La Voce  57 - anno XIX, novembre 2017 - in formato PDF - Formato Open Office - Formato Word

del (nuovo)Partito comunista italiano

Noi comunisti italiani di nuovo tipo e il primo PCI (1921-1989)

Introduzione alla lettura di L’“estremismo”, malattia infantile del comunismo di Lenin

Le molte celebrazioni del Centenario della Rivoluzione d’Ottobre hanno certamente portato molti di quelli che oggi in Italia si professano comunisti, come minimo quelli abituati o almeno inclini a riflettere sulle condizioni e il contesto della nostra lotta, a porsi la questione di quale è la relazione tra la nostra lotta contro il catastrofico corso delle cose che la borghesia imperialista impone al mondo e la rivoluzione che portò in Russia alla svolta dell’Ottobre 1917, alla successiva guerra che si concluse solo nel 1920 [in questa lunga guerra il tentativo disperato di rivincita della borghesia e delle altre classi reazionarie dell’Impero zarista si combinò con l’intervento su grande scala di tutte le potenze imperialiste (dagli USA al Giappone) e degli altri Stati che esse riuscirono a mobilitare per “soffocare il bambino finché è ancora nella culla” (così Churchill allora riassunse il compito comune di tutti i gruppi imperialisti)] e successivamente alla costruzione del socialismo in Unione Sovietica e alla prima ondata della rivoluzione proletaria che gli avvenimenti russi sollevarono nel mondo intero.

Nelle risposte contrastanti date a questa questione si esprimono gli interessi opposti delle classi fondamentali della nostra società (la borghesia imperialista e il proletariato) e le contrastanti concezioni dei gruppi e personaggi che nel nostro paese costituiscono la sinistra borghese e di quelli che oggi già si dichiarano comunisti.

Le risposte a questa domanda sono sostanzialmente due.

Una risposta è che la nostra lotta di oggi continua e deve continuare la trasformazione storica a cui ha contribuito la rivoluzione russa e l’ondata di lotte e rivoluzioni che essa ha sollevato nel mondo intero; in breve che nonostante tutti gli avvenimenti e le trasformazioni che si sono prodotti negli ultimi cento anni, siamo ancora nell’epoca dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria che instaurerà il socialismo; ossia che l’attività con cui l’umanità produce e riproduce di che vivere e proteggersi dalle intemperie e dalle avversità è oggi ancora principalmente basata sulla compravendita della forza-lavoro tra proletari e capitalisti.

L’altra risposta è che il capitolo della rivoluzione russa e dell’ondata di lotte e rivoluzioni che essa ha sollevato nel mondo intero è un capitolo definitivamente chiuso. I sostenitori di questa seconda risposta si dividono poi tra quelli che sostengono che è stato un capitolo ignominioso (a questa schiera appartengono la maggior parte dei dichiarati portavoce del clero e della borghesia), un capitolo di “errori e orrori” (Bertinotti, Ferrero & C) e quelli che dicono che è stato un capitolo eroico ma fallimentare (fallito per questo o quel motivo: perché non erano ancora mature le condizioni per instaurare il socialismo (Diliberto & C), per errori, vizi e tradimento di dirigenti o per ignavia delle masse popolari). Posizione comune è che siamo entrati in un’epoca completamente diversa (per questo o quel motivo) da quella della prima parte del secolo scorso, che siamo in un altro modo di produzione sostanzialmente diverso da quello analizzato da K. Marx: è ad esempio il ritornello di Rete dei Comunisti e di altri organismi che pur si dichiarano comunisti.

Noi siamo decisi fautori della prima risposta. La nostra posizione è che la rivoluzione russa è stata la prima rivoluzione vittoriosa di un’epoca della storia umana caratterizzata dal tramonto del modo di produzione capitalista e della società borghese che su di esso è costruita e dall’affermazione del socialismo, transizione dal modo di produzione capitalista al comunismo.

Il capitalismo che è nato in Europa ed ha avuto il suo massimo sviluppo nelle colonie di popolamento europeo  dell’America del Nord (gli USA), si era imposto in tutto il mondo dividendolo in un pugno di paesi imperialisti e in un mare di colonie e semicolonie. La prima rivoluzione socialista vittoriosa si è affermata in un paese di mezzo, l’impero zarista. Il Partito di Lenin e di Stalin condusse il proletariato russo a prender il potere e a tenerlo a ogni costo, perché sulla base della scienza fondata da Marx ed Engels sapevano che prendendo il potere in Russia, come una serie di circostanze permettevano loro di fare, anche se la Russia era (dal punto di vista dei rapporti sociali) la più arretrata delle potenze imperialiste che si spartivano il mondo, davano il via a un’impresa di portata storica mondiale: la costruzione delle fondamenta dell’economia socialista che è il futuro prossimo dell’umanità, il passo che l’umanità deve compiere per uscire dal vortice di distruzione in cui la borghesia l’ha precipitata dopo che il capitalismo è giunto al massimo del suo sviluppo costituito dall’imperialismo. La concezione del Partito di Lenin e di Stalin è pienamente confermata dalla storia svoltasi nei cento anni che hanno seguito l’Ottobre: alla prima guerra mondiale è succeduta la seconda e ora ci troviamo nell’incertezza se il fattore prevalente della catastrofe verso cui la borghesia imperialista porta l’umanità, se mai potesse continuare l’opera che è nella sua natura, se non sopravvenisse una rivoluzione socialista vittoriosa a sconvolgere il corso delle cose che essa per forza di cose impone, sarà la combinazione dello sconvolgimento climatico con l’avvelenamento della terra, dell’aria, dell’acqua e del cibo, o la guerra che dilaga nel mondo.

Quelli che pur dichiarandosi contro l’attuale corso delle cose sostengono che siamo passati a un’epoca completamente nuova, che il passo che l’umanità deve compiere non è più l’instaurazione del socialismo (inteso come direzione politica della società (lo Stato) nelle mani del proletariato organizzato (che nel nostro linguaggio chiamiamo “dittatura del proletariato”), gestione pubblica dell’attività economica, crescente partecipazione della massa della popolazione alla gestione della società), basano le loro affermazioni su fatti empirici, su dati intesi unilateralmente: in sostanza alcuni sul rifiuto di assumere la responsabilità di promuovere la rivoluzione socialista e altri sull’influenza della borghesia che per sua propria natura ovviamente rifugge dal socialismo e contrasta con ogni mezzo la sua instaurazione.

Coerentemente noi abbiamo chiamato tutti a mettere al centro delle celebrazioni del Centenario non la rievocazione e l’illustrazione delle eroiche imprese compiute e dei grandi risultati raggiunti nella trasformazione dei rapporti sociali, ma 1. gli insegnamenti che dobbiamo ricavare dalla rivoluzione russa (sovietica) - e abbiamo indicato (Comunicato CC 12/2017 - 27 settembre 2017) i due che a nostro avviso sono più importanti in questo momento, ai fini della lotta che stiamo conducendo e 2. i motivi per i quali la prima ondata della rivoluzione proletaria si è esaurita e l’Unione Sovietica si è dissolta.

Che l’impresa incominciata in Russia con la vittoria del 1917 e della successiva guerra 1918-1920 ed estesasi ad altri paesi coloniali o semicoloniali e la prima ondata della rivoluzione proletaria si siano esaurite, sulla base del marxismo è un evento del tutto comprensibile. Era un esito nell’ordine delle cose possibili finché la rivoluzione socialista non aveva vinto almeno in uno dei paesi capitalisti più progrediti.

Che i partiti comunisti che si erano formati nei paesi imperialisti, in Europa e negli USA, sulla base del lavoro fatto dalla II Internazionale (1989-1914) e poi dello slancio impresso al proletariato di quei paesi dalla vittoria in Russia e dall’eroica lotta dei popoli sovietici guidati dal Partito di Lenin e di Stalin, non fossero all’altezza del compito di instaurare il socialismo nei rispettivi paesi, era cosa chiara a Lenin, a Stalin e ad altri dirigenti sovietici: ma non solo, lo era anche a Gramsci.

Per questo chiediamo a tutti i compagni di non accontentarsi di ripetere di avere “certezza granitica” che instaureremo il socialismo, ma di rafforzare in sé e negli altri lo slancio e la scienza con cui svolgono il loro lavoro rivoluzionario di oggi, con cui imparano dall’esperienza l’arte della rivoluzione socialista, studiando la storia della prima ondata della rivoluzione proletaria nel nostro paese e nel mondo. A questo scopo proponiamo in questo numero della rivista ampi  stralci dello scritto di Lenin L’“estremismo”, malattia infantile del comunismo ed esortiamo tutti i nostri compagni a leggere i sei scritti indicati nella manchette qui accanto (reperibili sul sito www.nuovopci.it, in traduzione rivista e con presentazione della redazione di La Voce). Sono sei scritti (ai quali nei prossimi giorni aggiungeremo il testo completo di L’“estremismo”, malattia infantile del comunismo) che indicano chiaramente perché la sinistra (la parte più onestamente votata a instaurare il socialismo) dei partiti comunisti formatisi nei paesi imperialisti nell’ambito della prima Internazionale Comunista non è riuscita a portare la rivoluzione socialista fino all’instaurazione del socialismo e in definitiva ha poi nel corso degli anni ceduto la direzione dei rispettivi partiti comunisti alla destra: questa era di fatto convinta che non esistevano le condizioni necessarie per instaurare il socialismo anche se non osava proclamarlo apertamente perché sarebbe stata un’affermazione del tutto contraria ai sentimenti e alle aspirazioni della massa dei proletari aderenti e seguaci del partito: questi se non avevano capito, intuivano e sentivano però per istinto di classe che la via indicata dal Partito di Lenin e di Stalin era la loro via.

È importante che i comunisti comprendano la differenza sostanziale che vi è stata tra il Partito di Lenin e di Stalin e i partiti comunisti dei paesi dell’Europa occidentale e degli USA. Questa differenza è invece ancora oggi largamente incompresa. Recentemente un compagno, della cui buona volontà non dubitiamo, il direttore delle Edizioni Rapporti Sociali, presentava la nuova edizione della Storia del Partito comunista (bolscevico) dell’URSS scrivendo che “sorto sulla base del movimento operaio della Russia precedente alla rivoluzione, il Partito comunista bolscevico dell’URSS si è ispirato alla dottrina rivoluzionaria del marxismo”. Questa affermazione a proposito del Partito comunista russo da una parte è contraria alla verità storica (il partito comunista in Russia è nato del tutto indipendentemente dal movimento operaio russo e solo successivamente si è strettamente legato ad esso - lo illustra senza possibilità di fraintendimenti Lenin nel capitolo 2a di Che fare? scritto nel 1902). Dall’altra parte denota l’incomprensione della diversità profonda tra esso e i partiti comunisti dei paesi europei e degli USA. Di questi è giusto dire che sono nati “sulla base del movimento operaio” del loro paese e che si sono “ispirati alla teoria rivoluzionaria del marxismo”. Il Partito comunista russo invece è nato sulla base della teoria rivoluzionaria del marxismo (sorto in Europa) e si è, grazie ad essa, strettamente legato al movimento operaio russo e ne ha promosso lo sviluppo fino a farne la nuova classe dirigente di gran parte dei popoli che fino al 1917 erano racchiusi nell’impero zarista. Il Partito comunista russo è stato formato da circoli di intellettuali rivoluzionari (di varie nazionalità) che hanno aderito al marxismo e che grazie ad esso si sono poi legati al movimento operaio delle varie nazionalità racchiuse nell’impero zarista. E gli effetti della differenza si sono visti. L’affermazione del direttore delle ERS è una dimostrazione esemplare (esemplare perché certamente il direttore delle ERS scrive quello che molti altri tra i migliori comunisti italiani oggi scriverebbero e scrivono) che nelle file del movimento comunista italiano non sono ancora andate sufficientemente a fondo né la discussione sul motivo per cui i partiti comunisti dei paesi europei e degli USA non hanno instaurato il socialismo nel corso della grande crisi generale del capitalismo nella prima parte del secolo scorso, né la discussione sulla natura e sul ruolo che devono essere propri dei nuovi partiti comunisti per arrivare all’instaurazione del socialismo nel corso dell’attuale nuova crisi generale del capitalismo.

A persone poco o per nulla impegnate nella rinascita del movimento comunista la differenza potrà sembrare poco più di una sfumatura. Ma in realtà essa riguarda il cuore delle divergenze che vi sono oggi tra individui e organismi che si professano comunisti. Tra quelli che sostengono che i comunisti devono anzitutto legarsi alle lotte rivendicative degli operai e delle masse popolari e quelli (come noi) che sostengono che i comunisti devono assimilare la scienza del marxismo e da questa trarre gli strumenti per legarsi profondamente e su grande scala agli operai a partire dai più avanzati per condurre questi a diventare classe dirigente della massa degli operai e anche del resto delle masse popolari perché instaurino il socialismo.

 

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Grandi dirigenti del movimento comunista sull’esperienza storica della rivoluzione socialista

Testi riveduti e presentati dalla redazione di La Voce - Reperibili in www.nuovopci.it

 

01. Lenin - agosto 1916 Sulla tendenza nascente dell’“economicismo imperialista” (riv. e pres.) OC vol. 23

02. Lenin - settembre 1916 Risposta a P. Kievski (IU. Piatakov) (riv. e pres.) OC vol. 23

03. Lenin - ottobre 1916 Intorno a una caricatura del marxismo (riv. e pres.) OC vol. 23

04. Lenin - agosto 1921 Lettera ai comunisti tedeschi (riv. e pres.) OC vol. 32

05. Stalin - agosto 1921 Il partito prima e dopo la presa del potere (riv. e pres.) Opere (ERS) vol. 5

06. A. Gramsci - febbraio 1926 Cinque anni di vita del partito (riv. e pres.) Einaudi La costruzione del partito comunista 1923-1926.

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I primi prendono come modello il vecchio PCI che in un certo momento della sua storia era diventato un partito con un grande seguito tra gli operai e le masse popolari, seguito che via via si dissolse. Aspirano a diventare come era il vecchio PCI (di regola senza riuscire a capire che il vecchio PCI aveva conquistato un grande seguito e suscitato una grande combattività tra gli operai e le masse popolari grazie all’ondata di lotte e di rivoluzioni che la rivoluzione sovietica aveva sollevato nel mondo intero). Quindi aspirano senza riuscirvi e maledicono la cattiva sorte e le masse popolari che non corrispondono alle loro buone intenzioni. Ricorrono alla “grande forza della borghesia” per spiegarsi perché nonostante il grande seguito il vecchio PCI non ha instaurato il socialismo in Italia. Non si spiegano perché quel grande seguito si è dissolto e ha lasciato il passo prima a Bertinotti e infine a Renzi.

Noi dobbiamo assimilare la scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la loro storia e applicarla, imparare ad applicarla nella lotta di classe. Non abbiamo ancora dimostrato di saperlo fare, ovviamente. Quindi solo quelli che sono o si mettono all’opera capiscono le potenzialità del lavoro che facciamo e imparano a farlo. Ma proprio la storia della rivoluzione russa e della prima ondata della rivoluzione proletaria e anche la storia del suo esaurimento dimostrano che questa è la strada giusta. Il catastrofico corso delle cose che la borghesia imprime all’umanità conferma che l’umanità ha bisogno di instaurare il socialismo. Che il sistema di rapporti sociali in definitiva è basato ancora oggi sulla compravendita della forza lavoro dei proletari è confermato dall’esperienza corrente. Questo rapporto basilare del modo di produzione capitalista si è anzi largamente esteso nel mondo. Gran parte degli esseri umani duecento anni fa traeva ancora di che vivere lottando ognuno contro la natura. Oggi gran parte degli esseri umani ha di che vivere solo se i capitalisti gli assegnano un posto nel meccanismo economico che essi governano, ognuno teso ad aumentare il denaro che è la sintesi in cui si esprime il suo capitale. I grandi progressi della produttività del lavoro umano (quelli realizzati e quelli che si prospettano) ci confermano che l’ostacolo principale al progresso dell’umanità e la causa principale dei “mali del mondo” non è più la “natura avara”, che la lotta contro di essa per strapparle di che vivere e proteggersi dalle intemperie e dalle avversità ha lasciato il posto alla lotta delle classi e dei popoli oppressi contro la borghesia: la divisione dell’umanità in classi sociali da fattore di progresso è diventata per la maggior parte degli esseri umani un ostacolo al soddisfacimento perfino dei loro bisogni elementari. La borghesia per escludere le classi oppresse, la grande maggioranza dell’umanità, dalla comprensione dei rapporti sociali e dall’esperienza della partecipazione alla direzione cosciente degli obiettivi e degli strumenti della vita sociale, deve ricorrere a strumenti di abbrutimento ideologico e sentimentale degli individui che rendono sempre più difficile la convivenza sociale. La formazione delle nuove generazioni è sempre  più nelle mani di strumenti (televisione, internet, ecc.) gestiti da individui irresponsabili mossi dall’avidità di denaro e da loro vizi o passioni personali. Il denaro nato come mezzo di scambio di merci è diventato la sintesi del capitale: la sua accumulazione è diventata il fine dell’attività produttiva e la misura della potenza di ognuno dei membri della classe dominante. L’umanità vive in condizioni analoghe a quella di un intenso traffico di veicoli senza l’adesione di ogni pilota a un comune codice stradale. Le condizioni che rendono possibile e necessaria l’instaurazione del socialismo si sono moltiplicate.

Ma il socialismo, ci insegna il marxismo, non nasce spontaneamente dall’esperienza dei proletari. “La dottrina del socialismo è sorta dalle teorie filosofiche, storiche, economiche che furono elaborate dai rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali”. I comunisti sono gli intellettuali che portano questa dottrina agli operai facendo leva sulle condizioni in cui questi sono posti dalla società borghese stessa, condizioni che fanno degli operai la classe più predisposta ad abbracciare in massa questa dottrina e farne la bandiera delle propria lotta contro la borghesia: la classe che per liberare se stessa dalla borghesia deve liberare l’intera umanità.

La rivoluzione russa, i quarant’anni di costruzione del socialismo che ne sono seguiti e anche i più di trenta anni che ci sono voluti per distruggere quello che i proletari sovietici sotto la direzione del Partito di Lenin e di Stalin avevano costruito nei quaranta anni precedenti, hanno dimostrato che i proletari possono fare a meno della borghesia, che il socialismo è possibile e hanno fornito molti insegnamenti a proposito della sua instaurazione e della sua natura: quello che prima era solo teoria e previsione, ora è teoria verificata da una vasta pratica.

Sta a noi comunisti dei paesi imperialisti diventare quello che i nostri predecessori non sono riusciti a diventare, compiere quella trasformazione che l’esempio del Partito comunista sovietico ci mostra, assimilare quello che esso ci ha insegnato e gli insegnamenti che Mao Tse-tung ha tratto dall’esperienza della costruzione del socialismo in URSS e quelli che noi ne spremo trarre.

Marco Martinengo