La Voce 49 - Indice

La Voce 49 del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVII marzo 2015

Il nuovo PCI deve essere clandestino

A difesa della “settima discriminante”

Costruire il Partito comunista nella clandestinità e dalla clandestinità tessere la rete di relazioni e di influenze con cui il Partito comunista dirige la lotta della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari del nostro paese per la conquista del potere (per l’instaurazione del socialismo)” è un tratto distintivo del nuovo Partito comunista italiano fin dalla costituzione nel gennaio 1999 della Commissione Preparatoria del congresso di fondazione e dal lancio del piano in due punti (elaborazione del Programma e costituzione di Comitati di Partito) per preparare il congresso.

Più volte (Manifesto Programma cap. 3.4., La Voce 1 e vari numeri successivi) e da più lati abbiamo illustrato la natura e i motivi della clandestinità del Partito, che nel nostro gergo chiamiamo “settima discriminate”. Non c’è obiezione che ci è stata fatta da compagni e avversari a cui non abbiamo dato risposte esaurienti, dopo aver attentamente esaminato l’obiezione e i suoi motivi alla luce della nostra esperienza, delle condizioni attuali della lotta di classe, dell’esperienza nazionale e internazionale del movimento comunista. Ogni obiezione è stata tra noi membri del Partito discussa senza preclusioni e preconcetti, “fino in fondo”.

Ancora oggi le obiezioni alla clandestinità sono numerose tra i nostri avversari ma anche tra i nostri simpatizzanti e tra le parti avanzate delle masse popolari, attive nelle forme spontanee della lotta di classe. Gran parte delle obiezioni che ci vengono fatte si riducono a due.

1. Operando nella clandestinità è impossibile svolgere un efficace lavoro di massa: di promozione e organizzazione, di orientamento e direzione delle lotte delle masse popolari.

2. Costituendovi voi stessi nella clandestinità, vi tirate addosso la repressione e vi ponete in condizioni che rendono possibile una deriva militarista: un partito comunista diventa clandestino solo quando la borghesia vieta ai comunisti di svolgere attività politica legalmente.

A grandi linee a quelli che formulavano obiezioni del primo tipo, abbiamo fatto osservare che non solo la nostra esperienza ma anche l’esperienza di molti altri partiti comunisti, a incominciare dal Partito di Lenin e di Stalin, vincitore della Rivoluzione d’Ottobre e costruttore dell’Unione Sovietica, dimostrano il contrario. Mentre nessuno dei partiti comunisti che si sono accontentati dell’attività politica legale ha mai instaurato il socialismo, anzi messi dalle circostanze in condizioni che richiedevano l’assunzione del potere, si sono mostrati non adeguati ai loro compiti.

Ai compagni che formulavano obiezioni del secondo tipo, abbiamo fatto osservare che ritenere che la borghesia e il clero non perseguitano e reprimono i comunisti se questi operano “alla luce del sole”, vuol dire o avere illusioni sulla natura della lotta di classe e sulla resistenza che la borghesia e il clero oppongono al loro tramonto o avere una ben misera concezione del lavoro che i comunisti devono svolgere: ridurli a promotori di lotte rivendicative, animatori sociali, portavoce nelle istituzioni delle democrazia borghese delle richieste delle masse popolari (sponda politica delle lotte rivendicative). Vero invece è che quando la classe dominante li mette fuori legge, allora “tutti” (nella parte attiva delle masse popolari) riconoscono che i comunisti hanno ragione a continuare a operare nella clandestinità. Ma non è giusto, diciamo noi, che i comunisti subordinino la loro condotta all’opinione dei “tutti”. Da una parte la clandestinità non si improvvisa: organizzare la propria attività dopo che si è messi fuori legge, quindi quando il nemico ha l’iniziativa in mano, comporta un lungo lavoro che distoglie dalla direzione delle lotte delle masse, cioè di fatto la paralisi dell’attività politica del partito; dall’altra la classe dominante si permette di mettere fuori legge i comunisti se reputa di rendere con questa misura difficile se non impossibile la loro opera: è quindi evidente il nostro interesse a prevenire questa misura e a impedirla, rendendo chiaro che la nostra attività comunque continuerà e semmai l’unico effetto di quella misura sarà accrescere il consenso della parte attiva delle masse popolari verso il nuovo PCI. Capire l’importanza e la necessità della clandestinità oggi non è “spontaneo”, richiede un alto livello di coscienza, la capacità di pensare e non avere remore opportuniste che portano a non vedere quello che fa comodo non affrontare. Questo spiega anche perché le nostre file crescono lentamente e la cosa non ci spaventa.


Quanto alle derive militariste e al nostro legame reale o possibile (rischio) con le Brigate Rosse o con la deviazione che ha portato le Brigate Rosse alla sconfitta, abbiamo fatto osservare e facciamo osservare due cose:

- ogni organizzazione comunista è per la natura della lotta di classe esposta al rischio di derive: la deriva militarista non è un pericolo maggiore della deriva parlamentarista, sindacalista e di altre derive riformiste. Le derive si prevengono lottando contro le deviazioni, con la “lotta tra le due linee” nel partito, non illudendosi di escludere una deviazione perché ci si getta in un’altra.

Quanto poi alle Brigate Rosse, dopo l’attenta analisi che abbiamo fatto della loro nascita, della loro natura e delle cause della loro sconfitta, non ci resta da dire che torna a onore delle Brigate Rosse il fatto che i nostri avversari non trovano negli avvenimenti del passato altro termine di paragone che le BR per caratterizzare il (n)PCI: vuol dire che di esse resta vivo nel senso comune l’apporto creativo che hanno dato al movimento comunista: l’indicazione che bisognava superare la linea seguita dal vecchio PCI fallimentare ai fini dell’instaurazione del socialismo.


La mancanza di una concezione d’assieme, la mancanza di progettualità, la mancanza di strategia e di piani fanno parte delle condizioni in cui le classi dominanti relegano le classi sfruttate e gli Stati dominanti relegano i popoli oppressi. È una caratteristica delle classi e dei popoli oppressi, delle donne rispetto agli uomini, dei giovani rispetto agli adulti, ecc.: un marchio, l’aspetto spirituale e psicologico dell’oppressione. Questo marchio permane anche nella società borghese: benché la società borghese crei oggettivamente le condizioni per la fine della divisione dell’umanità in classi sociali; benché abbia reso la divisione in classi sociali un ostacolo al progresso mentre nella storia passata, nelle lunghe barbarie vissute dall’uomo, è stata una condizione di progresso; benché essa dichiari che gli uomini sono eguali e abbia rivestito con la democrazia borghese il monopolio della violenza detenuto dallo Stato. La borghesia, il clero, la sinistra borghese si sono ridotti a nascondere e ciecamente negare la realtà della divisione e oppressione di classe, di genere e nei rapporti internazionali, come i bambini negano l’evidenza (ma, sia detto tra parentesi, proprio questa cieca negazione dell’evidenza indica che l’evidente realtà ha i giorni contati, è “storicamente superata”).

Tra i membri delle classi della società borghese che il sistema di relazioni sociali esclude dalle attività superiori dell’uomo, solo alcuni individui, per una combinazione di fortunate circostanze sfuggono alla condanna che la borghesia impone alle classi oppresse. Il Partito comunista li raccoglie, li forma intellettualmente e moralmente (RMI) e li inserisce in organismi capaci di pensare e agire. Questo rende il Partito comunista capace di dirigere la parte avanzata delle classi oppresse, quella attiva nelle forme elementari e spontanee della lotta di classe.

Il partito dirige non per designazione, non per proclamazione fatta dal Partito sebbene il Partito debba dichiarare la sua volontà e la sua aspirazione a dirigere e darsi i mezzi per farlo, non per accettazione dichiarata della direzione del Partito da parte della parte organizzata delle classi oppresse, benché tale accettazione sia un indice e un fattore di avanzamento. Dirige principalmente perché con la sua attività porta le masse, la parte più attiva a constatare che la sua direzione è giusta, che grazie alla direzione del Partito riesce a realizzare le sue aspirazioni, si pone obiettivi sempre superiori. Il Partito comunista è capace di questo perché recluta nelle sue file solo quei lavoratori, quelle donne e quei giovani che sono decisi e capaci di dedicarsi senza riserve alla causa.

Vera Z.