La Voce  57 - anno XIX, novembre 2017 - in formato PDF - Formato Open Office - Formato Word

del (nuovo)Partito comunista italiano

Lenin - L’“estremismo”, malattia infantile del comunismo

Presentazione della redazione di La Voce

 

Lenin scrisse questo opuscolo nella primavera del 1920 (il testo principale venne chiuso il 27 aprile e l’Appendice il 12 maggio 1920) in vista del II congresso dell’Internazionale Comunista (19 luglio - 7 agosto 1920). L’opuscolo usci in russo nel giugno 1920 e in luglio uscirono le traduzioni in tedesco, francese e inglese. L’edizione inglese, sulla quale abbiamo rivisto la traduzione italiana degli Editori Riuniti, fu personalmente rivista da Lenin e l’opuscolo porta il titolo Il comunismo “di sinistra”, malattia infantile del comunismo, più coerente con il suo contenuto. Il manoscritto reca il sottotitolo Saggio di conversazione popolare sulla strategia e sulla tattica marxista, tralasciato però dall’autore nel testo a stampa, insieme con la dedica (ironica) a Lloyd George: “Dedico quest’opuscolo all’onorevole mister Lloyd George in segno di gratitudine per il suo discorso del 18 marzo 1920, discorso quasi marxista e comunque eccezionalmente utile per i comunisti e i bolscevichi di tutto mondo”.

Il tema dell’opuscolo è la trasformazione che i promotori dei neonati o nascenti partiti comunisti della Germania, dell’Inghilterra, degli Stati Uniti d’America, dell’Italia, della Francia e di altri paesi europei minori dovevano compiere, per essere all’altezza del compito che intendevano assumere. Gran parte di essi provenivano dalle file della II Internazionale e non a caso allo scoppio della guerra mondiale (all’inizio dell’agosto 1914), anche quelli di loro che non avevano aderito al tradimento, non avevano saputo impedire che i rispettivi partiti tradissero i loro stessi programmi (nello specifico il Manifesto di Basilea che avevano firmato alla fine del novembre 1912) e collaborassero con la borghesia del rispettivo paese rendendosi complici della guerra fratricida o (come fu il caso del Partito socialista italiano) assumessero una posizione di neutralità (“né aderire né sabotare”), rinunciassero cioè a promuovere la lotta delle masse popolari contro la guerra abbandonando il proprio ruolo di direzione e lasciando le masse allo sbando.

La trasformazione (la Riforma Intellettuale e Morale, diremmo noi oggi) che i promotori dei partiti comunisti dei paesi imperialisti dovevano compiere è il tema che Lenin tratta in più scritti, a partire dall’inizio della guerra (alcuni sono reperibili anche sul sito www.nuovopci.it) fino alla conclusione del IV congresso dell’IC (1922). Il tema venne ripreso da Stalin e dall’IC e si tradusse nel progetto di bolscevizzazione dei partiti comunisti. Il progetto venne accettato ma sostanzialmente eluso dai partiti comunisti dei paesi imperialisti. Il proposito di attuarlo intrapreso da Gramsci per il partito italiano quando alla fine del 1923 l’Esecutivo dell’IC lo incaricò di dirigere il partito, ebbe fine con il suo arresto operato dai fascisti nel novembre 1926. Per noi eredi del movimento comunista italiano, che vogliamo attingere alla sua esperienza, è indispensabile tener conto di questa sistematica deviazione dal leninismo propria dei partiti comunisti dei paesi europei e, per quello che riguarda noi, in particolare del partito italiano di cui ci dichiariamo eredi (Manifesto Programma del (nuovo) Partito comunista italiano).

Per capire giustamente lo scritto di Lenin, bisogna che il lettore tenga presente che Lenin lo scrisse quando era ancora convinto che l’instaurazione del socialismo nei principali paesi europei era questione di mesi o al massimo di pochi anni. Nell’aprile-maggio 1920 in Italia non si era ancora consumata la tragedia del settembre 1920 quando CGL e PSI abbandonarono vergognosamente senza direzione gli operai che avevano occupato le fabbriche: il movimento era anzi ancora in piena ascesa. In Europa orientale l’aggressione polacca sostenuta dalle potenze europee era vittoriosamente respinta dall’Armata Rossa che stava anche liquidando gli ultimi eserciti reazionari russi (Vrangel in Crimea). Il movimento di massa favorevole all’instaurazione del potere sovietico e all’eliminazione del potere dei circoli borghesi, era in piena ascesa in Germania, in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Italia e in Francia oltre che in paesi minori. Tutto faceva credere che i partiti comunisti avrebbero imparato in fretta a dirigere e portato questo movimento alla vittoria.

Poco più di un anno dopo, al III Congresso dell’IC (22 giugno-12 luglio 1921) Lenin dirà (stando all’approssimativo verbale del discorso): “Quando abbiamo iniziato, a suo tempo, la rivoluzione internazionale, lo abbiamo fatto non perché fossimo convinti di poter essere noi l’avanguardia del suo sviluppo, ma perché tutta una serie di circostanze comportava che noi prendessimo il potere. Pensavamo: o la rivoluzione internazionale ci verrà in aiuto, e allora la nostra vittoria sarà pienamente garantita, o faremo il nostro modesto lavoro rivoluzionario, consapevoli che, in caso di sconfitta, avremo tuttavia giovato alla causa della rivoluzione e la nostra esperienza andrà a vantaggio di altre rivoluzioni. Era chiaro per noi che la vittoria della rivoluzione proletaria in Russia doveva essere assicurata dall’appoggio della rivoluzione mondiale. Già prima della rivoluzione e anche dopo di essa, pensavamo: o la rivoluzione vincerà subito, o almeno molto presto, negli altri paesi capitalisticamente più sviluppati, oppure, in caso contrario, soccomberemo. Nonostante questa consapevolezza abbiamo fatto di tutto per salvaguardare, in tutte le circostanze e a ogni costo, il sistema sovietico, perché sapevamo di lavorare non soltanto per noi, ma anche per la rivoluzione internazionale. Lo sapevamo e abbiamo espresso più volte questa convinzione: prima della Rivoluzione d’Ottobre e subito dopo, nel periodo della pace di Brest-Litovsk [dicembre 1917-marzo 1918]. E a grandi linee ciò era giusto.

Ma in realtà il movimento non è stato così lineare come ci attendevamo. Negli altri grandi paesi, capitalisticamente più sviluppati, la rivoluzione finora non ha ancora vinto. È vero però, e possiamo constatarlo con soddisfazione, che la rivoluzione avanza in tutto il mondo, e soltanto grazie a questa circostanza la borghesia internazionale, benché economicamente e militarmente cento volte più forte di noi, non riesce a soffocarci. (...) La rivoluzione internazionale che noi prevedevamo, avanza, ma questo movimento progressivo non è così lineare come ci attendevamo.”

Noi comunisti oggi constatiamo che il movimento dell’umanità è stato ancora meno lineare di quanto Lenin probabilmente immaginava, ma è andato comunque nella direzione che la scienza marxista gli faceva prevedere. Oggi, in condizioni immediate a prima vista alquanto diverse da quelle dell’inizio del secolo scorso, ci troviamo tuttavia ancora alle prese con la rivoluzione socialista e con il fatto, già allora individuato grazie alla scienza marxista, che perché la rivoluzione socialista vinca bisogna che i comunisti si mettano all’altezza del loro ruolo. In cosa consista la trasformazione che dobbiamo compiere noi comunisti, è quello di cui tratta lo scritto di Lenin, riferendosi alla situazione concreta della primavera del 1920. La rivoluzione socialista vince se i comunisti sono all’altezza del loro ruolo di classe dirigente, ovviamente una classe dirigente di nuovo tipo data la natura assolutamente nuova del salto che l’umanità deve compiere.

Un’ultima nota per quanto riguarda il Partito comunista italiano. Dallo scritto che segue risulta che Lenin nel maggio 1920 si attendeva e auspicava che in Italia il partito comunista nascesse per confluenza dei comunisti di Gramsci e dei massimalisti di Serrati (anch’essi in massa favorevoli al regime sovietico), certamente non sotto la direzione di Bordiga e della sua corrente astensionista (che Lenin giustamente classifica tra i comunisti “di sinistra”): Lenin riteneva che oramai la rottura con questi era inevitabile,(v. qui a pag. 65) perché i comunisti riuscissero ad assumere la direzione del movimento rivoluzionario in corso. Una serie di circostanze ha fatto andare le cose altrimenti e in Italia il partito comunista è nato (21 gennaio 1921) proprio sotto la direzione di Bordiga ostinatamente legato al comunismo “di sinistra” e vi è rimasto fino a gran parte del 1923 annullando sostanzialmente anche l’effetto della tardiva rottura (inizio ottobre 1922) dei massimalisti di Serrati con i socialtraditori di Turati. Questo fatto rende ragione del successo del fascismo ed è di questo che tratta Gramsci nelle prime pagine dello scritto Cinque anni di vita del partito (www.nuovopci.it) di cui raccomandiamo la lettura. Nel movimento delle masse si determinano momenti in cui o il partito della rivoluzione tira le estreme conseguenze del favore popolare che riscuote e del corrispondente sbandamento nelle file della classe dominante e prende il potere, oppure l’impotenza che il partito della rivoluzione dimostra causa lo sbandamento nelle file popolari e la combattività delle masse popolari decade. Portare la rivoluzione fino al punto giusto e approfittare del momento favorevole che così si crea, fa parte dell’arte della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti. In Italia nessun partito ha mai lavorato in quest’ottica. Sta a noi comunisti dei paesi imperialisti imparare quest’arte e dimostrare di averla imparata.