La Voce 53

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVIII - luglio 2016

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Per i frequentatori delle attività di Rete dei Comunisti

 

La numerosa presenza di giovani al Seminario Nazionale La ragione e la forza - Il ruolo dei comunisti tra passato e futuro promosso da Rete dei Comunisti il 18 giugno 2016 a Roma è una delle manifestazioni della tensione al partito comunista che l’acuirsi della crisi e il suo effetto spontaneo sulle menti e sui cuori, l’eredità della prima ondata della rivoluzione proletaria e la nostra attività creano tra le masse. Che occorre il partito comunista fa parte del senso comune di fasce già abbastanza larghe delle masse popolari e di giovani. Sbaglieremmo se non comprendessimo l’importanza del fatto, urtati dall’arretratezza delle idee confuse ma fortunatamente anche contraddittorie che i capi storici di RdC riversano sul loro pubblico. RdC è un organismo della sinistra borghese non esplicitamente anticomunista e particolarmente attivo e il suo attivismo in campo politico, sindacale e teorico attira un seguito importante. L’afflusso di pubblico alle sue iniziative è un indice della situazione positiva tra le masse. Il livello delle idee di cui i capi storici di RdC li nutrono spiega perché il livello della mobilitazione dello stesso pubblico nella rivoluzione socialista cresce lentamente o non cresce affatto. Si tratta quindi di tirarne insegnamento sull’importanza delle attività e delle iniziative pratiche e di portare un orientamento giusto, atto a favorire la crescita della mobilitazione nella rivoluzione socialista di chi è capace di crescere.

Noi comunisti non consideriamo la sinistra borghese come nostra concorrente. Essa esiste e non possiamo evitarne l’esistenza, come non possiamo evitare la pioggia d’estate. Essa è generata dal corso della lotta di classe e nostro compito è valorizzarla per far avanzare la rivoluzione socialista. Bisogna battere tra le masse popolari l’opportunismo che essa porta e che inquina e indebolisce la spinta a far fronte senza riserve al catastrofico corso delle cose, cioè a fare la rivoluzione socialista. È questo che dobbiamo e possiamo fare. Al tempo dei Comitati contro la Repressione, tra gli ultimi anni ’70 e gli anni ’80, esisteva tra di noi una sinistra che difendeva anche la natura politica dei prigionieri (pubblicava i loro scritti, ecc.) e una destra che difendeva i prigionieri politici principalmente o solo sul piano legale e umanitario (di essa facevano parte anche alcuni dei capi storici di RdC): finché la sinistra fece la sua parte, perfino la destra svolse funzioni utili (complicava l’opera della repressione e quindi la frenava, forniva alla sinistra cose a cui questa non poteva accedere direttamente, esercitava su parti arretrate delle masse popolari un’influenza utile alla sinistra e che contrastava la propaganda di regime).

Quali sono le questioni principali su cui portare orientamento tra i giovani e in generale il pubblico influenzati dalle idee arretrate diffuse dai capi storici di RdC, per farli contribuire alla rivoluzione socialista? Di seguito illustriamo nove aspetti che oggi distinguono l’orientamento del (n)PCI e delle organizzazioni della sua Carovana da Rete dei Comunisti in particolare e in generale dalla sinistra borghese.

1. La rivoluzione socialista. Solo la rivoluzione socialista, il far “montare la maionese” dell’organizzazione e della coscienza delle masse popolari fino a instaurare il socialismo, può porre fine al corso catastrofico delle cose che la borghesia imperialista impone al mondo, solo l’eliminazione del capitalismo può porre fine agli effetti nefasti e dolorosi della sua crisi generale sugli uomini e sull’ambiente.

I capi storici di RdC si indignano quando noi li classifichiamo nella sinistra borghese, ma è un fatto che di rivoluzione socialista, dei problemi e dei compiti della rivoluzione socialista e dell’avvicinamento all’instaurazione del socialismo loro non parlano mai e ne scrivono molto raramente e di sfuggita, superficialmente, senza andare a fondo benché siano professori di parole e scrittori. La loro denuncia e le loro proposte non vanno oltre l’orizzonte della società borghese.  Denunciano alcune malefatte dell’Unione Europea e propagandano l’uscita dall’UE. Ma non si occupano di indicare e creare le forze politiche e il movimento rivoluzionario necessari per “uscire dall’UE”. Parlano dell’uscita dall’UE senza indicare come sopraffare i gruppi imperialisti italiani e la Corte Pontificia che l’UE l’hanno voluta e imposta, parlano dell’uscita dall’UE come se la sua creazione e l’adesione della Repubblica Pontificia all’UE fosse un errore del “popolo italiano”, conseguenza di un’idea sbagliata del popolo italiano. Danno una visione del tutto legalitaria dell’uscita dall’UE e si occupano poco o niente, neanche nei discorsi e negli scritti, dell’uscita dalla NATO e della rottura delle catene della Comunità Internazionale (CI) dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti. Parlano “dell’uscita” come se si trattasse semplicemente della rottura di qualche trattato, mentre si tratta della sovversione dell’UE, della NATO e della CI.

 

**** Manchette

Senso comune

Chiamiamo senso comune l’insieme di idee, criteri di valutazione, giudizi, valori, pregiudizi e sentimenti comune a gruppi più o meno vasti di individui di una data classe o di una data zona. Il senso comune di un gruppo di individui deriva dalla storia comune di attività ed esperienze e di formazione intellettuale e sentimentale che gli individui hanno alle spalle, dalla comune attività materiale, sociale e spirituale a cui partecipano, dall’influenza dei produttori di informazioni, di idee e di sentimenti a cui il gruppo è sottoposto o anche solo esposto.

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2. Cosa è il socialismo. Il fine della nostra opera è l’instaurazione del socialismo, fase inferiore, iniziale del comunismo. Il socialismo è una cosa semplice. Tre sono i pilastri fondanti, iniziali della società socialista: 1. il potere saldamente nelle mani della parte della classe operaia e delle masse popolari rivoluzionaria e organizzata attorno al partito comunista (dittatura del proletariato), 2. la proprietà pubblica delle principali istituzioni dell’economia del paese e la gestione pubblica secondo un piano delle attività produttive per soddisfare i bisogni della popolazione, per la difesa del nostro paese dalle aggressioni e per la solidarietà con i movimenti rivoluzionari di altri paesi, 3. una multiforme ed efficace opera per promuovere la crescente partecipazione della massa della popolazione alla gestione della società e al patrimonio culturale, a partire dalle classi già sfruttate e oppresse che le classi dominanti escludevano.

I capi storici di RdC invece non pongono mai (tanto meno sistematicamente e apertamente, come invece bisogna porla) l’instaurazione del socialismo come fine della propria attività. In questo senso sono più sinistra borghese che revisionisti moderni. Del futuro da costruire parlano sempre in termini vaghi: “società alternativa al capitalismo”, “trasformazione dello stato presente delle cose”, “rottura del polo imperialista dell’Unione Europea”: nei termini in cui ne parlano tanti esponenti della sinistra borghese, come anche Bertinotti ne parlava, in termini velati accettabili anche per la sinistra borghese e oscuri per le masse popolari.

3. La prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale. Il rapporto con la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale messa in moto dalla vittoria della Rivoluzione d’Ottobre, dalla creazione dell’Unione Sovietica e dal ruolo che questa ha svolto fino al 1956 (e in misura ambigua e decrescente anche oltre) di base rossa della rivoluzione proletaria mondiale. Noi ne siamo eredi e continuatori, impariamo dalla sua esperienza e lottiamo per sollevare la seconda ondata. Noi siamo i promotori della rivoluzione socialista il cui fine è l’instaurazione del socialismo.

I capi storici di RdC invece trattano la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale e in particolare l’esperienza dell’Unione Sovietica come “un cane morto”. Quando ne parlano o scrivono, troviamo la denigrazione (certo sobria, non sguaiata alla Bertinotti che si beveva e vomitava il Libro nero del comunismo e le menzogne di Kruscev e come  continua a fare Paolo Ferrero) dell’Unione Sovietica di Lenin e di Stalin, il silenzio steso sulla clamorosa rottura del 1956 e sull’opera distruttiva promossa dai revisionisti moderni guidati da Kruscev e da Breznev. Danno per verità sacrosanta i dogmi, i pregiudizi e le denigrazioni della propaganda borghese. L’Unione Sovietica si sarebbe dissolta perché sede di un socialismo che non è possibile. In realtà l’Unione Sovietica di Lenin e di Stalin ha dimostrato nei suoi 40 anni di attività (1917-1956) che il socialismo, annunciato da Marx e da Engels come creazione del proletariato formato dalla società borghese, è possibile. Né le potenze dell’Intesa prima né poi le forze coalizzate dei nazisti e dei fascisti di tutto il mondo erano riuscite a impedire che l’Unione Sovietica trasformasse la Russia arretrata degli zar in un paese culturalmente e industrialmente progredito e che esercitasse con generosità ed efficacia il ruolo di base rossa di tutti i movimenti progressisti che per alcuni decenni hanno scosso il mondo. Per disgregarla ci sono voluti, dopo la morte di Stalin e la svolta impressa con successo (per motivi grazie al maoismo ora ben chiari ed evitabili) da Kruscev nel 1956 e poi guidata da Breznev, più di 30 anni durante i quali i revisionisti moderni promossero sistematicamente alla direzione dello Stato, dell’economia e della cultura individui che si dicevano comunisti ma guardavano al mondo capitalista come a un modello e praticavano la concorrenza e la collaborazione con gli USA e le altre potenze imperialiste come guida e misura della loro attività: nel 1991 si è dissolto il cadavere dell’Unione Sovietica corroso dai revisionisti moderni, non l’Unione Sovietica costruita sotto la direzione di Lenin e di Stalin.

4. La valorizzazione dell’esperienza dei partiti comunisti dei paesi imperialisti. Noi comunisti partiamo dalla valutazione data da Lenin nel 1921-1922: i nuovi partiti comunisti europei erano l’ala sinistra dei vecchi partiti socialisti dimostratisi incapaci di fare la rivoluzione socialista, con solo “una spruzzatina di colore rivoluzionario”. Noi impariamo dai successi e dalle sconfitte della loro opera nel corso della situazione rivoluzionaria di lungo periodo (1900-1950) creata dalla prima crisi generale del capitalismo. Essi non condussero le masse popolari a instaurare il socialismo perché non raggiunsero una comprensione abbastanza avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe nel proprio paese e quando il corso delle cose li pose alla testa di grandi masse (i Fronti Popolari del 1936 in Spagna e in Francia, la Resistenza in Grecia, in Francia, in Belgio e in Italia) subordinarono la mobilitazione delle masse popolari alla collaborazione della borghesia di sinistra (antifascista) e limitarono le riforme alla distribuzione dei beni di consumo senza toccare l’organizzazione della produzione.

I capi storici di RdC invece si concepiscono come parte di una indistinta sinistra e comprendono in questa categoria anche la sinistra borghese che oggi è la parte di gran lunga più forte. Praticano la rivalutazione o il silenzio sull’opera controrivoluzionaria di Togliatti e dei suoi allievi, di cui è lurida personificazione Giorgio Napolitano, che hanno aperto la strada alla sinistra borghese di Berlinguer e alle pagliacciate di Occhetto e Bertinotti. In sostanza condividono la concezione che i partiti comunisti non hanno instaurato il socialismo in nessun paese imperialista semplicemente perché non era possibile instaurarlo, perché la rivoluzione socialista “non è scoppiata”, perché il capitalismo non è crollato. Gli opportunisti non vedono altra prospettiva e non si pongono altro obiettivo che fare nelle istituzioni della Repubblica Pontificia da sponda politica delle masse popolari, la via con cui Togliatti riuscì a deviare dalla rivoluzione socialista il glorioso PCI della Resistenza e lo avviò sulla strada che tramite Berlinguer lo portò nelle mani di Occhetto e di Bertinotti.

5. La distinzione tra partito comunista e organizzazioni di massa. I comunisti si staccano dalle masse popolari per elaborare e assimilare la concezione comunista del mondo, compiere la riforma intellettuale e morale necessaria e darsi gli strumenti organizzativi e i mezzi pratici per portare agli operai la concezione comunista del mondo e applicarla; reclutano al partito gli operai che aderiscono al movimento comunista, mobilitano e dirigono gli operai e il resto delle masse popolari a fare la rivoluzione socialista, un processo già in corso. Il ruolo dei comunisti riguarda la rivoluzione socialista e quindi la forma della loro organizzazione prescinde (in un certo senso) dalle forme particolari che il movimento di  massa assume di paese in paese e di fase in fase. Per le organizzazioni di massa (in sintesi quelle di cui fa parte chi vuole aderire e osserva linea e statuto) vale invece che le forme di organizzazione sono legate piuttosto strettamente alle condizioni particolari (di paese e di fase) e concrete (qui e ora) che la classi dominanti impongono agli operai (lavoratori delle aziende capitaliste), ai proletari (lavoratori che vendono la loro forza-lavoro alla Pubblica Amministrazione e ad altri “datori di lavoro” senza fini di lucro), alle masse popolari.

I capi storici di RdC invece concepiscono i comunisti come parte, vertice, appendice delle organizzazioni di massa (anche se chiamano “partito di quadri” il loro (futuro, per carità!) partito a venire. Lo comporranno i migliori esponenti delle organizzazioni di massa. Con il ché portano il settarismo nelle organizzazioni di massa (le vicende dell’USB lo mostrano) e l’opportunismo nelle file di quelli che da quasi vent’anni si dichiarano promotori volonterosi dal partito comunista che non osano costituire.

6. Il maoismo. Noi comunisti traiamo e tutti i comunisti devono trarre dall’esperienza nel nostro paese e internazionale della prima ondata della rivoluzione proletaria l’insegnamento proclamato dalla Rivoluzione Culturale Proletaria promossa da Mao Tse-tung nel 1966. I primi partiti comunisti, nonostante l’eroismo di molti dei loro membri e dei loro dirigenti, non hanno instaurato il socialismo in nessuno dei paesi imperialisti perché non avevano una comprensione abbastanza avanzata della natura della crisi del capitalismo e del sistema di controrivoluzione preventiva costruito a propria difesa dalla borghesia imperialista, delle condizioni e forme della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti; hanno lasciato sviluppare l’influenza della borghesia e del clero nelle loro file perché non avevano una comprensione abbastanza avanzata delle condizioni e forme della lotta nelle proprie file contro l’influenza della borghesia e del clero, della riforma intellettuale e morale che i comunisti devono compiere per essere all’altezza del loro compito storico. Per adempiere al loro glorioso compito i comunisti devono diventare uomini di una pasta nuova: solo chi si impegna in questa trasformazione riesce a promuovere e dirigere la grande trasformazione epocale di cui l’umanità ha bisogno.

I capi storici di RdC invece rifiutano la grande lezione del maoismo. Ma per maggiori dettagli su questo punto rimandiamo a L’ottava discriminante, in La Voce 41 reperibile su www.nuovopci.it.

7. Chi fa la storia dell’umanità? Quando delineano il futuro dell’umanità, i capi storici di RdC si guardano bene dall’affermare che dipende da noi comunisti. Essi traducono la concezione generale (già acquisita anche dalla cultura borghese in opposizione alla cultura feudale) che sono gli uomini che fanno la loro storia, nella concezione che la storia ancora oggi la fa la borghesia. Essi infatti nelle loro speculazioni sul corso futuro degli eventi non fanno che proiettare nel futuro le azioni presenti della borghesia imperialista e le intenzioni dei suoi caporioni. Secondo loro è la borghesia imperialista con il suo “piano del capitale” (a cui doveva contrapporsi il loro Contropiano) che guida ancora la storia dell’umanità. Il loro sguardo non arriva oltre l’orizzonte della società borghese, non capiscono che ora la storia la fanno le masse popolari trascinate dalla classe operaia guidata dai suoi partiti comunisti. Il futuro dell’umanità sarà quello che facciamo noi comunisti. Il corso delle cose imposto dalla borghesia imperialista (e dal suo clero, dato che oramai la Chiesa Cattolica è diventata un pilastro del sistema imperialista mondiale) porta l’umanità a catastrofi via via più gravi.

Non è più la borghesia che fa la storia: la borghesia la storia l’ha fatta fino a duecento anni fa. Oggi la borghesia sopravvive a se stessa, è un morto che cammina e fa danno, un colosso dai piedi di argilla. La storia la fanno gli operai che guidati dal loro partito comunista trascinano con sé le masse popolari. La tendenza principale della storia umana da duecento anni a questa parte è la rivoluzione socialista, la borghesia rappresenta la controtendenza.

8. Il materialismo dialettico. Il materialismo dialettico è concezione del mondo e contemporaneamente metodo di conoscenza e di azione. La conoscenza è finalizzata all’azione (conosciamo per fare) e la verità della conoscenza si verifica nell’azione. Non esiste niente che è inconoscibile dagli uomini. La scienza delle attività con cui gli uomini hanno fatto e fanno la loro storia è la concezione comunista del mondo. Queste sono le posizioni filosofiche di noi comunisti.

 Invece se sentite o leggete i capi storici di RdC, è un continuo girare attorno a “la situazione è complessa”, “chissà se riusciremo mai a capire” e un continuo rimestare le operazioni compiute dalla borghesia imperialista restando alla superficie, a come le cose appaiono. Il nesso che lega tra loro le cose esula dalla loro ricerca. Per illustrare meglio ciò di cui parliamo, riportiamo a sviluppo di questo punto la lettera di Marx a Kugelmann dell’11 luglio 1868.

9. La politica. L’assimilazione e l’applicazione della concezione comunista del mondo si esprimono e si verificano nella capacità di vedere le condizioni favorevoli alla rivoluzione socialista che la situazione attuale ha in sé in generale e nel concreto. In dettaglio nella capacità di vedere e sfruttare gli appigli e i varchi che la crisi della Repubblica Pontificia presenta per moltiplicare le organizzazioni operaie e popolari e orientarle a costituire un loro governo d’emergenza composto dai dirigenti di cui esse hanno più fiducia, il Governo di Blocco Popolare: l’attività del GBP metterà alla prova questi dirigenti, la lotta per la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato passerà a un livello superiore e l’instaurazione del socialismo non sarà più solo un tema di propaganda, ma diventerà la parola d’ordine politica del momento.

Oggi anche i migliori esponenti della sinistra borghese quando ci sentono parlare della costituzione del GBP dicono: sarebbe bello ma è impossibile. Perché non vedono come le organizzazioni operaie esistenti potrebbero crescere e si rifugiano nel fatto che le masse popolari non combattono, sono arretrate. Perché effettivamente senza un centro promotore nazionale che goda della loro fiducia, le masse popolari non possono che combattere in ordine sparso e la loro attività non si sviluppa a livelli via via superiori. La combinazione tra i tratti della loro concezione sopra illustrati e il loro lodevole attivismo porta i capi storici di RdC a un’attività politica di massa che consiste principalmente nel “fare una grande manifestazione per preparare la successiva grande manifestazione”. In questo modo essi esprimono la grande influenza sociale che, per motivi della nostra storia che abbiamo in altre sedi illustrato, ancora oggi ha sinistra borghese di cui fanno parte. Stante i limiti che abbiamo illustrato, finché non se ne liberano, se mai se ne libereranno, essi non possono andare oltre. Sta a noi valorizzare questa loro attività per far avanzare la rivoluzione socialista.

Questi nove tratti sono distinti ma connessi tra loro. A seconda delle caratteristiche dei nostri interlocutori dobbiamo mettere l’accento più sull’uno che sull’altro, attenti sempre a esprimerli più che ne siamo capaci con termini, riferimenti ed esempi attinenti all’esperienza e al senso comune dei nostri interlocutori.

Umberto C.