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La Voce 46

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVI - marzo 2014

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Cura e formazione degli uomini e delle donne

 

Usare lo studio delle circolari per la formazione ideologica,
politica e morale dei compagni

 

Discutere una circolare può essere una pratica svolta burocraticamente o un'importante occasione per elevare (oltre il loro livello) la coscienza e la morale dei compagni che dirigiamo. In sostanza può essere una cerimonia noiosa e grigia o una tappa del processo di formazione continua che dobbiamo svolgere sui compagni che dirigiamo (e attraverso cui anche chi dirige si forma e cresce ideologicamente, politicamente, moralmente, affina i metodi di direzione e formazione, approfondisce la conoscenza dei compagni che dirige ed elabora superiori linee di intervento su di loro).

L'esito della discussione della circolare dipende da chi la dirige:

1. da come la prepara (in questa attività rientrano due aspetti: a. come lui si prepara, b. come prepara per la riunione i compagni diretti, quindi come convoca la riunione e come dirige e segue i compagni in vista della riunione. I due aspetti sono legati tra loro, il principale è il primo, quindi come lui si prepara – ma su questo tornerò);

2. da come la conduce;

3. da come dà seguito alla riunione.

Anche in questo campo bisogna rompere in modo deciso con la tendenza opportunista a scaricare responsabilità e compiti sui diretti. In definitiva un buon dirigente riesce a condurre un'efficace discussione di una circolare anche se i compagni diretti non l'hanno studiata. Situazione estrema, questa, da combattere e contrastare, adottando nel campo della direzione le giuste misure caso per caso, ma non certo tale da impedire la riuscita di una riunione se il dirigente si è preparato ad affrontarla per bene.

Voglio approfondire il discorso: se un dirigente resta sorpreso dal fatto che i compagni non hanno studiato la circolare, significa che non possiede un'analisi concreta (scientifica e aggiornata) dei compagni diretti oppure che non ha svolto con loro un buon lavoro di preparazione della riunione (o tutte e due le cose).

Ma quanti sono realmente i casi in cui i compagni non studiano una circolare lasciandoci sorpresi? Penso che in realtà di sorprese ce ne siano ben poche. Spesso il dirigente sa già chi non studierà in vista di una riunione. “Vedi che sono proprio degli scansafatiche!” griderà a questo punto il dirigente pigro e opportunista. In realtà, il vero problema è proprio lui. Se un dirigente infatti sa che determinati compagni sistematicamente non studiano in vista delle riunioni, deve inserire nel lavoro di preparazione della riunione e nella conduzione della riunione stessa un intervento mirato su di loro. Altrimenti viene meno al suo compito.

Faccio tre esempi di possibili interventi da svolgere in questo senso.

1. Con un compagno pigro, oltre a seguirlo nel dettaglio nella preparazione della riunione per farlo studiare (anziché sperare in dio che studi – seguirlo nel dettaglio può significare anche studiare con lui la circolare prima della riunione o incaricare un compagno di svolgere questo compito), bisogna “accendergli la fiamma” nel corso della riunione svolta senza che lui abbia studiato: magari mostrandogli come quanto sintetizzato nella circolare rafforza la sua azione nel campo specifico di intervento in cui è attivo (e dei cui risultati magari si dispera). La direzione di dettaglio per far studiare i compagni non porta lontano se non unita allo sviluppo della loro mobilitazione morale e intellettuale. E chi non corregge questo metodo di direzione unilaterale alla fine cade nello sconforto e diventa insofferente verso i compagni che dirige, anziché farli crescere, anziché svolgere una positiva azione di educatore-formatore e organizzatore comunista.

2. Con un compagno semi-analfabeta che ha difficoltà a leggere bisogna accompagnarlo nello studio in vista della riunione, magari leggendo la circolare con lui (o incaricando un compagno di svolgere questo compito). Bisogna dare un taglio netto con la tendenza borghese che porta alcuni dirigenti a far finta che al nostro interno non esistano disparità culturali (oltre che economiche) e che di conseguenza non sviluppano un intervento mirato sui compagni che hanno queste difficoltà. Un buon dirigente si verifica anche in questo. Parlare di cura e formazione degli uomini e non svolgere questo compito basilare è “parlare di aria fritta”!

3. Con un collettivo composto prevalentemente da compagni che non sono abituati a studiare e che hanno forti tendenze movimentiste, il dirigente deve valutare la possibilità di condurre la riunione in questo modo: leggere collettivamente la circolare e sviluppare il dibattito sui punti centrali, che occorre mettere in luce o che necessitano di approfondimenti, spiegazioni particolari. Questo processo e la mobilitazione morale e intellettuale che deve produrre, devono avere l'obiettivo, a medio termine, di portare i compagni del collettivo (o quanto meno i dirigenti del collettivo) a studiare le circolari da soli, prima della riunione.(1)

 

1. Per questo aspetto si rimanda all’articolo di questa rubrica Formare i compagni ad acquisire un giusto metodo di studio.

 

Da queste prime battute emerge già chiaramente che la riflessione da parte del dirigente su come preparare la riunione ha un ruolo decisivo per fare una riunione fruttuosa e che questa attività richiede testa, non un atteggiamento burocratico e pigro.

Un dirigente che non studia con cura la circolare prima di convocare la riunione, difficilmente riuscirà ad impostare un lavoro mirato ed efficace di direzione del lavoro di preparazione svolto da parte dei compagni (lavoro di direzione che si traduce: 1. nella convocazione della riunione e 2. nell'intervento mirato sui compagni in vista della riunione).

Il movimentismo e il disprezzo per la teoria rivoluzionaria (dunque la tendenza a separare teoria e pratica) fanno sì che spesso i dirigenti si riducono essi stessi a studiare le circolari solo il giorno prima o addirittura qualche ora prima della riunione. Così come succede che un dirigente che deve discutere la stessa circolare con più di un collettivo non effettua, per ogni collettivo, uno specifico lavoro di preparazione (questo lo porta anche a non tirare, a seguito di ogni riunione, delle lezioni per migliorare la conduzione delle riunioni successive che dovrà tenere con gli altri collettivi sulla stessa circolare). Quando un dirigente tiene una riunione con un collettivo, deve sempre stabilire l’obiettivo a cui vuole arrivare, a cosa deve servire quella riunione (su quel dato tema) per quello specifico collettivo: questo vale anche per le riunioni di studio di una circolare. L’obiettivo si riflette già nella convocazione della riunione.

Da questo punto di vista è molto istruttivo studiare le convocazioni delle riunioni stese dai compagni, analizzarle per bene. Se si conosce il dirigente che ha steso la convocazione, da come l'ha elaborata è possibile comprendere con ridotti margini di errore se prima di stendere la convocazione lui ha studiato la circolare che intende trattare, se ha riflettuto a sufficienza su di essa, se l'ha fatta sua, se l'ha assimilata e se ha sviluppato il lavoro di traduzione del generale nel particolare del collettivo con cui terrà la riunione, quindi anche quanto conosce quel collettivo.

Le circolari fissano l'orientamento e le linee generali di intervento che gli organismi del Partito devono tradurre nel particolare della zona dove operano (per poi applicarle concretamente). È solo in questo modo che esse possono svolgere un efficace lavoro per l'avanzamento del processo rivoluzionario. Se quelli che operano nel particolare (i collettivi intermedi e di base) non orientano la propria attività in funzione degli orientamenti e delle linee tracciate dal Centro e del raggiungimento degli obiettivi nazionali, non sarà possibile nessun avanzamento qualitativo nel lavoro che svolgono (la relazione centro - periferia, compiti nazionale e compiti locali, la traduzione del generale nel particolare, tener conto dei particolari, superare i localismi, ecc. sono tutti aspetti importanti da curare nella progettazione e direzione della vita del partito).

La discussione della circolare è una parte importante della traduzione del generale nel particolare e per la sua applicazione nel concreto. Il dirigente nel preparare la riunione deve già svolgere al meglio delle sue capacità questo processo di traduzione del generale nel particolare, tenendo conto di tutti gli elementi di cui dispone: non deve augurarsi che la traduzione avvenga grazie a qualche “colpo di fortuna” o di qualche “trovata” nel corso della riunione (in sostanza “muoversi a naso”, navigare a vista, essere spontaneisti) oppure limitarsi ad illustrare il generale e scaricare sui diretti il compito di tradurre il generale nel particolare, anziché dirigerli in questo processo delicato e decisivo.

Questo vuol dire che il dirigente nel preparare e nel condurre la riunione, oltre a studiare con cura la circolare, deve riflettere attentamente su di essa, farla sua (in questo processo rientra anche la pratica di chiedere al Centro delucidazioni su aspetti che ha difficoltà a comprendere o su cui non è d'accordo – ciò richiede ovviamente il fatto di non ridursi all'ultimo momento con lo studio della circolare!), deve:

1. tener conto delle caratteristiche dei membri del collettivo;

2. tener conto del contesto in cui il collettivo opera;

3. tradurre gli orientamenti e le linee tracciate nella circolare in linee specifiche da applicare nella zona in cui opera il collettivo (questo significa anche individuare i punti su cui occorre andare più a fondo, raccogliere maggiori elementi, fare inchiesta, sviscerare meglio le questioni con il collettivo per riuscire a tradurre efficacemente il generale nel particolare e applicarlo nel concreto, le domande da porre al collettivo e ai singoli nella riunione).

Nel dirigere la riunioni egli non deve però “soffocare il dibattito” con una relazione introduttiva che illustra nel dettaglio la circolare e indica come tradurla nel particolare. Questo è un punto importante, su cui invito ad una particolare attenzione.

Il dirigente deve avere le idee chiare e sapere dove vuole arrivare con la riunione (gli obiettivi che intende raggiungere), sia per quanto riguarda la formazione dei compagni, sia per quanto riguarda l'attività del collettivo (egli può rivolgersi anche al Centro, illustrando la sintesi e il progetto a cui è giunto e chiedendo una valutazione in merito – ancora una volta questo implica però il non ridursi all'ultimo momento con lo studio della circolare!). Allo stesso tempo deve accompagnare, condurre passo dopo passo i compagni del collettivo alla comprensione degli aspetti principali della circolare e guidarli nella traduzione del generale nel particolare. Deve suscitare e promuovere la loro riflessione. Farli pensare, insegnargli a pensare in modo giusto (uso del materialismo dialettico).

La relazione introduttiva deve aprire il dibattito, non chiuderlo (come avviene invece nelle conclusioni della discussione che si tirano nella parte finale della riunione).

 

La relazione introduttiva deve tenere conto e combinare due linee di intervento (distinguendole nella propria mente e combinandole, mettendole in sinergia):

1. l'illustrazione delle tesi principali contenute nella circolare, non burocraticamente-dogmaticamente (grigio “elenco della spesa”, noiosa lezione nozionistica) ma trattando i principali aspetti di concezione, analisi e linea in essa sintetizzati, sviscerando con particolare cura e attenzione gli aspetti che il dirigente sa non essere chiari ai compagni del collettivo e legando il generale con il particolare (ad es. facendo alcuni esempi inerenti il collettivo) per favorire la loro comprensione;

2. la promozione di un processo di riflessione da parte dei compagni del collettivo sulle tesi principali, sulla lotta di classe che si sviluppa nelle propria zona analizzata alla luce delle tesi principali, su come tradurre gli orientamenti e le linee nella propria attività (sviluppare analisi, proposte, ipotesi, ecc.) e sugli aspetti della propria azione o dell'azione dei dirigenti da correggere (critica e autocritica).

Nella relazione introduttiva il dirigente deve quindi perseguire l'obiettivo di:

- chiarire le idee ai compagni del collettivo sugli aspetti principali dell'analisi della fase e dei compiti che essa pone;

- introdurre elementi di riflessione per portare, passo dopo passo, i compagni ad effettuare una ricostruzione logica (bilancio) della loro esperienza sulla base dell'orientamento tracciato nella circolare (e non indicare lui, nella sua relazione introduttiva, il bilancio della loro esperienza);

- introdurre elementi di riflessione per orientare, passo dopo passo, la discussione in funzione dell'individuazione della strada da percorrere per avanzare (sia nel lavoro interno che nel lavoro esterno, tenendo presente il criterio “il lavoro interno è in funzione di quello esterno”).

Sintetizzando, il dirigente deve promuovere la riflessione collettiva e instradarla su giusti binari (ossia indicare gli aspetti principali su cui concentrarsi).

Con le riunioni dobbiamo educare i compagni a pensare, dobbiamo insegnargli a pensare, ad analizzare, ad individuare problemi e a trovare soluzioni: è attraverso questo processo che nelle riunioni gli “accendiamo la fiamma”, che sviluppiamo la loro mobilitazione intellettuale e morale, che eleviamo la loro coscienza, che li portiamo a vedere nel mondo che li circonda cose che non hanno mai ancora visto, a scorgere possibilità di successo dove non ne hanno fino allora incontrato.

L'arte del dirigere le riunioni (ma questo criterio vale anche per i corsi di formazione, ad esempio sul MP) non consiste dunque nel tenere una lunga conferenza sulla circolare, riducendo drasticamente il tempo per il dibattito e la riflessione da parte dei compagni. Riunioni così non servono a nulla, se non a dire all'istanza superiore “l'abbiamo fatta” (atteggiamento da burocrati, da impiegati). Sono frustranti per i compagni che vi partecipano e anziché invogliare a crescere, a pensare e a costruire, demotivano e alimentano il disprezzo per la teoria, per le riunioni, favoriscono il movimentismo.

L'arte del dirigente deve essere quella di indirizzare la discussione fissando gli aspetti principali e legandoli al particolare, fare sviluppare la discussione, elevarla. L'efficacia del lavoro del dirigente si misura dal processo critico, autocritico e propositivo che riesce a promuovere nei compagni diretti. Non da quanto parla lui. Il dibattito deve avere i necessari “spazi vitali”, deve svilupparsi adeguatamente, andare a fondo. I compagni devono avere tempo e modo per esprimersi, per domandare, per criticare, per capire. Questo è l'obiettivo delle riunioni di discussione delle circolari (e per i corsi di formazione).

I compagni vanno incoraggiati a non aver paura di sembrare inadeguati, di dire sciocchezze, di chiedere cose banali, ecc. La migliore forma di incoraggiamento, da parte del dirigente, non è l'enunciazione di questo principio: è praticarlo, facendolo vivere nella conduzione della riunione, rispondendo con cura alle domande, stimolando i compagni a porre domande, facendo domande a sua volta, ecc. Questo è un aspetto molto importante: oggi il timore di risultare inadeguati, sciocchi, ecc. frena molti compagni dal porre apertamente le questioni: se le tengono per sé e così non sprigionano tutte le loro potenzialità. Non è possibile alcuna formazione ideologica, politica e morale se non aiutiamo i compagni ad aprirsi, se non li conduciamo su questa strada passo dopo passo, se non creiamo un clima sereno nelle riunioni, se liquidiamo velocemente e con ragionamenti generali (o, peggio ancora, con frasi sprezzanti) le loro domande. Il dirigente svolge un buon lavoro se eleva il diretto, se non lo mantiene ad uno stato di sotto-sviluppo rispetto alle sue potenzialità, qualità e possibilità. I dirigenti devono mirare a far volare alto i compagni, a farli crescere, a renderli migliori di se stessi per potenziare il processo rivoluzionario: questo è il nocciolo della questione! Chi non si mette in quest'ottica è completamente fuori strada e deve rettificarsi in modo profondo e radicale.

Se il dirigente fa questo lavoro egli entra in dialettica positiva con i diretti, gli insegna a pensare e inoltre impara molto anche lui, attingendo da quanto dicono i compagni diretti (egli è soggetto e oggetto della trasformazione, a differenza del conferenziere o dell'oratore che dice la sua e va via). Nelle nostre fila questo importantissimo concetto non è compreso. Esso merita dunque una grande attenzione.

Nelle nostre fila si oscilla infatti tra il ridurre le discussioni sulle circolari ad aspetti prettamente “operativi” (non trattare il generale, non sviscerarlo, dare per scontate le cose, non fare analisi concreta della situazione concreta e passare subito “alle misure pratiche”, che altro non significa che navigare a vista, muoversi a naso sull'onda del movimentismo e senza tener conto degli obiettivi della fase a livello nazionale e della situazione concreta in cui si opera) e la tendenza alla conferenza, al discorso, alla relazione introduttiva che in realtà è una sintesi (un riassunto) della circolare, senza tra l'altro mettere in luce gli aspetti principali e spesso senza neanche calarla nel particolare.

Sia il dirigente “organizzativista” (praticone, movimentista) sia quello “accademico” non si concepiscono come soggetto e oggetto della riunione: non si mettono nell'ottica di imparare anche loro dalla riunione, di crescere ideologicamente, politicamente, moralmente attraverso la preparazione e conduzione delle riunioni (ad es. individuando gli aspetti della propria concezione da approfondire), di affinare i propri metodi di direzione e formazione, di approfondire la conoscenza dei compagni che dirige e di elaborare superiori linee di intervento su di loro.

Questa tendenza frena lo sviluppo sia dei diretti, sia del dirigente stesso. È una cappa da rompere.

Quando le circolari mettono in luce i limiti dei dirigenti che conducono le riunioni, questi non devono cadere nell'errore di soffocare i compagni con relazioni introduttive logorroiche, per togliere tempo al dibattito nel timore delle critiche e delle “domande imbarazzanti” che i diretti potrebbero fare, per timore che le critiche mettano in dubbio la sua autorevolezza, ecc. Cadere in questo errore significherebbe vivere la riunione individualisticamente, sulla difensiva, concentrati su se stessi e sulla difesa della propria immagine, anziché mettere al centro la crescita dei compagni e lo sviluppo del processo rivoluzionario. In questo modo neanche il dirigente cresce. Al contrario è proprio trattando le “questioni spinose” che egli si pone veramente da dirigente, da soggetto e oggetto della rivoluzione, che dà l'esempio e che invoglia anche i compagni ad avanzare e crescere. I compagni capiscono (in forme e modi diversi) quando un dirigente cerca di nascondere i propri limiti.

Un ultimo aspetto che voglio evidenziare rispetto alla conduzione di una riunione è il seguente: se il dibattito “non decolla”, il dirigente non deve demoralizzarsi perché ha preparato male la riunione oppure chiudere la riunione burocraticamente come se fosse una procedura amministrativa svolta. Deve al contrario stimolare i compagni con esempi, con collegamenti, con proposte, con domande. Deve, in altre parole, essere lui a stimolare i compagni a tirare fuori dubbi, critiche, idee. Anche in questo modo gli insegna a pensare, li fa avanzare.

 

Alla luce del ragionamento fatto, emerge che la riunione di discussione di una circolare può essere, se preparata e condotta bene, un momento molto ricco per la formazione dei compagni (sia dei diretti che del dirigente), sia per lo sviluppo dell'azione del collettivo.

L'aspetto decisivo, però, è il lavoro che si svolge dopo la riunione: a noi non interessa conoscere il mondo, a noi interessa conoscerlo ma per trasformarlo! Gli orientamenti e le linee definite nella riunione devono essere tradotte poi nella pratica. In questo l'azione del dirigente è decisiva, ancora una volta.

Tra una riunione e l'altra egli deve continuare a seguire il collettivo (facendo un intervento sistematico e particolare sui segretari e, se occorre, sui responsabili di settore): deve essere da sprone e da orientamento, aiutare i compagni a far fronte alle difficoltà, a raccogliere i frutti prodotti e a tirare lezioni dall'esperienza.

Anche in questo ambito bisogna contrastare una tendenza abbastanza radicata nelle nostre fila: tra una riunione e l'altra i dirigenti svolgono un'azione sporadica e movimentista (una tantum, sull'onda dell'emergenza) sui collettivi che dirigono. In questo modo non si dà seguito a quanto stabilito nelle riunioni e non si sviluppa la formazione continua, secondo la dialettica teoria-pratica-teoria superiore (attraverso il bilancio dell'esperienza).

 

Un metodo fondamentale per tirare i dovuti insegnamenti da una riunione e dare seguito al lavoro di direzione è l'elaborazione della riunione svolta: il dirigente a seguito di una riunione deve cimentarsi con cura nello studio del lavoro svolto, tenendo conto degli obiettivi e della linea che aveva tracciato per la preparazione e la conduzione della riunione.

Deve cioè analizzare e sintetizzare il bilancio della riunione, le decisioni prese e i passi successivi che intende svolgere. Nel fare questo deve applicare quanto detto nelle righe precedenti rispetto al concepirsi soggetto e oggetto della riunione:

- chiedersi: cosa ho imparato di nuovo da questa riunione?

- individuare gli aspetti della propria concezione da approfondire,

- sviluppare riflessioni per affinare i propri metodi di direzione e formazione dei compagni,

- fissare gli aspetti ideologici, politici e morali dei singoli compagni e del collettivo su cui occorre sviluppare formazione e CAT, avanzando proposte al fine di elaborare superiori linee di intervento su di loro,

- fissare gli aspetti di conoscenza del territorio in cui operano i compagni che ha raccolto,

- fissare le linee tracciate nella riunione e riflettere come operare per applicarle al meglio.

Attraverso un sistematico lavoro di questo tipo, il dirigente si eleverà ideologicamente e politicamente, rafforzerà la sua azione positiva sui diretti e alimenterà il Centro del Partito con preziosi elementi attraverso cui approfondire l'elaborazione di analisi, linee, principi, criteri e metodi che rafforzeranno l'azione del dirigente stesso e permetteranno di rafforzare l'azione degli altri dirigenti che operano nelle altre regioni.

In sintesi, darà un importante e prezioso contributo alla costruzione della rivoluzione nel nostro paese, avanzando tappa dopo tappa!