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La Voce 46

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVI - marzo 2014

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Cura e formazione degli uomini e delle donne

 

I dirigenti devono essere educatori-formatori e organizzatori comunisti

 

Trattare della formazione e della direzione di compagni significa innanzitutto trattare della formazione dei dirigenti comunisti. Sono i dirigenti comunisti il motore della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata (GPRdiLD) contro la Repubblica Pontificia, i costruttori del Nuovo Potere (secondo la linea del partito di quadri che fa un lavoro di massa). È necessario sviluppare la nostra concezione sui dirigenti e giungere ad una visione più profonda del loro ruolo: ossia quella di educatori-formatori e organizzatori comunisti.

La formazione è complessa perché unisce scienza e passione, generale e particolare, razionalità e sensibilità (quindi bisogna essere attenti ai singoli, perché la formazione è pervenire a un modo superiore di pensare e agire).

Noi oggi trascuriamo ancora la formazione dei compagni, anche la semplice formazione intellettuale (quella che si fa con lo studio, le lezioni, gli scritti, le discussioni). Al nostro interno il concetto di dirigente comunista inteso come educatore-formatore e organizzatore comunista è lungi dall’essere compreso e tanto meno assimilato, a partire dalla testa. Siamo instradati in un percorso che porta in questa direzione, se lo guardiamo nella sua traiettoria, ma ancora siamo lontani da questa meta. Averla chiara, metterla a fuoco, sviscerarla per bene permette di orientare al meglio la nostra azione e i nostri passi e, quindi, accelerare il suo raggiungimento (la maggiore coscienza eleva l’azione: nella rivoluzione socialista ciò che pensiamo, decide di ciò che facciamo).

Con questo non sto dicendo che quanto abbiamo fatto fin qui nel campo della formazione è errato o inutile. Al contrario quello che affermo è che occorre fare un altro, deciso passo in avanti, forti proprio del ricco bagaglio che abbiamo accumulato (in termini di principi, criteri, metodi e strumenti) lottando contro l’intossicazione del regime di controrivoluzione preventiva, l’azione nefasta dei revisionisti moderni e della sinistra borghese. (1)

 

1. Nel campo delle formazione abbiamo condotto e stiamo conducendo diverse esperienze e sperimentazioni, abbiamo elaborato alcuni principi e alcuni criteri (ad esempio la centralità della concezione comunista del mondo; il sesto apporto del maoismo (La Voce n. 41); le tre concezioni del mondo e il senso comune (Gramsci, Quaderni del carcere QC 11, § 13); la vecchia e nuova morale; la distinzione e combinazione di concezione, mentalità e personalità (La Voce n. 30 e n. 39); la lotta allo stile da autodidatta nel campo della formazione; la distinzione e la combinazione tra formazione sulla concezione comunista del mondo, formazione all’attività politica e formazione culturale; la combinazione tra formazione e organizzazione; il ruolo della costrizione nella fase iniziale della formazione, ecc.). Abbiamo messo a punto alcuni metodi di lavoro (destrutturazione e ristrutturazione della concezione, mentalità e personalità; corsi di I°, II°, III° livello sulla concezione comunista del mondo; CAT (critica, autocritica, trasformazione); note di lettura; due vie maestre; ecc.) e diversi strumenti (Manifesto Programma, Rapporti Sociali, La Voce, Comunicati CC, Avviso ai Naviganti, Opere Complete di Mao e, per quanto riguarda le Organizzazioni Modello della Carovana, le Tesi del P. CARC, i comunicati della DN del P. CARC, Resistenza, ecc.).

I corsi di formazione fatti sul MP dalla Carovana del (n)PCI a partire dal 2010 ci hanno permesso di estendere le esperienze-tipo; di costruire un primo, embrionale corpo di docenti; di sperimentare metodi e strumenti (ad esempio i questionari sulle sessioni dei corsi di formazione sul MP e le schede di valutazione alunni e docenti); di produrre e raccogliere materiale per andare più a fondo nell’elaborazione di principi e criteri nel campo della formazione.

Questo percorso è innovativo e all’avanguardia nel nostro paese. Esso costituisce un ricco patrimonio edificato combattendo contro l’intossicazione del regime di controrivoluzione preventiva, contro l’azione nefasta dei revisionisti moderni e della sinistra borghese (che combattono la teoria comunista e a questo fine combattono ogni teoria, sono per il pensiero debole, la narrazione e l’affabulazione, l’eclettismo, il pragmatismo). Proprio partendo da questo ricco patrimonio occorre fare un altro, deciso passo in avanti nell’ottica della costruzione dell’uomo nuovo: in questa fase significa costruire dirigenti comunisti in grado di condurre la GPRdiLD nelle condizioni particolari del nostro paese (paese imperialista, in cui il regime di controrivoluzione preventiva ha assunto le caratteristiche specifiche di Repubblica Pontificia), applicando il piano tattico della costituzione del Governo di Blocco Popolare da parte delle OO e OP che si servono degli esponenti della II gamba (esponenti della sinistra dei sindacati di regime e dei sindacati alternativi e di base, esponenti democratici della società civile e delle amministrazioni comunali o altre amministrazioni locali, esponenti della sinistra borghese non accecati dal loro anticomunismo).

 

Il dirigente è soggetto e oggetto della rivoluzione (sesto apporto del maoismo - La Voce n. 41). La sua crescita e trasformazione avviene attraverso la conoscenza, l’assimilazione e l’utilizzo (apprendimento, assimilazione, applicazione: le 3A) della concezione comunista del mondo sia nel lavoro interno che in quello esterno (secondo il criterio “il lavoro interno è in funzione di quello esterno”).

Egli, mosso dalla volontà trasformare il mondo, di conoscere e di crescere e sostenuto dal collettivo di appartenenza e dai suoi dirigenti, compie un processo a spirale di elevazione, miglioramento, rafforzamento intellettuale e morale. La trasformazione del mondo è l’obiettivo a cui deve tendere. Non l’autoperfezionamento. Egli impara anche dagli errori. La lotta di classe è l’officina in cui assieme al suo collettivo opera come fabbro e dove, allo stesso tempo, apprende, contribuisce a creare nuove tecniche e affina quelle già in possesso suo e del collettivo. La direzione, educazione-formazione dei compagni delle istanze inferiori è una delle arti più complesse in cui si cimenta nell’officina, ma anche quella decisiva una volta definita analisi, strategia, linea e tattica: perché “sono gli uomini che fanno la storia”.

Il dirigente deve essere un maestro di vita e di lotta per i compagni che dirige, educa-forma. Deve essere un faro che illumina la via e, allo stesso tempo, anche un esempio di come percorrerla (unità teoria-pratica, lotta contro la doppia-tripla morale). Con la sua attività egli deve mirare a rendere quei compagni diretti che ne hanno le potenzialità, migliori di lui stesso (anziché tarpargli le ali, come fanno i capi-popolo, le prime donne e tutti coloro che hanno paura di perdere il proprio ruolo).

Il dirigente deve promuovere e seguire lo sviluppo ideologico, politico, morale e culturale del diretto, elevarlo intellettualmente e moralmente (farlo diventare intellettualmente acuto e moralmente tenace), guidarlo nel percorso di conoscenza, assimilazione e uso della scienza comunista e dell’affermazione della nuova morale sulla vecchia. Egli deve dotarlo degli strumenti adeguati fase per fase per svolgere al meglio il proprio ruolo e procedere verso la fase successiva del suo processo evolutivo. Deve accompagnarlo nel percorso di sperimentazione facendogli tirare insegnamenti sia dalle vittorie che dalle sconfitte, insegnandogli a guardare le cose da un punto di vista elevato, con scienza e razionalità e non sulla spinta delle emozioni e degli stati d’animo (“uno spirito esaltato è debole quanto uno depresso”).

Il dirigente deve mirare ad essere saggio (scientifico e razionale, guardare le cose dall’alto alla luce del materialismo dialettico) e sapiente (umile: non sedersi sugli allori, sentirsi arrivato, smettere di studiare, di imparare, di scoprire, di approfondire, di mettersi in discussione).

Queste sono tutte cose che il dirigente apprende, attraverso il duro e costante lavoro su se stesso, il percorso teoria-pratica-teoria superiore e il sostegno del collettivo. Questa è una delle declinazioni del criterio “la politica rivoluzionaria è una scienza sperimentale”, che contrasta con la concezione metafisica (clericale) e il superomismo (borghese). 

Un dirigente che non amplia costantemente la propria conoscenza e comprensione delle cose (la realtà è infinitamente conoscibile alla luce del materialismo dialettico, tendere alla ricostruzione logica e non fermarsi a quella storica), che non verifica e aggiorna i suoi metodi e strumenti, inevitabilmente sarà travolto dagli eventi (ciò avverrà tanto più sicuramente quanto più resisterà alla trasformazione e quanto più la crisi generale precipiterà). Difficilmente riuscirà a sviluppare. Non sarà una buona guida, un buon maestro, un buon formatore. Per esserlo occorre continuare a salire la montagna, continuare a mirare alla cima. Niente resta fermo.

Un altro aspetto da precisare (e su cui occorre andare più a fondo al nostro interno) è che l’autorità è un mezzo e non il fine. Diversi dirigenti, in particolare ai livelli intermedi, fanno del riconoscimento da parte dei diretti un vero e proprio problema esistenziale. Ne fanno un fine. Non sono dei buoni dirigenti. Anziché lavorare sui motivi per cui si sentono insicuri (tutti riconducibili all’ignoranza circa la concezione comunista del mondo e a problemi di doppia-tripla morale), si avviluppano su se stessi, continuano ad usare i compagni come manovalanza e a innervosirsi per le loro critiche. Questi dirigenti non sono e non posso essere, se non si rettificano profondamente, dei punti di riferimento ideologici e morali. Essi non ampliano le conoscenze e la coscienza dei diretti, non alimentano la loro mente e il loro morale. Danno ordini, fanno richiami, al massimo fanno discorsi roboanti e “militareschi” (contraddetti dalla loro doppia-tripla morale).

Questo vale anche per i capi-popolo. Anch’essi (al pari di quei dirigenti che non entrano nel merito delle cose, che restano sul generale, che sono diplomatici, che mirano più che altro a gestire l’esistente – insomma i “presidenti onorari”), non promuovono la crescita dei diretti. Mantengono l’esistente, non sviluppano. Sono retaggi nelle nostre fila di rapporti feudali.

Il nostro obiettivo deve essere creare dirigenti comunisti che siano educatori-formatori e organizzatori comunisti. Questo è il tipo di dirigenti che dobbiamo mirare a costruire, a partire da noi stessi. Questo è un campo delicato e decisivo, su cui dobbiamo concentrare in modo particolare la nostra sperimentazione e il lavoro di elaborazione che conduciamo. È un lavoro nuovo e innovativo, nel solco di un'impresa inedita. Ma lavorando guidati dalla concezione comunista del mondo e con passione, tenacia, metodo raggiungeremo l'obiettivo. Dobbiamo raggiungerlo: la cura e formazione degli uomini e la loro valorizzazione secondo progetti di sviluppo e ben definiti (applicando il criterio “non essere conservatori in campo organizzativo”) costituisce infatti il collo di bottiglia per avanzare nella GPRdiLD.

Vinceremo!

 

*** manchette

Il senso comune

 

Riferimenti: Antonio Gramsci, Quaderni del carcere QC 11 (Paragrafi 12 e 13).

La Voce: n. 33 pag. 47-60, n. 35, pag. 59-61; n. 39, pagg. 35-37; n. 41, pagg. 48-50.

 

I due aspetti dell’individuo che in La Voce indichiamo con le espressioni concezione del mondo e mentalità compongono la filosofia. Tutti gli uomini sono filosofi, sia pure a modo loro, inconsapevolmente. Ogni uomo ha una sua filosofia con la quale vede il mondo, distingue una parte dall’altra e lo interpreta, regola la sua vita, reagisce agli avvenimenti e agisce sul mondo. In ogni filosofia predomina la concezione del mondo di una delle classi che si contendono la direzione della società. Nella nostra società tre sono le classi che si contendono la direzione della società: la borghesia, il clero e la classe operaia. Tre quindi sono le concezioni del mondo: la concezione borghese, la concezione clericale, la concezione comunista.

Da dove viene all’individuo la sua filosofia? Ogni individuo, finché non prende consapevolmente in mano egli stesso la direzione della sua filosofia, partecipa a una concezione del mondo e a una mentalità imposte dall’ambiente esterno, cioè dal gruppo sociale nel quale è stato automaticamente coinvolto fin dalla sua entrata nel mondo.

Le classi dominanti, l’ambiente di cui un individuo fa parte e gli ambienti in cui è cresciuto, la lotta di classe, l’esperienza diretta forgiano in ogni individuo una filosofia, senza che egli personalmente se ne renda conto né se ne faccia costruttore attivo e critico. Questo finché egli stesso non prende in mano la sua filosofia, ne fa una critica e consapevolmente la ricostruisce.

La borghesia imperialista con il regime di controrivoluzione preventiva ha forgiato mezzi e strumenti per formare nelle masse popolari alla concezione del mondo che le conviene. Con essa dalla fine del secolo scorso, dopo la Comune di Parigi (1871), si è alleato il clero delle chiese cristiane europee, tra cui è preminente la Chiesa Cattolica, per condurre insieme la lotta contro il movimento comunista.

I rapporti di produzione e l’azione mirata della borghesia e del clero forgiano nei membri delle masse popolari la filosofia a cui si contrappone la filosofia che è forgiata dalla lotta di classe in cui parimenti ogni membro delle masse popolari è coinvolto, in una delle classi che compongono le masse popolari. Oggi nelle masse popolari predominano la concezione borghese del mondo e la concezione clericale del mondo. Ad esse si contrappone la concezione comunista del mondo.

Il senso comune è la “filosofia dei non filosofi”, cioè la concezione del mondo assorbita acriticamente dai vari ambienti sociali e culturali in cui si sviluppa l’individualità morale e intellettuale dell’uomo.

Il senso comune non è una concezione unica, identica nel tempo e nello spazio.

Il senso comune sta alla filosofia degli intellettuali, come il folclore sta alle attività artistiche. Come il folclore, il senso comune si presenta in forme innumerevoli. Il suo tratto fondamentale e più caratteristico è di essere una concezione (anche nei singoli cervelli) disgregata, incoerente, inconseguente, conforme alla posizione sociale e culturale della massa di individui di cui esso è la filosofia.

Quando nella storia emerge un gruppo sociale omogeneo, con esso si elabora anche, contro il senso comune, una filosofia omogenea, cioè coerente e sistematica. La classe operaia che lotta per conquistare la direzione dell’intera società e trasformare la società borghese in società comunista ha elaborato ed elabora la sua concezione del mondo: la concezione comunista del mondo.