La Voce

Indice del La Voce n. 5

Un problema internazionale:

la ricostruzione dei partiti comunisti

 

La domanda che si pone ai comunisti italiani si pone in misura analoga ai comunisti degli altri paesi imperialisti. Gli avvenimenti pongono ai comunisti in modo sempre più pressante in tutti i paesi imperialisti la questione: “Perché la rinascita del movimento comunista si sviluppa lentamente benché la situazione oggettiva diventi sempre più favorevole alla nostra causa?”. Quanto internazionalista sia la linea effettiva di ogni partito e gruppo comunista oggi si misura anche da quanto esso collabora con partiti e gruppi comunisti di altri paesi nella ricerca della risposta giusta a questa domanda e alla verifica di essa nella pratica dei rispettivi paesi.

 

A questa domanda una serie di gruppi e partiti comunisti hanno risposto che la rinascita del movimento comunista nei paesi imperialisti si sviluppa lentamente perché il centro motore della rivoluzione proletaria nel mondo si troverebbe nei paesi semi coloniali. “Solo grazie alla sviluppo della guerra popolare rivoluzionaria nei paesi semi coloniali il proletariato dei paesi imperialisti non devia ancora più verso il riformismo e il revisionismo”. Questa è ad esempio la risposta che hanno dato i 15 partiti e gruppi firmatari della Dichiarazione generale su Mao e la guerra popolare (dicembre 1998).(1) Questa risposta conferma la concezione internazionalista di gruppi e partiti comunisti di paesi semi coloniali (8 dei 15) ed esprime il loro tentativo di comprendere il contesto internazionale della loro attuale attività rivoluzionaria. Ma è una risposta sbagliata. Non a caso i gruppi e partiti comunisti dei paesi imperialisti (6 su 15, quello che manca per arrivare a 15 è il Partito degli operai e dei contadini di Russia) che sottoscrivono questa Dichiarazione si limitano a giustificare la loro condizione di relativo isolamento dalla classe operaia e dalle masse popolari dei rispettivi paesi e non hanno sviluppato un giusto bilancio dell’esperienza del movimento comunista e della vittoria in esso del revisionismo moderno. Questi gruppi e partiti ripropongono la linea generale formulata dal Partito Comunista Cinese (PCC) nel 1965 sullo “accerchiamento delle metropoli imperialiste da parte delle campagne del mondo costituite dai paesi semi coloniali”.(2) Ma la realtà è opposta a quanto è detto nella Dichiarazione: nei paesi imperialisti gli operai, i proletari e le masse popolari abbandonano i revisionisti moderni e i riformisti al loro destino. Certo li abbandonano in larga misura senza che dei partiti comunisti svolgano la necessaria opera di orientamento e di organizzazione: di direzione. Quindi lasciano i riformisti e non è detto che alimenteranno la mobilitazione rivoluzionaria delle masse: per questo è indispensabile una giusta direzione dei partiti comunisti. Ma il fenomeno sta ad indicare le possibilità di sviluppo delle nostre forze. L’abbandono sarebbe certamente molto più ampio e rapido in presenza di una adeguata direzione del partito comunista. In più l’esperienza del secolo passato ha mostrato 1. che nel corso della crisi generale del capitalismo anche nei paesi imperialisti si creano situazioni rivoluzionarie e condizioni oggettive favorevoli alla conquista del potere da parte della classe operaia e 2. che la mancata conquista del potere proprio nei paesi imperialisti pone limiti difficilmente valicabili alla continuazione della rivoluzione socialista negli stessi paesi semi coloniali: la vittoria del revisionismo moderno in Unione Sovietica ha segnato il declino del movimento comunista in tutto il mondo nonostante l’eroica lotta condotta tra il 1966 e il 1976 con la Rivoluzione Culturale Proletaria dal PCC perché il movimento comunista mantenesse le conquiste fatte nella prima metà del secolo e proseguisse nella rivoluzione socialista. Insomma, da qualunque lato la si guardi, la risposta data dai firmatari della Dichiarazione risulta sbagliata.

Altri gruppi e partiti comunisti sono arrivati alla conclusione che nei paesi imperialisti l’accumulazione delle forze rivoluzionarie sarà possibile solo nel contesto di una nuova guerra interimperialista e che quindi il massimo obiettivo che possono porsi attualmente i partiti comunisti dei paesi imperialisti è sopravvivere come piccole organizzazioni isolate dalle masse fino allo scoppio della prossima guerra interimperialista mantenendosi “fedeli ai principi”; alla conclusione che in attesa della nuova guerra interimperialista nei paesi imperialisti sono possibili ampi movimenti di massa (questo non lo possono proprio negare), ma non ampie organizzazioni di massa dirette dai partiti comunisti e ad altre conclusioni del genere. Noi riteniamo che le conclusioni di questi gruppi e partiti comunisti confermano l’esistenza del problema che abbiamo posto (il ristagno quantitativo dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie in tutti i paesi imperialisti), ma esprimono anche la rassegnazione a non risolverlo ed in sostanza la rinuncia ai compiti del partito comunista e di fatto alla rivoluzione socialista. Perché non si chiedono neppure se non è proprio la linea che essi seguono che impedisce ad essi di accumulare forze rivoluzionarie? Eppure l’accumulazione delle forze rivoluzionarie è una indispensabile fase della lotta per la conquista del potere e l’instaurazione del socialismo. Senza un periodo preliminare di accumulazione delle forze rivoluzionarie (quindi di raccolta e di educazione-formazione di esse) non è possibile la conquista del potere da parte della classe operaia e del suo partito comunista, non è possibile dare avvio ad alcuna rivoluzione socialista, neanche nel contesto di una guerra interimperialista. L’esperienza della prima e della seconda guerra mondiale confermano questa nostra affermazione. Engels lo aveva chiaramente spiegato già nel 1895 analizzando l’esperienza della Comune di Parigi e la natura della rivoluzione socialista in contrapposizione alla rivoluzione borghese (Introduzione a Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850). La rinuncia a dirigere le lotte attuali della classe operaia e delle masse popolari, per quello che esse concretamente sono, in nome di lotte rivoluzionarie conformi alla nostra fantasia, rende illusorio ogni progetto di dirigere le lotte future ed è anche una deviazione completa dalla concezione marxista della lotta per il comunismo.

È vero che noi avanziamo in un terreno in gran parte sconosciuto, quello della raccolta, formazione ed accumulazione delle forze nei paesi imperialisti nelle condizioni politiche dei nuovi regimi di controrivoluzione preventiva. Su questo specifico terreno il vecchio movimento comunista non ha compiuto esperienze vittoriose neanche durante la prima ondata della rivoluzione proletaria. I movimenti degli '60 e '70 nei paesi imperialisti contengono molti insegnamenti, ma essi in gran parte devono essere ancora ricavati elaborando quella esperienza alla luce della concezione comunista del mondo con il metodo materialista dialettico. Quindi noi non abbiamo ancora una concezione definitiva e universale dei metodi e delle leggi del nostro lavoro.

Accumulazione delle forze rivoluzionarie vuole dire partito, fronte e forze armate. Solo dei dottrinari possono pensare di stabilire a tavolino la forma che ognuna di queste cose assumerà. Noi dobbiamo fare nostro il massimo livello di comprensione a cui il movimento comunista è arrivato ed avanzare con coraggio e prudenza, aiutandoci con questo patrimonio ad analizzare ed elaborare l’esperienza concreta del movimento delle masse.

La comprensione che anche nei paesi imperialisti la borghesia imperialista sta conducendo una guerra civile si fa sempre più strada tra le FSRS e tra i lavoratori avanzati. Recentemente perfino nella prima pagina di un foglio tutto sommato economicista si leggeva la seguente dichiarazione: “È in atto una guerra (non dichiarata ma combattuta ferocemente) che la cricca del capitalismo finanziario/industriale porta avanti contro il resto dell’umanità: contro i popoli dei paesi non allineati (Jugoslavia, Irak, ecc.) bombardati e sotto embargo, contro i lavoratori (attacco al salario, ai contratti e alle conquiste precedenti), contro i cittadini tutti (attacco a ogni forma di welfare, alla sanità, alle pensioni, degrado dell’ambiente naturale)”.(3) Noi siamo all’altezza dei compiti che concretamente pone la lotta di classe solo se raccogliamo la sfida e rispondiamo in modo adeguato alla guerra “non dichiarata” (perché alla borghesia è mille volte più vantaggioso condurla senza dichiararla) che la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari. Chi finge che la guerra non ci sia, chi si ostina a ignorare la guerra in corso, chi si rifiuta di partire dalle forme in cui essa concretamente si presenta: tutti costoro eludono i compiti attuali e ovviamente ogni loro tentativo di accumulare forze è condannato alla sconfitta. Affrontare i nostri compiti nei termini reali in cui essi si pongono attualmente è la linea strategica della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Ma la linea strategica della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata deve essere applicata e circostanziata per le condizioni concrete dei paesi imperialisti. Quindi è comprensibile che nelle nostre file vi siano esitazioni e divergenze sulle forme che la nostra attività deve assumere e che si debbano compiere al riguardo esperienze e accurati bilanci dei loro risultati. Ogni scienza si sviluppa “provando e riprovando”: partendo dalle conoscenze già accumulate e procedendo con l’esperienza, il bilancio delle esperienze, la critica e l’autocritica. Noi oggi non abbiamo ancora la scienza di cui abbiamo bisogno. Oggi è ancora tempo di ricerca. I gruppi e partiti che proclamano che nei paesi imperialisti è impossibile attualmente raccogliere, formare e accumulare forze rivoluzionarie chiudono invece questa ricerca. Questa è scientificamente il fondamento reale di quelle conclusioni.

Le conclusioni dei liquidatori non hanno alcuna altra base scientifica. Esse constatano il fatto che dovrebbero invece spiegare. In sostanza i sostenitori di queste conclusioni dicono: “Non si può fare perché noi non siamo riusciti a farlo”. Cosa che è incontestabile. Ma si guardano bene dal criticare onestamente Engels, dallo spiegare come gli attuali regimi imperialisti lascerebbero per incanto il posto a “governi rivoluzionari” se non cadono per opera di un movimento rivoluzionario diretto dalla classe operaia, dallo spiegare come la classe operaia potrebbe prendere il potere senza un preliminare processo di raccolta, formazione ed accumulazione delle forze rivoluzionarie.

La tesi che nel corso di una guerra interimperialista diventerebbe possibile una accumulazione delle forze impossibile a farsi oggi, in definitiva ha come unico fondamento razionale la tesi che solo la catastrofe di una guerra potrà scuotere le masse che oggi sarebbero paralizzate o dai benefici del regime o dalle loro illusioni nel regime. Ma abbiamo visto che questa tesi è una fantasia. Mentre l’esperienza storica ha mostrato che i partiti incapaci di accumulare forze rivoluzionarie in periodi di “pace”, difficilmente lo sono nel corso di una guerra imperialista.

In secondo luogo la storia dei paesi imperialisti mostra che in generale la borghesia non riesce a impedire che le masse si organizzino, al punto che, per evitare che esse si organizzino attorno ai comunisti, deve organizzarle essa stessa: ma i comunisti hanno imparato da tempo a lavorare anche nelle organizzazioni reazionarie delle masse. La storia dei paesi imperialisti mostra anche che alcune organizzazioni rivoluzionarie delle masse sono state distrutte dalla borghesia imperialista o sono deviate, ma solo perché i partiti comunisti avevano una comprensione insufficiente delle contraddizioni che le generavano e una linea di direzione inadeguata.

In terzo luogo i partiti e gruppi che giungono a queste conclusioni sono palesemente affetti da deviazioni di tipo dogmatico: interpretano il successo dei revisionisti moderni nel movimento comunista come prodotto di tradimento o di complotti, concepiscono il marxismo-leninismo come una concezione del mondo (un corpo di dottrine) chiusa e priva di sviluppi ulteriori, conducono la lotta contro il revisionismo moderno unicamente o principalmente come difesa o ristabilimento dei principi del marxismo-leninismo, rifiutano l’assimilazione del maoismo come terza superiore tappa del pensiero comunista. Essi non solo non dimostrano in conformità col metodo materialista dialettico della conoscenza la loro tesi secondo cui oggi nei paesi imperialisti è impossibile accumulare forze rivoluzionarie, ma non spiegano neanche in conformità con lo stesso metodo come fu possibile la disgregazione dei partiti comunisti e del campo socialista, cioè delle forze rivoluzionarie già accumulate e temprate. La loro conclusione è di fatto liquidatoria e attendista, anche se si presenta come difesa ferma del patrimonio teorico (dei “principi”) e della unità organizzativa del partito. Conferma che il dogmatismo è un ostacolo assolutamente da rimuovere per condurre avanti vittoriosamente la nostra lotta.

Ernesto V.

 

NOTE

 

1. La Dichiarazione è stata pubblicata nel numero uscito nell’inverno 2000 di Socialisme maintenant!, rivista canadese di lingua francese. Precisiamo però che il Comitato centrale del gruppo Azione socialista che pubblica Socialisme maintenant! non è d’accordo con la tesi della Dichiarazione.

 

2. Questa concezione è esposta in Viva la vittoria della guerra popolare! (3 settembre 1965), Opere di Mao Tse-tung vol. 22 Edizioni Rapporti Sociali.

 

3. Gazzetta Operaia, periodico di informazione e di collegamento di base per la costruzione di una rete di opposizione sociale, (anno 1 n. 6), supplemento a nuova unità.