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La Voce 50 del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVII - luglio 2015

 

Evitare che le nostre tesi siano fraintese e le nostre concezioni travisate

Nella propaganda noi comunisti dobbiamo porre particolare attenzione per evitare o almeno ridurre la possibilità che le nostre concezioni e le nostre parole d’ordine siano facilmente mal comprese o travisate.

Ovviamente dobbiamo dare per scontato che “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”. I nostri nemici e gli esponenti della sinistra borghese, anche quelli non visceralmente anticomunisti, travisano le nostre concezioni per rendersi più facile la polemica. La sinistra borghese mantiene ancora oggi, il più che le riesce, un cordone sanitario attorno a noi. Non ha fiducia nelle proprie idee e deve difendere i suoi interessi. Solo chi ha fiducia nelle proprie idee ed è convinto che bisogna elevare la coscienza nelle cerchie più ampie delle masse popolari, usa e anzi provoca il contrasto per combattere idee sbagliate e diffondere idee giuste.

Ma vi sono altri aspetti che dobbiamo tener presenti per rendere efficace la nostra propaganda.

1. L’originalità della nostra concezione, analisi e linea che in generale sono però espresse con i vocaboli e le espressioni del linguaggio corrente in cui gli stessi vocaboli e le stesse espressioni hanno un significato diverso da quello che diamo noi, ricavabile dal contesto dei nostri scritti (per questo spesso conviene usare parafrasi).

2. La noncuranza se non il disprezzo correnti nella sinistra borghese per il pensiero e la teoria, in particolare negli ambienti “rivoluzionari”: qui predomina il rivoluzionarismo volgare che non comprende che la parola e la teoria sono anch’esse azione e che esercitano, in certi periodi, un ruolo potente (quello che la borghesia e il clero combattono con il primo pilastro della controrivoluzione preventiva).

3. Lo stile stereotipato che molti di noi adottano nel fare propaganda: usando formule e parole di rito, addirittura abbreviazioni o sigle (GBP, RP, ecc.): il contrario dello stile vivace, con riferimenti a casi noti al pubblico, con termini ed espressioni locali, con parafrasi.

Il linguaggio che usiamo nella nostra rivista e nei nostri comunicati certamente non è scelto per far presa “sulla maggioranza” a cui i nostri scritti non arrivano. È quello che riteniamo necessario per spiegare la nostra concezione e la nostra linea a quelli che, per l’una o l’altra ragione della loro esperienza, hanno capito che devono fare lo sforzo e darsi i mezzi necessari per imparare una scienza difficile che permetterà a ognuno di essi di parlare usando “il dialetto del posto” al semplice lavoratore, alla casalinga, all’immigrato, al giovane. È un metodo che funziona. Ogni scienza ha bisogno di un linguaggio appropriato. “Dal nostro linguaggio oscuro, alla lingua parlata”, dicevamo già nel primo numero (marzo 199) di La Voce.

Antonio L.