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  La Voce 41 del (nuovo)Partito comunista italiano

Mario Pianta o dei “consiglieri del principe” che il principe non ascolta neanche

Appendice all’articolo La natura, la fonte, le leggi di sviluppo e le manifestazioni della crisi.

L’articolo di Mario Pianta riprodotto qui di seguito è comparso su il manifesto di domenica 24 giugno 2012 con il titolo GREEN NEW DEAL - Forum dell'altra Europa per uscire dal tunnel. Consiglio vivamente di studiarlo. In questo articolo M. Pianta espone sinteticamente ma chiaramente il programma di “uscita dalla crisi” su cui tutti gli esponenti della sinistra borghese grossomodo convergono. Esponendo il “programma di uscita dalla crisi”, implicitamente M. Pianta indica anche quale interpretazione la sinistra borghese dà della natura della crisi.

A scanso di equivoci ripeto che non uso l’espressione “sinistra borghese” come un insulto, ma per indicare con una sola espressione l’insieme degli esponenti politici e degli intellettuali (e in Italia sono migliaia) che sono contrari (blandamente alcuni, con furore altri) al corso delle cose, alle ingiustizie del sistema, alle malefatte e ai crimini della Repubblica Pontificia. Ma non immaginano un altro modo di produrre beni e servizi che non sia quello borghese (nelle aziende capitaliste) eventualmente moderati da modi ancora più primitivi (ad es. la piccola economia di vicinato di Viale-Proudhon) e hanno rotto ogni legame con il movimento comunista, con la sua concezione del mondo, con la sua esperienza storica. Non vanno con il loro pensiero oltre l’orizzonte della società borghese e nascondono, se mai l’hanno conosciuta, o denigrano l’esperienza del movimento comunista. Qualificano di “ideologico”, stalinista, vetero, ecc. i ricorsi a quella grande e gloriosa esperienza e ai suoi insegnamenti. In Italia la sinistra borghese a partire dagli anni ’80 ha preso in larga misura il posto e il ruolo occupato dai revisionisti moderni a partire dagli anni ’50. Questi restavano ritualmente ancorati all’esperienza e al ricordo del movimento comunista e all’Unione Sovietica.

L’articolo di M. Pianta è riportato integralmente. Di mio ho aggiunto le date tra parentesi quadre, le evidenziazioni in grassetto e qualche a capo.

 

Democrazia, banche, crescita. Alcune idee alternative sul tavolo dell'incontro promosso per il 28 giugno a Bruxelles

C'è poco di nuovo in quanto si è detto al vertice dei quattro maggiori paesi europei chiuso venerdì [22 giugno] a Roma, e c'è molto di non detto sull'accelerazione della crisi europea.

La prima "mezza notizia" è sulla tassazione delle transazioni finanziarie. Alla fine del vertice perfino il "cattivo" ministro dell'economia tedesco Wolfgang Schäuble ha dichiarato che dieci paesi europei sono ora pronti a introdurla. Sarebbe una vittoria di chi chiede la Tobin Tax da vent'anni; per quanto limitata a pochi paesi, aggirabile dalle strategie della speculazione e efficace a colpire solo una piccola parte delle attività della finanza, la tassa avrebbe un significato simbolico fondamentale. Per la prima volta in cinque anni di crisi, la finanza verrebbe colpita dalla politica. Non sarebbero più i governi a subire inermi ogni lunedì l'attacco della speculazione, ma sarebbe la finanza a subire un piccolo colpo. Il problema è che l'Europa rinuncia a una norma comune e passa a un'iniziativa di "cooperazione rafforzata" tra pochi paesi e il Regno Unito di David Cameron - l'oppositore più ostinato - può tirare un respiro di sollievo.

La seconda è la non notizia sulla responsabilità collettiva dell'Europa sul debito pubblico. L'ha chiesta timidamente Mario Monti. Hollande è d'accordo, chiede prima la solidarietà e gli eurobond, poi la perdita di sovranità - difficile da digerire per la Francia. Merkel accoglie solo una "unione fiscale" pensata come protettorato tedesco sulle politiche di bilancio degli altri paesi. Qui la "convertita" è la signora del Fondo monetario Christine Lagarde, che ha imbeccato il vertice europeo chiedendo eurobond, unione fiscale e acquisti di titoli pubblici da parte della Banca centrale europea:  un'Europa che si dia una mossa e aiuti anche la ripresa Usa in tempo per la rielezione di Obama. La paralisi qui è destinata a continuare e la palla resta all'amletico Mario Draghi al vertice della Bce, l'unico con gli strumenti per intervenire davvero. Finora ha salvato soltanto le banche, rifiuta di sostenere massicciamente il debito pubblico e ha fatto infuriare i tedeschi chiedendo una unione bancaria per poter sorvegliare la banche a rischio. Tra i potenti regna il disordine.

La terza è una notizia inesistente, i 130 miliardi per la "crescita", che non si sa da dove vengano, dove vadano e come possano far uscire l'Europa dalla recessione.

È del tutto improbabile che queste tre non-notizie riescano a tranquillizzare i mercati finanziari che lunedì [25 giugno] giudicheranno l'affidabilità dell'euro e dell'Europa. La crisi sta diventando sempre più intricata. Le banche spagnole hanno ora bisogno di enormi finanziamenti e non si è ancora capito quanto aggraveranno i già disastrati conti pubblici di Madrid, che chiederà ora ufficialmente l'aiuto europeo. La Grecia non è più sulle prime pagine dei quotidiani, ma la crisi di Atene resta irrisolta. E si annuncia quella di Cipro, centro finanziario soprattutto per i capitali russi e del Medio oriente, con due banche al collasso. Il governo cipriota, guidato da un primo ministro comunista legato alla Russia, ha chiesto a Mosca un super-prestito, ma potrebbe molto presto aggiungersi alla lista dei paesi euro bisognosi di aiuto - e sarà proprio Cipro ad assumere la presidenza di turno dell'Europa il prossimo primo luglio.

Il non detto tra i potenti d'Europa disegna una prospettiva assai fosca per un'Europa che non sa cambiare strada.

 

Sono quattro i temi al centro di ogni strategia che voglia davvero arginare la crisi.

Crisi finanziaria e politica
e crisi strutturale

La crisi attuale non è iniziata con la “deregolamentazione selvaggia” dei movimenti dei capitali finanziari, con gli “eccessi della finanza”, con la creazione (poco più di 10 anni fa) di una moneta senza Stato (l’euro). Essa ora si esprime anche in questi aspetti. Ma ognuno di essi a sua volta è stato generato dalla necessità dei capitalisti di muoversi liberamente alla ricerca di vie, impieghi e mezzi per valorizzare il loro capitale. Quello che per una parte importante di capitale non trovavano più nelle aziende capitaliste. I capitalisti non potevano valorizzare tutto il loro capitale investendolo in aziende a produrre una quantità maggiore di beni e sevizi e impiegare più operai. Le forme e le vie della crisi finanziaria nascono dalle manovre e contorsioni della borghesia per valorizzare i suoi capitali nonostante la crisi della produzione capitalista di beni e servizi. Questa continua e alimenta la crisi qualunque siano le misure prese sul terreno finanziario e politico. La partecipazione effettiva di tutti agli affari della società e dello Stato è incompatibile con il capitalismo. Anche il solo mantenimento della rappresentanza politica tramite elezioni, richiede una maggiore intossicazione delle coscienze e manipolazione dell’opinione pubblica.

Il primo è il braccio di ferro con la finanza: potrebbe diventare lo scontro che definisce gli spartiacque dei nuovi schieramenti della politica europea. La speculazione si traduce in tassi d'interesse da usura sul debito pubblico, in tagli di welfare e salari, in recessione sempre più grave. È interesse di quasi tutti - imprese, lavoratori, forze politiche non ultraliberiste - rompere questa spirale, costruendo il consenso per misure che ridimensionino drasticamente la finanza: divisione tra banche d'affari e commerciali, restrizioni alle operazioni ad alto rischio, fine dei paradisi fiscali.

Il secondo tema, di cui si parla poco, ma che è alla base dell'aggravarsi della crisi in Grecia, Spagna e Italia, sono le fughe di capitali. La speculazione finanziaria e i timori per l'uscita dall'euro dei paesi più fragili hanno spinto i ricchi di tutti i paesi a portare i soldi in Svizzera, Germania, Gran Bretagna, Lussemburgo e in altri paradisi fiscali. Si sono aperti squilibri enormi nei conti con l'estero dei paesi europei e scompaiono risorse per investimenti proprio dove servirebbero di più per rilanciare le capacità produttive. Perfino il Fondo monetario ha posto il problema di ridurre gli squilibri nei movimenti di capitali ed è il momento per una politica europea che orienti i capitali privati al reinvestimento nell'economia reale, nei paesi dove sono stati accumulati, con severe misure fiscali e limitazioni amministrative. Anche in questo caso, tutta l'economia reale ne avrebbe benefici, sarebbero colpiti solo gli straricchi di ogni paese.

Il terzo tema riguarda la recessione che ha colpito l'economia di tutta Europa. L'idea dei potenti d'Europa è che tagliare  spese e salari aumenti la competitività e porti a esportazioni e crescita; invece ha portato l'Europa a scivolare in una nuova grande depressione. È indispensabile imparare le lezioni degli anni trenta: rilanciare la domanda e avviare una redistribuzione del reddito dai ricchi ai poveri, rovesciando le disuguaglianze record raggiunte in Europa. Far ripartire la spesa pubblica buona, far crescere il lavoro, i salari e i consumi, orientare gli investimenti verso uno sviluppo sostenibile: un green new deal potrebbe essere la via d'uscita dalla recessione di oggi.

Il quarto è un tema tutto politico: l'azzeramento della democrazia in Europa. Le decisioni sono prese da Berlino, Bruxelles e dalla Banca centrale; i governi degli altri paesi non contano, il Parlamento europeo è impotente. Si è aggravata così la divisione tra il potere della Germania (e i suoi stati satelliti) e una periferia europea sempre più debole e frammentata, un quadro in cui una maggiore integrazione europea rischia di trasformarsi - come teme la Francia - in più potere consegnato a Berlino. Ripartire dalla democrazia - negli Stati e tra gli Stati - è l'unica possibilità di evitare l'Europa pangermanica e le reazioni verso nuovi, illusori nazionalismi.

Sono questi i nodi della crisi europea di cui si parlerà il 28 giugno a Bruxelles al Forum "Un'altra strada per l'Europa" promosso da trenta organizzazioni sociali - tra cui Sbilanciamoci! e il manifesto - che si terrà al Parlamento europeo, con la collaborazione dei gruppi dei Verdi e della Sinistra unita europea. Rossana Rossanda aprirà i lavori e cinquanta economisti, dirigenti sindacali, esponenti dei movimenti di tutta Europa si confronteranno con trenta politici e parlamentari sulle proposte per un'altra Europa.

La diretta del Forum sarà trasmessa in streaming sul sito www.ilmanifesto.it. Tutte le informazioni anche su www.anotherroadforeurope.org e www.sbilanciamoci.info.

 

 

 

 

 

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