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La Voce 46

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVI - marzo 2014

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Il socialismo, non le fantasie e divagazioni sul socialismo

 

Instaurare il socialismo è la sola soluzione realistica e definitiva alla crisi generale del capitalismo.

Perché questa soluzione, apparentemente semplice, non è largamente accettata dai gruppi che cercano di mobilitare e orientare le masse popolari contro i mali della crisi generale del capitalismo?

Non principalmente perché è difficile instaurare il socialismo: delle difficoltà della sua realizzazione, poco o nulla se ne parla. È la soluzione stessa che è poco considerata e, quando è considerata, spesso sotto la stessa espressione “instaurare il socialismo” si nascondono in realtà concezioni molto diverse.

 

*** manchette

Il ruolo particolare della classe operaia

Tra le classi dei lavoratori della società borghese, la classe operaia è quella i cui membri già nelle condizioni della società attuale più hanno elaborato e assimilato la concezione e la mentalità corrispondenti alla struttura collettiva dell’economia creata dalla borghesia stessa. Essa è quindi in grado di assumere in massa come obiettivo della sua lotta la trasformazione di cui la società borghese ha bisogno e di guidare il resto delle masse popolari a riorganizzare tutta l’attività produttiva della società come un unico grande sistema articolato in reparti che lavorano l’uno per l’altro e che concorrono, ognuno facendo la parte che gli è assegnata, ad adempiere i compiti di cui la società ha bisogno e che definisce nei piani economici che periodicamente si dà.

 

È facile capire i motivi di questa apparente stranezza. Il movimento comunista, dopo alcuni decenni di grande espansione nel mondo seguiti alla vittoria della Rivoluzione d’Ottobre nel 1917, ha subito una sconfitta grande e a livello mondiale. La speranza e la fiducia delle larghe masse suscitate dalla vittoria, si sono trasformate in sfiducia e depressione. La borghesia e il clero non hanno risparmiato denigrazioni e manipolazioni di ogni genere non solo per togliere alle larghe masse ogni fiducia, ma anche per impedire che si consolidassero correnti di rivoluzionari che individuassero i motivi della sconfitta e innescassero la rinascita: operazione tanto più facile quella della borghesia e del clero perché prima del crollo del 1989, vi erano stati decenni di lenta e graduale decadenza, in cui le persistenti conquiste del socialismo si sono mischiate con le nefandezze della reintegrazione nel mondo capitalista che era in corso. Da qui non solo le più svariate denigrazioni su quello che era stata la prima ondata della rivoluzione proletaria, ma anche le più varie fantasie a proposito del socialismo (fino alla teoria che “la classe operaia non c’è più” di Marco Revelli e alla teoria di Toni Negri della scomparsa della divisione in classi degli individui che sarebbero diventati elementi di un pulviscolo sociale, una moltitudine di atomi). Al punto che oggi tra fautori del socialismo vi è una situazione da Torre di Babele. Anche quelli che parlano di socialismo, in realtà parlano di cose assolutamente diverse, per cui ovviamente tanto meno riescono a capirsi su cosa fare in pratica, salvo agire a buon senso, secondo il senso comune di ciascuno, cioè succubi della concezione borghese o clericale del mondo. Bisogna quindi in un certo senso ricominciare da due. Quando parliamo di socialismo, mettere anzitutto in chiaro di cosa parliamo.

Il termine socialismo è entrato nel linguaggio e il socialismo è comparso come categoria e corrente politica in Europa all’inizio dell’Ottocento. Era il periodo della crisi cicliche del capitalismo, il modo di produzione che si era oramai ben radicato in alcune grandi zone d’Europa. Qui la produzione mercantile e il lavoro salariato si erano grandemente diffusi. Si erano formate grandi masse di uomini che, a differenza delle famiglie contadine d’un tempo e delle economie chiuse delle corti medioevali e di altre piccole comunità sostanzialmente autosufficienti, producevano in condizioni che li rendevano dipendenti l’uno dall’altro ma d’altra parte senza alcun legame di parentela, di vicinato o di dipendenza personale e senza alcun accordo preliminare che distribuisse tra loro i compiti e i prodotti, che definisse chi produceva cosa e per chi. Sembrava a buon senso che proprio da qui provenissero le crisi, la decadenza di intere popolazioni agricole e, in contrasto con la ricchezza crescente di prodotti e di idee, la miseria diffusa delle città dove una popolazione crescente si addensava in condizioni igieniche, morali e intellettuali peggiori di quelle che si era abituati a vedere nei secoli passati. Sorsero quindi i primi gruppi di riformatori e di pensatori, le correnti, i movimenti e le iniziative pratiche per riformare la società. Essi vennero in generale indicati con il termine di socialisti, perché postulavano tutti un qualche rimedio a quello che sembrava un disordine sociale prodotto dall’agire indipendente e arbitrario degli individui.

Nel Manifesto del partito comunista (febbraio 1848) Marx ed Engels nel capitolo 3 elencano e illustrano cinque correnti principali di socialismi: tre reazionarie: il socialismo feudale, il socialismo piccolo-borghese (proudhonismo, anarchismo e altri), il socialismo tedesco che si autodefiniva “vero socialismo”; una conservatrice o borghese; una critico-utopista (owenisti, fourieristi e altri ancora). Per l’illustrazione di ognuna rinvio al Manifesto stesso. A queste correnti Marx ed Engels contrapposero il socialismo scientifico, una concezione derivata dall’elaborazione dell’intera esperienza della storia dell’umanità. Essa indicava la lotta della classe operaia contro la borghesia e ogni altra classe dominante come fattore decisivo che avrebbe sviluppato la società borghese secondo la linea di sviluppo che le è propria e fondato una nuova società. Essi chiamarono comunismo la società che sarebbe risultata da questa trasformazione (l’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti) e indicarono (nella lettera scritta nel 1875 ai fondatori del Partito socialdemocratico tedesco nota come Critica del programma di Gotha) con il termine socialismo la fase inferiore di questa società, la fase iniziale, quella che si ha quando la classe operaia organizzata, con alla testa il suo Partito comunista, prende il potere e avvia la riorganizzazione della struttura produttiva che sostituisce la produzione fatta da agenzie pubbliche alla produzione fatta dalle aziende capitaliste e la connessa riorganizzazione della sovrastruttura intellettuale, morale e politica dell’intera società. Quindi una società che è diretta da chi vuole creare la società comunista, ma nella quale elementi e aspetti della società borghese (il vecchio mondo) coesistono e si scontrano con elementi e aspetti del comunismo (il nuovo mondo).

Questo è il socialismo a cui noi ci riferiamo. Esso ha come pilastri portanti, come caratteristiche fondanti

1. il potere in mano alle masse popolari organizzate e in primo luogo alla classe operaia organizzata attorno al suo Partito comunista (e quindi la repressione risoluta del sabotaggio, del boicottaggio, delle manovre e della guerra che ostinatamente la borghesia, il clero e i loro succubi opporranno al Nuovo Potere);

2. il passaggio (nelle forme e con i tempi adeguati alle condizioni concrete) dalla produzione fatta in aziende capitaliste e in piccole aziende individuali e familiari alla produzione fatta in agenzie pubbliche che lavorano secondo un piano stabilito e approvato dalle masse popolari organizzate secondo procedure e tramite istituzioni create a questo scopo;

3. la crescente partecipazione di tutta la popolazione alle attività specificamente umane, in particolare alla gestione, alla direzione e alla progettazione della vita sociale, delle relazioni che compongono gli individui in società.

Proponiamo ai nostri lettori lo studio della scritto di Lenin Socialismo piccolo-borghese e socialismo proletario (1905, Opere complete vol. 9 pagg. 416-424 - reperibile in versione rivista sull’originale in www.nuovopci.it/classic/lenin/spbespr.htm). Pur riferendosi a una situazione e a una formazione economico-politica molto diversa dalla nostra, esso getta una luce chiara e feconda sul problema che noi abbiamo di fronte: instaurare il socialismo. Con chi avrà chiaro di che cosa parliamo, sarà più facile discutere di come arrivarci, di come fare la rivoluzione socialista, far valere le ragioni della via che noi seguiamo.

Preveniamo il lettore del testo di Lenin che in quell’epoca non si usava distinguere comunismo da socialismo (fase inferiore del comunismo, fase della transizione dal capitalismo al comunismo): quindi con il termine socialismo Lenin indica il comunismo ivi compresa la sua fase inferiore. Socialdemocratici era il nome che in tutta Europa era adottato dai comunisti e dai socialisti, in generale dai membri dei partiti aderenti alla II Internazionale (1889-1914).

Anna M.