Ritorna all'indice de La Voce 41 /-/ Ritorna all'indice completo dei numeri de La Voce


  La Voce 41 del (nuovo)Partito comunista italiano

La legge del valore-lavoro è storicamente superata - resta da superarla anche di fatto

 

(...) La ricchezza reale si manifesta piuttosto - e ciò viene messo in luce dalla grande industria - nella straordinaria sproporzione tra il tempo di lavoro impiegato e il suo prodotto, come pure nella sproporzione qualitativa tra il lavoro ridotto a pura astrazione [a prestazione sociale che si applica in ogni campo d’attività, ndr] e la potenza del processo produttivo che esso sorveglia. Il lavoro non si presenta più tanto come incluso nel processo produttivo, in quanto l’uomo si pone piuttosto come sorvegliante e regolatore nei confronti del processo produttivo stesso. Ciò che si è detto per il macchinario, vale ugualmente per la combinazione delle attività umane e per lo sviluppo dei rapporti tra gli uomini.

Non è più l’operaio a inserire l’oggetto naturale modificato [lo strumento di lavoro, l’utensile] come termine medio tra sé e la materia oggetto della sua lavorazione. Egli inserisce invece il processo naturale, che egli trasforma in un processo industriale, come mezzo tra sé e la natura inorganica di cui si impadronisce. Egli si sposta accanto al processo produttivo invece di esserne l’agente principale. In questa situazione modificata non è né il lavoro immediato, eseguito dall’uomo stesso, né il tempo che egli lavora, bensì l’appropriazione della sua forza produttiva generale, la sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale - in breve lo sviluppo dell’individuo sociale - che si presenta come il grande pilastro della produzione e della ricchezza. Il furto di tempo di lavoro altrui, sul quale si basa la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile in confronto a questa nuova base creata dalla grande industria stessa. Non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di esserne la misura. Quindi il valore di scambio cessa e deve cessare di essere la misura del valore d’uso. Il lavoro eccedente [il pluslavoro, cioè il lavoro oltre quanto necessario a produrre i beni consumati dal lavoratore o il loro equivalente, ndr] della massa della popolazione ha cessato di essere la condizione dello sviluppo della ricchezza generale, così come il non-lavoro dei pochi [cioè dei membri della classe dominante, ndr] ha cessato di essere la condizione necessaria dello sviluppo delle potenze generali della mente umana. Con ciò la produzione basata sul valore di scambio crolla e il processo produttivo materiale immediato viene a perdere esso stesso la forma della miseria e dell’antagonismo. Il libero sviluppo delle individualità, e dunque non la riduzione del tempo di lavoro necessario al fine di lasciare campo al lavoro eccedente, ma in generale la riduzione a un minimo del lavoro necessario alla società [per produrre i beni e i servizi di cui vuole disporre, ndr], a cui corrisponde la formazione artistica, scientifica ecc. degli individui grazie al tempo divenuto libero e ai mezzi creati per essi tutti.

Il capitale è esso stesso la contraddizione in processo [per il fatto] che esso interviene come elemento promotore nel processo di riduzione del tempo di lavoro necessario a un minimo, mentre d’altro canto pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza. Quindi esso diminuisce il tempo di lavoro nella forma del tempo di lavoro necessario, solo per aumentarlo nella forma del tempo di lavoro superfluo. Pone quindi in misura crescente il lavoro superfluo come condizione - questione di vita e di morte - di quello necessario [il capitalista fa compiere al proletario il lavoro di cui il proletario ha bisogno, solo se il proletario produce plusvalore (profitto) per il capitalista, ndr]. Per un verso il capitale chiama in vita tutte le potenze della scienza e della natura, come della combinazione sociale e del traffico sociale, allo scopo di rendere la creazione della ricchezza (relativamente) indipendente dal tempo di lavoro in essa impiegato. Per l’altro verso vuole misurare con il tempo di lavoro le gigantesche forze sociali così create, e contenerle nei limiti che sono richieste per conservare come valore il valore già creato [cioè il capitale che è valore accumulato]. Le forze produttive e le relazioni sociali - entrambi aspetti diversi dello sviluppo dell’individuo sociale - al  capitale si presentano soltanto come mezzi, e per esso sono soltanto mezzi per produrre a partire dalla sua base limitata. Ma in realtà essi sono le condizioni materiali per far saltare in aria questa base. “Una nazione è realmente ricca, quando in luogo di dodici, si lavora solo per sei ore. Ricchezza non è comando di tempo di lavoro eccedente ... bensì tempo disponibile, oltre a quello utilizzato nella produzione immediata, per ogni individuo e per l’intera società” (dallo scritto La fonte e il rimedio delle difficoltà del paese dedotti dai principi dell’economia politica inviato da un anonimo a Lord John Russel nel 1821).

La natura non costruisce macchine, locomotive, ferrovie, telegrafi elettrici, telai meccanici, ecc. Questi sono prodotti dell’industria umana; materiale naturale trasformato in organi della volontà dell’uomo sulla natura o del suo operare in essa. Sono organi dell’intelligenza umana creati dalla mano umana; potenza materializzata del sapere. Lo sviluppo del capitale fisso mostra in quale misura il sapere sociale generale, la conoscenza, si è trasformato in forza produttiva immediata e quindi le condizioni del processo vitale stesso della società sono diventate possesso dell’intelligenza della società e sono state rimodellate in accordo con essa. Mostra in quale misura le forze produttive sociali sono prodotte non solo nella forma del sapere, ma anche come organi immediati dell’attività sociale, come forme del processo reale della vita. (…)

 

(K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (Grundrisse), in Opere complete vol. 30 Editori Riuniti 1986, pag. 91-92. La traduzione è sempre quella di Giorgio Backaus, ma migliorata rispetto a quella impiegata nelle Edizioni Einaudi 1976, pagg. 717-719)

 

 

 

La Voce n. 41
in formato PDF
in formato Open Office - in formato Word