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La Voce 47

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVI

luglio 2014

Cura e formazione degli uomini e delle donne


Concezione comunista del mondo e riforma intellettuale e morale


Concezione comunista del mondo, riforma intellettuale e morale sono componenti o passaggi essenziali di un processo unico. In questo processo, l’elaborazione della concezione comunista del mondo è il fondamento o il punto di partenza, la riforma intellettuale è il mutamento del modo di pensare a livello collettivo e individuale in conformità alla concezione elaborata, la riforma morale è il mutamento del modo di agire a livello collettivo e individuale in conformità al nuovo modo di pensare. Le tre componenti o tre passaggi sono essenziali l’uno agli altri, nel senso che nessuno sta senza gli altri. Una teoria che si pretende scienza della trasformazione del mondo e non si traduce in azione che trasforma il mondo, non è scienza.

Concezione comunista del mondo

La concezione comunista del mondo non è un nuovo sistema di pensiero, un insieme di dogmi, una esposizione della verità alternativa ad altre.(1)

Cos’è la verità? Chi ha la verità? Ecco due domande sbagliate, che derivano dalle concezioni del mondo delle classi dominanti, dalla concezione clericale e dalla concezione borghese del mondo. Negli anni Settanta del secolo scorso ci fu una finta battaglia contro la concezione borghese del mondo, portata avanti da Erich Fromm, esponente della Scuola di Francoforte, il quale scrisse un libro dal titolo Avere o essere (1976): alla frenesia di “avere” del borghese Fromm contrapponeva l’“essere” dell’“essere umano”. Lo avessimo interpellato sulla materia, Fromm ci avrebbe raccontato che “nessuno ha la verità” in tasca, ma che la verità è qualcosa che è, cioè sta scritta da qualche parte per l’eternità, come dicono appunto i preti, come diceva Platone e come dicono tutti filosofi idealisti di cui i preti sono una sottospecie. La verità è invece qualcosa che si fa: non nel senso che è un artificio, una mascheratura della realtà, ma nel senso che è un prodotto del lavoro, della ricerca. È un risultato e non un punto di partenza.

La concezione comunista del mondo non è una “scienza politica” che sta a fianco di altre, con “pari dignità”, buona per distinguersi facendo comizi o passerelle in convegni. Non è neanche una “narrazione” tra altre, né un’appartenenza politica che si distingue da altre come le merci ai banchi del mercato si distinguono tra di loro per qualità e/o prezzo. La concezione comunista è una scienza e la verità che gli uomini elaborano tramite la ricerca e la sperimentazione è unica.(2)


1. “Noi non affronteremo il mondo in modo dottrinario, con un nuovo principio: qui è la verità, inginocchiatevi!” Lettera di K. Marx ad Arnold Ruge (settembre 1843).


2. “La verità è una sola, le narrazioni di fantasia si possono moltiplicare all’infinito, tanto più se restano solo articoli, libri o discorsi, mai sottoposti alla verifica della pratica” (La Voce 43, marzo 2013, pag. 25).

Noi materialisti dialettici siamo monisti: sosteniamo che ogni aspetto della realtà è in relazione con gli altri e si trasforma: non siamo eclettici. Solo apparentemente la realtà è caotica: è questione di conoscerla sufficientemente per ricostruirla nella nostra coscienza come “concreto di pensiero”, per vedere l’unità nella molteplicità” (Note sulla crisi per il convegno "Crisi sistemica, neokeynesismo, decrescita”).


La concezione comunista del mondo sorge e si sviluppa come scienza logica di un processo storico. È la logica del movimento comunista che è un processo concreto, oggettivo e soggettivo.

È un processo oggettivo perché è determinato dallo sviluppo di contraddizioni del sistema capitalista, che genera le condizioni perché gli uomini lo eliminino e lo sostituiscano con il comunismo. È un processo soggettivo perché il comunismo per essere fatto deve essere pensato. Il (nuovo)PCI scrive: “Nella storia dell’umanità, il primo ordinamento sociale prima pensato e poi creato sarà il comunismo. Sarà l’inizio di una nuova fase della storia dell’umanità, in cui il rapporto tra la coscienza e l’essere sociale assumerà un contenuto diverso da quello che ha avuto finora nella storia dell’umanità.”(3) Sarà il passaggio epocale che l’umanità può e deve compiere grazie e a causa dei presupposti che ha creato nell’epoca borghese.

La concezione del mondo assume quindi una importanza epocale. Prima dell’inizio del movimento comunista, prima della scoperta fatta da Marx, la filosofia riguardante la società era stata idealista. La scienza aveva riguardato solo il mondo materiale, gli oggetti e la conoscenza di essi. I filosofi materialisti si erano occupati solo degli oggetti e avevano lasciato agli idealisti il terreno della attività sociale. Con Marx il materialismo dialettico diventa scienza della società: studio di come gli uomini concepiscono e trasformano la loro vita sociale, scienza che trasforma l’essere sociale.(4)

È sul fondamento di questa scienza che il movimento comunista cosciente e organizzato ha costruito le rivoluzioni e colto i suoi successi più alti, a partire dalla grande Rivoluzione d’Ottobre.(5) All’opposto, sono le carenze in questa scienza che fino a oggi ci hanno impedito di cogliere successi ancora più grandi e definitivi e in particolare non hanno consentito al movimento comunista di conquistare il potere in alcun paese imperialista.(6)


3. Manifesto Programma del (nuovo)Partito comunista italiano, ed. Rapporti Sociali, Milano, 2008, pag. 254.


4. “Il difetto principale di ogni filosofia materialista fino ad oggi (compresa quella di Feuerbach) è che l’oggetto, la realtà, la sensibilità vengono concepiti solo sotto la forma dell’oggetto della conoscenza o dell’intuizione, non anche come attività sensibile umana, prassi: non anche soggettivamente. Di conseguenza il lato attivo fu sviluppato astrattamente, in opposizione alla filosofia materialista, dalla filosofia idealista - che naturalmente non riconosce l’attività reale, sensibile in quanto tale. - Feuerbach vuole oggetti sensibili, realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma egli non concepisce l’attività umana stessa come attività oggettiva. Egli perciò nell’Essenza del cristianesimo, considera come veramente umano soltanto l’atteggiamento teoretico, mentre concepisce e fissa la prassi solo nel suo modo di apparire sordidamente giudaico. Egli non comprende, perciò, il significato dell’attività “rivoluzionaria”, “pratico-critica”.

I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi, ma il nostro compito è di trasformarlo”.

(K. Marx, Tesi 1 e 11 su Feuerbach, 1845) 


5. Il movimento comunista cosciente e organizzato è “l’insieme dei partiti e delle organizzazioni che si propongono la marcia verso il comunismo come loro obiettivo, con il rispettivo patrimonio di concezioni, analisi, linee e metodi per realizzare il proprio obiettivo, con un complesso di relazioni e con la corrispondente divisione dei compiti (organizzazioni di massa e partito comunista)” (Manifesto Programma del (nuovo)Partito comunista italiano, cit. p. 255).


6. “Per portare a un livello superiore la lotta di classe, i comunisti devono anzitutto elevare il livello della loro elaborazione scientifica dell’esperienza della lotta. Il basso livello dell’elaborazione scientifica dell’esperienza della lotta di classe è l’ostacolo principale allo sviluppo della guerra popolare rivoluzionaria. L’elaborazione scientifica dell’esperienza della lotta di classe è lo strumento principale da imbracciare per accelerare il nostro percorso. Durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, il movimento comunista dei paesi imperialisti non ha avuto dirigenti che si dedicassero senza riserve ad elaborare la via che i comunisti, la classe operaia, le masse popolari dovevano percorrere per instaurare il socialismo. Questo è il motivo principale per cui in nessun paese imperialista abbiamo instaurato il socialismo” (La Voce 43, cit., pag. 5).


Superare queste carenze significa innanzitutto imparare a pensare; imparando noi costruiamo la rivoluzione qui e ora. Noi vinceremo, infatti, ma la vittoria che coglieremo è solo la conclusione di un processo vittorioso fatto di passi, come il numero cento è solo l’ultimo di cento centesimi. Il costruire la rivoluzione qui e ora è appunto superare l’attendismo, la passività, la posizione subalterna di chi attende la rivoluzione che scoppia come si attende la manna dal cielo. È comprendere che il destino dell’umanità e il nostro destino individuale dipendono da noi, da noi che sappiamo quello che stiamo facendo, perché “nella rivoluzione socialista quello che pensiamo, decide di ciò che facciamo”.(7)


7. La Voce 46, marzo 2014, pag. 23. 


Dipende da noi perché da soggetti passivi che eravamo passiamo a essere soggetti attivi. Chiaramente questo non può essere che fenomeno collettivo, di massa: siamo membri delle classi oppresse, le classi oppresse sono state educate e obbligate a essere passive e quindi noi possiamo diventare attivi solo in un processo per cui tutta la nostra classe diventa attiva, si eleva, si emancipa. Noi come individui comunisti dobbiamo fare in modo e facciamo in modo che anche tutti gli altri membri della classe, a partire da quelli più avanzati, si facciano attivi, si elevino, imparino a pensare, decidano, partecipino. Questo è costruire la rivoluzione e abolire la divisione della società in classi.

Possiamo noi membri delle masse popolari diventare attivi come singoli e lasciare intatta la divisione della società in classi? Possiamo, ma questo significa tradire la nostra classe, obbligata nel suo insieme a restare passiva, cioè sfruttata, oppressa e mantenuta nell’ignoranza e diventare noi individualmente strumento e ingranaggio di questo meccanismo sociale di oppressione ed esclusione. Il nostro “diventare attivi” e “padroni” della nostra vita significherebbe solo che noi passiamo dalla parte dei padroni, che diventiamo anche noi padroni.

Il caso di un sindacalista che si eleva ad esempio conquistando il diritto allo studio per sé perché riesce a condurre i lavoratori a conquistare tale diritto, è l’esempio di cosa significa diventare attivi come classe. Il caso di un sindacalista che si eleva garantendosi l’opportunità di studiare grazie alla benevolenza del padrone che gli regala tempo e lo ricambia per il fatto che, fondamentalmente, si tratta di uno che fa i suoi interessi e non quelli dei lavoratori, è l’esempio di cosa significa agire per il proprio interesse individuale e di come ciò comporta necessariamente agire a scapito dell’interesse di altri.

Il caso dello studente appartenente alla classe operaia o a un’altra classe delle masse popolari che si eleva applicandosi allo studio della concezione comunista del mondo, seguendo l’appello del (nuovo)PCI, è esempio di cosa significa essere attivi come classe.(8) Il caso dello studente che viene da una classe oppressa e studia per passare alla classe degli oppressori, come prete, come magistrato, come politico, come professore, ma anche come medico e in definitiva come qualsiasi esperto o professionista, è esempio di cosa significa agire per il proprio interesse, il ché significa rinnegare la classe di provenienza, quella che si è sacrificata per elevarlo.


8. Comunicato CC 23/2014 - 6 luglio 2014.


Il caso di Teresa Noce, comunista, che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, vide arrivare il marito Luigi Longo, quello che fu segretario del primo PCI dopo Togliatti e prima di Berlinguer, che venne a chiederle il divorzio perché “non l’amava più” e gli rispose che lei il divorzio glielo avrebbe concesso quando sarebbe stato ottenuto come diritto per tutta la popolazione italiana, è esempio di cosa significa pensare come un soggetto attivo della classe operaia, e lei attiva lo fu, che a vent’anni era orfana e analfabeta e vent’anni dopo, quando si trovò davanti Longo, era una dirigente comunista di livello internazionale, che aveva combattuto nella guerra di Spagna, che era stata capo partigiano in Francia, che era sopravvissuta al lager, che era esperta in campo politico e militare e parlava le lingue di quattro paesi d’Europa, che aveva due figli in Russia, orgogliosi di avere avuto una madre come lei anche se lei era stata lontana da loro, a combattere in altre nazioni. Il caso del marito Longo, che dopo pochi giorni andò a divorziare a S. Marino mettendo nelle carte la firma falsa di Teresa Noce, cosa che la moglie venne a sapere dai giornali e che ebbe il benestare del Comitato Centrale del Partito, è un esempio di come si agisce per il proprio interesse individuale ed è segno di corruzione nel Partito che tuttavia aveva appena guidato alla vittoria la guerra di Resistenza contro il nazifascismo ma che, a giudicare dai fatti, non aveva alcuna intenzione di scontrarsi con il Vaticano per conquistare il diritto al divorzio e quindi meno che mai di togliere di mezzo il Vaticano, che è da secoli il principale ostacolo al progresso della popolazione che ha abitato la penisola e l’abita.


9. Le citazioni che seguono sono tratte da pagg. 1387-1389 di Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 2001.


Questo passaggio del soggetto da passivo ad attivo è descritto in modo esemplare da Gramsci nella Nota 12 del Quaderno 11.(9) Gramsci scrive: “Si può vedere come sia avvenuto il passaggio da una concezione meccanicistica e puramente esteriore a una concezione attivistica, che si avvicina di più, come si è osservato, a una giusta comprensione dell’unità di teoria e pratica, sebbene non ne abbia ancora attinto tutto il significato sintetico”. La “concezione meccanicistica” è quella di chi è oppresso e aspetta il giorno in cui, per qualche ragione “meccanica”, cioè esteriore a lui stesso, indipendente dalla sua volontà e che non presuppone la sua trasformazione, sia fatta finalmente giustizia, cioè che un bel giorno la rivoluzione scoppi e purifichi l’aria come fa il temporale. Secondo Gramsci “si può osservare che l’elemento deterministico, fatalistico, meccanicistico è stato un "aroma" ideologico immediato della filosofia della prassi [così Gramsci nel linguaggio carcerario chiama il marxismo, per eludere la censura], una forma di religione e di eccitante (ma al modo degli stupefacenti), resa necessaria e giustificata storicamente dal carattere ‘subalterno’ di determinati strati sociali”. Gramsci dice qui che il marxismo, che è scienza, si è abbassato a religione, a fede in un ordine e in un destino non fatto dagli uomini ma da forze sovrannaturali. Si è appiattito sulla speranza di riscatto di classi oppresse che non sono ancora arrivate a capire che la rivoluzione dipende da loro, che la rivoluzione ci sarà se la costruiscono loro; di classi oppresse che perciò si aspettano che la rivoluzione cali dall’alto, venga da qualcun altro, dalla provvidenza, da qualche persona istruita che passa dalla loro parte, ecc.


*** manchette ***

Elementi per la GPR

Di fronte a ogni persona, a ogni gruppo, a ogni iniziativa, a ogni istituzione, a ogni organismo, i comunisti devono, a secondo del caso concreto, chiedersi con quanta più scienza hanno, quali mosse fare per mobilitare la sinistra, per accrescere la propria influenza, per conquistare nuove forze alla rivoluzione socialista, per accrescere le proprie forze, per neutralizzare, ecc. e farle con determinazione e senza riserve; raccogliere le forze così diventate disponibili, formarle e lanciarsi con esse a un’azione di livello superiore. Questa è la condotta di un Partito comunista intellettualmente e moralmente atto a promuovere e dirigere la rivoluzione socialista. Un Partito che ancora non lo è, deve iniziare dal livello a cui si trova per portarsi al livello necessario, praticando la critica, l’autocritica e la trasformazione (CAT), dandosi senza riserve allo studio e alla sperimentazione, epurandosi da chi non vuole trasformarsi e crescere. Tutto e tutti possono contribuire alla rivoluzione socialista, consapevolmente o per iniziativa del Partito che valorizza la sua condotta, ma chi la promuove e dirige non deve avere riserve a trasformarsi e a fare.

La rivoluzione socialista non si fa, principalmente perché le persone interessate a farla hanno altro da fare. I comunisti hanno una comprensione più avanzata delle condizioni e delle forme della rivoluzione socialista. Si liberano da ciò che li intralcia e si impadroniscono senza remore e riserve di ciò di cui hanno bisogno per avanzare, insegnano agli altri come liberarsi e lanciarsi a fare la rivoluzione.


*** ***


Quelle classi oppresse tanto più si rifugiano in aspettative del genere quanto più pesante e prossima è stata la sconfitta che hanno subito (Gramsci si riferisce alla sconfitta del Biennio Rosso ad opera del Fascismo e in generale alla sconfitta della rivoluzione socialista in Europa negli anni ’20). Gramsci scrive: “Quando non si ha l’iniziativa nella lotta e la lotta stessa finisce quindi con l’identificarsi con una serie di sconfitte, il determinismo meccanico diventa una forza formidabile di resistenza morale, di coesione, di perseveranza paziente e ostinata. ‘Io sono sconfitto momentaneamente, ma la forza delle cose a lungo andare lavora per me ecc.’. La volontà reale si traveste in un atto di fede, in una certa razionalità della storia, in una forma empirica e primitiva di finalismo appassionato che appare come un sostituto della predestinazione, della provvidenza, ecc. delle religioni confessionali”.

Se veniamo a noi e consideriamo l’arretramento del movimento comunista internazionale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi per quello che è, cioè una sconfitta o meglio una serie di sconfitte, vediamo come la stragrande maggioranza di quelli che non si sono piegati, che hanno continuato a credere nel comunismo, si sono rifugiati nell’aspettativa della rivoluzione che sarebbe scoppiata, nel fatto che prima o poi le contraddizioni del sistema capitalista avrebbero fatto venire al pettine i nodi. Tutti costoro hanno continuato ad aderire al comunismo come difesa di una identità, come difesa della propria identità, e questa forma di adesione identitaria è stata la loro resistenza.

L’adesione identitaria è stata utile, anzi preziosa. Certo non ha portato all’avanzamento del movimento comunista, anzi non ne ha nemmeno arrestato l’arretramento, tuttavia non è stata affatto una forma di totale passività. Anche Gramsci lo riconosce riferendosi al suo tempo: “Occorre insistere sul fatto che anche in tal caso esiste realmente una forte attività volitiva, un intervento diretto sulla ‘forza delle cose’ ma appunto in una forma implicita, velata, che si vergogna di se stessa e pertanto la coscienza è contraddittoria, manca di unità critica, ecc.”. Infatti tutti coloro che si sono opposti all’arretramento del movimento comunista e a quelli che ne sono stati guida e agenti, cioè ai revisionisti, si sono aggregati in mille organismi il cui carattere comune tra di loro, era solo quello di essere antirevisionisti; ciascuno di loro, al suo interno, “mancava di unità critica”, cioè non aveva una unità basata su una teoria coerente, organica, comune, qual è la teoria rivoluzionaria. Nei vari gruppi antirevisionisti non si elaborava la teoria rivoluzionaria, nel senso che o si limitava il lavoro teorico alla ripetizione dei “sacri principi” traditi dai revisionisti (a una specie di esegesi dei testi marxisti), oppure si decideva di non occuparsene affatto, perché “l’importante è la pratica”, perché “la teoria è solo un discorso”, “è un’astrazione” (e in effetti tale era, nel senso che quando trattavano di teoria essi astraevano dalla loro pratica) e via con la serie di luoghi comuni sulla materia e sulla pratica. Questo limite è stato pesante soprattutto nella nostra penisola, dove l’oppressione della Chiesa di Roma ha perpetuato nei secoli il disprezzo per la scienza, dove è stata radicata la doppia morale, dove il dire serve semplicemente come copertura di un fare opposto (per cui “si dice il peccato ma non il peccatore”, “fatta la legge trovato l’inganno”, “si predica bene e si razzola male”, ecc.).

Data questa debolezza di fondo, è persistito nelle forze che si sono dichiarate antirevisioniste un senso di inferiorità rispetto alla classe dominante e ai revisionisti al suo servizio. Infatti questi erano i vincitori e quando uno vince una ragione c’è. I dogmatici non trovavano né cercavano nei loro dogmi la ragione per spiegare la propria sconfitta; quelli che ostentavano disprezzo per la teoria implicitamente riconoscevano la validità della teoria del nemico. Ancora oggi un Cremaschi si ostina a credere e proclamare che “Renzi ha vinto” anche se gli mettiamo sotto il naso i dati secondo cui la coalizione che Renzi capeggia, quella delle Larghe Intese, alle elezioni europee del 2014 ha perso un quinto dei voti che aveva avuto nelle elezioni del 2013, solo un anno prima. In generale, poi, anche quelli che si dichiarano comunisti, a fronte di problemi di vario genere si rivolgono agli “scienziati” borghesi. Un esempio tipico è quando si ha a che fare con un giovane che “sente” di essere un esubero e che per lui non c’è futuro, per cui inizia ad avere comportamenti distruttivi o autodistruttivi e si pensa bene non di farne un comunista, ma di accompagnarlo dallo psicologo. A questo genere di fenomeni allude Gramsci quando parla di una forma “che si vergogna di se stessa.”

Ma quando il ‘subalterno’ diventa dirigente e responsabile dell’attività economica di massa, il meccanicismo appare a un certo punto un pericolo imminente, avviene una revisione di tutto il modo di pensare perché è avvenuto un mutamento nel modo sociale di essere”. Cioè Gramsci ci dice che quando la classe operaia assume ruolo dirigente e assume “l’attività economica di massa”, cioè la gestione dell’economia del paese, quindi quando conquista il potere, l’adesione identitaria non solo diventa inutile, ma diventa un pericolo.

È già un pericolo oggi, diciamo noi correggendo Gramsci, perché noi dobbiamo e vogliamo imparare a pensare e imparare a dirigere oggi: noi abbiamo imparato che non bisogna aspettare di aver conquistato il potere, ma che bisogna conquistarlo con la guerra popolare rivoluzionaria: la rivoluzione socialista si costruisce, non scoppia. Approfittiamo della crisi generale del capitalismo che impone alle masse popolari “un mutamento nel modo sociale di essere”, di trasformarsi, di passare da subalterne a dirigenti e di promuovere una nuova governabilità del paese, di costituire un Governo di Blocco Popolare che traduca in leggi i provvedimenti che le Organizzazioni Operaie e le Organizzazioni Popolari assumono per difendere i propri interessi contro la borghesia imperialista che conduce contro le masse popolari una guerra di sterminio non dichiarata. Questa è oggi “l’attività economica di massa” di cui noi dobbiamo imparare ad essere dirigenti, ed è quanto mai giusto dire e ripetere che dipende da noi: questo nel linguaggio carcerario di Gramsci, si traduce con l’espressione “i limiti e il dominio della forza delle cose vengono ristretti [e] perché? perché, in fondo, se il subalterno era ieri una cosa, oggi non è più una cosa ma una persona storica, un protagonista; se ieri era irresponsabile perché ‘resistente’ a una volontà estranea, oggi sente di essere responsabile perché non più resistente ma agente e necessariamente attivo e intraprendente”.

Nemmeno ieri però eravamo cose. Nemmeno oggi il compagno che si intestardisce a resistere in modo identitario, che teme la trasformazione perché teme di “perdere l’identità”, è una semplice “cosa”, è manovalanza. Infatti “anche ieri era egli mai stato mera ‘resistenza’, mera ‘cosa’, mera ‘irresponsabilità’? Certamente no, ed è anzi da porre in rilievo come il fatalismo non sia che un rivestimento da deboli di una volontà attiva e reale. Ecco perché occorre sempre dimostrare la futilità del determinismo meccanico, che, spiegabile come filosofia ingenua della massa e solo in quanto tale elemento intrinseco di forza, quando viene assunto come filosofia riflessa e coerente da parte degli intellettuali, diventa causa di passività, di imbecille autosufficienza; e ciò senza aspettare che il subalterno sia diventato dirigente e responsabile”. Traducendo, l’adesione identitaria che serve alle masse oppresse per resistere in attesa della “rivoluzione che scoppia”, se viene presa come concezione da un partito o da singoli intellettuali crea passività, è stupida e ridicola.

L’adesione identitaria, quindi, è una forma di fede analoga alla fede nella provvidenza. Non serve ad avanzare nella costruzione della rivoluzione, e meno che mai nella costruzione della rivoluzione nei paesi imperialisti, opera mai svolta prima e che richiede quindi scienza più di qualsiasi altra opera che l’umanità intraprenda. Non serve a convincere: la fede è un sentimento che si suscita, non si insegna né si dimostra. Proprio dalla sconfitta subita dal movimento comunista, nei paesi imperialisti un vasto strato di elementi avanzati delle masse popolari ha imparato a distinguere tra fede e scienza. Questi elementi avanzati sono da un lato disponibili dall’altro desiderosi di intraprendere un percorso di liberazione, tanto più perché sentono che saranno travolti se non lo fanno. Lo faranno, però, solo se i comunisti sapranno mettere a loro disposizione una scienza, di cui loro potranno verificare la validità sperimentando.

Quindi oggi l’adesione identitaria è sterile. Ogni compagno o compagna o organismo della Carovana del (n)PCI che si impegna nell’azione politica e che non vede risultati concreti della propria azione, non riesce a convincere neanche chi gli sta vicino, negli ambiti politici, nei luoghi di lavoro, in famiglia, non si può giustificare dicendo che è cosi per “la forza delle cose”. Deve piuttosto verificare se i risultati scarsi o magari anche negativi sono sintomo di un problema interno, di una sua adesione identitaria. Se lo riconoscerà, potrà avviare il processo per imparare a pensare secondo la concezione comunista del mondo, cioè ad assimilare il materialismo dialettico, la concezione comunista del mondo, che è nuova e va appresa e studiata e che è concezione generale della realtà, capace di comprendere tutti i processi di storia naturale, “ivi compresi i pensieri, i comportamenti, i sentimenti”.(10)

È quindi scienza capace di spiegare la storia a livello universale, particolare e individuale; capace, oltre che di conquistare il mondo, anche di difendere dalla “inquietudine traboccante che spezza il cuore” e di farci gettare “uno sguardo lungimirante sulle cose del mondo”.(11) È la scienza dei dirigenti comunisti che ci hanno preceduto, i classici, di cui Brecht dice: “I classici vissero nei tempi più oscuri e sanguinosi. Essi erano i più sereni e fiduciosi degli uomini”.(12)


10. Manifesto Programma del (nuovo)Partito comunista italiano, cit., pag. 249.


11. Mao Tse-tung “Al professor Liu Ya-tzu” (29 aprile 1949), Opere vol. 11.


12. Bertolt Brecht, Me Ti – Il libro delle svolte, Einaudi, 1978, pag.166.


Questa concezione, in quanto scienza, non solo si può ma si deve insegnare e mettere in pratica e nella pratica dimostrare la sua validità. Per questo diciamo che dobbiamo non solo imparare a pensare, ma anche insegnare a pensare e imparare a dirigere.

È un pensiero che dobbiamo insegnare e non nel modo in cui l’insegnamento si è trasmesso nelle società divise in classi, in modo che restasse patrimonio della classe dominante, strumento per perpetuare il suo dominio. Noi dobbiamo insegnarla perché l’essere compresa e fatta propria da parte delle masse popolari è sua parte costitutiva: senza azione delle masse popolari non può avere verifica completa. Solo se le masse popolari la comprendono e la fanno propria è teoria rivoluzionaria, perché in tal modo rivoluziona il mondo: è elevazione passo dopo passo delle masse popolari al livello in cui non hanno più bisogno di padroni, di dirigenti, di organizzatori.(13)


13. Bertolt Brecht chiude così una sua poesia sul “pensiero nelle opere dei classici”:

Se si fa avanti imperioso così, / pure dimostra che senza chi ascolti esso è nulla, / né sarebbe venuto né saprebbe / dove andare o restare / se non lo accogliessero. Sì, senza l’insegnamento / di chi ancora ieri non sapeva / perderebbe presto la sua forza, rapido decadendo”. 


Dobbiamo, infine, imparare a dirigere, perché la concezione comunista del mondo è metodo per la trasformazione del mondo. È cioè punto di partenza di un percorso, di una linea, di una strada. Così come se non si insegna non è teoria rivoluzionaria, tale non è nemmeno se non si traduce in pratica, nella pratica che è costruzione della rivoluzione, trasformazione della realtà.


Riforma intellettuale e morale

La trasformazione della realtà è per noi comunisti da subito trasformazione di noi stessi, nella teoria e nella pratica, nella mente e nell’azione.

Trasformazione nella teoria significa che cambiamo modo di pensare, nel senso che adottiamo la concezione del mondo più avanzata, il materialismo dialettico, la sola concezione con cui la classe operaia può lottare per il potere. Nel senso che contrastiamo la concezione della classe dominante, che nel nostro paese è combinazione della concezione clericale e della concezione borghese del mondo. Questo passaggio è assimilazione della concezione comunista del mondo. Non è un passaggio indolore. Richiede disponibilità ad osservarsi in modo critico, a seguire la critica avanzata dall’organismo di cui siamo parte, dal collettivo di cui siamo parte: richiede disponibilità all’autocritica.

Chi ragiona secondo la concezione clericale del mondo o secondo la concezione borghese del mondo non capisce cosa è l’autocritica nel senso in cui l’intendiamo noi comunisti. La concezione clericale e borghese sono concezioni vecchie, incapaci di recepire la realtà che le condanna alla scomparsa e tanto meno capaci di comprendere concezioni superiori come quella comunista.

I preti quindi vedono l’autocritica come pentimento, come confessione, dichiarazione da fare dopo la quale si viene assolti, e di solito si continua a fare quello che si faceva prima, il che è consentito visto che peccatori siamo e tali siamo destinati a restare, visto che in quanto classe oppressa è bene che non ci eleviamo troppo, che non andiamo a fondo nella comprensione di quello che è giusto e di quello che è sbagliato, e che si continui a produrre peccati in modo da mantenere quei preti che si guadagnano da vivere assolvendoci. Tra le nostre file, questo modo di fare è appunto quello del “dirigente che ammette i suoi limiti ma come uno che confessa i suoi peccati al prete: non si assume la responsabilità di trarre valutazioni, conclusioni e indicazioni rispetto a se stesso e ai compagni che dirige (il loro stato ideologico, politico, morale e culturale e come elevarne il livello e dirigerli a correggere i loro limiti ed errori)”.(14)

I borghesi escludono l’autocritica. Per i preti il centro dell’universo è dio: quindi gli esseri umani per quanto non sono divini tanto sono peccatori, motivo per cui l’autocritica intesa come confessione è non solo prevista ma obbligatoria, ammissione del nostro “non essere dio”. Per i borghesi il centro dell’universo sono loro stessi, ciascuno di loro come individuo, motivo per cui non si possono mettere in discussione, non possono fare astrazione da se stessi, guardarsi da fuori. Se un borghese fa autocritica, mente.

Il borghese, o chi ragiona secondo la sua concezione, considerato che la borghesia da un secolo e mezzo a questa parte ha esaurito ogni spinta progressiva e si presenta ovunque e sempre più come classe morente, distruttrice e in disfacimento, ha però scoperto di non essere “un individuo tutto di un pezzo”, ma di avere una coscienza che si scompone in molte parti, in un Dottor Jekyll e in un Mister Hyde. Ha quindi affidato la ricomposizione delle parti agli psicanalisti, i quali in cambio di molto denaro cercano di siglare armistizi tra quelle parti che tra loro sono in guerra. L’individuo, comunque, resta quello che è, nel senso che lo psicoanalista non lo cura, non lo trasforma, ma “gli insegna ad accettarsi come è”, il che è coerente con la concezione borghese del mondo secondo la quale l’individuo è uno, e lo scontro delle parti che lo compongono se portato avanti non produrrebbe un nuovo essere, ma lo ucciderebbe e perciò al suo fianco svolazza lo psicanalista come angelo custode a pagamento che si incarica di farlo vivere il più a lungo possibile, sano di mente come può esserlo una persona rassegnata e triste.

Tra le nostre file, segue l’attitudine della concezione borghese del mondo “il membro di partito che rifiuta o recalcitra a intraprendere il processo di Critica-Autocritica-Trasformazione della sua concezione del mondo, della sua mentalità e in parte anche della sua personalità”.(14) Questo compagno non comprende che comunisti non si nasce, ma lo si diventa.

Secondo la concezione comunista del mondo, autocritica significa semplicemente riconoscere la realtà per quella che è e quindi guadagnare in trasparenza, semplicità, liberandoci da una zavorra per noi inutile, cioè da modi di pensare che hanno avuto senso secoli fa e che oggi servono solo a giustificare il permanere di relazioni sociali che sono non solo inutili, ma dannose, e che vanno tolte. Significa riguadagnare innocenza ma non come chi esce dal confessionale o chi esce dal tribunale dopo avere vinto una causa, ma come chi conquista una cosa che sogna di recuperare da lungo tempo perché è nelle condizioni materiali e sociali che vive, anche se le classi dominanti la negano e la soffocano.


14. Resistenza n. 7/8, luglio-agosto 2014, pag. 8.


Noi dobbiamo riconoscere la realtà per quello che è e da ciò non possiamo che trarre beneficio. L’astronomia fino dai tempi di Galileo ci spiegava che non siamo chiusi nell’ultima di una serie di scatole cinesi, che il cielo notturno non è una parete blu con dei buchi che chiamiamo stelle da cui traspare la luce che sta dietro, la luce di dio. Saperlo è stato un bene, ha dato lungimiranza infinita al nostro sguardo. Quanto bene maggiore può farci oggi sapere che la classe dominante non ha facoltà di impedirci di costruire la rivoluzione, di fare dell’Italia un nuovo paese socialista, e di liberarci così da oppressioni secolari e millenarie? Per fare questo, bisogna imparare e accogliere come vere le acquisizioni della nuova scienza, che è la concezione comunista del mondo.

Fare autocritica significa comprendere che non viviamo più in una scatola, il che può creare sì inquietudine se quella è stata la nostra scatola e starci dentro ci dava sicurezza. La nostra inquietudine però sta proprio nel fatto che stiamo nella scatola e ignoriamo il mondo, facciamo le cose in modo cieco e nascondiamo la verità a noi stessi.(15)


15. Questa condizione è spiegata in dettaglio da Gramsci nella Nota 58 del Quaderno 14 (Quaderni del carcere, cit., p. 1717-1718). La Nota ha il titolo “Perché gli uomini sono irrequieti? da che viene l’irrequietezza? perché l’azione è ‘cieca’, perché si fa per fare.”


Assimilazione della concezione comunista del mondo è quindi la riforma intellettuale che ci serve, la chiave per la via d’uscita dal caos e dalla putrefazione in cui l’umanità è costretta perché la borghesia imperialista insiste a mantenere il suo regime ormai obsoleto. Di rivoluzione intellettuale e morale parla con insistenza il (nuovo) PCI nel suo Manifesto Programma e sulla questione insiste moltissimo Gramsci nei suoi Quaderni del carcere.

Effettivamente nessuna rivoluzione è possibile senza che sia anche riforma intellettuale e morale: infatti un nuovo modo di pensare e di agire si è imposto con il passaggio da età schiavistica a età feudale e da età feudale a età borghese. Altrettanto vale per il passaggio dall’età borghese al socialismo, anzi di più, perché quella socialista non è una rivoluzione con cui una classe sostituisce al potere la classe precedente, ma è la rivoluzione in cui una classe prende il potere per abolire le classi. Si richiede quindi un cambiamento nel modo di pensare e di agire di portata epocale, che investe abitudini radicate nei millenni. I primi a inoltrarsi in questo percorso, i pionieri, i comunisti, sono i primi a doversi trasformare: il vento della rivoluzione investe prima di tutto loro e disperde le loro certezze che parevano più salde.

I rivoluzionari non sono semplicemente quelli che fanno la rivoluzione: sono anche quelli che dalla rivoluzione sono trasformati, rimodellati radicalmente e in profondità. Sono non solo soggetto ma anche oggetto della rivoluzione, e questa è un’altra delle scoperte basilari della forma più avanzata che il materialismo dialettico ha raggiunto, cioè il marxismo-leninismo-maoismo. È una delle scoperte del maoismo, e come altre scoperte fatte durante la rivoluzione cinese si accompagnava alle stesse scoperte che all’altro capo del pianeta faceva Gramsci, chiuso in una cella. La riforma intellettuale e morale di cui Gramsci parla è quello che il (nuovo)PCI chiama sesto contributo del maoismo, quello per cui i comunisti sono soggetto e oggetto della rivoluzione.(16)

È la riforma che si fonda sulla scoperta che l’essere individuale non è né creatura di dio né entità primigenia e inspiegabile, ma è formato dalla società, dall’essere collettivo; che “il politico è principale e l’individuale da esso dipende” ma oramai in condizioni tali che è necessario e possibile che alla “società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi di classe subentri un’associazione nella quale il libero sviluppo di ogni individuo è la condizione del libero sviluppo di tutti”: la società comunista che sarà il risultato finale della rivoluzione socialista che noi promuoviamo e costruiamo.(17)


16. La Voce 41, luglio 2012, pagg. 48-50: Il sesto apporto del maoismo al patrimonio del movimento comunista.


17. K. Marx e F. Engels, Manifesto del partito comunista (1848), conclusione del cap. II.


Secondo questo principio, la costruzione della rivoluzione è la prima cosa di cui uno che si dichiara comunista e rivoluzionario deve occuparsi. Il lavoro e la famiglia vengono dopo, si devono organizzare in base a quella prima cosa. È diverso non solo da quello che predicano la borghesia e il clero, ma anche da quello che nel nostro paese si è affermato nel movimento comunista anche marxista-leninista e che è ormai entrato a fare parte del senso comune, il comportamento per cui ci si può dedicare alla politica ma dopo avere pensato al lavoro e dopo avere pensato alla famiglia, dopo avere dedicato a questo e a quella le nostre migliori energie, nel tempo che avanza, a volte con grande sacrificio, ma sempre nel tempo che avanza, a fine giornata, o a fine settimana, o a fine vita, quando s’andrà in pensione.

Noi abbiamo visto sopra che le concezioni della classe dominante sono due, quella clericale e quella borghese. Il giudizio morale per cui è giusto occuparsi prima della famiglia e del lavoro, poi, nel tempo che resta, quando ne resta, della rivoluzione, cioè della liberazione dell’umanità, non sta scritto nei cieli. È la concezione delle classi dominanti ad uso del popolo. Mettere la famiglia davanti a tutto è un residuo di una vecchia concezione del mondo, quella feudale, che nel nostro paese sopravvive come concezione clericale del mondo. Mettere il lavoro davanti a tutto è un aspetto della concezione borghese del mondo: fa molto comodo alla borghesia, chiaramente, che noi prima di tutto si lavori per lei, e che ci si dedichi a sognare la rivoluzione solo alla fine della giornata lavorativa, che lei si curerà di fare terminare il più tardi possibile e iniziare prima possibile il giorno dopo.

In sostanza, anteporre interessi economici e familiari agli interessi collettivi non è affatto morale, cioè giusto, ma è il contrario. “Ingiusto” in questo caso non significa “cosa esecrabile secondo norme eterne”. Norme eterne non ne esistono, così come non esistono cieli dove scriverle. “Ingiusto” significa, piuttosto, contrario agli interessi di chi si comporta in quel modo. Così oggi chi mette al primo posto la famiglia, chi non si occupa più o non si è mai occupato della collettività intera, va contro la sua stessa famiglia, che verrà travolta dal disastro incombente contro il quale lui nulla ha fatto. Chi mette al primo posto il lavoro, il proprio lavoro, e non lotta per cambiare una società dove il lavoro esiste solo come sfruttamento, è come chi si rifiuta di partecipare a uno sciopero perché “deve pagare il mutuo”, perché “ha una famiglia da mantenere”, perché, perché, perché. Facessero tutti come lui, nessuna lotta mai vincerebbe, e il padrone sarebbe libero di tagliare tutti i salari, o anche di licenziare tutti, come effettivamente fa, lasciando tutte le famiglie sul lastrico, inclusa quella del crumiro.

Tre sono i comportamenti immorali, ingiusti, deleteri.

Uno è rassegnarsi di fronte a quello che succede, come quelli che continuavano a fare la loro vita abitando a fianco di un campo di sterminio. Questo è il modo consigliato dai preti e dai Beatles di Paul Mc Cartney in Let it be, (“lascia che accada”).

Uno è salvarsi a spese altrui, come quelli che restano a galla montando sulle spalle di chi ha già l’acqua alla gola. Questo è il modo praticato dai borghesi che non si vergognano di esserlo.

Uno è quello di occuparsi di se stessi, dei nostri consanguinei e di chi ci è prossimo, senza pensare al resto del mondo. Questa è la morale che si pretende di santificare con la concezione che una visione generale delle cose è impossibile, una visione generale dell’economia, della politica, eccetera, è impossibile, e tutto quello su cui possiamo ragionare è quello che sta entro determinati confini ristretti, quelli, magari che cadono sotto i nostri cinque sensi, o meglio quelli che riguardano i nostri stretti interessi, visto che gli interessi possono renderci ciechi di fronte all’evidenza. Questa concezione pretende di essere di sinistra (e in effetti è concezione borghese di sinistra, cioè dei borghesi che si vergognano di esserlo), e quindi moderna, ma il comportamento che pretende di giustificare è di tempi precedenti la preistoria dell’umanità, perché occuparsi di se stessi e di chi ci è prossimo lo fanno anche altre specie animali oltre la nostra.

Il comportamento morale dei comunisti è altro da questi, e da questi non si distingue perché “più nobile”. Per i comunisti l’interesse collettivo viene prima, il che non vuole dire che “mettono l’interesse collettivo prima di quello individuale” come eroi solitari che sacrificano la propria vita per gli altri. I comunisti prima che eroi sono scienziati, e sanno che l’interesse collettivo viene prima di quello individuale così come Galileo sapeva che la terra gira attorno al sole. Riconosciuta la legge che la realtà ci impone di riconoscere (riforma intellettuale), si comportano di conseguenza (riforma morale) e quindi sperimentano che agire a partire dal collettivo è anche il modo realistico per garantire interessi e aspirazioni dell’individuo stesso. Il partigiano che lascia la famiglia e va sui monti a combattere i nazifascisti caccia i nazifascisti che nel paese devastano la sua famiglia. Noi, a cui la bandiera rossa è stata consegnata perché la portiamo più su, diciamo che è tempo che in questo paese la famiglia segua il partigiano, perché la rivoluzione si costruisce solo se vi partecipano anche le donne, i più giovani, i più piccoli, i più anziani, ognuno dando il suo contributo, ognuno imparando a pensare, insegnando a pensare, insegnando a dirigere.

Folco R.