormente sviluppando le ipotesi confermate dalla pratica e rigettando le ipotesi smentite dalla pratica) riesce a conoscere. È così che la prima ondata della rivoluzione proletaria ha confermato il marxismo e lo ha portato al livello del marxismo-leninismo-maoismo: la scienza che guida le attività con cui facciamo avanzare la rivoluzione socialista.

 

2. Quanti e dove sono gli operai oggi in Italia

Quanto alla ripartizione degli operai in unità locali, per poterci servire dei dati dell’ISTAT (Istituto di Statistica) consideriamo tutta l’attività economica in cui sono impiegati salariati divisa in tre grandi settori:

- attività produttive, che comprendono le aziende capitaliste che producono merci (beni e servizi), aziende artigiane con dipendenti, le aziende pubbliche che producono merci (beni e servizi: rientrano in questa categoria, ad esempio, aziende come Fincantieri, Finmeccanica, Trenitalia) e le istituzioni pubbliche che producono servizi pubblici che il “buon senso” borghese considera “merci (ahimè!) sottratte al mercato a causa della prima ondata della rivoluzione proletaria” (le principali di queste istituzioni sono scuole, università, ospedali e altre strutture del Servizio Sanitario Nazionale),

- Pubblica Amministrazione centrale e locale intesa in senso tradizionale (Stato, regioni, province, comuni),

- Organizzazioni non a fine di lucro aventi utilità sociale - ONLUS: un settore in cui l’ISTAT raggruppa “di tutto” - ONG (organizzazioni non governative), enti di beneficenza (molti dei quali sono succursali di imprese capitaliste che per di più tramite esse “ottimizzano”, cioè eludono, il loro carico fiscale, le imprese della Chiesa Cattolica mascherate da associazioni umanitarie di “volontari”: preti, frati, suore e lavoratori pagati, o meglio sottopagati, in nero), altro ancora.

Nella Tabella di pag. 43 sono riportati

1. i dati del censimento fatto dall’ISTAT nel 2011 e i dati elaborati dall’ISTAT per il 2015 relativi ai dipendenti delle attività produttive;

2. i dati dei censimenti fatti dall’ISTAT nel 2011 e nel 2015 relativi ai dipendenti della Pubblica Amministrazione centrale e locale.

Nei censimenti del 2011 e del 2015 e nell’elaborazione del 2015 le Unità Locali (UL) sono divise in classi per numero di dipendenti (meno di 10, da 10 a 19 e da 10 a 49, da 50 a 249, ecc. - ci scusiamo con i nostri lettori ma non siamo riusciti a trovare dati più coerenti e uniformi e comunque ai nostri fini quelli in Tabella sono sufficienti) e per ogni classe di UL viene indicato il numero di UL che vi rientrano e il numero di lavoratori che le UL di quella classe impiegano.(3)


3. I compagni che lavorano sul terreno, trovano informazioni analoghe a quelle date nella Tabella, ma per la loro provincia e il loro comune seguendo le indicazioni che trovano in: http://www.nuovopci.it/istruzioni/indice.html

Altre utili informazioni sono ricavabili 1. dagli opuscoli 1 e 2 Composizione di classe del settore LOes del P.CARC, 2. dalla pubblicazione Clash City Workers, Dove sono i nostri - Lavoro, classi e movimenti nell’Italia in crisi (Ja casa USHER, 2014) da usare con le avvertenze date nella recensione pubblicata in VO 47, Dove sono i nostri e concezione comunista del mondo pagg. 55-60.

 

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[Di seguito la Tabella di pagina 43 della versione cartacea di La Voce 58, ndr]

Unità locali (UL): classi per numero di addetti,

numero di UL e numero di addetti per classe

2015 - Elaborazione ISTAT - Attività produttive

classe di UL per numero di addetti

meno di 10 10-49   50-249 più di 250 totale

numero di unità locali   

4.451.637 205.816   27.285 3.153 4.687.891

numero di addetti   

8.186.243 3.742.367   2.634.784 1.726.481 16.289.875

Fonte: http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DICA_ASIAUE1P

       
             

2011 - Censimento ISTAT - Attività produttive

classe di UL per numero di addetti

meno di 10 10-19 20-49 50-249 più di 250 totale

numero di unità locali   

4.559.701

152.581 65.043 25.762  2.927 4.806.014

numero di addetti   

8.376.567

2.003.641

1.935.781 2.454.122 1.653.975

16.424.086

Fonte: http://dati-censimentoindustriaeservizi.istat.it

       
             
             

2015 - Censimento ISTAT - Istituzioni pubbliche (Stato, regioni, province, comuni)

classe di UL per numero di addetti

meno di 20

20-99

100-499

più di 500

totale

 

numero di unità locali   

7.397

3.871

1.106

500

12.874

numero di addetti   

54.252

160.484

211.715

2.561.214

2.987.665

 

Fonte: http://dati-censimentoindustriaeservizi.istat.it

       
             

2011 - Censimento ISTAT - Istituzioni pubbliche (Stato, regioni, province, comuni)

classe di UL per numero di addetti

meno di 20

20-99

100-499

più di 500

totale

 

numero di unità locali   

6.842

3.789

1.027

525

12.183

 

numero di addetti   

52.851

149.218

193.074

2.574.845

2.969.988

 

Fonte: http://dati-censimentoindustriaeservizi.istat.it

       

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Dalla Tabella di pag. 43 risulta un ampio campo di lavoro: svariate decine di migliaia di aziende ognuna con un numero di operai adeguato a fare dell’azienda un centro del nuovo potere, in un paese di meno di 60 milioni di residenti. Potremmo dire che in Italia come negli altri paesi imperialisti è in atto una corsa tra la borghesia imperialista che per prolungare la vita del suo sistema sociale ha condannato queste aziende a una morte più o meno lenta (e non è in grado di accelerare oltre certi limiti: per una combinazione di motivi deve procedere gradualmente e in ordine sparso) e noi comunisti che mobilitiamo gli operai che la borghesia ha condannato alla morte perché “uccidano” essi la borghesia e il suo sistema di relazioni sociali. I disfattisti promuovono tra gli operai la rassegnazione alla condanna, noi promuoviamo la trasformazione della resistenza spontanea in rivoluzione socialista. Ogni attacco della borghesia contro gli operai, per forza di cose crea condizioni favorevoli allo sviluppo e al rafforzamento della nostra direzione (mette gli operai di fronte al dilemma o combattere unendosi a noi o morire) e distrugge (anche i risultati elettorali lo confermano) l’influenza sugli operai della sinistra borghese, fautrice di un impossibile ritorno al capitalismo dal volto umano: alla sola condizione che ci rendiamo capaci di dirigere una rivoluzione socialista.

 

3. Come mobilitiamo gli operai a fare la rivoluzione socialista

Portare in ogni azienda capitalista e in ogni azienda e istituzione pubblica i lavoratori a costituire una organizzazione operaia (OO) o organizzazione popolare (OP) e orientare e in qualche modo portare ogni OO e OP a compiere operazioni che la fanno crescere di forza e influenza (ne fanno una nuova autorità pubblica capace di elaborare indicazioni e di portarle tra gli altri lavoratori dell’azienda e tra le masse popolari della zona circostante con autorevolezza crescente in modo che siano attuate) e la fanno diventare nodo di una rete di OO e OP che si estende sempre più fitta nel paese. Questo è oggi gran parte del nostro lavoro di massa per far avanzare la rivoluzione socialista nel nostro paese, nell’ambito della linea del Governo di Blocco Popolare che abbiamo adottato nel 2008 (ne diamo per scontata la conoscenza e comunque rimandiamo all’Avviso ai naviganti 6 del 16 marzo 2012). A questo lavoro quindi il partito in generale e ogni CdP regionale, provinciale, di zona e gran parte dei CdP di base e dei CdP effettivi e in formazione deve dedicare in una visione strategica attenzione, energia e risorse.

In questo campo non siamo soli: altri organismi fanno già un buon lavoro, benché ancora del tutto sperimentale come è anche il lavoro che facciamo noi. Il Partito tutto è impegnato anche a sostenere ogni organismo che lavora in questo senso.

Il P.CARC in particolare non solo sta compiendo delle significative esperienze, ma ne sta ricavando insegnamenti e lezioni. Per questa parte dell’articolo, quindi, ci avvaliamo della Comunicazione n.1/2018 del settore Lavoro Operaio e sindacale del P.CARC, che siamo stati autorizzati a pubblicare, e della lettera di una compagna, sempre del P.CARC, in cui sono indicati i principali insegnamenti che il P.CARC ha ricavato e sta ricavando dalla battaglia della Rational di Massa.

Umberto C. ed Ernesto V.