La Voce 49 - Indice

La Voce 49 del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVII marzo 2015

Rivoluzionari di professione

Un'istituzione indispensabile di ogni partito comunista

(Da Rapporti Sociali n. 31/32, dicembre 2002)

Chi non ha letto Rivoluzionaria di professione di Teresa Noce farebbe bene a leggerlo. È un libro semplice (disponibile presso le Edizioni Rapporti Sociali) in cui Teresa Noce racconta la sua vita, come da sartina passa a diventare prima comunista, poi rivoluzionaria di professione (funzionaria del PCI) e compie la sua vita attraverso la semiclandestinità fino al 1926, poi la clandestinità e nell'esilio in URSS, in Francia e altrove, fino al rientro in Italia dopo la Resistenza. Esiste un certo numero di altri libri di memorie di lavoratori (Vaia, Germanetto, Colombi, ecc.) che sono passati da semplici operai (muratori, metalmeccanici, camerieri d'albergo, ecc.) a comunisti e poi a rivoluzionari di professione. Lavoratori che hanno dato un'impronta incancellabile al movimento comunista italiano, lo hanno portato ad un livello da cui dovrà partire il nuovo partito comunista. Infatti i "rivoluzionari di professione" sono stati una delle componenti dell'alto livello raggiunto dal movimento comunista in Italia prima che i revisionisti, capitanati da Togliatti, riuscissero a deviarlo nelle secche della collaborazione di classe e della subordinazione all'oligarchia finanziaria e al suo regime DC. Operaie e operai, giovani in generale, ma non sempre, hanno abbandonato il loro posto di lavoro e hanno fatto dell'attività di partito la loro vita, a tempo pieno. Hanno dedicato al lavoro rivoluzionario non solo, come fanno i normali membri del partito e i suoi collaboratori, quel tempo e quelle energie che avanzavano dopo aver lavorato in fabbrica, nei campi, in una qualche azienda, ma, in più di questo, anche tutto il tempo che i loro compagni continuano a trascorrere sul posto di lavoro. Come fanno tanti emigranti, hanno abbandonato le famiglie di origine, o si sono portati dietro le famiglie che avevano formato e sono diventati "truppe mobili" del partito, disposti ad andare dove il partito aveva bisogno di loro, a ritornare "in produzione" quando il partito aveva bisogno di un operaio comunista inserito in un'azienda o quando altre condizioni lo rendevano necessario. In questo modo gli operai sono diventati il nocciolo duro e stabile del partito, la gran parte dei quadri intermedi e una buona parte dei quadri dirigenti. E hanno trasfuso nel partito, nel lavoro di direzione, nel lavoro di elaborazione, nel lavoro di massa del partito le qualità migliori dell'operaio comunista, dell'operaio rivoluzionario. Quelle qualità che difficilmente si imparano in una scuola di partito. Quelle qualità frutto della combinazione tra la psicologia creata dalla pratica sul lavoro e fuori dal lavoro dell'operaio dell'azienda capitalista e il patrimonio teorico del movimento comunista. Perché rivoluzionario di professione, (funzionario del partito) non vuole dire solo un uomo o una donna che si dedicano a tempo pieno al lavoro di preparazione della rivoluzione e a fare la rivoluzione, ma anche un uomo o una donna che sono messi nelle condizioni di imparare a fare la rivoluzione, di assimilare il patrimonio teorico del movimento comunista, di imparare lavorando a fianco di compagni già esperti, di raccogliere dalla viva voce di altri compagni la loro esperienza. Formarsi non è perdere tempo, sottrarre tempo al lavoro di partito: è un aspetto essenziale dei doveri del rivoluzionario di professione. Il partito mette il rivoluzionario di professione in condizione di formarsi in modo professionale, sistematico, di acquisire quegli indispensabili strumenti culturali che la borghesia, anche nei più progrediti e ricchi paesi imperialisti, nega alla massa dei lavoratori. Persino nella finanziaria che il governo Berlusconi approva in questi giorni ci sono tagli alla scuola pubblica: le scuole dove mandano i loro rampolli non vengono mai toccate, per queste le risorse non mancano mai.

In questa maniera i partiti comunisti hanno assorbito i figli migliori della classe operaia e ne hanno fatto dei dirigenti. Nei vecchi partiti socialisti, come in Italia nel PSI, gli operai dirigenti erano mosche bianche. Si trattava di rarissimi casi di operai particolarmente dotati (esempi famosi a livello internazionale furono Joseph Dietzgen e August Bebel) che erano riusciti, rubando tempo al sonno e ad altre attività, a farsi una cultura. Il dirigente normale era un professore, un avvocato, un maestro di scuola, uno studente, un giornalista, un benestante, uno scrittore, un medico, un farmacista: insomma persone che per la posizione che occupavano nella società borghese (e precisamente perché non erano proletari e tanto meno operai) possedevano un certo patrimonio culturale e, i migliori, lo ponevano al servizio della causa del socialismo; i peggiori si servivano del movimento socialista per fare carriera, per imparare a governare e dirigere gli uomini, come trampolino di lancio. In questa situazione, anche l'operaio particolarmente dotato, quando riusciva ad assimilare un patrimonio culturale sufficiente per diventare dirigente, aveva come suo modello il dirigente non-operaio, che costituiva il 95% dell'ambiente di partito di cui entrava a far parte. Anche questo lo spingeva ad allontanarsi dai suoi vecchi compagni di lavoro. Nel suo libro pubblicato giusto cento anni fa nel 1902 Che fare?, un vero "manuale del comunista", Lenin esalta il rivoluzionario di professione, il lavoro professionale svolto per la causa della rivoluzione socialista e mostra, cosa ovvia per noi che oggi conosciamo l'esperienza dei partiti comunisti, ma non ovvia allora, che solo un partito che si procura i mezzi per mantenere i suoi "funzionari", può formare al lavoro rivoluzionario e in particolare al lavoro di dirigenti rivoluzionari schiere di operai e può avere il grosso del suo quadro dirigente composto di operai e proletari. La proletarizzazione del partito, il partito "avanguardia organizzata della classe operaia" ha come componente indispensabile i rivoluzionari di professione. Chiunque oggi si dichiara comunista non per posa da ribelle o per farsi bello dell'eroismo e delle vittorie del movimento comunista, ma sinceramente e con convinzione, non può prescindere dalla esperienza storica del movimento di cui dichiara di entrare a far parte: è la sua "identità comunista". I rivoluzionari di professione sono un aspetto prezioso e irrinunciabile di quella esperienza.


È ovvio che la borghesia abbia schiumato rabbia contro questa istituzione dei partiti comunisti che riduceva i suoi canali di influenza ideologica e morale e di infiltrazione nei partiti comunisti. I trotzkisti si sono fatti i portavoce specifici di questa rabbia della borghesia contro i rivoluzionari di professione. Si sono in qualche modo aggiunti agli anarchici nel cercare di mobilitare demagogicamente contro la causa del comunismo e i suoi "funzionari" l'indignazione popolare contro i funzionari borghesi portavoce dell'oppressione padronale con cui ogni elemento delle masse popolari si scontra. Come cercano di mobilitare contro i soldati della rivoluzione l'indignazione delle masse popolari contro i soldati che impongono l'oppressione della borghesia, contro la giustizia proletaria il rigetto delle masse popolari contro la giustizia che impone i privilegi e la volontà della borghesia. Chiunque ha sentito parlare per più di dieci minuti un trotzkista (parlo dei trotzkisti formati, non degli sprovveduti che, alla ricerca di un'organizzazione comunista, sono incappati in un gruppo di trotzkisti e non sono ancora arrivati ad avere abbastanza nausea delle loro maldicenze contro il movimento comunista e le sue conquiste e vittorie da cambiare aria), dunque chiunque ha sentiti parlare per più di dieci minuti un trotzkista, lo avrà senza dubbio sentito inveire contro la "burocrazia". Secondo i trotzkisti, l'URSS sarebbe finita male per colpa dei "burocrati", i partiti comunisti avrebbero fatto cose sbagliate o nefande per colpa dei "burocrati" (delle conquiste e delle vittorie del movimento comunista i trotzkisti non parlano quasi mai e, quando ne parlano, sono opera dello Spirito Santo). Bisognerebbe chiedere a questi intelligentoni cosa faceva il loro padre Trotzki se non il burocrate. Il più delle volte, cosa fanno loro stessi di professione, per aver avuto il tempo di imparare tante sciocchezze infarcite di notizie o tante notizie cucinate in una salsa così squisitamente borghese. Quando questi signori pontificano, dobbiamo illustrare chiaramente al pubblico che cercano di fuorviare che tutti i grandi e medi dirigenti rivoluzionari comunisti (da Lenin a Secchia a Moscatelli) sono stati "burocrati", cioè rivoluzionari di professione, funzionari del partito, persone a cui il partito dava un salario perché lavorassero bene, nel modo migliore, professionalmente, per la rivoluzione, perché frequentassero le scuole di partito e si istruissero in modo da lavorare ancora meglio per la rivoluzione. Se poi erano operai o proletari, questa era l'unica via attraverso la quale potevano imparare a svolgere ed effettivamente svolgere un ruolo dirigente. Milioni di lavoratori si sono levati a combattere contro la borghesia e le altre classi sfruttatrici grazie al lavoro di organizzazione, di propaganda, di agitazione, di mobilitazione e di direzione svolta dalle decine di migliaia di rivoluzionari di professione che i partiti comunisti hanno formato e mantenuto. Ben venga un partito che sa procurare i mezzi per avviare operai e proletari a fare i "burocrati" per la causa del comunismo. Se i partiti comunisti e perfino i paesi comunisti sono finiti fuori strada, dono deviati fino a corrompersi e dissolversi, non è per i rivoluzionari di professione, ma per l'influenza della borghesia nelle loro fila che non hanno saputo respingere, per le linee sbagliate, dogmatiche o di destra, che non hanno saputo individuare e liquidare, per i problemi nuovi a cui non hanno saputo dare soluzioni rivoluzionarie. E l'influenza della borghesia in un partito comunista è tanto più grande e facile quanto più essa può spedire direttamente i suoi uomini colti, preparati e ammaestrati, a fare i dirigenti nel partito senza neanche partire dalla gavetta. La difficoltà del partito a riconoscere una linea sbagliata, a confutarla e liquidarla, la difficoltà del partito a dare soluzioni giuste per i problemi nuovi sono tanto maggiori quanto meno sono i suoi rivoluzionari di professione e quanto meno preparati essi sono, quanto meno risorse può dedicare alla loro formazione, quanto più deve fare affidamento su borghesi già formati ed educati che vengono nelle nostre fila. Altro che i burocrati! Semmai è la mancanza di burocrati, la loro poca formazione, l'influenza della borghesia su di loro ciò che ha nociuto al movimento comunista. Ciò che decide della sorte del partito, della rivoluzione, di un paese socialista è la linea che segue: se è giusta o sbagliata. I trotzkisti con le loro ciance sui burocrati distraggono l'attenzione da ciò che è essenziale. Suscitano avversione verso un'istituzione senza la quale un partito comunista prima o poi finirà certamente sotto l'influenza ideologica della borghesia.

Creare le condizioni per la ricostruzione del partito vuol dire anche difendere la grande e gloriosa istituzione del movimento comunista costituita dai rivoluzionari di professione e formare già oggi compagni a fare i rivoluzionari di professione facendolo.