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La Voce 45 del (nuovo)Partito comunista italiano

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Ancora sulla GPR che i comunisti promuovono in questo periodo in Italia

La Guerra Popolare Rivoluzionaria (GPR) avanza e trasforma la resistenza delle masse popolari ai disastri e alle sofferenze della crisi generale del capitalismo in guerra delle masse popolari contro la borghesia imperialista per instaurare il socialismo. Il Partito può e deve fare di ogni rivendicazione, di ogni protesta, di ognuna delle mille iniziative di base (a proposito di queste, di cosa intendiamo con questa espressione, rimando a La Voce n. 44 pagg. 11-24, http://www.nuovopci.it/voce/voce44/mobilita.html) una battaglia o un’operazione della GPR contro la Repubblica Pontificia (RP) e la Comunità Internazionale (CI) dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti di cui la RP è parte. Questo è il senso generale e storico dell’opera che il nostro Partito, il nuovo Partito comunista italiano, promotore e Stato Maggiore della GPR, può e deve compiere, che sta compiendo.

Sento già storcere la bocca e levare gli occhi al cielo tra l’indignato e l’ironico i pochi esponenti della sinistra borghese e dei gruppi alla Proletari Comunisti, alla Iskra, alla Rete dei Comunisti ma anche alla Piattaforma Comunista, insomma economicisti e dogmatici per questo aspetto confusi, che leggeranno queste righe. “Sono scemi o lo fanno?” esclamerà la brava compagna MC di Proletari Comunisti! Perché per loro, economicisti e dogmatici, è importante solo ciò che è già grande, dalla Merkel al Fondo Monetario, ciò che passa alla TV tutti i giorni, ciò di cui si parla nei consessi degli economisti e dei politologi. Non la scienza della società, il marxismo-leninismo-maoismo, è la loro guida, ma l’opinione corrente, quello che è credibile, quello che si dà a vedere. Toni Negri e al suo seguito molti negrini per anni sono andati e ancora vanno alla ricerca del “soggetto rivoluzionario”, dopo che avevano “scoperto” e proclamato che la classe operaia non c’era più (Marco Revelli, che ora su questo si è ravveduto, vi scriveva dei libri e ancora oggi il Collettivo “Noi saremo tutto” Genova dichiara che gli operai che lavorano in fabbrica sono “una quota assolutamente minima se non irrisoria” del proletariato). Ovviamente aborrivano la verità “dogmatica e semplicistica”, “staliniana”, che Lenin aveva illustrato (Che fare?, 1902 - roba vetero dicono perfino i postmoderni ammiratori di papa Francesco, che invece giudicano il non plus ultra della modernità le scempiaggini e le banalità con cui intrattiene il pubblico dei suoi ammiratori!), che la classe operaia è soggetto politico, esiste come protagonista della storia, esercita il suo ruolo storico di classe rivoluzionaria solo quando il partito comunista è all’altezza del suo ruolo d’avanguardia, ma che non vi è rivoluzione socialista senza il ruolo dirigente della classe operaia. Che quindi era il partito comunista che non c’era più, non la classe operaia: era dalla ricostruzione del partito comunista che bisognava ricominciare l’opera per fare nuovamente della classe operaia un soggetto politico egemone tra le masse popolari. Triste sorte quella di chi aspetta che il bambino sia adulto per fecondare l’ovulo da cui nascerà e si crogiola nell’evidenza che non c’è alcun bambino! Noi materialisti dialettici siamo educati dall’esperienza storica a capire ciò che fermenta tra le masse, i presupposti del futuro che vi sono nel presente, ciò che è possibile e a lavorare su questo, perché da presupposti del futuro diventino realtà. Siamo educati a progettare, come progetta il costruttore di un impianto chimico che lavora sulla base della teoria degli atomi, delle molecole, dei relativi legami e reazioni, anche se sono tutte cose che non si vedono, ma sono tanto reali come quelle che si vedono. E infatti i risultati dell’impianto chimico si vedono. Il ferro in natura non esiste che nella forma di atomi combinati con altri: ma dall’impianto esce l’acciaio di cui sono fatte tante delle strutture e dei macchinari che ci circondano e che ben vediamo.

Reale e storica è analogamente l’opera che stiamo compiendo, anche se nessun sondaggio d’opinione ancora lo conferma.

 

Le mille iniziative di base illustrate nel precedente numero della nostra rivista, le rivendicazioni e le proteste devono diventare episodi della GPR (“fatti d’armi”) che il Partito promuove per fare del nostro paese un nuovo paese socialista.

Dobbiamo infondere negli organismi che conducono le mille iniziative di base, in quelli che promuovono le diffuse lotte rivendicative e le proteste, il sentimento che la loro lotta particolare (oltre a perseguire un suo obiettivo specifico) è anche un attacco a una ben determinata posizione nemica, un attacco al prestigio e all’autorità dei vertici della RP e delle sue istituzioni, è costruzione di un centro particolare del Nuovo Potere, di un nodo della rete di relazioni e di intese che può e deve unire le organizzazioni operaie e popolari (OO e OP) del nostro paese. In ogni scontro, anche quando non si raggiunge l’obiettivo particolare, se si crea un punto di forza del Nuovo Potere, se si rafforza il legame tra la OO o la OP che l’ha promosso e il resto delle OO e OP del paese, la vittoria per il nemico è una vittoria di Pirro e le nostre forze, lungi dal demoralizzarsi per la sconfitta e sciogliersi, imparano dalla sconfitta e ritorneranno più forti ad attaccare.

Ma, più importante ancora, dobbiamo portare ogni organismo a comportarsi e ad agire verso le masse popolari come organo del Nuovo Potere, a collegarsi con gli altri per costituire il GBP, ad adempiere alle funzioni sociali lasciate cadere dalle istituzioni della RP, a soppiantarle.

Noi non agiamo perché spinti da un senso di emergenza a causa dell’avanzare della crisi generale del capitalismo. Agiamo certamente in condizioni generali di difesa perché le nostre forze oggi sono più deboli di quelle dei vertici della RP e della CI di cui la RP è parte. Le forze che raccogliamo sono in gran parte gruppi e organismi che si formano per sviluppare iniziative di base, per rivendicare e protestare, per impedire o almeno rallentare la devastazione (la chiusura di aziende, di ospedali e di scuole, gli sfratti, la devastazione del territorio, ecc.) che dilaga e dilagherà finché proprio la GPR che noi comunisti promuoviamo avrà cambiato la direzione del corso delle cose. Sono gruppi e organismi che, essi, agiscono sulla base del senso comune e delle relazioni correnti, quindi mossi dal bisogno di difendersi dagli attacchi della borghesia: detto in altre parole e da un altro punto di vista, la rinascita del movimento comunista è ancora solo agli inizi, il nostro prestigio e la nostra autorità è ancora debole o in molti casi del tutto ancora inesistente. Ma il Partito non agisce mosso dall’attacco nemico. Anche se rafforza, valorizza e trasforma le attività che OO e OP conducono mosse ancora principalmente dall’attacco nemico. Noi agiamo guidati dalla concezione comunista del mondo che ci anima, per realizzare il disegno del nuovo mondo di cui vediamo i presupposti nel presente che va a morire. Agiamo mobilitando le masse popolari e la classe operaia e sfruttando tutte le attività degli altri (anche del nemico) secondo un piano mirato a rafforzare il Nuovo Potere. Costruiamo il futuro nel contesto ben definito della crisi generale del capitalismo. Componiamo secondo un disegno coerente desunto dalla realtà che ancora non si dà a vedere, gli elementi sparsi e spontanei che vi sono nella realtà.

La Val di Susa è sempre meno un ridotto che si difende dall’aggressione devastante del capitale finanziario e speculativo. Questa è la storia della sua nascita. Ma vincerà perché si sta trasformando in uno dei fronti della GPR che conduciamo contro la Repubblica Pontificia e la CI che è alle spalle della RP. E la trasformazione in corso è tanto più di buon auspicio per il futuro per cui noi lavoriamo, perché lo è diventata senza il nostro intervento, nonostante che noi siamo ancora non in grado e non in condizione di dare ad essa direttamente un contributo di qualche rilievo. Ma sempre più lo saremo, perché lavoriamo nello stessa direzione, perché la realtà del corso delle cose, persino l’attività scomposta dei vertici della RP, spingono nella direzione che noi consapevolmente e sistematicamente promuoviamo. E tanto più la Val di Susa diventerà uno dei fronti della GPR alla cui promozione il Partito dedica tutte le sue forze, quanto più le Val di Susa si moltiplicheranno e si coordineranno tra loro e quanto più il Partito diventerà capace di coordinare, orientare e comporre in un disegno unitario e potente i mille centri di resistenza diffusi nel paese.

Non ho alcuna difficoltà a riconoscere a economicisti e dogmatici che io parlo di qualcosa che ancora non c’è. Ma quello che c’è non va bene agli operai, ai proletari disoccupati, precari ed emarginati, agli immigrati, alle casalinghe, ai pensionati, ai giovani e agli studenti delle masse popolari. Quello che a loro va bene ancora non c’è. Possiamo solo sognarlo. Ebbene, bisogna sognarlo. Noi comunisti lo sogniamo. Questo è una delle cose che ci distingue dagli altri promotori di lotte rivendicative, di proteste e delle mille iniziative di base che comunisti ancora non sono (ma lo possono diventare, molti di loro lo diventeranno: i ranghi dei comunisti non sono a numero chiuso!). E il nostro sogno può diventare realtà perché corrisponde alle forze produttive che già esistono, alle conoscenze che già ci sono, a relazioni di cui le masse popolari hanno bisogno, a sentimenti e aspirazioni che ci sono, ma sono oggi ancora scoordinate e disperse. Non fanno forza, non costituiscono ancora potere.

Oggi la maggioranza dei promotori delle lotte rivendicative e delle proteste delle masse popolari, persino dei promotori delle mille iniziative di base, in definitiva riconoscono i vertici della Repubblica Pontificia e le sue istituzioni come unico potere reale nel nostro paese (anche se alcuni di loro già dicono che bisogna abbatterlo). Protestano contro i provvedimenti delle autorità della RP, chiedono con le buone e con dimostrazioni combattive e “azioni militanti” provvedimenti che quelle autorità non sono in grado di prendere perché contrastano con le relazioni e le procedure del sistema finanziario mondiale a cui fanno capo, con la prassi e le disposizioni della CI. Non osano pensare che possono diventare loro stessi esponenti del Nuovo Potere. Perché anche i più audaci hanno del potere una concezione dogmatica e stantia.

Hanno letto nei libri di Lenin e di Marx alcune verità sacrosante: che lo Stato è la violenza organizzata della classe dominante per reprimere e tenere a bada le classi sfruttate e oppresse. Sono paralizzati da questa verità, perché essi effettivamente non dispongono di forze armate e di polizie mentre le autorità della RP e della CI ne dispongono in abbondanza. Si sono adagiati su questa verità e non osano servirsene per guardarsi in giro e capire quello che li circonda: le condizioni in cui questa violenza organizzata è efficace, le condizioni in cui si esercita e di cosa si nutre. Per capire la sua forza e i suoi limiti. Lo Stato è violenza organizzata ma la borghesia riesce a servirsene efficacemente solo se ha un certo grado di collaborazione e di consenso tra le masse popolari e in particolare tra gli operai. La società borghese non riesce a funzionare contro l’opposizione diffusa, sistematica e organizzata delle masse popolari. E la violenza organizzata non è in grado da sola di ottenere collaborazione e consenso: riesce a spezzare le resistenza in singoli punti, annientare singoli esponenti e focolai di opposizione e resistenza, ma non è in grado di ristabilire collaborazione e consenso se i provvedimenti che la classe dominante impone, perché sono gli unici conformi ai suoi interessi, rendono impossibile la vita a gran parte della popolazione. Al di là di un certo limite, ogni azione repressiva provoca anzi essa stessa una maggiore opposizione, rafforza i resistenti e demoralizza le forze della repressione. Quando in una società borghese, basata quindi sul modo di produzione capitalista, la classe dominante è ridotta a doversi servire per imporre la sua volontà principalmente e durevolmente della violenza, il potere della borghesia è alla fine.

Ma è possibile portare la borghesia a questo punto? Più esattamente: è possibile portare le masse popolari a un livello abbastanza elevato e diffuso di non collaborazione e di insubordinazione alla borghesia e al clero, nonostante il prestigio e il seguito di cui la borghesia e il clero ancora godono, nonostante le manovre a cui ricorrono per dividere, nonostante le abitudini radicate nelle masse popolari da secolari relazioni di asservimento che la prima ondata della rivoluzione proletaria (1900-1945 con la fase che è seguita prima del suo esaurimento alla fine degli anni ’70) ha scosso solo in parte, nonostante l’intossicazione delle coscienze e dei sentimenti, nonostante le manovre e i delitti di ogni genere a cui i vertici della RP non hanno alcun ritegno a ricorrere, nonostante il sistema di controllo generalizzato sulla popolazione e la repressione selezionata dei centri che promuovono e organizzano l’opposizione? Questa è la vera questione, non la violenza organizzata di cui la classe dominante certo dispone come risorsa di ultima istanza del suo potere.

Questo infatti è il cuore dell’opera che il Partito comunista deve compiere verso le masse popolari organizzate, le OO e OP che il corso della crisi del capitalismo suscita: trasformarle in centri del Nuovo Potere analogamente a come il siderurgico trasforma in acciaio il ferro che nel minerale esiste solo come atomo legato ad atomi diversi. L’impresa non è facile, ma è possibile, come l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria ha mostrato. Persino i delitti e i misfatti della classe dominante concorrono all’opera, se il Partito lavora con dedizione e capillarmente alla sua opera usando sapientemente il materialismo dialettico come metodo di conoscenza delle situazioni concrete e come metodo per trasformarle.

Consideriamo le molte lotte rivendicative, le molte proteste, le molte iniziative di base che il procedere della crisi del capitalismo ha già suscitato e suscita. Quanto più si moltiplicano e si rafforzano le relazioni di ogni organismo che le promuove con gli altri, quanto più ogni organismo è capace di perseguire il suo obiettivo anche a costo di violare le leggi e le disposizioni delle autorità, quanto più ogni organismo sostiene l’attività e le iniziative degli altri, quanto maggiore è l’intesa e la collaborazione tra di essi, quanto più le autorità sono disobbedite e le loro disposizioni contestate, quanto più esse solo ricorrendo alla violenza riescono a farle rispettare, tanto più il paese diventa ingovernabile per i vertici della RP.

Certo tutto questo non è il tranquillo e pacifico moltiplicarsi di iniziative di bonario vicinato vagheggiate tuttavia con creatività realistica da Guido Viale e soci (per un’esposizione esemplare dei vagheggiamenti di G. Viale rimando a Un'opposizione per la nostra Europa, editoriale di il manifesto 24.10.2013). Non sono le processioni e gli scioperi concordati dalle Camusso di turno e dai loro sindacati collaborazionisti e complici. È il moltiplicarsi di iniziative di lotta, di azioni ostili promosse dalle OO e OP contro le istituzioni e le autorità della RP e gli ordinamenti vigenti: è uno stato di guerra con cui noi rovesciamo contro la borghesia imperialista e le sue istituzioni lo sconvolgimento dell’ordinamento sociale che la stessa borghesia imperialista compie per prolungare la sua esistenza nonostante la crisi generale del capitalismo.

È possibile che un simile corso delle cose si diffonda e diventi il clima diffuso di tutto il paese? Sì, è possibile se a causa della crisi del capitalismo le istituzioni della RP e le prassi e relazioni che esse impongono rendono la vita impossibile a una parte crescente del proletariato e delle masse popolari, aumentano la precarietà, la disoccupazione e l’emarginazione di una parte crescente della popolazione, se allargano la distruzione del territorio e l’inquinamento dell’ambiente e seminano malattie e morte su scala crescente e se il Partito comunista è capace di prendere la direzione della resistenza e trasformarla. Non chiediamo ai promotori e attori della resistenza di pensarla come noi, tanto meno di accettare la nostra direzione: che non si arrendano e facciano senza sosta quello che credono meglio e andranno nella direzione che noi consapevolmente e sistematicamente indichiamo e promuoviamo! Solo li incitiamo a non arrendersi, ma chi si arrenderà, altri lo sostituiranno. In ogni grande lotta di massa in definitiva dirige chi lancia le parole d’ordine meglio rispondenti alle condizioni e alle necessità di chi lotta e si dà i mezzi per portarle a chi combatte.

Se le OO e OP agiscono sempre meno in ordine sparso e con mosse contraddittorie, se sempre più seguono un orientamento comune e sono animate da una volontà comune, la loro rete e i loro organismi di coordinamento diventano il Nuovo Potere che governa il movimento reale del paese in contrasto con le istituzioni, le autorità e la volontà dei vertici della RP.

La crisi generale del capitalismo porta i paesi imperialisti e l’Italia tra essi in questa direzione. Sta a noi comunisti fare in modo che il Partito comunista sia all’altezza del suo compito e diventi il partito in cui si riconoscono tutti quelli che vogliono farla finita con l’attuale corso delle cose come i sinceri antifascisti dovettero riconoscersi nel vecchio Partito comunista italiano, alcuni fino a volerne far parte. Che i vertici della RP e la borghesia imperialista in generale proseguiranno l’opera criminale di disgregazione sociale e di saccheggio non vi è dubbio e ben lo sanno quelli che hanno studiato sulla base del marxismo la natura della crisi in corso a cui la borghesia per sua natura non può sfuggire.

 

La Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti sta trasformando su scala sempre più larga il mondo in un terreno aperto per le scorrerie dei capitalisti: dei magnati della finanza e dei grandi imprenditori dell’industria, del commercio e dei servizi. La sua opera è particolarmente devastante, materialmente e sul tessuto sociale, proprio nei paesi imperialisti dove grandi erano state le conquiste che le masse popolari avevano strappato come sottoprodotto della rivoluzione socialista che non hanno fatto durante la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale. Le fabbriche vengono chiuse o aperte, delocalizzate o rilocalizzate come variabili dipendenti della valorizzazione del capitale, come pedine con cui i capitalisti giocano. Grandi opere pubbliche vengono lanciate quando loro vi vedono buone occasioni di speculazione finanziaria devastando i territori e la vita della gente che vi abita. I servizi pubblici vengono privatizzati, venduti (che siano svenduti è frequente, ma in definitiva la corruzione è un aspetto derivato e secondario) ai singoli capitalisti e le prestazioni che fornivano alla popolazione diventano merci che il singolo capitalista produce o non produce a secondo che la vendita valorizzi il suo capitale e che comunque riorganizza per farne efficaci strumenti di valorizzazione del capitale. Ogni capitalista a sua volta opera nell’industria, nei servizi e nel commercio sotto la sferza del capitale finanziario che lo incalza tramite il credito bancario, la speculazione fondiaria e finanziaria, la rendita che deve assicurare ai titolari di obbligazioni e agli azionisti, le imposte e le tasse, le leggi, le regole e gli standard dettati dalle istituzioni del capitale finanziario. L’economia reale e le condizioni della vita corrente (casa, scuola, assistenza sanitaria, servizi urbani, servizi sociali, trasporti, ecc.) sono alla mercé del capitale finanziario che li sconvolge senza tregua mentre devasta senza limiti il territorio: la dispersione dei rifiuti tossici e nocivi in Campania e l’estrazione di gas di scisti in vaste zone degli USA forniscono l’immagine più chiara del corso delle cose.

Questa operazione è particolarmente evidente e devastante proprio nei paesi imperialisti d’Europa e dell’America del Nord. Qui la civiltà borghese aveva raggiunto il massimo del suo sviluppo. In questi paesi più che negli altri la sussunzione dell’attività economica nel capitale ha fatto capillarmente e su vasta scala di quasi ogni adulto un prestatore di lavoro a unità produttive della rete dell’economia capitalista e ad agenzie della pubblica amministrazione. Anche le aziende che mantengono le apparenze di imprese familiari e persino individuali, da noi si dice “il popolo delle partite IVA”, perfino quelle che non impiegano lavoratori salariati, per le loro relazioni reali sono diventate terminali e nodi della rete di aziende che producono beni e servizi per valorizzare il capitale. La prima ondata della rivoluzione proletaria ha forzato la borghesia, i suoi governi e la sua pubblica amministrazione a fare enormi passi avanti nell’organizzare tutta la vita sociale della popolazione di interi paesi nell’attività di reparti distaccati di un’unica grande azienda in cui ogni proletario svolge la sua prestazione, benché il suo rapporto mantenga la forma della libera vendita di forza lavoro o addirittura del lavoro autonomo. Sotto l’incalzare della crisi generale del capitalismo ora il capitale finanziario cerca di trasformare le prestazioni di ogni singolo proletario in variabile dipendente della valorizzazione del capitale: lavori se, quando e quanto un capitalista ha bisogno di te. È il sistema Marchionne che in Germania il governo del socialdemocratico Gerhard Schröder ha imposto su larga scala già alla fine degli anni ’90 del secolo scorso.

Questa trasformazione imposta dalla crisi generale del capitalismo, nel nostro paese, a somiglianza di quello che succede negli altri paesi imperialisti, è incompatibile con la sopravvivenza di milioni di proletari, oltre che essere la causa della devastazione ecologica e del saccheggio del paese. Questa è la situazione rivoluzionaria in sviluppo in cui noi comunisti possiamo e dobbiamo promuovere la guerra rivoluzionaria delle masse popolari contro la RP. Sta a noi comunisti e a tutti quelli che raggiungeranno le file del nuovo Partito comunista italiano essere all’altezza dell’opera che la storia ci impone, metterci in qualche misura all’unisono dei promotori delle mille iniziative di base, delle lotte rivendicative e delle proteste e rendere fecondo il loro lavoro. Per dirla con le parole di Gramsci, il Partito deve “dare una direzione consapevole ai moti spontanei e farli diventare quindi un fattore politico positivo” (Quaderni del carcere 13, paragrafo 1).

Nicola P.