La Voce 52

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVIII - marzo 2016

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Perché vivo, che senso ha la mia vita? Che senso dai alla tua vita?

Rielaborazione redazionale della Lettera aperta a un simpatizzante che è incerto su che cosa fare nella vita scritta ma non inviata dalla redazione di Resistenza (P.CARC) - ringraziamo i redattori di Resistenza del contributo alla nostra rivista.

 

Molte delle persone che incontriamo, anche di quelle che si avvicinano e simpatizzano per il Partito, si pongono (in modi diversi) la questione del senso della vita (perché vivo?). Il senso della vita oggi per persone del nostro ambiente è quello che le diamo. Sei tu che devi decidere cosa fare della tua vita. La tua vita ha il senso che tu gli dai. Se non lo decidi e ti lasci vivere, per forza hai la sensazione di fare una vita senza senso, perché effettivamente vivi senza senso. Per forza hai la sensazione di non poter contare su niente e su nessuno, perché nessuno può contare su di te, stante che consapevolmente non ti leghi a nessuno. Noi abbiamo bisogno di te, ma tu non vuoi legarti a noi.

Dici che non lo vuoi perché ciò che noi vogliamo non è fattibile. Esageri! Non è nell’ordine del senso comune, è vero. Ma se dicevi a un uomo di duecento anni fa che era possibile volare, ti avrebbe riso in faccia. Eppure oggi voliamo. Noi non abbiamo una sconfinata fiducia nelle persone. Gli anticomunisti alla Bernocchi non perdono occasione per mettere il luce che il popolo “è ignorante e vile”. In un certo senso è anche vero, ma ha bisogno di diventare intelligente e coraggioso, responsabile: il mondo non può andare oltre senza che si trasformi. Può diventarlo.

Mao racconta che lui, giovane studente e soldato figlio di contadini, disprezzava i contadini e provava disgusto, tanto erano ignoranti e sporchi. Ammirava le classi dominanti che erano colte e pulite. Poi ha capito che i contadini erano sì ignoranti e sporchi, ma potevano cambiare, mentre gli altri non avevano più niente da dare. E si è messo a mobilitare i contadini perché cambiassero.

Noi comunisti impersoniamo il popolo che ha capito (siamo quelli del popolo che hanno capito) la trasformazione che il popolo ha bisogno di compiere e opera per portare il resto del popolo a fare e a capire, a capire e a fare. Fare e capire sono due facce della stessa medaglia del popolo futuro (si dice anche unità teoria e azione, teoria e pratica).

Noi diciamo che le masse popolari devono cambiare. I nostri avversari dicono malignamente di noi comunisti che “non siamo democratici” perché effettivamente non diciamo che in politica (rispetto alla direzione della società e dello Stato) sono eguali persone che non sono eguali socialmente, per le condizioni in cui vivono e i mezzi di cui dispongono. Noi diciamo che le persone, la massa delle persone, devono cambiare perché come vivono e come sono oggi, non possono continuare. O decidono loro come cambiare o cambiano come altri decidono per loro. Ma non possono decidere di cambiare in un modo qualsiasi, a caso. Un gatto non può decidere di diventare una gallina. Noi siamo quello che siamo e quello che possiamo diventare. Bisogna capire cosa possiamo diventare, decidere cosa diventare e diventarlo. Di questo fa parte il senso che ognuno oggi deve dare alla sua vita.

Rifletti un po’ su come era la vita da noi e come è diventata. Fino a circa metà del XIX secolo, le classi dominanti da sempre avevano bisogno che nei paesi che dominavano ci fosse una popolazione abbondante perché ne avevano bisogno: come contadini, come operai o artigiani, come soldati (ogni nobile, ogni Stato, ogni abate, ecc. era tanto più potente quante più erano le persone di cui disponeva). Quindi inculcava in ognuna di esse che il senso della loro vita era servire il loro signore, che dio li aveva messi al mondo per servire il loro signore e meritarsi il paradiso. Da che l’umanità è emersa dallo stato quasi animale della sua esistenza, sono sempre state le classi dominanti che hanno inculcato in ogni membro delle classi sfruttate il senso della sua vita, hanno assegnato a ognuno di essi il posto che  occupava e che doveva occupare. Gli hanno detto il posto che doveva occupare. Praticamente, di fatto, hanno assegnato ogni uomo che nasceva a un compito. Farlo era il senso della sua vita. Questo era il senso della vita di ognuno. E corrispondeva a quello che faceva, perché in effetti viveva servendo da contadino, da soldato, da artigiano o da giullare o simili il suo signore. Oggi non è più così.

Lo sviluppo del capitalismo e la prima ondata della rivoluzione proletaria hanno finito per sconvolgere le cose. Gli uomini erano neanche due miliardi nel 1950, ora sono sette miliardi; la produttività del lavoro (i beni e servizi che un lavoratore produce in un anno di lavoro) si è moltiplicato per cento e potremmo facilmente moltiplicarlo per mille. Lo scopo della vita di un proletario nella società capitalista, il motivo per cui vive, non è più servire dio e il signore che lo rappresenta in terra, ma servire il capitalista che lo assume. È “risorsa umana” dell’azienda capitalista, una dei vari tipi di risorse di cui l’azienda dispone. Ma il capitale, quanto a lui, non ha bisogno di così tante risorse umane, di miliardi di proletari. Di nessuno di essi in particolare. La loro vita “non ha senso” quindi!

Le armi, anche quelle più distruttive, bastano pochi uomini e donne a maneggiarle: poche migliaia di uomini o donne sganciano le armi più micidiali e inquinanti su milioni di uomini e donne indifesi e le loro armi sono fabbricare in “innocue” aziende “civili” e progettate da candidi, “colti e civili” ricercatori che mai hanno visto da vicino il sangue e i cadaveri, solo nei film e alla tele. La guerra è di massa, ma non è scontro tra grandi eserciti. È di massa nel senso che è distruzione di uomini in massa, distruzione di città e paesi interi. Ma bastano pochi soldati a farla. Infatti hanno eliminato il servizio militare e ridotto il numero di soldati: per distruggere popoli e paesi bastano eserciti permanenti e di mestiere - selezionati e “formattati” - con sistemi d’arma avanzati.

Per di più le classi dominanti hanno paura delle masse popolari, milioni di persone malcontente (e certamente ignoranti e abbrutite, perché oggi la cultura dei proletari è coltivata solo in piccoli cenacoli di comunisti di cui per ora pochi fanno parte). Queste milioni di persone per i capitalisti e le loro teste d’uovo sono in sostanza esuberi. Ai padroni non servono. La vita di ognuna di quelle milioni di persone per i capitalisti e le loro teste d’uovo non vale nulla, non ha senso, non ha scopo. Dalle classi dominanti non ne ricevono più alcuno. Quindi la loro vita non ha senso, se non se lo danno loro stesse. E non sono educate a darselo. Tutte le condizioni della vita servile in cui praticamente sono ancora relegate le distolgono dall’imparare a darselo. Il vecchio senso comune (le religioni, la chiese che le impersonano) spinge ognuna di esse a cercarlo fuori di sé stessa. Si chiede “perché vivo?”, mentre dovrebbe chiedersi “cosa voglio fare della mia vita?”: questo sta a lei deciderlo, mentre il “perché vivo?” ha una risposta semplice, semplice: vivi perché tuo padre e tua madre si sono accoppiati al momento giusto e nelle condizioni giuste. Non hai deciso tu di esistere, se venire al mondo o no. Ma al mondo ci sei: cosa vuoi fare? Questo sta a te deciderlo. Bisogna imparare a rispondere a questa domanda.

La cultura oggi dominante, i “mondi virtuali” e il senso comune nelle loro mille articolazioni spingono ogni persona a cercare in sé il senso della sua vita, mentre di fatto, che se renda o non se ne renda conto, vive con gli altri: delle relazioni che lei tiene con altre e delle relazioni che altre tengono con lei. Ogni persona è una delle manifestazioni della società, uno dei suoi centri di iniziativa.

La sensazione che la propria vita non ha senso, che non ha scopo, è una questione esistenziale che nei paesi imperialisti in particolare è già ampiamente visibile nel comportamento e nello stato d’animo di decine di milioni di persone, che decine di milioni di persone devono risolvere oggi in generale ognuno per sé, che decine di milioni di persone risolvono a qualche modo facendo ricorso alle mille diverse risorse del mondo virtuale ivi comprese le tradizioni del tempo antico, le religioni. Ma a differenza che nel mondo antico, ora è una risposta fittizia, che non ha riscontro nella collocazione sociale. Quindi è fragile, instabile. Entra in crisi a ogni passo.

È una questione esistenziale che solo il movimento comunista e la partecipazione al movimento comunista risolvono stabilmente, costruttivamente e in modo sano: alla persona che si aggira in tondo alla ricerca di cosa fare, indica la  strada di un fare costruttivo, che lo unisce agli altri, che corrisponde alle condizioni esterne con cui ogni individuo fa i conti, che lo unisce agli altri in un’associazione in cui il libero sviluppo di ogni individuo è la condizione del libero sviluppo di tutti, in cui libertà e necessità si combinano alla luce della libertà che si ampia con la conoscenza della necessità (quanto più conosci le leggi dell’insieme di cui sei parte, tanto più sei libero di fare).

Se stai fermo e ti aggiri per il cortile e per casa, allora ti chiedi “dove sto andando” e ti arrovelli e deprimi. Eh no, proprio non stai andando da nessuna parte, giri in tondo. Finché non decidi dove andare e non vai, non vai da nessuna parte! E dici “la mia vita non ha senso”: ed effettivamente non dai nessun senso alla tua vita, perché la tua vita ha il senso che tu decidi di darle, che le dai. Certo, se non glielo dai un senso, non ce l’ha. Eppure potrebbe averlo, potresti fare tante e grandi cose, di cui abbiamo bisogno. E allora potresti contare su noi e noi potremmo contare su te.

Noi vogliamo cose semplici e nell’ordine delle cose. Cosa impedisce che le aziende siano pubbliche e dirette per produrre quello di cui c’è bisogno e solo quello? Un tempo non c’erano strade: oggi in Italia non c’è paesino che non sia collegato ad altri da strade. Non c’era energia elettrica ... e potrei continuare. A ben guardare, tu dici che è possibile solo quello che c’è già! Che ieri potevano fare cose che ancora non c’erano ma oggi non si può più: c’è tutto. Non è vero. Perché le aziende devono continuare ad essere proprietà privata di capitalisti con tutti i guai agli uomini e all’ambiente che ne vengono? Un uomo che ha lavorato in fabbrica per tanti anni, ha diritto ed è del tutto possibile che cambi attività. Farà il dottore? Perché no, se è in grado di imparare a farlo? Con la produttività del lavoro che c’è già oggi, il lavoro in fabbrica potrebbe essere come il servizio militare di un tempo: due, tre, cinque anni per ciascuno e ai bambini fin da bambini si insegnerebbe a fare tante altre cose. Un tempo preti e padroni dicevano che era assurdo e perfino peccato pensare che tutti imparassero a leggere e scrivere. Ora a qualche maniera un pochino tutti imparano. Sveglia! Quello che non si è mai fatto sembra impossibile farlo, spesso solo perché non si osa pensare che è possibile farlo e tanto meno ci si dà i mezzi e le condizioni per farlo.