Ritorna all'indice de La Voce 46  /-/ Ritorna all'indice completo dei numeri de La Voce


La Voce 46

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVI - marzo 2014

Scaricate il testo della rivista in formato OpenOffice, PDF o Word

Leggere Gramsci e usare i suoi insegnamenti

 

Note di lettura del compagno Luca R. al paragrafo 17 Quaderno 13: (1)

Analisi della situazione, rapporti di forza

 

1. Edizione Einaudi (2001, Torino) dei Quaderni del carcere a cura di Valentino Gerratana [VG, da qui in poi], pp. 1578-1589. Vedi anche in www.nilalienum.com/Gramsci/0_Indexn.html . Nel testo di Gramsci abbiamo qua e là fatto, sempre tra parentesi quadre, alcune aggiunte con l’obiettivo di facilitare la comprensione del testo. Il testo di Gramsci è in corsivo. Le Note di lettura sono numerate da 1 a 24 e intercalate al testo di Gramsci. Le note redazionali sono a fine pagina.

 

1. Premessa

Questo è il primo di una serie di commenti ai Quaderni del carcere di Gramsci.

È, fuori di metafora, l’avvio di una campagna, dove l’opera di Gramsci è terreno di battaglie e strumento per condurle, in una guerra del tipo che Gramsci stesso indicava come “guerra di posizione” e che il (nuovo)PCI chiama Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata:

Metaforicamente, il mio è un lavoro di dettaglio sulle frasi e le parole di Gramsci come quello di chi scava in un edificio crollato dopo un terremoto perché è convinto che là sotto c’è qualcuno vivo, e perciò non può usare la ruspa, ma deve togliere le macerie a mano, una a una. Questo dico per evitare che quanto scritto sia scambiato per perdersi in minuzie.

In questo caso non si tratta semplicemente di “interpretare” uno che è prigioniero dei fascisti, e quindi non può dire le cose chiaramente. Si tratta di liberare uno che è rimasto vivo sotto le macerie del suo partito, degenerato e sgretolatosi nel corso del mezzo secolo e più successivo alla Seconda Guerra Mondiale. Tutto questo richiede pazienza, cura, una certa dose di delicatezza, fiducia di riuscire, certezza che riporteremo alla luce quello che è vivo.

Il lavoro utilizzerà come griglia interpretativa il materialismo dialettico nella sua forma più avanzata, il maoismo. Tra gli apporti nuovi del maoismo alla teoria rivoluzionaria è basilare quello secondo cui la rivoluzione socialista non scoppia, ma si costruisce, e si costruisce come una Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata. Il mio lavoro sul paragrafo 17 del Quaderno 13 è volto a recuperare le anticipazioni di questa concezione e le sue applicazioni al nostro paese, ieri e oggi. Dello stesso testo si occupa Folco R. in La Voce del (nuovo)PCI, n. 44, nell'articolo Gramsci e la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata (2) articolo le cui conclusioni, che condivido, sono riprese e approfondite in questa analisi.

 

2. Folco R. Gramsci e la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, in La Voce del (nuovo)PCI, n. 44, pp. 39-42 e in www.nuovopci.it/voce/voce44/grmegrp.html .

 

I commenti che seguiranno mostreranno il posto che Gramsci occupa nello sviluppo della concezione comunista del mondo, in particolare in relazione a quello sopra citato e ad altri basilari apporti del maoismo, che saranno indicati caso per caso, e spiegati per il nesso che hanno con il presente e come strumento per i nostri compiti, che si riassumono nel compito di fare dell’Italia un paese socialista e anzi, forti del bilancio che abbiamo fatto sulla esperienza dei primi paesi socialisti, fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

I commenti saranno accompagnati da riferimenti sugli avvenimenti storici più importanti degli anni in cui il testo in esame è stato scritto. Quando saranno raccolti in un testo unico, anche la cronologia sarà unificata, arricchita e sintetizzata.

 

2. Alcuni riferimenti storici sul periodo della stesura del Quaderno 13

Secondo Valentino Gerratana “l'ipotesi più verosimile è che il Quaderno 13 sia stato iniziato a Turi nel 1932, insieme al quaderno «speciale» sugli intellettuali di identico formato (il Quaderno 12) e terminato a Formia nei primi mesi del 1934”.(3)

 

3. Vedi in www.nilalienum.com/Gramsci/CronQuaderni.html .

 

 

1932

URSS

Si completa un processo di rivoluzione culturale iniziato nel 1927. Si è trattato di un'applicazione sistematica di discriminazioni positive nell'accesso alle istituzioni educative che ha dotato l'URSS di una larga schiera di tecnici, di uomini colti e di dirigenti di origine operaia e contadina, spesso addirittura operai o contadini che i loro collettivi di lavoro sceglievano perché si staccassero dalla produzione e frequentassero gli istituti di cultura e le università o svolgessero mansioni dirigenti.

La produzione industriale in URSS, alla chiusura del primo piano quinquennale (1928-1932), passa dal 3,8 % del 1929 all’11% rispetto alla produzione industriale nel mondo.

Prima pubblicazione integrale di L’ideologia tedesca, l’esposizione più sistematica e articolata del materialismo storico, scritta nel 1845-1846 da K. Marx e da F. Engels.

L’URSS firma un patto di non aggressione con la Francia.

 

USA

Nella situazione rivoluzionaria creata dalla grande crisi economica, la classe dominante trova in F.D. Roosevelt il suo capo: nel novembre 1932 viene eletto presidente e verrà ripetutamente confermato nella carica fino alle elezioni del novembre 1944 seguite però subito dopo dalla sua morte nell’aprile 1945. Roosevelt cerca di porre rimedio alla crisi avviando una politica economica di aumento della spesa pubblica (per lavori pubblici e trasferimenti alle famiglie), creando così una domanda aggiuntiva di merci, secondo la ricetta che sarà articolata da Keynes in Occupazione, interesse e moneta. Teoria generale (1936).

 

PORTOGALLO

Sale al potere Antonio Oliveira Salazar, che vi resterà fino al 1968 (quando diviene inabile in seguito a un colpo apoplettico), mentre il suo regime sarà rovesciato solo dalla “rivoluzione dei garofani” nel 1974.

 

SPAGNA

La destra vince le elezioni e sale al potere.

 

GERMANIA

Muore a Berlino Eduard Bernstein, capofila dei primi revisionisti.

Si pubblica il primo numero della “Rivista per la ricerca sociale”, organo della Scuola di Francoforte, che si pubblicherà fino al 1941.

 

AUSTRIA

Viene instaurato in governo di dittatura terroristica del dirigente cattolico Dollfuss. Un tentativo insurrezionale degli operai organizzato dai socialdemocratici (“Vienna Rossa”) viene soffocato nel sangue e il partito viene messo fuorilegge.

 

GIAPPONE

Il militarismo fascista avanza: il primo ministro è assassinato da militari oltranzisti.

 

CINA

Il Giappone attacca la Cina e occupa la Manciuria.

Nel giugno, invece di mobilitare il popolo per resistere contro l’aggressione giapponese, il Kuomintang lancia mezzo milione di soldati nella “Quarta campagna di annientamento” contro la base centrale rivoluzionaria dello Chiagnsi. L’Esercito Rosso respinge l’attacco dopo otto mesi di dura lotta.

 

1933

GERMANIA

Il KPD (Partito comunista tedesco) nel 1933 ottiene cinque milioni di voti. Questo non gli consente minimamente di fare barriera contro il nazismo, a dimostrazione del fatto che la quantità di forza accumulata svanisce in breve tempo se non accompagnata dalla qualità, che sta nell’avere una concezione adeguata, capace di produrre una linea e una strategia per la conquista del potere. Nel corso degli anni ‘20 il partito aveva tentato varie insurrezioni (non casualmente fallite) e nel 1933 lasciò arrestare la direzione (Ernst Thaelmann); mantenne organizzazioni clandestine, ma non riuscì a mobilitare sul piano della guerra né gli operai comunisti, né gli operai socialdemocratici, né gli ebrei e le altre parti della popolazione che pure erano perseguitati a morte dai nazisti.

La classe dominante porta al potere il partito nazionalsocialista di Hitler.

Brecht scrive “Lode del comunismo”.

 

GRAMSCI

è nel carcere di Turi (BA). Il suo stato di salute si è aggravato molto. La sua pena, in seguito a un provvedimento di amnistia generale, viene ridotta, ma per ordine del Ministero le condizioni di detenzione si inaspriscono. Sua madre muore ma non gliene viene data notizia. Il governo sovietico avvia una iniziativa per la sua liberazione.

Il 7 marzo ha una crisi grave, la seconda dopo la prima del 1931. La mobilitazione a suo sostegno cresce a livello internazionale. Viene trasferito in una clinica a Formia, a fine anno. Riesce a leggere, ma per qualche tempo non riuscirà a scrivere.

 

1934

URSS

L’URSS entra nella Società delle Nazioni.

Si riunisce il diciassettesimo Congresso del Partito comunista sovietico che approva il secondo piano quinquennale (1933-1937).

A Leningrado viene ucciso S. M. Kirov, capo del Partito a Leningrado.

 

CINA

L’Armata Rossa del Partito comunista intraprende la Lunga Marcia, dopo le pesanti sconfitte subite per gli attacchi da parte del Kuomintang e la linea sbagliata seguita sotto la direzione di Wang Ming (in quel periodo Mao Tse-tung è emarginato).

 

GERMANIA

Il governo nazista firma un patto con quello polacco in funzione antisovietica.

I dirigenti della Scuola di Francoforte, in seguito all'ascesa al potere di Hitler, emigrano e, dopo un soggiorno di alcuni anni tra Ginevra e Parigi, molti di loro si trasferiscono, a partire dal 1934, negli Stati Uniti, dove a New York danno vita, presso la Columbia University, all'Istituto internazionale della ricerca sociale.

 

AUSTRIA

I nazisti tentano un colpo di Stato e Dollfuss viene ucciso.

 

FRANCIA

I fascisti tentano un colpo di Stato.

 

ESTONIA e LETTONIA

Vengono instaurati governi dittatoriali.

 

ROMANIA

Il governo mette fuorilegge le organizzazioni antifasciste.

 

BULGARIA

I militari prendono il potere.

 

SPAGNA

Uno sciopero generale contro il governo della destra filofascista nelle Asturie si conclude con una dura repressione. La sconfitta è dovuta all’isolamento della classe operaia. Va analizzata con riferimento alla fase successiva, quella della tattica dell'inserimento del partito comunista nelle lotte politiche della società borghese. In sostanza la storia ha dimostrato che nei paesi imperialisti quella era una tattica giusta per arrivare alla guerra civile, cioè per portare in massa la classe operaia e le masse popolari sul terreno della guerra civile. La conferma più brillante che quella tattica era giusta la si ebbe infatti in Spagna nel 1936. Grazie alla linea del Fronte Popolare Antifascista un partito comunista ancora debole nel giro di poco tempo divenne un grande partito alla testa di un ampio schieramento di masse popolari che suscitò contro di sé una reazione potente a livello nazionale e internazionale, a cui, nonostante numerosi errori e i limiti dell'epoca, tenne testa per quasi tre anni. Nell'opuscolo La guerra di Spagna, il PCE e l'Internazionale Comunista (Edizioni Rapporti Sociali) vi è un bilancio istruttivo di quegli avvenimenti.

 

INTERNAZIONALE COMUNISTA

L’Internazionale passa dalla linea del fronte unico (che si limitava alla classe operaia) alla linea del Fronte popolare antifascista (esteso a tutte le classi, forze politiche e personalità contrarie al fascismo) e del governo di Fronte popolare. Questo indirizzo venne elaborato e messo in atto durante il 1934 e sanzionato dal settimo e ultimo congresso dell’Internazionale (luglio-agosto 1935).

 

GRAMSCI

a fine anno ottiene la libertà condizionale: durerà fino ad aprile del 1937 quando, oramai alla vigilia della morte (28 aprile), il regime fascista lo dichiara libero.

 

3. Analisi del testo

QC 13 § 17 - Analisi delle situazioni: rapporti di forza.

È il problema dei rapporti tra struttura e superstrutture che bisogna impostare esattamente e risolvere per giungere a una giusta analisi delle forze che operano nella storia di un determinato periodo e determinare il loro rapporto.

NOTA 1

Struttura e sovrastrutture (“superstrutture”). La struttura della società è il suo modo di produzione di beni e servizi. “Ogni modo di produzione è caratterizzato da una specifica combinazione di forze produttive e di rapporti di produzione. Questa combinazione costituisce la struttura della società: essa è la base materiale, economica, della sua esistenza e della sua riproduzione.”(4) Su di essa si erge la sovrastruttura della società.

 

4. Manifesto Programma del (nuovo)Partito comunista italiano, Ed. Rapporti Sociali, Milano, 2008, p. 21 [da qui in poi: MP].

 

Con il termine “sovrastruttura” Gramsci come Marx intende l’insieme di relazioni, istituti e istituzioni non direttamente implicate nella produzione di beni e servizi, grazie a cui gli individui costituiscono una società. In una società divisa in classi, ai fini dello studio che stiamo facendo, occorre distinguere due parti della sovrastruttura: l’insieme di relazioni, istituti e istituzioni attinenti allo Stato (la società politica) e la “società civile”.

Con l’espressione società civile si indica il luogo della superstruttura in cui si elaborano e si diffondono le ideologie e si tessono e intrattengono relazioni non di produzione e non politiche. Comprende l'ideologia propriamente detta, la «concezione del mondo» che aggrega il corpo sociale (religione, filosofia, senso comune, folklore), la «struttura ideologica» (gli organismi che creano e diffondono le ideologie), le espressioni artistiche, religiose e scientifiche e il «materiale ideologico» (sistema scolastico, organizzazione religiosa, organismi editoriali, biblioteche, mass media). Essa comprende anche l’insieme di organismi e di relazioni della sovrastruttura attraverso cui la classe dominante esercita la direzione intellettuale e morale della società (associazioni, camere di commercio, sindacati, ecc.), in particolare promuove e intrattiene il consenso e l’adesione delle classi subalterne.

Ovviamente la distinzione tra struttura e sovrastruttura e la distinzione tra società civile e sovrastruttura politica (Stato) implicano “zone di confine” non sempre nettamente definite, dato che nella realtà, in ogni società reale, struttura, società civile e sovrastruttura politica (Stato) sono combinate tra loro. Non a caso Gramsci dice struttura al singolare e sovrastrutture al plurale: società che hanno una struttura (una base economica) sostanzialmente eguale, possono avere sovrastrutture anche molto diverse tra loro. Nel § 18 del QC 13, il paragrafo successivo a quello di cui mi sto occupando, Gramsci indica come errore “far diventare e presentare come organica la distinzione tra società politica e società civile, che è solo distinzione metodica. Così erroneamente si afferma che l’attività economica è propria della società civile e che lo Stato non deve intervenire nella sua regolamentazione.” (VG p. 1590)

 

Occorre muoversi nell’ambito di due principi: 1) quello che nessuna società si pone dei compiti per la cui soluzione non esistano già le condizioni necessarie e sufficienti o esse non siano almeno in via di apparizione e di sviluppo; 2) quello che nessuna società si dissolve e può essere sostituita se prima non ha svolto tutte le forme di vita che sono implicite nei suoi rapporti (controllare l’esatta enunciazione di questi principi).

NOTA 2

Questa è una citazione di Marx dalla Introduzione alla critica dell'economia politica, riportata qui di seguito a questa nota tra parentesi graffe e riportata a margine nel manoscritto di Gramsci.

Il compito che il movimento comunista cosciente e organizzato si pone è l’abolizione della società divisa in classi. Le condizioni oggettive per assolvere questo compito esistono a partire dalla metà del secolo XIX. In questa data infatti compare anche chi il compito deve assolvere, cioè, appunto, il movimento comunista cosciente e organizzato la cui nascita trova espressione nel Manifesto del Partito comunista di Marx e Engels (1848).

 

{“Una formazione sociale non perisce, prima che non siano sviluppate tutte le forze produttive per le quali essa è ancora sufficiente e nuovi più alti rapporti di produzione non ne abbiano preso il posto, prima che le condizioni materiali di esistenza di questi ultimi siano state covate nel seno stesso della vecchia società. Perciò l’umanità si pone sempre solo quei compiti che essa può risolvere; se si osserva con più accuratezza si troverà sempre che il compito stesso sorge solo dove le condizioni materiali della sua risoluzione esistono già o almeno sono nel processo del loro divenire» (Introduzione alla critica dell’economia politica).”}

Dalla riflessione su questi due canoni si può giungere allo svolgimento di tutta una serie di altri principi di metodologia storica [e di metodologia politica]. Intanto nello studio di una struttura occorre distinguere i movimenti organici (relativamente permanenti) dai movimenti che si possono chiamare di congiuntura (che si presentano come occasionali, immediati, quasi accidentali). I fenomeni di congiuntura sono certo dipendenti anch’essi da movimenti organici, ma il loro significato non è di vasta portata storica: essi danno luogo a una critica politica spicciola, del giorno per giorno, che investe i piccoli gruppi dirigenti e le personalità immediatamente responsabili del potere. I fenomeni organici danno luogo alla critica storico-sociale [cioè alla critica che concerne la storia della società e le caratteristiche basilari che la caratterizzano], che investe i grandi aggruppamenti [che riguarda le classi sociali], di là dalle persone immediatamente responsabili e di là dal personale dirigente [partiti e individui].

Nello studiare un periodo storico appare la grande importanza di questa distinzione. Si verifica una crisi, che talvolta si prolunga per decine di anni. Questa durata eccezionale significa che nella struttura si sono rivelate (sono venute a maturità) contraddizioni insanabili e che le forze politiche operanti positivamente alla conservazione e difesa della struttura stessa si sforzano tuttavia di sanarle entro certi limiti e di superare. Questi sforzi incessanti e perseveranti (poiché nessuna forma sociale vorrà mai confessare di essere superata) formano il terreno dell’“occasionale” sul quale si organizzano le forze antagonistiche che tendono a dimostrare (dimostrazione che in ultima analisi riesce solo ed è “vera” se diventa nuova realtà, se le forze antagonistiche trionfano, ma immediatamente si svolge in una serie di polemiche ideologiche, religiose, filosofiche, politiche, giuridiche ecc., la cui concretezza è valutabile dalla misura in cui riescono convincenti e spostano il preesistente schieramento delle forze sociali) che esistono già le condizioni necessarie e sufficienti perché compiti storicamente determinati possano e quindi debbano essere risolti (debbano, perché ogni venir meno al dovere storico aumenta il disordine necessario e prepara più gravi catastrofi).

NOTA 3

Questo passaggio richiede una spiegazione in dettaglio e lunga, come lungo è il lavoro per riportare alla luce una costruzione sepolta da decenni sotto il fango di una frana (questa è la situazione odierna del lavoro di Gramsci).(5)

 

5. È il “lascito prezioso di Gramsci (...) che prima i revisionisti moderni (da Togliatti in avanti) e poi la sinistra borghese hanno sepolto sotto uno strato di fango e di paccottiglia letteraria.” (La Voce del (nuovo)PCI, n. 45, novembre 2013, p. 11).

 

Gramsci parla qui della differenza tra un fenomeno di vasta portata di cui vari fenomeni sono aspetti particolari. Ne parla come un osservatore acuto della realtà del suo tempo, che però non comprende in modo scientifico. Vedremo più oltre (verso la fine di questa NOTA 3) che, anzi, qui sostiene l'unità del fenomeno di vasta portata e in altra sede (paragrafo 5 del Quaderno 15) dice che questo stesso fenomeno non ha una causa unica, cioè non è una, ma molte cose.

Il fenomeno di vasta portata di cui Gramsci parla è la prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, di cui noi oggi conosciamo scientificamente la natura (vedi Avviso ai Naviganti 8, 21 marzo 2012). Quella crisi coprì, grosso modo, la prima metà del secolo scorso (fino al 1945, con la fine della Seconda Guerra Mondiale). Noi stiamo vivendo la seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale iniziata nella metà degli anni Settanta del secolo scorso e ancora in corso. Gramsci dice che “bisogna distinguere i movimenti organici (relativamente permanenti) dai movimenti che si possono chiamare di congiuntura (e si presentano come occasionali, immediati, quasi accidentali)”.

Seguendo quello che dice Gramsci, cioè distinguendo i movimenti organici da quelli di congiuntura, diciamo che bisogna distinguere la crisi generale, che dura decenni, da determinati fenomeni ad essa legati (sue più o meno accidentali manifestazioni e modi di essere), come ad esempio la crisi dei mutui subprime del 2008. Distinguere in questo caso significa isolare il fenomeno generale, comprendendone la natura e concludendo che è espressione del fatto che il modo di produzione capitalista è superato: per un determinato periodo storico esso è stato fattore di progresso, ma oggi è fattore di distruzione. Si tratta di un fenomeno oggettivo, che la crisi obbliga a riconoscere.

La crisi infatti non è negativa in sé, ma solo per chi non vuole intendere il segnale che essa manda. Il segnale è che il modo di produzione capitalista è superato, anzi, che è superata la stessa divisione in classi della società. La crisi impone di riconoscere che il comunismo è il futuro dell'umanità. Infatti il comunismo non è affatto, come predica la classe dominante e come è quindi convinzione diffusa (senso comune), una idea sorta in testa ai comunisti, ma è elemento di un processo oggettivo che i comunisti scoprono, di un processo di storia naturale (vedi Le due vie al comunismo in La Voce n. 15). Sulla base di quanto scoprono, i comunisti sono in grado di dirigere il processo a compimento. Per quanto oggettivo e “naturale” l’avvento del comunismo è un processo che per sua natura richiede di essere compreso per realizzarsi [il comunismo non può realizzarsi se non si è creata nei suoi protagonisti la coscienza di esso - mentre gli altri modi di produzione e le relative società si sono imposti senza che gli uomini ne avessero preventivamente coscienza].

Questa verità è difficile da capire per due importanti motivi. Innanzitutto la classe dominante fa di tutto per evitare che sia compresa, perché fine delle classi significa fine di se stessa come classe dominante e “nessuna forma sociale vorrà mai confessare di essere superata”. Inoltre, e di conseguenza, è una verità che cozza con il senso comune delle classi oppresse determinato dalle loro condizioni di oppressione, dalla loro storia e dalla classe dominante. Nonostante la prima ondata della rivoluzione proletaria, oggi esso non è ancora dialettico, non concepisce che la realtà è in movimento, non vede l'evoluzione dei fenomeni; in generale prende per buono quello che ha davanti agli occhi, spesso dimenticandosi che è il contrario di quello che era anche solo poco tempo prima. Tanto più è verità per il senso comune ciò che dura da più tempo, perché questo modo di pensare si fonda su quello che a memoria d’uomo è sempre stato, e non è capace di comprendere quello che sarà. Nel caso nostro, siccome la società divisa in classi esiste da parecchi millenni, secondo il senso comune esisterà in eterno: chi pensa diversamente ha idee strane, delira, ha “grilli per la testa”, oppure sogna qualcosa che sarebbe bello ma non esisterà mai, eccetera. La realtà però se ne infischia sia dei propositi della classe dominante di mantenersi tale in eterno sia di quelli che ragionano secondo il senso comune da essa imposto. Impone grandi trasformazioni, cose mai viste. Chi si rifiuta di seguire quanto imposto, paga con distruzioni tanto più catastrofiche quanto più la trasformazione richiesta, la rivoluzione necessaria, tarda ad essere attuata e quanto più tale trasformazione è radicale.

Il “movimento organico” di cui parla Gramsci è quindi la crisi di lungo periodo che copre la prima parte del secolo scorso. Essa fu “curata” con la prima ondata della rivoluzione proletaria e la Seconda Guerra Mondiale. A questa seguì una ripresa del capitalismo ma, siccome la malattia si cura con l'eliminazione del modo di produzione capitalista e questo in una buona parte del mondo non avvenne, la crisi si ripresentò una seconda volta, a partire dagli anni Settanta, come abbiamo detto sopra, e ora siamo nella sua fase terminale.

Bisogna dunque distinguere questo fenomeno che si prolunga nei decenni da dati fenomeni che sono di congiuntura, dice Gramsci. Pensare che la crisi è iniziata nel 2008 significa non fare simile distinzione. Chi pensa questo, conclude che la malattia è causata da determinate speculazioni ad opera di determinati organismi finanziari, dal fatto che determinati pescecani della finanza sono stati lasciati liberi di devastare un sistema economico presunto sano, motivo per cui auspica che si prescriva a costoro di rifarlo. Chi propone questa ricetta resta sbalordito dal fatto che tutte le risorse sottratte alle masse popolari per la crisi vengono usate per salvare quelle istituzioni che la crisi hanno provocato, cioè le banche che hanno mandato in rovina individui, famiglie, Stati. Resta sbalordito dal fatto che la medicina consiste nel rastrellare ulteriori risorse a chi è stato colpito per preservare chi l'ha colpito. Tutto questo cozza con il senso comune, che sperimenta qui la sua inadeguatezza. In realtà la speculazione non è stata la causa della crisi, ma la medicina usata per impedire che precipitasse già nei primi decenni, medicina che oggi si è trasformata in fattore aggravante il male.

La “critica politica spicciola, del giorno per giorno, che investe i piccoli gruppi dirigenti e le personalità responsabili immediatamente del potere”, è quella che quanto più avanza la crisi tanto più diventa intollerabile a strati sempre più vasti delle masse popolari, che si chiedono: “Come è possibile che mentre il paese va in rovina l'informazione è tutta presa dai problemi di Berlusconi, o dai conflitti interni a questo o a quel partito politico?”. Questa critica politica spicciola è quella per cui un partito afferma che la responsabilità della crisi sta nel governo del partito nemico, e quindi il PD dirà che è colpa di Berlusconi, e questi dirà il contrario. Oggi si comincia a dire che “la colpa è della Germania”.

Un altro esempio. Visto che la crisi impone alla borghesia imperialista di sfruttare in modo sempre più feroce le masse popolari del proprio e di altri paesi, milioni di persone abbandonano quei paesi dove non hanno più da vivere o che sono devastati da guerre e vengono nei paesi nostri, dove sono impiegati come manodopera a basso costo. “Critica politica spicciola” in questo caso è quella che vede l'immigrato che lavora al posto del nativo, e denuncia il fatto che “gli immigrati ci rubano il lavoro”. Qui ha radice importante la mobilitazione reazionaria delle masse popolari.

Proseguiamo: si tratta dunque di una crisi che “talvolta si prolunga per decine di anni. Questa durata eccezionale significa che nella struttura si sono rivelate (sono venute a maturità) contraddizioni insanabili e che le forze politiche operanti positivamente alla conservazione e difesa della struttura stessa si sforzano tuttavia di sanare entro certi limiti e di superare.” Qui non va detto “talvolta”, ma in precise condizioni che si determinano in modo non casuale, anche se non è proprio il caso di mettersi a calcolare quando inizierà la “fase critica che porterà al definitivo crollo del capitalismo”, perché il capitalismo non crolla da solo: la rivoluzione si costruisce, non scoppia. Tuttavia ci sono cause oggettive operanti. Quanto Gramsci ne tiene conto, quanto le riconosce, quanto scrive in modo vago per non farsi capire dai censori fascisti?

Gramsci è consapevole comunque che sono operanti “contraddizioni insanabili”, a cui la classe dominante, la borghesia imperialista, cerca di porre rimedio, perché non vuole morire. “Insanabile” è la contraddizione fondamentale: quella tra carattere collettivo delle forze produttive e proprietà privata dei mezzi di produzione. Sviluppo in senso collettivo delle forze produttive significa che per produrre un bene (un oggetto o un servizio) serve il concorso di lavoratori diversi e di unità produttive (aziende) diverse, differentemente dalla situazione in cui un singolo (la famiglia contadina del feudo europeo, il villaggio asiatico - unità produttiva e unità di consumo grossomodo coincidevano) produceva tutte o molte delle cose necessarie alla sua sopravvivenza, come accadeva ancora nelle campagne italiane nella prima metà del secolo scorso, e come faceva Robinson Crusoe nell'isola sua. Il concorso di molti e la tecnologia che usano consente una produzione di beni con un risparmio di lavoro impensabile pochi decenni fa, cosa che consentirebbe una produzione razionale dove si produce il necessario per tutti con molto minore lavoro. Ma questo cozza con il principio per cui la produzione non è finalizzata a soddisfare le esigenze della collettività, ma il profitto dei singoli, che quindi decidono se e cosa produrre. Da un lato, quindi, grande sviluppo delle forze produttive in senso collettivo che è base per un salto di qualità nella storia della specie umana. Dall'altro rapporti di produzione per cui il prodotto è proprietà di singoli, che si oppongono a questo salto di qualità perché la produzione è finalizzata a realizzare il loro interesse, non l'interesse di tutti. Per questo motivo si dà lo “strano” fenomeno del distruggere beni prodotti o impedire che si produca quanto è possibile produrre (distruzione di arance, quote di produzione del latte, fondi ai contadini del Meridione italiano perché non coltivino olivi, eccetera).

Oggi siamo, ma già lo eravamo ai tempi di Gramsci, in una condizione per cui possiamo produrre tutto il necessario per soddisfare le esigenze materiali e spirituali della società lavorando molto meno di quanto lavoriamo, e invece quelli che hanno un lavoro lavorano di più e la miseria aumenta. Attorno a questo fenomeno che sta diventando ormai evidente alle grandi masse popolari si svolgono, dice Gramsci, “una serie di polemiche ideologiche, religiose, filosofiche, politiche, giuridiche” per lo più volte a mascherare il problema vero. Ma qui entrano in campo le “forze antagonistiche”, termine mascherato per indicare i comunisti, o meglio il partito comunista (anche secondo Gramsci i comunisti sono tali quando sono uniti nel partito, perché solo il collettivo riesce a elaborare e riunire le condizioni per un’attività politica efficace dell’individuo). Il partito comunista vuole dimostrare che “esistono già le condizioni necessarie e sufficienti perché determinati compiti possano e quindi debbano essere risolti”, cioè che esistono già le condizioni materiali per il socialismo, che è “1. il potere statale delle masse popolari organizzate e 2. la produzione dei beni e dei servizi affidata ad aziende pubbliche che hanno la funzione di soddisfare i bisogni della popolazione in condizioni di sicurezza per i lavoratori e la popolazione e di salvaguardia e miglioramento dell’ambiente e lavorano secondo un piano economico nazionale via via sempre più coordinato a livello internazio­nale, pubblicamente discusso e approvato.”(6)

 

6. La Voce del (nuovo)PCI, , n. 45, novembre 2013, p. 4.

 

La loro dimostrazione è vera [cioè aderisce concretamente alla realtà nei suoi aspetti generali e particolari] se riescono effettivamente a realizzare il socialismo, a fare la rivoluzione socialista. I comunisti devono instaurare il socialismo. Non farlo significa “venir meno al dovere storico” e se non riescono a farlo allora ciò “aumenta il disordine necessario e prepara più gravi catastrofi”. Anche qui Gramsci manifesta la più avanzata coscienza del presente e del futuro: del presente, dato che l'Italia è da un decennio sotto la dittatura fascista e in Germania i nazisti stanno prendendo il potere; del futuro, della Seconda Guerra Mondiale, delle armi di distruzione di massa, dei campi di sterminio.

In sintesi, non fare la rivoluzione socialista comportò, cosi come oggi comporta, l'avanzare della mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Se il partito comunista non riesce a indirizzare le masse popolari contro la borghesia imperialista, il vero responsabile della devastazione presente e futura, e costruire la rivoluzione e, nel caso nostro, fare dell'Italia un nuovo paese socialista, allora sarà la borghesia imperialista a muovere una parte delle masse popolari contro un'altra, come si fa mobilitando i nativi contro gli immigrati, con il fascismo e il nazismo, e infine masse popolari di un paese contro quelle di un altro paese, quindi guerra.

Questo è quanto dice Gramsci in queste righe. Richiede tempo per essere riportato alla luce. Richiede poi tempo per essere spiegato, perché il suo discorso è nuovo, anticipatore, per i suoi tempi. Solo oggi riusciamo a comprenderne la potenza come strumento per la rivoluzione. Richiede tempo, però, non solo perché noi dobbiamo dire chiaramente ciò che Gramsci non poteva dire; non solo perché bisogna togliere di mezzo il fango accumulato nei decenni di cui si parla all'inizio di questa nota; non solo perché il tempo suo non è lo stesso del nostro; ma anche per andare oltre ciò che Gramsci non ha compreso e ciò che ha compreso male.

Gramsci non comprende o comprende male la natura della crisi di cui pure qui e altrove mostra di intuire aspetti essenziali. Da un lato dice che la crisi è un processo, e quindi essendo uno è un fenomeno che si articola in diversi avvenimenti, ma scriverà anche (paragrafo 5 del Quaderno 15) che bisogna “combattere chiunque voglia di questi avvenimenti dare una definizione unica, o che è lo stesso, trovare una causa o un’origine unica. Si tratta di un processo, che ha molte manifestazioni e in cui cause ed effetti si complicano e si accavallano. Semplificare significa snaturare e falsificare. Dunque: processo complesso, come in molti altri fenomeni, e non "fatto" unico che si ripete in varie forme per una causa ad origine unica.”(7) Questa affermazione, cui in quel paragrafo 5 del Quaderno 15 se ne accompagnano altre alcune delle quali vicine alla verità, è sbagliata, impedisce di avere una visione scientifica del fenomeno in esame, e operare senza un visione del genere è come condurre una guerra senza avere conoscenza del terreno su cui svolgere le operazioni. La mancata capacità di comprensione della natura della crisi è infatti uno dei motivi per cui la sinistra del movimento comunista italiana e internazionale negli anni ’20 e ’30 condusse in modo non efficace la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti e non fu capace di impedire che, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il movimento comunista venisse preso in mano dalla destra, che a partire da quei decenni ne iniziò la lenta erosione.

 

7. QC 15, § 5 - VG, pp. 1755.

 

L’errore in cui si cade spesso nelle analisi storico-politiche consiste nel non saper trovare il giusto rapporto tra ciò che è organico e ciò che è occasionale: si arriva così o ad esporre come immediatamente operanti cause che invece sono operanti mediatamente [cioè tramite una serie più o meno lunga di termini intermedi], o ad affermare che le cause immediate sono le sole cause efficienti; nell’un caso si ha l’eccesso di “economismo” o di dottrinarismo pedante, dall’altro l’eccesso di “ideologismo”; nell’un caso si sopravalutano le cause meccaniche, nell’altro si esalta l’elemento volontaristico e individuale.

NOTA 4

Gramsci qui indica le due principali deviazioni del movimento comunista internazionale, che persistono anche oggi e sono il principale ostacolo alla rinascita del movimento comunista. Si tratta dell'economicismo (“economismo”) e del dogmatismo (“ideologismo”)

Per comprendere la natura di queste due deviazioni consideriamo una nozione base della dialettica. Il rapporto tra noi e il mondo, tra il pensiero e la realtà, tra la soggettività e l'oggettività è contraddittorio, e ognuno lo sa: basta veda quanto è complesso realizzare le proprie aspirazioni, o magari ottenere il necessario per vivere. La contraddizione è unità di opposti: il pensiero e la realtà sono opposti (la rivoluzione che ho in mente non è immediatamente la rivoluzione nella realtà, così come il pane che penso di portare ai miei figli non mi cade dal cielo come gli hamburgers nel film “Piovono polpette”, ma devo coltivare il campo se sono contadino, o trovare soldi per comprarlo dal fornaio se sono cittadino). Il pensiero e la realtà sono però anche uniti: l'immagine della luna che sta nella mia retina non è la luna, però anche lo è perché è il termine del raggio che la luna manda, e la rivoluzione che ho in mente non è la conquista gloriosa del potere con l'abbattimento del regime che ci opprime, ma anche lo è perché quell'abbattimento è solo la fase conclusiva di un processo, di una rivoluzione, che io sto attuando in questo preciso istante. Di cento unità, infatti, ciascuna è un centesimo, non solo l'ultima della serie. Questi esempi sono volti a spiegare il carattere contraddittorio dei fenomeni, che consiste nel loro essere e non essere la stessa cosa.

Chi non capisce questa dialettica vede solo la separazione e non l'unità degli opposti. Questo capita anche nel movimento comunista, e le due deviazioni di cui Gramsci parla sopra sono appunto i due modi sbagliati di intendere il movimento rivoluzionario.

         L'economicismo vede solo la realtà, e non il pensiero. Esalta la pratica, disprezza la teoria. Dice che le masse non si interessano dei “grandi obiettivi” ma solo dei risultati immediati. Loro stessi, quindi, si occupano solo dell'immediato, cioè, dice Gramsci, di quello che capita loro davanti, dell'occasionale. Gli economicisti sono di due tipi: gli opportunisti di destra e quelli di sinistra.

o        Sono opportunisti di destra i sindacati di regime (CGIL, CISL, UIL, fondamentalmente): dicono che alle masse non interessa la trasformazione rivoluzionaria della società, e d'altro canto affermano che questa trasformazione rivoluzionaria non è possibile né necessaria, perché arriveremo dove vogliamo arrivare, a una società di uguali, felici e benestanti, passo dopo passo, senza più guerre né rivoluzioni, appunto. Quindi le lotte delle masse popolari vanno indirizzate verso l'ottenimento degli obiettivi immediati: il salario, il posto di lavoro, l'avanzamento professionale, eccetera. La rivoluzione non ci sarà. È un ricordo del passato, una fissazione da estremisti e sognatori, eterni insoddisfatti.

o        Sono opportunisti di sinistra i vari soggetti antagonisti che si oppongono ai sindacati di regime, dichiarando che una trasformazione rivoluzionaria invece ci vuole, ma pensano che tale obiettivo non è comprensibile per le masse popolari che, secondo loro, sono interessate solo all'obiettivo immediato, cioè il salario, il posto di lavoro, l'avanzamento professionale, eccetera. Le masse quindi lottano per quelle cose, che in tempi di crisi non vengono loro concesse, e quanto meno verranno concesse tanto più “crescerà la loro rabbia” e infine si ribelleranno. Solo a quel punto i “rivoluzionari “ si presenteranno come tali, spiegheranno il dato di fatto, le masse comprenderanno quindi la rivoluzione visto che l'avranno davanti al naso e seguiranno i “rivoluzionari” alla conquista dei palazzi del potere. La rivoluzione, quindi, un giorno scoppierà.

o        Il dogmatismo vede solo il pensiero, non la realtà. I dogmatici conoscono i principi della scienza marxista esposta nei classici, sanno quindi che secondo tali principi la rivoluzione ci sarà come si sa che alla notte segue il giorno, e quindi aspettano che la storia confermi la verità che nel loro pensiero è già compiuta. La luna, per loro, è quella che hanno stampata sulla retina, e a quella il satellite si adeguerà un giorno. Non si occupano dei dettagli in cui si perdono gli economicisti. Non si curano di comprendere se il loro lavoro di rivoluzionari è sbagliato: come potrebbe, visto che la verità è nella loro mente? Estremizzando, non c'è alcun bisogno di lavoro, perché la rivoluzione è fenomeno che accadrà comunque. Non estremizzando, cioè comprendendo che si è rivoluzionari perché si fa qualcosa, e non perché si aspetta qualcosa, il fare sarà trasmettere la verità che conoscono alle masse, spiegare loro che la rivoluzione è necessaria, accelerare i tempi, prepararsi. Quando le masse si renderanno conto che bisogna fare la rivoluzione, la faranno, cioè accetteranno la guida di questi “rivoluzionari” e andranno alla conquista del potere. Anche per questa categoria di persone la rivoluzione, quindi, scoppierà.

Dogmatismo ed economicismo vanno spesso insieme. Escludendo l'economicismo di destra, quello di sinistra e il dogmatismo aspettano entrambi la “rivoluzione che scoppia”, il che avverrà per “cause meccaniche”. Gli economicisti intervengono nelle lotte in corso per renderle più radicali. Il loro slogan è “lotta, lotta, lotta!” ed è inteso come un crescendo. Non conta l'obiettivo immediato della lotta, secondo loro, ma la continuazione della lotta è l'obiettivo immediato. Nemmeno per i dogmatici conta l'obiettivo immediato della lotta, l'unico obiettivo della lotta è la rivoluzione. I primi scambiano ogni fatto “di congiuntura” come organico, come se quello dovesse essere causa della rivoluzione. I secondi non si curano del singolo fatto “di congiuntura” ma solo dei “fatti organici”. Entrambi non si curano della teoria, gli economicisti perché pensano che non serva, i dogmatici perché pensano che è bell'e fatta, da Marx, da Lenin, da Stalin o da Mao o da qualcun altro. Quindi nessuno dei due accetta di portare avanti una analisi scientifica e un dibattito scientifico sul fatto e sul da farsi. La discussione è di poca importanza, e poco importa infine distinguere tra fatti “organici” e fatti di “congiuntura”, perché in ogni caso la rivoluzione scoppierà. Diversa la posizione dei rivoluzionari veri, che sanno che la rivoluzione si costruisce, e quando qualcosa si costruisce, qualsiasi cosa, ci vuole scienza, e tanta di più e tanto più esatta quanto più il compito è nuovo e quanto più comporta rischi, perché si ha di fronte un nemico che usa tutti i mezzi a disposizione per impedire la costruzione e per abbattere quanto costruito. La rivoluzione si costruisce ma come una guerra, non come una casa o come un ponte.

 

(La distinzione tra “movimenti” e fatti organici e movimenti e fatti di «congiuntura» o occasionali deve essere applicata a tutti i tipi di situazione, non solo a quelle in cui si verifica uno svolgimento regressivo o di crisi acuta, ma anche a quelle in cui si verifica uno svolgimento progressivo o di prosperità e a quelle in cui si verifica una stagnazione delle forze produttive). Il nesso dialettico tra i due ordini di movimento e quindi di ricerca, difficilmente viene stabilito esattamente e se l’errore è grave nella storiografia, ancor più grave diventa nell’arte politica, quando si tratta non di ricostruire la storia passata ma di costruire quella presente e avvenire: i propri desideri e le proprie passioni deteriori e immediate sono la causa dell’errore, in quanto essi sostituiscono l’analisi obbiettiva e imparziale e ciò avviene non come «mezzo» consapevole per stimolare all’azione ma come autoinganno. La biscia, anche in questo caso, morde il ciarlatano ossia il demagogo è la prima vittima della sua demagogia.

NOTA 5

Anche Gramsci è convinto che la rivoluzione socialista si costruisce. La storia per lui non è quella che si insegna all'università né quella dei dogmatici che esaltano le rivoluzioni fatte da chi li ha preceduti, ma quella che si fa a partire da qui e ora, e infatti “si tratta non di ricostruire la storia passata ma di costruire quella presente e avvenire”. Per costruire, come detto nella nota precedente, ci vuole scienza, cioè “analisi obbiettiva e imparziale”, capace quindi di distinguere il fenomeno occasionale (l'introduzione dell'euro, ad esempio) da quello organico (la crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale), e poi di distinguere un fenomeno organico come la crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale dal fenomeno epocale dell'imperialismo, e quindi distinguere l'imperialismo come forma specifica di capitalismo, e il capitalismo come modo di produzione della società borghese che è forma specifica della società divisa in classi. Chi non ha intenzione di costruire, ma vuole fare solo proclami volti ad infiammare le masse o declamazioni volte ad annoiarle, alla fine inganna solo se stesso, dice Gramsci. Gli esempi di questo “autoinganno” sono infiniti. Al tempo nostro, sono esemplari tutte le rivendicazioni avanzate ai governi della Repubblica Pontificia perché facciano questo e quello, perché adottino questa o quella soluzione o perché è necessaria per la sopravvivenza di settori delle masse popolari o perché è “razionale” e “fattibile”, come spiegano ogni giorno mestamente gli editorialisti del Manifesto da decenni, convinti di avere davanti una classe di governo formata da stupidi. Si grida dunque nelle piazze che “noi il debito non lo paghiamo”, mentre lo paghiamo e lo continuiamo a pagare. Si fanno mozioni perché la Cassa Depositi e Prestiti sia utilizzata per il bene comune, dimenticando che chi è al governo visto che se ne è infischiato dei risultati del referendum per l'acqua bene comune (giugno 2011) e dei risultati delle ultime elezioni politiche (febbraio 2013), se ne può infischiare benissimo di tutte le mozioni di questo mondo. Noi il debito non lo pagheremo e gestiremo la Cassa Depositi e Prestiti e il resto delle risorse economiche a disposizione dello Stato quando avremo per lo meno un governo che porrà al primo posto la difesa degli interessi immediati delle masse popolari, cioè, oggi, un governo di emergenza che abbiamo chiamato Governo di Blocco Popolare.

 

Il non aver considerato il momento immediato dei “rapporti di forza” è connesso a residui della concezione liberale volgare, di cui il sindacalismo [organizzazione e lotta sindacale senza “sponda politica”, senza proprio portavoce nelle istituzioni della democrazia borghese, ndr] è una manifestazione che credeva di essere più avanzata [della concezione liberale volgare, il socialismo riformista, parlamentarista] mentre faceva in realtà un passo indietro. Infatti la concezione liberale volgare dando importanza al rapporto delle forze politiche organizzate nelle diverse forme di partito (lettori di giornali, elezioni parlamentari e locali, organizzazione di massa dei partiti e dei sindacati in senso stretto), era più avanzata del sindacalismo che dava importanza primordiale al rapporto fondamentale economico-sociale [proletario contro capitalista, ndr] e solo a questo. La concezione liberale volgare teneva conto implicito anche di tale rapporto (come appare da tanti segni), ma insisteva di più sul rapporto delle forze politiche che era un'espressione dell'altro e in realtà lo conteneva. Questi residui della concezione liberale volgare si possono rintracciare in tutta una serie di trattazioni che si dicono connesse alla filosofia della prassi [al marxismo, al movimento comunista] e hanno dato luogo a forme infantili di ottimismo e di scempiaggine [non è stato possibile stabilire a quali individui, gruppi o pubblicazioni della sua epoca Gramsci qui si riferiva, ndr]. 

NOTA 6

Qui si oppongono "concezione liberale volgare" e "sindacalismo". La prima dà importanza solo alla sovrastruttura, cioè alle relazioni politiche della democrazia borghese, il secondo dà importanza solo alla struttura, cioè alle relazioni sul piano economico. Il "rapporto fondamentale economico-sociale" è la relazione tra classe operaia e borghesia, cioè lo sfruttamento della classe operaia da parte della borghesia. È vero, dice Gramsci, che questo rapporto è quello originario, cioè che alla base di tutte le relazioni sociali sta questo sfruttamento, ma non si possono ridurre tutte le relazioni sociali immediatamente e direttamente a questo rapporto originario. Una posizione così unilaterale come il sindacalismo è più primitivo dell'altra, che dà peso eccessivo alle relazioni della democrazia borghese, e però tiene in qualche modo conto del rapporto originario, cioè della contraddizione di classe.

Anche la "concezione liberale volgare" tuttavia non porta da nessuna parte. Immagina la possibilità di superare sul piano politico [della lotta politica borghese] la contraddizione di classe, cioè, in sintesi, di convincere con buoni argomenti la borghesia a smettere di sfruttare la classe operaia. Se questo accadesse, sparirebbe la divisione di classe e sparirebbe anche la borghesia come classe sfruttatrice. La pretesa della "concezione liberale volgare" quindi è di convincere la borghesia a suicidarsi in quanto classe, e questa è una forma “di ottimismo e di scempiaggine". È una forma dura a morire, comunque, e infatti oggi si mantiene in tutte quelle azioni e rivendicazioni che chiedono o pretendono dalla Repubblica Pontificia provvedimenti incompatibili con il mantenimento del suo potere, che si fonda sul mantenimento del modo di produzione capitalista e della divisione in classi. Manca a tutte quelle azioni e rivendicazioni l"ottimismo", cioè l'idea che di riforma in riforma si arriverà al socialismo, senza mai più rivoluzioni né guerre, idea che i revisionisti contrabbandarono a partire dalla metà degli anni Cinquanta, che parve vera quando le cose andavano bene, cioè nel periodo del capitalismo dal volto umano, e che si è dissolta mano a mano che è avanzata la crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. Oggi sia la sinistra borghese, erede della "concezione liberale volgare", sia i sindacati alternativi più o meno antagonisti, continuano a pretendere soluzioni da chi non le può dare ma avanzano pretese più con disperazione e rabbia che con un "ottimismo" che sta a zero. Chiedono per forza di inerzia. Manca loro la volontà costruttiva, la assunzione di responsabilità di governo, perché manca loro la scienza necessaria, la concezione comunista del mondo.

Sia oggi sia ieri i soggetti in questione non si curano dei "rapporti di forza" oggettivi. Scambiano per pensieri i loro desideri. Oggi come ieri sono al di qua del limite che separa lotta politica da lotta rivoluzionaria. O sono scemi, dice Gramsci, in attesa di una rivoluzione che si farà quando le loro buone ragioni saranno riconosciute, o aspettano che la rivoluzione scoppi con una rivolta delle masse popolari che travolgerà i potenti. Gramsci non condivide la concezione secondo cui la rivoluzione scoppia.

 

Questi criteri metodologici possono acquistare visibilmente e didatticamente tutto il loro significato se applicati all'esame di fatti storici concreti. Si potrebbe farlo utilmente per gli avvenimenti che si svolsero in Francia dal 1789 al 1870. Mi pare che per maggior chiarezza dell'esposizione sia proprio necessario abbracciare tutto questo periodo. Infatti solo nel 1870-71, con la Comune di Parigi, si esauriscono storicamente tutti i germi nati nel 1789. Cioè non solo la nuova classe che lotta per il potere [la borghesia] sconfigge i rappresentanti della vecchia società [la nobiltà e il clero] che non vuole confessarsi decisamente superata, ma sconfigge anche i gruppi nuovissimi [gli operai] che sostengono già superata la nuova struttura sorta dal rivolgimento iniziatosi nel 1789 e dimostra così di essere vitale e in confronto al vecchio e in confronto al nuovissimo. Inoltre, col 1870-71, perde efficacia l'insieme di principi di strategia e tattica politica nati praticamente nel 1789 e sviluppati ideologicamente intorno al '48 (quelli che si riassumono nella formula della «rivoluzione permanente»: sarebbe interessante studiare quanto di tale formula è passata nella strategia mazziniana - per es. per l'insurrezione di Milano del 1853 - e se è avvenuto consapevolmente o meno). Un elemento che mostra la giustezza di questo punto di vista è il fatto che gli storici non sono per nulla concordi (ed è impossibile che lo siano) nel fissare i limiti di quel gruppo di avvenimenti che costituisce la rivoluzione francese. Per alcuni (per es. il Salvemini) la rivoluzione è compiuta a Valmy [20.09.1792]: la Francia ha creato un nuovo Stato e ha saputo organizzare la forza politico-militare che ne afferma e ne difende la sovranità territoriale. Per altri la Rivoluzione continua fino al Termidoro [27-28.07.1794], anzi essi parlano di più rivoluzioni (il 10 agosto sarebbe una rivoluzione a sé, ecc.; cfr. la Rivoluzione francese di A. Mathiez nella collezione Colin). Il modo di interpretare il Termidoro e l'opera di Napoleone offre le più aspre contraddizioni: si tratta di rivoluzione o di controrivoluzione? ecc. Per altri la storia della Rivoluzione continua fino al 1830, 1848, 1870 e persino fino alla guerra mondiale del 1914.

NOTA 7

Nella prima parte di questo paragrafo Gramsci critica l'idea secondo cui la rivoluzione scoppia, come una insurrezione delle masse popolari durante la quale una nuova classe dominante si imporrebbe, così come sono state le rivoluzioni del passato fino alla Rivoluzione Francese. I tentativi rivoluzionari successivi, tra i quali sono principali i moti del 1848 e la Comune di Parigi (il "tentativo comunalistico") basati sull'idea della rivoluzione come insurrezione, sono falliti, il che dimostra che l'idea non funziona più.

La posizione di Gramsci corrisponde a quella di Engels. “Nella Introduzione del 1895 [a Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 di K. Marx, ndr] F. Engels fece il bilancio delle esperienze fino allora compiute dalla classe operaia ed espresse chiaramente la tesi che “la rivoluzione proletaria non ha la forma di un’insurrezione delle masse popolari che rovescia il governo esistente e nel corso della quale i comunisti, che partecipano ad essa assieme agli altri partiti, prendono il potere”. La rivoluzione proletaria ha la forma di un accumulo graduale delle forze attorno al partito comunista, fino ad invertire il rapporto di forza: la classe operaia deve preparare fino ad un certo punto “già all’interno della società borghese gli strumenti e le condizioni del suo potere”". (MP, p. 199) Questo accumulo graduale di forze è parte di una rivoluzione come processo che si costruisce, e si costruisce (si sviluppa) come una guerra. Si tratta quindi di una rivoluzione di forma nuova, mai vista prima, perché qui non si tratta di sostituire una classe al potere con un'altra, ma di abolire le classi. Richiede quindi la partecipazione cosciente delle masse popolari, e non il loro uso come massa di manovra da parte di una nuova classe dominante. L'accumulo delle forze è appunto incremento della partecipazione cosciente delle masse popolari, perché la società senza classi che si vuole costruire, sulla partecipazione cosciente delle masse popolari si fonda.

La rivoluzione quindi comincia prima della conquista del potere da parte della classe operaia. Non si determina per impulso esterno, per "crollo del capitalismo sotto il peso delle sue contraddizioni" né per "insurrezione delle masse popolari che si ribellano perché le loro condizioni sono insostenibili", ma per decisione dei comunisti, cioè del loro partito comunista. Inizia anzi con la costituzione del partito comunista, che la conduce per tutto il tempo necessario come una guerra, popolare perché richiede la partecipazione delle masse popolari, rivoluzionaria perché è rivoluzione in corso d'opera.

"La nuova classe che lotta per il potere" è la borghesia. Essa "sconfigge i rappresentanti della vecchia società", che sono le classi feudali, "ma sconfigge anche i gruppi nuovissimi che sostengono già superata la nuova struttura sorta dal rivolgimento iniziatosi nel 1789", cioè la classe operaia. "Dimostra così di essere vitale e in confronto al vecchio e in confronto al nuovissimo", o meglio dimostra di essere vincente. La borghesia cessa di essere "vitale" nell'epoca dell'imperialismo, epoca in cui può solo resistere, e anzi diventa portatrice di morte, perché il persistere del suo dominio genera distruzione. Inoltre, proprio in questa fase, per fare fronte ai "nuovissimi", in Italia si allea con "la vecchia società", cioè con il Papato.

In ogni caso più che di vittoria della borghesia dobbiamo parlare di sconfitta della classe operaia, sconfitta dovuta all'incomprensione del carattere di guerra che oppone questa classe alla borghesia, sia nel senso classico, cioè di scontro armato, ma soprattutto nel senso nuovo, cioè nel senso che la rivoluzione non è insurrezione, come dirà Engels nel passo sopra citato, e con cui Gramsci concorda, dicendo che "col 1870-71, perde efficacia l'insieme di principi di strategia e tattica politica nati praticamente nel 1789 e sviluppati ideologicamente intorno al '48 (quelli che si riassumono nella formula della «rivoluzione permanente»: sarebbe interessante studiare quanto di tale formula è passata nella strategia mazziniana - per es. per l'insurrezione di Milano del 1853 - e se è avvenuto consapevolmente o meno)." I principi di tattica e strategia indicati sono quelli per cui la rivoluzione è intesa come insurrezione, che nel 1789 porta al potere la borghesia, ma né nel '48, né nel 1853, né nel 1870-71 porta al potere la classe operaia.

L’espressione "rivoluzione permanente" è usato qui come altrove Gramsci usa l’espressione "guerra di manovra", nel senso di rivoluzione che è, dal suo inizio alla sua conclusione vittoriosa, uno scontro militare. Una concezione della rivoluzione socialista che secondo lui non funziona, mentre quella che ci vuole in un paese imperialista è la "guerra di posizione", quella che oggi il movimento comunista chiama Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata. La rivoluzione permanente è la formula che Trotzki riprende da Marx e vorrebbe trasporre nella situazione creata dalla vittoria dell’Ottobre 1917. Gramsci, nel paragrafo 68 del Quaderno 14, sostenendo la posizione di Stalin contro quella di Trotzki in materia di strategia rivoluzionaria, afferma che “le debolezze teoriche di questa forma moderna del vecchio meccanicismo sono mascherate dalla teoria generale della rivoluzione permanente che non è altro che una previsione generica presentata come dogma e che si distrugge da sé, per il fatto che non si manifesta effettualmente.”

 

 

In tutti questi modi di vedere c’è una parte di verità. Realmente le contraddizioni interne della struttura sociale francese che si sviluppano dopo il 1789 trovano una loro relativa composizione solo con la terza repubblica e la Francia ha 60 anni di vita politica equilibrata dopo 80 anni di rivolgimenti a ondate sempre più lunghe: 1789-1794-1799-1804-1815-1830-1848-1870. È appunto lo studio di queste “ondate” a diversa oscillazione che permette di ricostruire i rapporti tra struttura e superstruttura da una parte e dall’altra tra lo svolgersi del movimento organico e quello del movimento di congiuntura della struttura. Si può dire intanto che la mediazione dialettica tra i due principi metodologici enunciati all’inizio di questa nota si può trovare nella formula politico-storica di rivoluzione permanente.

Un aspetto dello stesso problema è la questione così detta dei rapporti di forza. Si legge spesso nelle narrazioni storiche l’espressione generica: rapporti di forza favorevoli o sfavorevoli a questa o a quella tendenza. Così, astrattamente, questa formulazione non spiega nulla o quasi nulla, perché non si fa che ripetere il fatto che si deve spiegare presentandolo una volta come fatto e una volta come legge astratta e come spiegazione. L’errore teorico consiste dunque nel dare un canone di ricerca e di interpretazione come “causa storica”.

NOTA 8

L'errore teorico di cui parla Gramsci è quello di chi dichiara l'impossibilità di agire "perché il nemico è troppo forte". Nel presente, è dichiarare che un Governo di Blocco Popolare, che difenda gli interessi delle masse popolari, sarebbe bello, ma non si può fare perché "i rapporti di forza sono sfavorevoli", e con ciò restare fermi all'opposizione, in attesa che i rapporti di forza diventino favorevoli, come si aspetta, magari, la primavera, invece di chiedersi il perché oggi sono sfavorevoli, in che senso e sotto quale aspetto e come è possibile, se è possibile, trasformarli e scoprire se effettivamente lo sono, il che è giusto chiedersi, vista la tendenza al dichiararsi sconfitti prima di iniziare a combattere o per non iniziare nemmeno a combattere, comune ad opportunisti di destra e di sinistra. È sulla base di questa comprensione scientifica dei rapporti di forza che si fonda una linea, un processo di costruzione in cui i rapporti di forza diventano "favorevoli".

Un esempio ulteriore: dopo la sconfitta delle Organizzazioni Combattenti Comuniste negli anni Ottanta esponenti delle Brigate Rosse affermarono che avevano perso "perché il nemico era forte." "Abbiamo perso" è il fatto che, dice Gramsci, viene presentato. "Perché il nemico era forte" è, dice Gramsci, la "legge astratta" che viene data come spiegazione generale del fatto particolare. Questa che si contrabbanda come "spiegazione" è solo ripetizione. Nella società divisa in classi la classe dominante è tale perché è "forte", e perciò sottomette, cioè sconfigge la classe dominata, che se dovesse basarsi su una scienza del genere non dovrebbe ribellarsi mai né mai essersi ribellata. Una "scienza" del genere torna chiaramente molto comoda ai dominatori, che non a caso finanziarono pentiti e dissociati disposti a divulgarla. Ma la realtà vivente è dialettica, contraddittoria: quello che oggi è forte contemporaneamente è debole, e viceversa. Entrare in dettaglio nell'esame dei rapporti di forza a partire da questo principio è il compito dei comunisti.

 

 

 

Intanto nel “rapporto di forza” occorre distinguere diversi momenti o gradi, che fondamentalmente sono questi:

1) Un rapporto di forze sociali strettamente legato alla struttura, obbiettivo, indipendente dalla volontà degli uomini, che può essere misurato coi sistemi delle scienze esatte o fisiche. Sulla base del grado di sviluppo delle forze materiali di produzione si hanno i raggruppamenti sociali, ognuno dei quali rappresenta una funzione e ha una posizione data nella produzione stessa. Questo rapporto è quello che è, una realtà ribelle: nessuno può modificare il numero delle aziende e dei suoi addetti, il numero delle città con la data popolazione urbana, ecc. Questo schieramento fondamentale permette di studiare se nella società esistono le condizioni necessarie e sufficienti per una sua trasformazione, permette cioè di controllare il grado di realismo e di attuabilità delle diverse ideologie che sono nate nel suo stesso terreno, nel terreno delle contraddizioni che esso ha generato durante il suo sviluppo.

NOTA 9

I rapporti di forza si definiscono su un piano oggettivo, cioè sul piano economico. È un piano indipendente dalla volontà dei soggetti, cioè delle classi, dei gruppi e degli individui. L'andamento del processo economico è effettivamente misurabile tramite "scienza esatta", e infatti si può stabilire che questa è una crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale e anche quando è iniziata. In base all'andamento del processo oggettivo, si definisce il raggio d'azione entro cui si estendono i rapporti di forza, cioè quanto terreno una classe può occupare a scapito dell'altra. Così nel periodo del capitalismo del volto umano la borghesia poteva cedere terreno alla classe operaia, che ottenne infatti conquiste importanti. Da quando è iniziata questa crisi, la borghesia non può più cedere terreno alla classe operaia. Questo, seguendo quello che dice Gramsci, non avviene perché i capitalisti di ieri erano più progressisti e "buoni" di quelli odierni, perché Olivetti era migliore di Marchionne, ma per ragioni oggettive indipendenti da Olivetti e Marchionne così come indipendenti da Di Vittorio e dalla Camusso.

Nello scontro tra classi questo è lo stadio della lotta rivendicativa della classe operaia, storicamente datosi a partire dalla formazione della classe fino all'inizio dell'epoca imperialista, cioè fino alla seconda metà dell'Ottocento. Con l'inizio dell'epoca imperialista, la divisione in classi inizia a diventare obsoleta, cioè sul piano oggettivo, economico si danno le condizioni per cui non sia più l'economia a guidare la politica di una società, ma che sia la politica a guidare l'economia. La stessa borghesia, la cui ragione d'essere è il profitto individuale e che piega la società intera a questo fine (in tale senso Berlusconi né è campione) ha dichiarato che la società da lei diretta deve garantire uguaglianza, libertà, fraternità, il che non può avvenire, logicamente, mantenendo la divisione in classi, perché le classi sono diverse nel senso che una sta sopra, l'altra sotto, una sfrutta, l'altra è sfruttata, una dirige, l'altra è diretta, eccetera, tutte condizioni che con l'uguaglianza di sicuro non hanno a che fare, né con libertà e fraternità (di sicuro non furono fraterne le relazioni tra classi nella Comune di Parigi, per dirne una sola)

 

2) Un momento successivo è il rapporto delle forze politiche, cioè la valutazione del grado di omogeneità, di autocoscienza e di organizzazione raggiunto dai vari gruppi sociali. Questo momento può essere a sua volta analizzato e distinto in vari gradi, che corrispondono ai diversi momenti della coscienza politica collettiva, così come si sono manifestati finora nella storia.

Il primo e più elementare grado è quello economico-corporativo: un commerciante sente di dover essere solidale con un altro commerciante, un fabbricante con un altro fabbricante, ecc., ma il commerciante non si sente ancora solidale col fabbricante; è cioè sentita l’unità omogenea, e il dovere di organizzarla, del gruppo professionale, ma non ancora del gruppo sociale più vasto.

NOTA 10

Gramsci sta illustrando la storia di come si sviluppa la lotta del movimento operaio nel secolo diciannovesimo. Partiamo dalle origini: un operaio è portato istintivamente a opporsi allo sfruttamento, e lo fa prima di tutto come singolo. Questa fase originaria del movimento operaio avviene subito, ma si riproduce nei secoli, fino a oggi, con gli operai immigrati nel nostro paese, ad esempio, dove si vede come il passaggio dalla lotta come singoli a quella organizzata e collettiva non è semplice ed è combattuta dalla borghesia con ogni mezzo. Ognuno, all'inizio, pensa per sé solo, e questo individualismo originario persiste in ogni posto di lavoro, come sa ogni delegato sindacale che cerca di convincere la maggioranza o tutti i lavoratori ad aderire a un sciopero

Quando avviene il passaggio dal tentare di risolvere i propri problemi a livello individuale alla lotta per risolverli in modo collettivo si costituiscono i sindacati, che operano sul terreno rivendicativo. Le lotte rivendicative però hanno a fronte una “controparte”, come si dice in gergo sindacale moderno, organizzata come Stato: la borghesia, cui appartiene il padrone della fabbrica dove gli operai sono in lotta, ha in mano il potere politico, ragione per cui il padrone non è uno solo contro gli operai che sono tanti, ma ha con sé le forze armate che lo Stato mette a sua disposizione per reprimere la lotta nel caso questo venga ritenuto necessario. Ha giornali e vari mezzi di comunicazione magari da lui finanziati, il cui compito è generare disfattismo tra le file degli operai, fomentare altri gruppi sociali contro di loro, eccetera. Ha, in Italia, un alleato importante come la Chiesa, che magari raccomanda l'amore tra sfruttati e sfruttatori e benedice la sofferenza degli sfruttati come via per il paradiso, e così via. Gli operai, quindi, si trovano davanti un intero assetto politico, e quindi passano all'organizzarsi sul piano politico, in partiti. Nascono i primi partiti socialisti, nella seconda metà dell'Ottocento, e diventano subito grandi. Di questo Gramsci parla nei passaggi seguenti.

 

Il secondo grado è quello in cui si raggiunge la coscienza della solidarietà di interessi fra tutti i membri del gruppo sociale, ma ancora nel campo meramente economico. Già in questo momento si pone la questione dello Stato, ma solo nel terreno di raggiungere una eguaglianza politico-giuridica coi gruppi dominanti, poiché si rivendica il diritto di partecipare alla legislazione e all’amministrazione e magari di modificarle, di riformarle, ma nei quadri fondamentali esistenti.

NOTA 11

Gli operai organizzati in partito inizialmente richiedono vengano rispettati i loro diritti, che, cioè, la classe dominante renda effettiva la promessa di una società basata sull'uguaglianza sulla base della quale borghesi e operai si unirono per schiacciare le classi feudali nella Rivoluzione francese. Richiedono di essere trattati da uguali, e quindi rivendicano un posto nei Parlamenti e nelle varie assemblee elettive a livello locale, nelle amministrazioni politiche locali. Loro scopo è operare in queste istituzioni per migliorare la loro condizione economica, prima di tutto: garanzie del posto di lavoro, salari equi, riduzione dell'orario di lavoro, eccetera.

 

Il terzo grado è quello in cui si raggiunge la coscienza che i propri interessi corporativi, nel loro sviluppo attuale e avvenire, superano la cerchia corporativa, di gruppo meramente economico, e possono e debbono divenire gli interessi di altri gruppi subordinati.

NOTA 12

Qui gli operai comprendono che “ne´ la lotta economica ne´ la lotta politica per le riforme possono liberare la classe operaia dalla miseria della sua condizione. La stessa lotta per una ripartizione meno ineguale delle ricchezze può svilupparsi con successo su larga scala solo se si combina ed è guidata dalla lotta per instaurare un sistema di produzione comunista e quindi un ordinamento generale comunista della società.”(8) Gli operai, quindi, partiti per difendere il loro lavoro e il loro salario, comprendono e dichiarano che la loro lotta è la lotta per gli interessi di tutti. Quanto tale passaggio sia complesso e da rinnovare è chiaro considerando il presente, e le posizioni di un Cofferati, che dichiara la lotta dei lavoratori genovesi del trasporto urbano come cosa che interessa solo loro e non il paese, posizioni riprese dai sindacalisti che hanno chiuso la lotta dichiarando lo stesso. Landini, ogni volta che ripete il suo mantra dichiarandosi “solo un sindacalista, e non un politico”, sta sullo stesso piano dal punto di vista ideologico, cioè su questo piano non si distingue affatto dai sindacati di regime cui appartiene.

 

8. MP. p. 26.

 

Questa è la fase più schiettamente politica, che segna il netto passaggio dalla struttura alla sfera delle superstrutture complesse, è la fase in cui le ideologie germinate precedentemente diventano «partito», vengono a confronto ed entrano in lotta fino a che una sola di esse o almeno una sola combinazione di esse, tende a prevalere, a imporsi, a diffondersi su tutta l’area sociale, determinando oltre che l’unicità dei fini economici e politici, anche l’unità intellettuale e morale, ponendo tutte le questioni intorno a cui ferve la lotta non sul piano corporativo ma su un piano «universale» e creando così l’egemonia di un gruppo sociale fondamentale su una serie di gruppi subordinati.

NOTA 13

Contro l'ennesimo tradimento dei sindacati di regime molte forze politiche e sindacali si ribellano, ma la loro opposizione e rabbia non produce effetti. Si tratta infatti di posizioni economiciste e spontaneiste, attendenti rivoluzioni che scoppiano, di chi non ha ancora compreso o si rifiuta di comprendere che la rivoluzione si costruisce, il che è esposto da Gramsci nel passaggio che precede. Ci vuole, innanzitutto, che le ideologie che sono state elaborate (“le ideologie germinate precedentemente”) diventino partito, e lo diventano non tramite confronti accademici, convegni, tentativi di coordinamento, tentativi di rimettere insieme i frantumi di vecchi partiti, ma tramite una lotta in cui “una sola” di esse prevale, o “una sola combinazione” a patto che sia combinazione organica, derivata da una lotta, non risultato di un accomodamento tra amici vecchi o nuovi. Infatti “la verità è una sola, le narrazioni di fantasia si possono moltiplicare all'infinito”.(9) Questo partito si espande e si impone e non solo e non più lottando solo sul piano economico e politico, ma su tutti i piani, incluso quello intellettuale e morale. Questa è la rivoluzione che si costruisce, e la conquista di terreno non è semplicemente difesa del posto di lavoro, del salario, del bene comune, dell'ambiente, ma conquista della mente e del cuore delle masse popolari, ed è una forma di guerra, dove il vincere è (anche) convincere. E non è, poi, solo riforma intellettuale e morale dove i rivoluzionari, i comunisti, vanno dalle masse a portare la loro “verità unica”, ma è riforma intellettuale e morale di loro stessi, perché loro stessi devono cambiare radicalmente, elaborare idee e sentimenti nuovi e in base a questi, coerentemente, organizzare la propria vita, e questi usare come strumenti di trasformazione rivoluzionaria della realtà. Questo è il “piano universale” che Gramsci indica come campo di battaglia dove un “gruppo sociale fondamentale” cioè la classe operaia o la borghesia, si impone portando dalla sua parte altri “gruppi subordinati”, convinti a stare da una parte o dall'altra e quindi a determinare la vittoria di una delle due parti.

 

9. La Voce del (nuovo)PCI, n. 43, marzo 2013, p. 25 e in www.nuovopci.it/voce/voce43/pceoper.html .

 

Lo Stato è concepito sì come organismo proprio di un gruppo, destinato a creare le condizioni favorevoli alla massima espansione del gruppo stesso, ma questo sviluppo e questa espansione sono concepiti e presentati come la forza motrice di una espansione universale, di uno sviluppo di tutte le energie «nazionali», cioè il gruppo dominante viene coordinato concretamente con gli interessi generali dei gruppi subordinati e la vita statale viene concepita come un continuo formarsi e superarsi di equilibri instabili (nell’ambito della legge) tra gli interessi del gruppo fondamentale e quelli dei gruppi subordinati, equilibri in cui gli interessi del gruppo dominante prevalgono ma fino a un certo punto, non cioè fino al gretto interesse economico-corporativo. Nella storia reale questi momenti si implicano reciprocamente, per così dire orizzontalmente e verticalmente, cioè secondo le attività economico-sociali (orizzontali) e secondo i territori (verticalmente), combinandosi e scindendosi variamente: ognuna di queste combinazioni può essere rappresentata da una propria espressione organizzata economica e politica. Ancora bisogna tener conto che a questi rapporti interni di uno Stato-nazione si intrecciano i rapporti internazionali, creando nuove combinazioni originali e storicamente concrete. Una ideologia, nata in un paese più sviluppato, si diffonde in paesi meno sviluppati, incidendo nel gioco locale delle combinazioni. (La religione, per es., è sempre stata una fonte di tali combinazioni ideologico-politiche nazionali e internazionali, e con la religione le altre formazioni internazionali, la massoneria, il Rotary Club, gli ebrei, la diplomazia di carriera che suggeriscono espedienti politici di origine storica diversa e li fanno trionfare in determinati paesi, funzionando come partito politico internazionale che opera in ogni nazione con tutte le sue forze internazionali concentrate; ma religione, massoneria, Rotary, ebrei, ecc., possono rientrare nella categoria sociale degli «intellettuali», la cui funzione, su scala internazionale, è quella di mediare gli estremi, di «socializzare» i ritrovati tecnici che fanno funzionare ogni attività di direzione, di escogitare compromessi e vie d’uscita tra le soluzioni estreme). Questo rapporto tra forze internazionali e forze nazionali è ancora complicato dall’esistenza nell’interno di ogni Stato di parecchie sezioni territoriali di diversa struttura e di diverso rapporto di forza in tutti i gradi (così la Vandea era alleata con le forze internazionali reazionarie e le rappresentava nel seno dell’unità territoriale francese; così Lione nella Rivoluzione Francese rappresentava un nodo particolare di rapporti, ecc.).

NOTA 14

Quello che Gramsci anticipa qui e di cui scrivo nella nota precedente è sviluppo di rivoluzione come guerra, ma guerra di forma nuova, che in altri paesi, cioè al lato opposto del pianeta, in Cina, già è più chiaramente comprensibile come guerra, perché là è già scontro armato. È la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata che comincia a svilupparsi con la Lunga Marcia iniziata mentre Gramsci sta scrivendo questo testo. Nei paesi imperialisti questa guerra inizia prima di diventare scontro armato: inizia con la costituzione del partito comunista ed è preceduta da un periodo di accumulazione delle forze necessarie ad affrontare lo scontro militare vero e proprio in condizioni tali da poterlo vincere.

Lo scontro militare vero e proprio è comunque previsto, e infatti si determinerà anche in Italia, nonostante che i termini in cui il processo si svolge siano ignoti ai dirigenti del PCI in libertà e anzi a tutta la direzione del Partito con l'esclusione di Gramsci, che sta dando anticipazioni importantissime, che non saranno colte dagli altri membri del Partito né allora né dopo, e che cogliamo solo oggi. Il fatto che il processo non sia stato compreso dal primo PCI e che tuttavia il primo PCI lo abbia in qualche modo condotto alla cieca, è segno del carattere oggettivo del processo, della sua verità. Lo scontro militare previsto è la Resistenza, di cui il PCI prenderà la direzione, conducendo le masse popolari alla vittoria, segnando un punto discriminante nella storia d'Italia, punto che è riconosciuto come discriminante nelle idee e nei sentimenti delle masse popolari italiane.

Il PCI dopo la Resistenza comincerà una lenta marcia indietro che inizia con l'affermazione dei revisionisti moderni nel Partito dalla metà degli anni '50 in poi, marcia che comporta, tra le altre cose, un lento tradimento della Resistenza inclusivo della falsificazione dell'opera di Gramsci, il quale parlava sì di accumulazione delle forze, ma mirata a un confronto militare da vincere, e non a una vittoria “di riforma in riforma”, senza più guerre né rivoluzioni, come iniziarono a dire Togliatti e i suoi successori, mandando in putrefazione il partito e la sua scienza con gli effetti visibili oggi in un personaggio come Napolitano, attivo in questo processo di putrescenza fino dai suoi inizi. Gramsci parla chiaramente dello scontro cui prepararsi nel passaggio seguente.

 

3) Il terzo momento è quello del rapporto delle forze militari, immediatamente decisivo volta per volta. (Lo sviluppo storico oscilla continuamente tra il primo e il terzo momento, con la mediazione del secondo). Ma anche esso non è qualcosa di indistinto e di identificabile immediatamente in forma schematica; si possono anche in esso distinguere due gradi: quello militare in senso stretto o tecnico-militare e il grado che si può chiamare politico-militare.

NOTA 15

Precisa subito che il momento dello scontro militare non esclude lo scontro politico, che anzi resta principale. Questo nella Resistenza si espresse organizzativamente come presenza di un commissario politico accanto al capo militare nelle unità partigiane. La relazione tra piano politico e piano militare è da definire con precisione. L'errore di porre come principale il piano militare distrugge l'organizzazione rivoluzionaria, cosa che accadde alle Organizzazioni Comuniste Combattenti degli anni Settanta in Italia. Anche le Brigate Rosse, partite con il proposito che la propaganda armata era lo strumento per costruire il Partito Comunista, finirono per adottare la concezione dello scontro militare in cui l’OCC sostituiva le masse popolari.

 

Nello sviluppo della storia questi due gradi si sono presentati in una grande varietà di combinazioni. Un esempio tipico che può servire come dimostrazione-limite, è quello del rapporto di oppressione militare di uno Stato su una nazione che cerca di raggiungere la sua indipendenza statale. Il rapporto non è puramente militare, ma politico-militare e infatti un tale tipo di oppressione sarebbe inspiegabile senza lo stato di disgregazione sociale del popolo oppresso e la passività della sua maggioranza; pertanto l’indipendenza non potrà essere raggiunta con forze puramente militari, ma militari e politico-militari. Se la nazione oppressa, infatti, per iniziare la lotta d’indipendenza, dovesse attendere che lo Stato egemone le permetta di organizzare un proprio esercito nel senso stretto e tecnico della parola, avrebbe da attendere un pezzo (può avvenire che la rivendicazione di avere un proprio esercito sia soddisfatta dalla nazione egemone, ma ciò significa che già una gran parte della lotta è stata combattuta e vinta sul terreno politico-militare). La nazione oppressa opporrà dunque inizialmente alla forza militare egemone una forza che è solo «politico-militare», cioè opporrà una forma di azione politica che abbia la virtù di determinare riflessi di carattere militare nel senso: 1) che abbia efficacia di disgregare intimamente l’efficienza bellica della nazione egemone; 2) che costringa la forza militare egemone a diluirsi e disperdersi in un grande territorio, annullandone gran parte dell’efficienza bellica.  

NOTA 16

Questo è appunto quello che stava facendo il Partito Comunista Cinese guidato da Mao Tse tung in quegli anni. L'Esercito Rosso, in condizioni estremamente inferiori sia a quello dei nazionalisti cinesi sia a quello degli invasori giapponesi, agiva ponendosi come alternativa politica al dominio dei nazionalisti e all'oppressione degli invasori, rispondeva a ogni “campagna di accerchiamento e annientamento” generale del nemico con molte “campagne di accerchiamento e annientamento”, cioè impegnando il nemico, isolandone distaccamenti (all'avanguardia o alla retroguardia, ad esempio), accerchiandoli e distruggendoli, e così seminando disgregazione tra le truppe nemiche. Il precetto era il seguente: se sei solo e hai a che fare con due nemici, feriscine uno e fuggi, e quando l'altro ti inseguirà affrontalo e finiscilo, quindi torna indietro per sistemare quello ferito.

 

Nel Risorgimento italiano si può notare l’assenza disastrosa di una direzione politico-militare specialmente nel Partito d’Azione (per congenita incapacità), ma anche nel partito piemontese-moderato, sia prima che dopo il 1848. Non certo per incapacità ma per «maltusianismo economico-politico», cioè perché non si volle neanche accennare alla possibilità di una riforma agraria e perché non si voleva la convocazione di una assemblea nazionale costituente, ma si tendeva solo a che la monarchia piemontese, senza condizioni o limitazioni di origine popolare, si estendesse a tutta Italia, con la pura sanzione di plebisciti regionali.

NOTA 17

Qui si considera che la sinistra della borghesia italiana non poteva né avrebbe potuto mai combinare il nesso tra politica e guerra necessario, e gli esiti insurrezionalistici dei mazziniani sono testimonianza di questa incapacità. Quanto a Garibaldi, la sua avventura militare si concluse con la consegna del territorio conquistato alla destra impersonata dai dirigenti piemontesi. La base necessaria di questo nesso, cioè l'alleanza con i contadini, non era affatto prevista né da Mazzini né tantomeno da Garibaldi, che a fronte delle rivendicazioni dei contadini si comportò come una normale forza di repressione al servizio della borghesia: Bronte, in Sicilia, è la manifestazione più nota. Nemmeno la destra però poteva farlo, perché nemmeno essa poteva organizzare un'alleanza con i contadini, perché la borghesia italiana si era sviluppata nei secoli come classe sfruttatrice principalmente dei contadini, e tale era ancora nella fase del cosiddetto Risorgimento. Il Brigantaggio fu la manifestazione su larga scala del rifiuto della borghesia italiana di condurre a fondo la rivoluzione borghese e della sua conciliazione con la nobiltà e la Chiesa.

 

 

Altra questione connessa alle precedenti è quella di vedere se le crisi storiche fondamentali sono determinate immediatamente dalle crisi economiche.

NOTA 18

Qui Gramsci torna a parlare a quelli che aspettano la rivoluzione che scoppia automaticamente quando si verifica la crisi. Nel senso comune, questa posizione politica la ritroviamo costantemente espressa in chi mostra il suo disprezzo per le masse popolari italiane che non si ribellano perché, secondo loro, “stanno ancora troppo bene”, il che spesso è giudizio dichiarato da chi nemmeno si ribella perché aspetta che lo facciano le masse popolari, che quindi non fa niente perché continuino a “stare bene” ma anzi il suo principio è il “tanto peggio tanto meglio”. Il fatto che spesso questi siano giudizi espressi da chi non solo “sta bene” ma sta meglio della media delle masse popolari e da questo pulpito predica, rende questi soggetti particolarmente odiosi a tutti.

 

La risposta alla questione è contenuta implicitamente nei paragrafi precedenti, dove sono trattate questioni che sono un altro modo di presentare quella ora trattata. Tuttavia è sempre necessario, per ragioni didattiche, dato il pubblico particolare, esaminare ogni modo di presentarsi di una stessa questione come fosse un problema indipendente e nuovo. Si può escludere che, di per se stesse, le crisi economiche immediate producano eventi fondamentali; solo possono creare un terreno più favorevole alla diffusione di certi modi di pensare, di impostare e risolvere le questioni che coinvolgono tutto l’ulteriore sviluppo della vita statale.

NOTA 19

Le crisi, dice Gramsci, offrono solo terreno favorevole alla diffusione della ideologia rivoluzionaria che, nel contesto suo e nostro, significa affermazione del partito comunista, conquista della mente e del cuore delle masse popolari, costruzione della rivoluzione, sviluppo della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata: modi diversi per indicare un processo che è tutto fuorché meccanico, dato che prima deve essere compreso, che la sua stessa comprensione è una lotta, come dimostrato dal fatto che chiamare guerra quella che stiamo conducendo, qui e ora risulta strano alla gran parte di chi ci ascolta, e sarà indubbiamente considerato “delirante” da tutta una congerie di politici e intellettuali, inclusi quelli che si guadagnano il pane come “specialisti del pensiero gramsciano”.

 

Del resto, tutte le affermazioni che riguardano i periodi di crisi o di prosperità possono dar luogo a giudizi unilaterali. Nel suo compendio di storia della Rivoluzione francese (ed. Colin) il Mathiez, opponendosi alla storia volgare tradizionale, che aprioristicamente “trova” una crisi in coincidenza con le grandi rotture di equilibri sociali, afferma che verso il 1789 la situazione economica era piuttosto buona immediatamente, per cui non si può dire che la catastrofe dello Stato assoluto sia dovuta a una crisi di immiserimento (cfr l’affermazione esatta del Mathiez). Occorre osservare che lo Stato era in preda a una mortale crisi finanziaria e si poneva la questione su quale dei tre ordini sociali privilegiati dovevano cadere i sacrifici e i pesi per rimettere in sesto le finanze statali e della Corte. Inoltre: se la posizione economica della borghesia era florida, certamente non era buona la situazione delle classi popolari delle città e delle campagne, specialmente di queste, tormentate da miseria endemica. In ogni caso, la rottura dell’equilibrio delle forze non avvenne per cause meccaniche immediate di immiserimento del gruppo sociale che aveva interesse a rompere l’equilibrio e di fatto lo ruppe, ma avvenne nel quadro di conflitti superiori al mondo economico immediato, connessi al “prestigio” di classe (interessi economici avvenire), ad una esasperazione del sentimento di indipendenza, di autonomia e di potere. La questione particolare del malessere o benessere economico come causa di nuove realtà storiche è un aspetto parziale della questione dei rapporti di forza nei loro vari gradi. Possono prodursi novità sia perché una situazione di benessere è minacciata dal gretto egoismo di un gruppo avversario, come perché il malessere è diventato intollerabile e non si vede nella vecchia società nessuna forza che sia capace di mitigarlo e di ristabilire una normalità con mezzi legali. Si può dire pertanto che tutti questi elementi sono la manifestazione concreta delle fluttuazioni di congiuntura dell’insieme dei rapporti sociali di forza, nel cui terreno avviene il passaggio di questi a rapporti politici di forza per culminare nel rapporto militare decisivo.

NOTA 20

Non è il peggioramento delle condizioni delle masse popolari, quindi, che genera il processo rivoluzionario. Il processo rivoluzionario si svolge sul campo di battaglia determinato da condizioni oggettive (la crisi economica) ma è determinato da condizioni soggettive, cioè dalla direzione degli eserciti in campo uno contro l'altro. E di guerra si tratta che va verso il “rapporto  militare decisivo”, infatti.

Se manca la direzione rivoluzionaria, nessuna rivoluzione avviene.

 

Se manca questo processo di sviluppo da un momento al successivo, ed esso è essenzialmente un processo che ha per attori gli uomini e la volontà e capacità degli uomini, la situazione rimane inoperosa, e possono darsi conclusioni contraddittorie: la vecchia società resiste e si assicura un periodo di “respiro”, sterminando fisicamente l’élite avversaria e terrorizzando le masse di riserva, oppure anche la distruzione reciproca delle forze in conflitto con l’instaurazione della pace dei cimiteri, magari sotto la vigilanza di una sentinella straniera.

NOTA 21

Se manca la direzione rivoluzionaria, le masse popolari restano ferme in attesa di ordini, e in questo periodo il nemico organizza la controffensiva. Se il Partito Socialista non raccoglie l'appello alla mobilitazione nazionale degli operai nelle fabbriche a Torino, nel momento culminante del Biennio Rosso, lo Stato si riorganizza, aspetta che la mobilitazione operaia si esaurisca, e la borghesia organizza la reazione fascista. È esemplare il caso della Richard Ginori di Sesto, dove nel 1922 lo sciopero di settanta giorni degli operai viene condotto verso la sconfitta dalla CGIL e dove, dopo pochi mesi, i fascisti si insediano al potere nel Comune, cacciando i socialisti che erano al governo da 23 anni.

 

Ma l’osservazione più importante da fare a proposito di ogni analisi concreta dei rapporti di forza è questa: che tali analisi non possono e non debbono essere fine a se stesse (a meno che non si scriva un capitolo di storia del passato), ma acquistano un significato solo se servono a giustificare una attività pratica, una iniziativa di volontà.

NOTA 22

Questo è un altro messaggio chiaro agli attendisti della rivoluzione che scoppia e ai fautori del “tanto peggio tanto meglio”. Ogni esame, studio, convegno, seminario che facciamo va benissimo, ma solo per decidere come intervenire, come agire.

 

Esse mostrano quali sono i punti di minore resistenza, dove la forza della volontà può essere applicata più fruttuosamente, suggeriscono le operazioni tattiche immediate, indicano come si può meglio impostare una campagna di agitazione politica, quale linguaggio sarà meglio compreso dalle moltitudini, ecc.

NOTA 23

Il nostro studio ha da essere politico-militare. “Punti di minore resistenza”, “operazioni tattiche immediate”, e una “campagna” di agitazione politica, ecco una serie di termini in cui è chiaro che di guerra stiamo trattando. Chiaro non lo è solo a chi è in malafede, o a chi è un ingenuo pericoloso. Il primo sosterrà che realizzeremo i nostri interessi e le nostre aspirazioni con la discussione “democratica”, o con la lotta rivendicativa. Il secondo è convinto che il primo sta dicendo una cosa vera.

 

L’elemento decisivo di ogni situazione è la forza permanentemente organizzata e predisposta di lunga mano che si può fare avanzare quando si giudica che una situazione è favorevole (ed è favorevole solo in quanto una tale forza esista e sia piena di ardore combattivo). Perciò il compito essenziale è quello di dedicarci sistematicamente e pazientemente a formare, sviluppare, rendere sempre più omogenea, compatta, consapevole di se stessa questa forza. Ciò si vede nella storia militare e nella cura con cui in ogni tempo sono stati predisposti gli eserciti ad iniziare una guerra in qualsiasi momento. I grandi Stati sono stati grandi Stati appunto perché erano in ogni momento preparati a inserirsi efficacemente nelle congiunture internazionali favorevoli e queste erano tali perché c’era la possibilità concreta di inserirsi efficacemente in esse.

NOTA 24

La conclusione è chiara. Ci vuole una “forza permanentemente organizzata”, cioè un partito comunista, e “predisposta di lunga mano”, cioè costruita lungo una arco di tempo prolungato, formata non solo organizzativamente ma ideologicamente. Il nostro “compito essenziale è quello di dedicarci sistematicamente e pazientemente a formare, sviluppare, rendere sempre più omogenea, compatta, consapevole di se stessa questa forza”. Questa affermazione non ha alcun bisogno di essere spiegata. Va applicata concretamente. È quello che sta facendo la carovana del (nuovo)PCI da quando si è costituita e in maniera sempre più scientifica e sempre più “piena di ardore combattivo”. E in questo il compagno Antonio Gramsci vive.

Questa forza avanza quando il terreno è favorevole, ma il fatto che il terreno sia favorevole è dato dall'esistenza di questa forza, ci comunica questo nostro compagno. E il (nuovo)PCI dice, a mezzo secolo di distanza, che “dipende da noi”, il che è lo stesso, o meglio lo stesso non è, perché i decenni non passano invano. Infatti oggi possiamo raccogliere l'eredità di Antonio Gramsci mettendola a frutto, così come faccio qui spiegando sulla base di questo testo (così come è possibile farlo sulla base di decine di altri testi) che la rivoluzione, secondo lui, si costruisce come una Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata.

Soprattutto, poi, questa che portiamo non è una ennesima interpretazione dell'opera di Gramsci da mettere sul banco del mercato nazionale o internazionale: un altro “quello che ha veramente detto Antonio Gramsci”, o un altro “Antonio Gramsci secondo noi o secondo lui”. Questo è uno strumento di lotta per realizzare l'opera che Antonio Gramsci ha iniziato, guida della nostra azione. Quindi il nostro lavoro non è ripetizione del suo, ma sviluppo, e soprattutto passaggio dalla teoria alla pratica, cioè opera per fare dell'Italia un nuovo paese socialista.