La Voce 53

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVIII - luglio 2016

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Per il bilancio del Fronte Popolare in Spagna (febbraio 1936 - aprile 1939)

 

Il testo che segue sono le conclusioni della lunga relazione che Palmiro Togliatti presentò all’Esecutivo dell’Internazionale Comunista il 21 maggio 1939. È l’ultima delle relazioni che Togliatti scrisse per l’Esecutivo sull’argomento. Dal luglio 1937 al marzo 1939 Togliatti era stato in Spagna come consigliere della direzione del PCE (segretario José Diaz) inviato dall’Esecutivo dell’Internazionale. Il 24 marzo 1939 si era salvato dalla cattura imbarcandosi fortunosamente su un aereo mitragliato dalle truppe di Franco e dopo un viaggio avventuroso (Algeria, Francia e poi via mare) era giunto in Unione Sovietica in maggio.

Abbiamo tratto il testo dal vol. 4.1 della Opere di Togliatti (Editori Riuniti, 1979). L’intera relazione del 21 maggio, che presto sarà disponibile sul sito www.nuovopci.it, è molto istruttiva per chi vuole imparare dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale, dai suoi successi e dalle sue sconfitte, per assimilare la concezione comunista del mondo e capire i limiti da superare e gli errori da evitare per condurre la nostra lotta per la creazione delle condizioni della costituzione del Governo di Blocco Popolare (GBP), la rinascita del movimento comunista e l’instaurazione del socialismo. È infatti esposto come l’IC, di cui in quel periodo Togliatti è uno dei tre esponenti maggiori con Dimitrov e Manuilskij, vedeva e attuava la politica di Fronte Popolare in Spagna. Risulta altamente istruttivo confrontarla con l’attuazione, per alcuni aspetti completamente diversa, che di essa dava, negli stessi anni, il Partito Comunista Cinese diretto da Mao Tse-tung e con la ben diversa linea seguita dal PCC, non solo nelle relazioni con i membri del Fronte Popolare, ma anche nelle relazioni con le masse popolari (“linea di massa”) e nella lotta all’interno del Partito (“lotta tra due linee nel Partito”). Per questo confronto raccomandiamo di usare Opere di Mao Tse-tung vol. 5 - 7, delle Edizioni Rapporti Sociali (reperibili anche sul sito www.nuovopci.it).

Lo studio dei nove testi di Togliatti raccolti nello stesso volume (pagg. 253-410) e relativi alla sua missione in Spagna dà una visione d’assieme più completa del tema. Questo studio deve essere combinato con lo studio dell’opuscolo La guerra di Spagna, il PCE e l’Internazionale Comunista del PCE (ricostituito) pubblicato nel 1997 dalle Edizioni Rapporti Sociali. Lo studio di questi materiali conferma, arricchendolo di elementi particolari, quello che abbiamo esposto in I quattro temi principali da discutere nel Movimento Comunista Internazionale. I compagni che lo faranno, si doteranno di grandi mezzi per condurre una propaganda efficace della nostra linea e per attuarla con maggiore iniziativa e creatività.

Gli insegnamenti principali che ne derivano ai fini della lotta che stiamo conducendo sono tre.

1. La comprensione della natura della crisi generale del capitalismo è indispensabile per impostare giustamente l’attività politica. È una crisi che per sua natura dà luogo a una situazione rivoluzionaria di lungo periodo: quindi i comunisti devono organizzarsi e darsi i mezzi intellettuali, morali e pratici per combattere e vincere. La lotta è lunga, essere disposti a combattere a lungo è una condizione necessaria della vittoria. Solo una lotta di lungo periodo ci permette di portare le masse popolari a rovesciare il rapporto delle forze e instaurare il socialismo. Dalla relazione di Togliatti risalta che i nostri compagni mancavano di una visione lungimirante, che permettesse di prevedere come gli esponenti delle diverse classi si sarebbero comportati man mano che la guerra procedeva e quindi di combinare l’unità d’azione con misure adeguate a far fronte ai cedimenti e ai tradimenti e per quanto possibile prevenirli o addirittura evitarli. Essi basavano l’unità sulle concessioni. Giustamente Togliatti afferma che la sconfitta fu dovuta a fattori interni, che le condizioni internazionali erano avverse ma la guerra era possibile vincerla, ma non individua i fattori interni nei limiti della comprensione che il Partito aveva delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe, comprensione che presiedeva alla costruzione del Partito e alla sua azione. Che erano gli stessi limiti che mostrò di lì a pochi anni anche il Partito italiano quando inaspettatamente (proprio perché a causa di quei limiti non l’aveva previsto) si trovò di fronte al crollo del regime fascista. Erano i limiti dei partiti comunisti dei paesi europei di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze. Quei limiti di cui parla Lenin negli ultimi anni della sua attività per incitare a superarli (Lettera ai comunisti tedeschi (agosto 1921), Note di un pubblicista (febbraio 1922), Cinque anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione proletaria mondiale (novembre 1922)). Quei limiti che ancora oggi i “ricostruttori del PCI” alla Marco Rizzo e quelli alla Mauro Alboresi (neosegretario del PCI ricostituito a Bologna dall’Assemblea Costituente del 24-26 giugno 2016) eludono, negano che siano mai esistiti perché sottendono o apertamente affermano che nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria non era possibile instaurare il socialismo in Italia. Quei limiti che i capi storici di Rete dei Comunisti “sorpassano” negando tutta l’esperienza del passato (“la situazione è completamente diversa”) mentre in realtà ripetono le conseguenze pratiche nefaste di quei limiti (la teoria della “sponda politica” nelle istituzioni borghesi e del partito lasco, a rete, senza unità nella concezione del mondo e senza centralismo democratico).

2. È indispensabile da una parte avere una linea per valorizzare la sinistra borghese dato che essa oggi è una forza sociale importante, ma è altrettanto indispensabile evitare la linea riassunta nella parola d’ordine  del 1936 “tutto attraverso il Fronte”. Questa linea sbagliata invece predomina anche nella concezione con cui Togliatti fa il suo bilancio: anch’egli ignora che solo il partito comunista possiede e applica la scienza delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia e che grazie ad essa può e deve indurre a contribuire alla rivoluzione socialista, ognuno in conformità alla sua natura, tutti quelli che per la loro natura e per il contesto in cui operano possono contribuirvi. È una questione che nella guerra di Spagna riguardava in particolare 1. la linea che i comunisti dovevano tenere per valorizzare, trasformare e neutralizzare anarchici, trotzkisti, socialdemocratici, socialisti e progressisti delle varie scuole e tendenze e 2. la distinzione da mantenere tra gli aderenti a queste tendenze e il partito comunista, anche verso quelli che volevano aderire al partito comunista. Questa linea sbagliata oggi da noi si concretizza nel mettere in primo piano il ruolo dei dirigenti della sinistra sindacale, dei sinceri democratici delle amministrazioni locali e della società civile, degli esponenti della sinistra borghese non ciecamente anticomunisti (che sinteticamente indichiamo con l’espressione “esponenti dei tre serbatoi”) invece di promuovere la mobilitazione e organizzazione delle masse popolari (moltiplicazione e orientamento delle organizzazioni operaie e popolari - OO e OP) e finalizzare a questo anche l’azione delle associazioni della sinistra borghese, della sinistra sindacale, delle amministrazioni locali che rompono con le Larghe Intese e con i vertici della Repubblica Pontificia. La nostra deve essere una linea che, facendo leva sulle OO e OP e mirando alla loro moltiplicazione come nuove autorità pubbliche, valorizza il ruolo che, dato lo stato presente delle cose e la crisi generale in corso, la sinistra borghese può svolgere (contribuire all’organizzazione delle masse popolari e fungere da ministri e funzionari del GBP) e la spinge a svolgerlo ma porta, se per un motivo o l’altro nonostante la nostra azione non svolgerà quel ruolo, all’eliminazione dell’influenza che oggi essa ha sulle masse popolari.

3. Bisogna separare rigorosamente l’organizzazione dei comunisti dall’organizzazione delle masse popolari, in modo da elevare intellettualmente e moralmente i comunisti perché siano capaci (e non è questione solo di buona volontà e neanche solo di dedizione alla causa, ma di una scienza e un’arte che si imparano nel partito con un tirocinio che è ben lontano da quanto si apprende spontaneamente) di legarsi strettamente alle masse popolari senza fondersi con esse, di promuoverne la mobilitazione e organizzazione su grande scala e di praticare la democrazia proletaria per orientare le OO e OP a prendere il potere costituendo il GBP e difendendone e sviluppandone poi l’opera fino a instaurare il socialismo. A questo fine bisogna anche evitare la crescita spontanea del partito fino a formare un organismo in cui è difficile se non impossibile praticare la democrazia proletaria e il centralismo democratico: il PCE crebbe da un migliaio di membri nel 1930, a 24 mila nel 1934, fino a un organismo dai confini poco definiti comprendenti da 200 a 320 mila membri nel gennaio 1937, diventando di fatto un’organizzazione di massa in cui affluivano tutti gli antifascisti più decisi a combattere, che il partito non trasformava e che quindi trasformavano essi il partito. Da guida delle masse popolari e promotore della crescita della coscienza e dell’organizzazione delle masse, il partito senza democrazia proletaria e centralismo democratico, senza pratica della critica e dell’autocritica e non unito dall’assimilazione e dalla pratica della concezione comunista del mondo diventa un organismo la cui autorità attira carrieristi e profittatori e non trasforma gli avventurieri che ad esso si accostano per disparati motivi (Togliatti stesso cita il caso di un ufficiale a suo tempo famoso, Ricardo Burrillo; noi rifacendoci alla storia del movimento comunista italiano potremmo ricordare il caso del giovane Giorgio Amendola arruolatosi nel partito per “vendicare” il padre, ucciso dai fascisti, e diventato dopo la Resistenza il personaggio di riferimento della destra).

Siamo convinti che lo studio dell’esperienza dei governi di Fronte Popolare degli anni ’30 in Spagna e in Francia farà capire ai compagni della base rossa e a tutti quelli che vogliono cambiare il corso delle cose imposto dalla borghesia imperialista che la linea che noi seguiamo è giusta e metterà i nostri compagni nelle condizioni di capirla meglio e quindi tradurla nel particolare e applicarla con iniziativa e creatività nel concreto. Comunque siamo del tutto disposti a discutere con essi la lezione che con la concezione comunista del mondo traiamo e che siamo convinti anch’essi trarranno da quella grande ed eroica esperienza degli anni ’30 in Spagna. Non fu allora l’eroismo che fece difetto. Fecero difetto la scienza delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia, una comprensione avanzata quanto i grandi successi e il ruolo nazionale assunto lo richiedevano delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe.

Claudio G.

 

Conclusioni di Togliatti (maggio 1939)

Esaminando l’insieme dei fatti che hanno condotto alla disfatta e alla fine della guerra, mi sembra che si possano trarre 1e seguenti conclusioni:

1. la linea politica generale del partito comunista, linea di lotta per il fronte popolare, per la più stretta unità d’azione con il PS [Partito Socialista, ndr] e per l’unità di tutto il popolo attorno al governo di unione nazionale, è stata giusta. Soltanto l’esistenza del fronte popolare e dell’unità d’azione fra il PS e il PC hanno permesso al popolo spagnolo di resistere per 32 mesi all’offensiva del fascismo, e questo nonostante gli intrighi degli elementi capitolardi e degli agenti del nemico e nonostante la situazione internazionale sempre più sfavorevole. La giustezza della politica di fronte popolare esce pienamente confermata dall’esperienza spagnola;

2. se la resistenza ulteriore e la vittoria non sono state possibili, le cause fondamentali devono essere ricercate nella si tuazione internazionale sfavorevole, nell’appoggio che i governi francese e inglese hanno dato agli invasori italo-tedeschi con la politica di “non-intervento” e con le sue nefaste conseguenze, nel tradimento del popolo spagnolo da parte dei grandi paesi “democratici” dell’Europa occidentale (Francia e Inghilterra) e della socialdemocrazia internazionale, nell’insufficiente aiuto politico da parte del proletariato dei paesi capitalistici il quale, pur simpatizzando per la repubblica e offrendole un grande aiuto materiale (attività soprattutto dei partiti comunisti; Brigate internazionali [parola illeggibile, ndr], non è riuscito a mettere fine all’intervento italo-tedesco, né a mettere fine alla politica di non-intervento [per capire come invece il proletariato dei paesi capitalisti riuscì a evitare che la II Guerra Mondiale incominciasse con l’aggressione dei grandi paesi “democratici” (Francia, Inghilterra e USA) al seguito di Hitler contro l’Unione Sovietica, raccomandiamo l’articolo Un libro e due lezioni di Umberto C. in La Voce 24, ndr];

3. nello stesso tempo è necessario riconoscere che una resistenza molto più efficace e più lunga, successi più cospicui della repubblica spagnola in campo politico e militare e, forse, la vittoria, sarebbero stati possibili, anche in presenza di questa situazione [internazionale, ndr] sfavorevole, se non si fosse verificata una serie di debolezze interne [alla Spagna e al Fronte Popolare, ndr] che ha contribuito a diminuire e alla fine a spezzare la resistenza del popolo, del suo esercito e del suo governo. È necessario concentrare l’attenzione sui fatti seguenti:

a) l’unità dei vari partiti ed organizzazioni popolari antifasciste non era sufficiente; sotto molti punti di vista era formale, esteriore, non arrivava all’accettazione e alla collaborazione leale di tutte le forze antifasciste alla realizzazione di un programma comune di misure indispensabili per organizzare la resistenza e battere il nemico. Quasi tutti i partiti per lungo tempo hanno anteposto i loro interessi particolari a quelli generali del popolo e della guerra e tornarono ad una vera politica unitaria soltanto sotto la dura lezione della disfatta, dopo avere perso tempo prezioso e avere dato al nemico il tempo di organizzarsi e di prendere il sopravvento. Da questo punto di vista si deve fare eccezione soltanto per il partito comunista. Questa mancanza di unità è dovuta in gran parte al fatto che nonostante la posizione giusta e vigorosa del nostro partito, il carattere della guerra come guerra di indipendenza non venne riconosciuto dalle altre organizzazioni antifasciste fin dall’inizio, ma soltanto assai tardi e che esse, e soprattutto il governo della repubblica, non hanno rapidamente tratto tutte le conseguenze che da questo fatto dovevano essere tratte. Per lungo tempo non si è lavorato né lottato come si sarebbe dovuto fare in una guerra d’indipendenza contro grandi paesi imperialistici, ma come si sarebbe potuto fare in una guerra civile spagnola del secolo scorso. Così si spiega anche la scomparsa di fatto degli organismi di fronte popolare durante tutto il primo periodo della guerra. L’unità si riduceva ad una parola d’ordine agitata da tutti, mentre nel paese regnava una discordia feroce e, di conseguenza, un disordine inaudito;

b) la classe operaia si presentava all’inizio della guerra profondamente divisa non soltanto in due, ma in tre settori (comunisti, socialdemocratici, anarchici) e, nel corso di tutta la guerra, questa situazione di scissione del proletariato non si è mai potuta liquidare. È stato impossibile realizzare l’unità sindacale. L’unità d’azione fra il partito comunista e il partito socialista è stata realizzata soltanto nel corso del secondo anno di guerra e non è mai stata completa. Non si è potuto dare vita al partito unico della classe operaia. Per conseguenza il proletariato non ha potuto svolgere, in seno al fronte popolare e al popolo, il ruolo che gli incombeva, di cemento dell’unità di tutte le forze antifasciste e di tutta la nazione e vera forza dirigente nella guerra e i nemici hanno approfittato della sua divisione. Una parte della classe operaia si è lanciata nella realizzazione delle teorie sociali errate dell’anarchismo provocando disordine e spreco, urtando 1a piccola borghesia e i contadini antifascisti e non arrivando mai, fino alla fine della guerra, a capire il vero carattere della guerra e della rivoluzione. Il particolarismo corporativo non ha mai potuto essere superato ed ha reso estremamente difficile organizzare la produzione e l’economia;

c) durante tutta la guerra non è mai esistito un vero e proprio regime democratico nella Repubblica democratica spagnola e nella vita politica del paese. Al contrario, il personale dirigente dei partiti e delle organizzazioni sindacali si è sempre sforzato di impedire la partecipazione attiva e continua delle masse su basi democratiche alla direzione della vita politica. L’idea di organizzare consultazioni popolari regolari per eleggere le municipalità, i deputati, ecc., è sempre stata respinta. Non si è mai accettato di costruire l’organizzazione del fronte popolare sulla base di comitati eletti e controllati direttamente dalle masse. Anche all’interno dei sindacati sono state create e mantenute limitazioni assai gravi alla democrazia. Si è così ricaduti poco a poco nelle vecchie forme di organizzazione reazionarie della vita politica spagnola, basate sul “caciquismo” [ogni zona è sotto l’autorità tradizionale di una famiglia di notabili, ndr] e sulle clientele personali in lotta feroce le une contro 1e altre. Questa assenza di partecipazione diretta delle masse alla direzione della vita politica del paese ha accentuato il ritardo nella soluzione dei problemi, la difficoltà a fare trionfare l’interesse generale sugli interessi particolari e, soprattutto, la difficoltà di rinnovare a fondo il personale dirigente del paese. A livello centrale e locale sono rimasti ai posti di direzione molti elementi contrari all’unità, incapaci di comprendere il carattere della guerra, che non lavoravano energicamente per la vittoria e, in un modo o in un altro, frenavano e sabotavano. Avere trascurato la propaganda e gli ostacoli posti al suo sviluppo hanno sortito lo stesso effetto. Questa assenza di democrazia conseguente obbligava il partito comunista e i partigiani sinceri dell’unità nella resistenza ad accettare sempre dei compromessi, a manovrare in mezzo a intrighi e a nemici più o meno nascosti. Neppure il partito comunista ha ben compreso che una delle cause fondamentali delle debolezze della repubblica era costituita dall’assenza di democrazia. Il partito ha accettato e condotto senza convinzione la campagna per indire le elezioni;

d) la lotta contro i nemici del popolo e del regime repubblicano, contro i traditori che Franco aveva lasciato nell’esercito e nell’apparato statale, contro gli agenti del fascismo, contro i trotzkisti, contro la quinta colonna [espressione invalsa proprio durante la guerra di Spagna per indicare gli infiltrati che collaboravano con le quattro colonne militari di Franco che assediavano Madrid, ndr] e contro gli elementi sleali in generale, così come contro i capitolardi non è stata condotta da parte del governo e del  FP con energia, vigilanza e coerenza. Gran parte di quegli elementi, infiltrati nei vari partiti, protetti dai vari capi politici, difesi (trotzkisti) dai dirigenti della II Internazionale e dai rappresentanti dei governi stranieri, sono rimasti all’interno delle organizzazioni antifasciste e del FP, hanno occupato posti di comando e di lavoro assai importanti, hanno sabotato la realizzazione della politica di FP e le giuste decisioni del governo, hanno minato l’unità del popolo e demoralizzato parte delle masse. Alla fine della guerra il tradimento ha potuto contare su questi elementi;

e) d’altra parte tutte le organizzazioni del fronte popolare (ivi compreso il partito comunista) e il governo della repubblica hanno trascurato il lavoro nella zona occupata da Franco e dall’esercito invasore. È stato dimenticato che in quella zona e soprattutto nell’esercito di Franco esisteva una massa di contadini e di operai che costituiva una formidabile riserva per il fronte popolare e che, se si fosse lavorato al suo interno, avrebbe potuto svolgere un ruolo decisivo nell’indebolimento del regime fascista e costituire la base di un movimento partigiano nelle campagne. È necessario considerare soprattutto come molto grave il fatto che nel corso di tutta la guerra e nonostante gli sforzi compiuti nel 1938, il partito comunista in particolare non è riuscito a compiere alcun lavoro serio nella zona di Franco.

Queste debolezze politiche fondamentali sono state la causa di tutta una serie di errori e di debolezze concrete che sarebbe troppo lungo elencare in questa sede. Considero le seguenti fra quelle principali:

- ritardo nell’organizzazione dell’esercito e sua debolezza fino alla fine, in rapporto all’esercito nemico; scarsa unità politica dell’esercito; livello molto basso della disciplina militare; assenza di un vero “segreto militare” osservato da tutti; politica delle riserve errata; disprezzo per il lavoro di fortificazione, mancanza di una completa epurazione dei comandi supremi dell’esercito; enorme ritardo nell’adozione, durante tutta la guerra, delle misure che si imponevano; assenza di un regolare funzionamento e inattività della marina da guerra, feudo di elementi sleali e sospetti;

- ritardo enorme nell’organizzazione dell’industria di guerra, a seguito dell’illusione che si potesse ricevere tutto dall’estero; incomprensione, fino all’ultimo momento, di gran parte dei dirigenti sindacali, dei compiti organizzativi dell’industria di guerra;

- politica contadina errata, con l’imposizione ai contadini di un regime di collettivizzazione che gran parte di essi non poteva né comprendere né accettare;

- eccessi e fatali conseguenze del regime di “sindacalizzazione” dell’industria che costituì uno degli ostacoli maggiori allo sfruttamento razionale di tutte le risorse economiche del paese e condusse, al contrario, allo spreco e alla disorganizzazione;

- mancanza di epurazione radicale dell’apparato statale, presenza al suo interno di sabotatori, di speculatori, di agenti del nemico; conseguenza: la disorganizzazione oggettivamente ingiustificata di servizi fondamentali come i trasporti, i rifornimenti alimentari, l’elettricità, le ferrovie, ecc.;

- errata politica nazionale: incomprensione del problema nazionale da una parte e nazionalismo acceso e regionalismo dall’altra;

- mancanza di modestia nella vita personale della quasi totalità dei dirigenti dei partiti, dei sindacati, dell’esercito e dello Stato, cosa che, oltre ad essere fonte di spreco, allontanava quei dirigenti dalle masse. Il nostro partito non è stato esente da questi difetti.

Per quanto riguarda il nostro partito, che ha tenuto una linea giusta ed ha lottato con coerenza nel corso di tutta la guerra per l’unità e per la resistenza contro i capitolardi, contro i nemici del popolo e per un giusto programma di governo, occorre anche segnalare tutta una serie di debolezze che non gli hanno permesso di svolgere un ruolo maggiore:

a) il difetto fondamentale del partito consiste, credo, nel fatto che, pur essendosi sviluppato enormemente nel corso della guerra, non è riuscito a conquistare una influenza decisiva nei due maggiori centri operai, Barcellona e Madrid. Il proletariato di Barcellona è rimasto in grande maggioranza sotto l’influenza dell’anarchismo; il proletariato di Madrid è rimasto in gran parte sotto l’influenza degli elementi antiunitari della socialdemocrazia (caballeristi [seguaci di Largo Caballero, presidente del primo dei governi di Fronte Popolare, ndr], trotzkisti). I collegamenti e il lavoro organizzato all’interno della massa anarchica sono sempre stati trascurati; per quanto riguarda il partito socialista, non sempre è stata fatta la distinzione fra i capi contro i quali era necessario lottare a causa della loro politica errata e i quadri medi e le masse che potevamo influenzare e conquistare;

b) l’attenzione del partito ed anche del suo centro dirigente si è concentrata, generalmente, piuttosto sulla lotta, assolutamente necessaria, per la conquista dei centri di direzione, soprattutto dell’esercito che non sul lavoro di rafforzamento e di organizzazione sistematica dei legami del partito con le masse. Conseguenze: il lavoro sindacale del partito, in un primo tempo completamente trascurato e debole anche in seguito; trascurato il problema dell’organizzazione delle masse senza partito; scarsa attenzione fino agli ultimi mesi per la soluzione dei problemi economici che interessavano più da vicino le masse (rifornimenti, distribuzione, ecc.);

c) i quadri del partito, in gran parte venuti a noi alla vigilia o nel corso della guerra, non sono stati educati, assimilati, bolscevizzati con la necessaria rapidità. Nonostante i grandi sforzi compiuti in questo senso, i quadri dell’organizzazione del partito sono sempre stati, in maggioranza, deboli e scarsamente dotati di iniziativa, con la tendenza ad applicare all’interno della nostra organizzazione metodi tipici del “caciquismo”. Per quanto riguarda particolarmente i quadri militari, il partito ha accettato molti elementi (di carriera) senza controlli e senza fare lo sforzo di educarli da comunisti, senza pretendere che rispondessero sempre di fronte al partito delle loro azioni (nessun militare conosciuto è mai stato punito pubblicamente dal partito per le sue mancanze o errori. Lo stesso Burrillo [Ricardo Burrillo Stohle, ufficiale dell’esercito spagnolo, di famiglia nobile e massone, aderì al partito comunista, si distinse per imprese militari di grande risonanza, ma come molti altri ufficiali  negli ultimi mesi tradì la repubblica. Alla fine si consegnò ai franchisti che nel 1940 lo fucilarono, ndr] non fu mai espulso pubblicamente). Questa è una delle ragioni del perché tanti militari comunisti ci hanno tradito negli ultimi momenti;

d) 1a campagna per l’unità sindacale fu iniziata tardi; ritardo nella lotta contro il trotzkismo ai tempi del processo del POUM [Partito Operaio di Unità Marxista, formato dai socialisti catalani contrari all’adesione all’Internazionale Comunista. Si rese responsabile di varie operazioni provocatorie al limite del tradimento della repubblica, come l’insurrezione di Barcellona del maggio 1937. Il suo maggiore esponente era Andrés Nin che il 26 giugno 1937 sparì, secondo alcuni passando nel campo franchista, secondo altri rapito e ucciso da esponenti delle forze repubblicane, ndr]; enorme ritardo e vera e propria impotenza nel lavoro nella zona occupata da Franco, ecc.;

e) il metodo dell’autocritica non è stato applicato in modo continuo e sistematico per educare il partito e i suoi quadri, stimolarli, correggerli. Nel partito c’è sempre stato più orgoglio, non sempre giustificato, che spirito critico;

f) la direzione del partito, in particolare, è sempre stata più forte nel lavoro di propaganda che nell’organizzazione. Il suo lavoro durante interi periodi è stato profondamente disorganizzato. Nel 1937 ha trascurato l’aiuto al nord. Nel 1938 ha trascurato il lavoro nella zona centrale. Il collegamento fra l’attività nel governo e il lavoro del partito in generale è sempre stato debole, così come l’organizzazione dei contatti diretti con le direzioni delle altre organizzazioni antifasciste. Il senso di responsabilità dei compagni dirigenti del partito non era sempre molto elevato. Una parte di essi aveva perduto i contatti diretti con le masse (nell’UP [Ufficio Politico del Comitato Centrale del partito, ndr] non c’era nessun dirigente sindacale, mentre i dirigenti del PS erano quasi tutti contemporaneamente dirigenti di grandi organizzazioni sindacali. Ricordo pochi casi di partecipazione coerente e diretta di dirigenti conosciuti del partito all’attività di un sindacato);

g) per quanto riguarda l’ultimo periodo della guerra, credo che 1e lacune e gli errori che si sono manifestati in questo periodo debbano essere considerati soprattutto come la conseguenza di tutte quelle debolezze generali e permanenti del partito e della sua organizzazione. Politicamente, il timore di rompere il fronte popolare in un momento in cui l’unità era seriamente messa in pericolo e nel quale tutti gli altri partiti tendevano alla rottura, ha frenato e in certi momenti paralizzato l’azione del partito al centro e alla base. In questo periodo il partito ha fatto dipendere troppo la sua azione da quella del presidente Negrin [presidente dell’ultimo governo di Fronte Popolare, ndr] ed ha commesso errori nei rapporti con le masse, cosa che ha contribuito al suo isolamento. La preparazione della repressione del colpo di Stato [del colonnello Casado che tra marzo e aprile 1939 consegnò la repubblica a Franco, ndr] si è rivelata debole dal punto di vista organizzativo, non abbastanza decisa e lungimirante. Sono stati commessi molti errori pratici di carattere politico-militare (avere forze dirigenti troppo scarse a Madrid, fidandosi di elementi non sicuri, avere concentrato troppe forze dirigenti vicino al governo, dove non avevano niente da fare, non avere trasferito parte di quelle forze a Madrid subito dopo la notizia del colpo di Stato, allo scopo di rafforzare l’azione in quel luogo decisivo, ecc.). Come conseguenza di tutto ciò ad un certo momento, la direzione è stata sopraffatta e non è più stata in grado di dominare gli avvenimenti e di battere gli avversari, cosa che, data la situazione oggettiva, era senza dubbio assai difficile, ma non impossibile.