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  La Voce 41 del (nuovo)Partito comunista italiano

Fare la rivoluzione socialista è possibile!
La fanno le masse popolari sotto la direzione del Partito comunista
 

Critica e autocritica dello spontaneismo e del meccanicismo che hanno caratterizzato e frenato l’azione del movimento comunista nei paesi imperialisti durante la prima ondata della rivoluzione proletaria

 

È possibile fare la rivoluzione socialista, ma condizione indispensabile è che un Partito che personifica la concezione comunista del mondo (il Partito comunista) mobiliti, organizzi e aggreghi attorno a sé, tramite le sue tattiche di intervento nella lotta politica borghese, nelle lotte rivendicative e nelle proteste spontanee delle masse popolari, una parte importante del proletariato e del resto delle masse popolari, elevandone contemporaneamente sempre più il livello di coscienza e il grado di organizzazione, facendo cioè di ogni lotta una scuola di comunismo nel senso illustrato nel Manifesto Programma del (n)PCI (nota 30, pag. 262).

Il socialismo è una fase della storia dell’umanità: la fase della transizione dalla produzione capitalista di beni e servizi al comunismo, dalla società divisa in classi alla società senza più divisione in classi sociali. Per sua natura questa transizione può svolgersi solo ad opera della masse popolari che nel corso dell’opera e grazie alla loro esperienza diretta e all’azione del Partito comunista, acquisiscono via via un grado di organizzazione e un livello di coscienza adeguati all’opera che devono compiere. Il socialismo è instaurato dalle masse popolari che partecipano alla rivoluzione socialista con diversi livelli di coscienza: dall’azione spontanea a una coscienza tanto più elevata quanto più le masse popolari sono influenzate dal Partito comunista.

Per attività spontanee intendiamo le attività che le masse popolari sviluppano senza intervento diretto del Partito comunista a promuoverle e dirigerle: cioè le attività che esse sviluppano sulla base della coscienza diffusa con cui si ritrovano (il senso comune) e delle relazioni tra esse esistenti, prodotte dalla loro collocazione sociale e dalla storia che hanno alle spalle.

Stante la natura della rivoluzione socialista e del socialismo, la classe operaia può e deve svolgere un ruolo che la distingue da tutte le altre classi popolari. Da qui l’importanza decisiva del lavoro operaio del Partito, l’importanza che nelle aziende e nei reparti si costituiscano Comitati di Partito capaci di svolgere il ruolo di Stato Maggiore della rivoluzione socialista nell’azienda e di espandere la loro influenza sulle masse popolari della zona, l’importanza che il Partito comprenda nelle sue file tutti o almeno gran parte degli operai più avanzati. Il Partito comunista è in grado di fare la rivoluzione socialista, cioè di promuovere e guidare la guerra popolare rivoluzionaria (intesa nel senso illustrato in MP pagg. 197-208) che è la strategia della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti, solo se organizza nelle sue file gran parte degli operi avanzati. Il Partito comunista tuttavia non è il partito degli operai, ma il partito dei comunisti. Con la rivoluzione socialista la classe operaia non si limita a liberare se stessa dalla dipendenza dai capitalisti: essa riorganizza l’intera società sulla base della concezione comunista del mondo e mobilita tutte le classi delle masse popolari a rompere con la sottomissione a classi dominanti e a diventare protagoniste dirigenti della propria vita elevando la propria coscienza e organizzandosi. Il Partito comunista è l’avanguardia organizzata della classe operaia nel senso che è elaboratore della concezione comunista del mondo, adotta come base della sua unità e guida della sua azione la concezione comunista del mondo che è la concezione del mondo grazie alla quale la classe operaia emancipa se stessa.

Questa è una questione che distingue noi comunisti da organizzazioni che pure si dichiarano comuniste, come il Partito  Comunista dei Lavoratori, FalceMartello, Operai Contro, Partito Operaio Informale e altre.

Queste organizzazioni mettono l’accento sulla composizione sociologica del partito: sul fatto che i loro membri devono essere operai (anche se la loro effettiva composizione di classe non è adeguata alla loro teoria e alle loro aspirazioni). Queste organizzazioni ideologicamente sono ferme all’esperienza della prima Internazionale (1864-1874) e della seconda Internazionale (l’Internazionale Socialista 1889-1914), quando il principale compito storico era effettivamente quello che gli operai acquisissero in massa una coscienza di classe, quello di distinguere gli operai dalle altre classe delle masse popolari. Per alcune di queste organizzazioni (PCL, FM e altre) l’arretratezza ideologica è rafforzata dal loro legame sentimentale con il trotzkismo, che è nato come una corrente di sinistra della seconda Internazionale e non l’ha mai superata ideologicamente.

Noi comunisti invece poniamo l’accento sul fatto che gli operai membri del partito devono essere comunisti. La base dell’unità del Partito non è la classe, ma la concezione comunista del mondo. Quelle organizzazioni parlano di partito di classe; noi di partito comunista. Parlano di governo operaio, di governo dei lavoratori; noi di dittatura del proletariato, uno Stato transitorio che si estingue man mano che viene eliminata la divisione in classi.(1)

1. Il nucleo principale dello Stato è essere una particolare forza di repressione, in primo luogo la forza con cui la classe dominante reprime le altre classi. Quando tutti gli uomini partecipano effettivamente alla gestione delle attività sociali, il capitalismo non può più esistere, ma anche lo Stato ha perso il suo ruolo e il suo nucleo costitutivo principale. Il trattamento dei comportamenti asociali degli individui, la prevenzione e anche la repressione di questi comportamenti, non richiedono una forza esterna alla società. Ad ogni livello la società si organizzerà in modo da adempiere efficacemente a questi compiti. Per capire la questione di cui parliamo basta riflettere alla sostanziale differenza tra la polizia nazionale e vigili costituiti zona per zona come lo potrebbero essere i pompieri, gli assistenti sociali o altri corpi del genere.

 L’operaio comunista non è l’operaio che protesta, rivendica o comunque in qualche modo si ribella: milioni sono i lavoratori dipendenti o autonomi, i giovani e gli studenti, le casalinghe e gli immigrati che protestano, rivendicano o comunque in qualche modo si ribellano. Se non fosse così, la rivoluzione socialista sarebbe impossibile. Per protestare, rivendicare o comunque in qualche modo ribellarsi non occorre avere la concezione comunista del mondo: basta la concezione borghese del mondo. Questa, a differenza della concezione clericale (feudale, schiavistica) del mondo, spinge ogni individuo a “esigere ognuno la sua parte”. La coscienza spontanea dell’operaio nella società borghese è infatti una coscienza rivendicativa, e all’organizzazione sindacale gli operai arrivano anche senza i comunisti. Per i comunisti l’organizzazione sindacale è uno dei mezzi per fare scuola di comunismo, ma perfino il clero e la borghesia in determinate condizioni promuovono e incoraggiano l’organizzazione sindacale degli operai per contrapporla al movimento comunista. In Italia in certi periodi addirittura abbiamo avuto organizzazioni sindacali bianche più combattive sul piano della rivendicazione sindacale delle organizzazioni sindacali legate strettamente al movimento comunista, ad esempio la FIM-CISL rispetto alla FIOM-CGIL. Noi comunisti non ci arrendiamo e tanto meno ci disperiamo perché nella realtà abbiamo a che fare con organizzazioni sindacali reazionarie, influenzate o dominate dalla borghesia e dal clero: ne approfittiamo per spingere gli operai ad andare più avanti e la pratica conferma la nostra concezione.

L’operaio comunista è l’operaio che ha un progetto di società da costruire; che da subito, già oggi, mobilita, organizza e dirige gli altri lavoratori dipendenti o autonomi, i giovani e gli studenti, le casalinghe e gli immigrati che protestano, rivendicano o comunque in qualche modo si ribellano; li dirige a rendere la loro azione più efficace fino a costituire una forza capace di dirigere la società, le sue attività produttive di beni e servizi (le agenzie pubbliche che prenderanno il posto delle aziende capitaliste) e tutte le sue attività e di spazzar via gli ostacoli che la borghesia e il clero frappongono a questo risultato; che da subito, già oggi, mobilita, organizza e dirige le centinaia di migliaia di persone di buona volontà (delle classi intermedie e della stessa borghesia) professionalmente preparate che di fronte allo sfascio della società attuale sono disposte a mettersi al servizio delle OO e delle OP e in generale della rivoluzione socialista. Già oggi ci sono nel nostro paese decine di migliaia, probabilmente centinaia di migliaia di persone con un alto livello  professionale nei campi più svariati, che sarebbero felici di svolgere bene il loro lavoro per uno scopo socialmente utile e per le quali è secondaria la quantità di denaro che ne ricavano, una volta che abbiano quanto necessario per una vita dignitosa. L’operaio comunista è colui che mobilita da subito anche queste persone, che dà ad ognuna di esse, al maggior numero di esse la possibilità di svolgere la loro arte in attività che i comunisti organizzano e promuovono, rompendo i limiti e i segreti che la proprietà capitalista frappone per sua natura alla loro opera.

Senza l’attività del Partito comunista, guidata quindi dalla concezione comunista del mondo e adeguato all’opera da compiere, cioè capace di assimilare la concezione comunista del mondo e di tradurla nel particolare e applicarla nel concreto, non si ha rivoluzione socialista e instaurazione del socialismo.

 

Il motivo principale per cui durante la prima ondata della rivoluzione proletaria il movimento comunista non ha instaurato il socialismo in nessun paese imperialista, consiste nei limiti dei partiti comunisti dei paesi imperialisti quanto a comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe nei rispettivi paesi. I partiti comunisti dei paesi imperialisti hanno costantemente oscillato tra adesione dogmatica e identitaria ai principi comunisti e manovre politiche senza principi. Per alcuni di essi il legame con l’Unione Sovietica e con l’Internazionale Comunista ha supplito in certi periodi alla mancata adesione alla concezione comunista del mondo. Questo limite è illustrato in dettaglio nell’opuscolo del (n)PCI I quattro punti principali da discutere nel movimento Comunista internazionale (dicembre 2010 - www.nuovopci.it).

Il motivo principale dell’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria sta nella mancata instaurazione del socialismo nei paesi imperialisti. L’Unione Sovietica, la Repubblica Popolare Cinese, gli altri paesi socialisti creati nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria potevano svolgere, e per alcuni anni hanno svolto, il ruolo di basi rosse della rivoluzione proletaria mondiale. Ma la vittoria del socialismo poteva diventare definitiva solo grazie all’instaurazione del socialismo nei paesi imperialisti.

Chi oggi non accetta o non comprende le due tesi appena enunciate, è fuori strada: non è in grado di dirigere la guerra popolare rivoluzionaria che siamo conducendo in un paese imperialista. Non è in grado di trarre dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria gli insegnamenti preziosi che essa può dare per instaurare il socialismo nei paesi imperialisti.

Per instaurazione del socialismo intendiamo la formazione di un nuovo Stato costituito sostanzialmente [quindi prescindendo dalle forme concrete con cui gli operai formeranno le singole istituzioni (consigli aziendali e territoriali, delegati, comitati, assemblee, elezioni, ecc.) che comporranno lo Stato, dalle forme concrete della partecipazione delle altre classi alla costituzione e all’attività delle istituzioni statali, ecc.] dagli operai diretti dal Partito comunista; un nuovo Stato che ovviamente assicurerà la difesa della rivoluzione socialista dagli attacchi e dai sabotaggi delle classi ostili, ma avrà come compito principale quello di dirigere le masse popolari a sostituire la produzione comunista di beni e servizi alla produzione capitalista di beni e servizi e di costruire un sistema di relazioni sociali basato 1. sulla partecipazione universale alle attività specificamente umane (vedi MP nota 2, pag. 249), 2. sulla produzione comunista di beni e servizi compiuta da ogni individuo come una delle sue prestazioni sociali e 3. su un rapporto con il resto della natura sagomato sulle conoscenze più avanzate che l’umanità è capace di averne.

Senza rivoluzione socialista, cioè senza la guerra popolare rivoluzionaria (intesa nel senso illustrato in MP pagg. 197-208) che costruisce il Nuovo Potere, è impossibile instaurare il socialismo in un paese imperialista. Di per sé, cioè senza l’apposito intervento del Partito, la crisi del capitalismo (per sovrapproduzione assoluta di capitale) ha generato la crisi generale della società capitalista (del sistema imperialista mondiale). Ma questa spontaneamente non porta all’instaurazione del socialismo. La rivoluzione socialista non è un evento che scoppia a seguito del peggioramento delle condizioni delle masse popolari che la crisi del capitalismo comporta. Questo lo abbiamo ben visto durante la  prima crisi generale del capitalismo che ridusse l’Europa a un campo di rovine.

Dove va quindi il mondo? Dove lo sta portando la borghesia imperialista? Dove lo vogliamo portare noi?

I pessimisti, i disfattisti e simili sostengono che la crisi per sua natura porta alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari (quindi a guerre tra paesi e Stati). In realtà affermano questo solo perché sono presi dal panico o si preparano già alla resa. Essi danno per persa una partita che è ancora tutta da giocare. Con questa loro presa di posizione annunciano il loro rifiuto di partecipare alla lotta e pesano negativamente sull’esito della lotta, influenzano negativamente quelli che li ascoltano. Dobbiamo combattere questa posizione disfattista e vile. Noi possiamo vincere, le masse popolari possono vincere, anche se forse perderemo ancora alcune battaglie. Quando nel 1941 le armate naziste dilagarono in Unione Sovietica, i comunisti e le autorità sovietiche non si persero d’animo anche se non riuscirono a fermarle subito, assunsero il compito di guidare le masse popolari alla resistenza e alla guerra, fecero leva sui fattori favorevoli alle masse popolari. Il risultato fu che bloccarono le armate naziste su un fronte che andava da Stalingrado a Leningrado, poi le rigettarono indietro e marciarono fino a Berlino. Questo è l’esempio che noi dobbiamo avere in testa, non la resa e il panico.

Noi possiamo vincere, quindi dobbiamo vincere, vincere dipende da noi!

Il mondo deve cambiare e cambierà. Questo è certo ed è un fattore favorevole a noi e alle masse popolari, perché distrugge le vecchie relazioni e molti rapporti tradizionali di sottomissione e di rassegnazione. Il passato non era favorevole per le masse popolari. Il futuro può esserlo, dipende principalmente da noi comunisti. Se combatteremo con una linea e un metodo giusti, vinceremo. La mobilitazione rivoluzionaria delle masse può prevenire la mobilitazione reazionaria delle masse. Dipende dalla capacità del Partito comunista.

Vi sono alcuni fattori favorevoli ai fautori della mobilitazione reazionaria. 1. La concezione borghese e clericale del mondo che viene promossa tra le masse dalla propaganda borghese e clericale e dalla pratica di sottomissione a cui la società borghese costringe le masse popolari: il senso comune ne è ancora largamente permeato. 2. Nonostante le loro malefatte e i loro crimini e le sofferenza che impongono alle masse popolari, il clero e la borghesia mantengono comunque ancora una residua egemonia sulle masse popolari e si danno con ogni mezzo a montare una parte contro l’altra, a creare divisioni, a mettere un paese contro l’altro. 3. Le strutture statali e le altre istituzioni politiche e finanziarie della borghesia e del clero appoggiano i fautori delle prove di fascismo e della mobilitazione reazionaria.

Ma vi sono alcuni potenti fattori favorevoli a noi promotori della mobilitazione rivoluzionaria delle masse, in primo luogo l’organizzazione delle masse popolari, la tradizione di lotta e di ribellione, l’eredità della prima ondata della rivoluzione proletaria e della vittoria della Resistenza antifascista, l’antagonismo che la pratica quotidiana genera tra le masse popolari nei confronti della borghesia, del clero e delle loro istituzioni che tolgono alle masse popolari anche quello che le masse popolari avevano già conquistato.

Se noi comunisti impariamo a far giocare questi fattori, a fare di ogni lotta una scuola di comunismo, se promuoviamo passo dopo passo su tutti i fronti, con tattiche adeguate a ogni situazione concreta, la guerra popolare rivoluzionaria, noi possiamo arrivare passo dopo passo ad unire le masse popolari in organizzazioni di massa aggregate a vari livelli attorno al Partito comunista in modo da costituire il Nuovo Potere e prevenire la mobilitazione reazionaria delle masse popolari.

La linea della costituzione del Governo di Blocco popolare, della creazione delle 3 condizioni necessarie alla sua costituzione, di rendere dal basso il paese ingovernabile per le autorità della Repubblica Pontificia, costituiscono in questa fase la nostra linea a livello nazionale per prevenire la mobilitazione reazionaria e portare a un livello superiore la guerra popolare rivoluzionaria.

Su questa linea tattica già oggi abbiamo alleati e il loro numero aumenterà. Non mi riferisco solo alle organizzazioni della Carovana del (n)PCI, alle organizzazioni modello dei 4 fronti del nostro Piano Generale di Lavoro (MP pagg. 221- 224) che condividono il progetto strategico del Partito comunista. Mi riferisco ad organismi che non lo condividono, come il Movimento Popolare di Liberazione ad esempio. Un loro esponente ha partecipato il 12 maggio all’Assemblea che il Partito dei CARC ha tenuto a Napoli e ha confermato che anche il MPL è favorevole alla costituzione del GBP e di un Governo Ombra. È d’accordo al cento per cento con noi? Chiaramente no e ha avuto l’onestà di dirlo. Anzi ha voluto posizionarsi più a sinistra di noi, dicendo che per il MPL la costituzione del GBP è uno sbocco “strategico e rivoluzionario e non tattico” come invece è per noi e mettendoci in guardia dall’avere fiducia nelle OO e OP e nelle associazioni della seconda gamba (come ALBA e No Debito). Ha anche ammonito il Partito dei CARC a non pensare che nel nostro paese il cambiamento avverrà con le elezioni e ha chiesto chiarimenti sulla nostra posizione rispetto all’uscita dall’Unione Europea e dall’area monetaria dell’euro.

Noi siamo sicuri che l’esperienza mostrerà che una volta costituito il GBP bisogna andare oltre. Ma ora la questione è costituire il GBP. Quindi ci uniamo con tutti quelli che si battono effettivamente per costituirlo. Una volta costituito il GBP, la questione diventerà la difesa della sua esistenza e il compimento della sua opera: adottare i provvedimenti che caso per caso le OO e OP indicheranno per far fronte ai disastri prodotti dalla crisi. Tutti impareremo dall’esperienza e su questo si formeranno gli schieramenti per andare oltre.

Non possiamo pretendere e non pretendiamo di fissare oggi quello che faremo domani nel dettaglio e con chi. Sappiamo dove vogliamo arrivare, abbiamo a grandi linee la linea da seguire, dobbiamo giorno dopo giorno trovare i passi da compiere. Noi siamo fermi sulla strategia, ma dobbiamo essere flessibili nella tattica. Proprio perché la base dell’unità del Partito è la concezione comunista del mondo e non il programma politico, possiamo essere flessibili nella tattica, adottare fase dopo fase la linea adatta ad andare avanti, verso l’instaurazione del socialismo.

La rivoluzione socialista non è un evento che scoppia. La costruiamo giorno dopo giorno, fronte per fronte. Questa è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.

In questo ci distinguiamo dai partiti comunisti della prima Internazionale Comunista, ivi compreso dal primo PCI. Abbiamo imparato la lezione. Abbiamo capito perché quei partiti non hanno instaurato il socialismo in nessun paese imperialista. Ci distinguiamo anche dai partiti che oggi ripetono la stessa loro linea. Essa consisteva nel fare propaganda per il socialismo e mobilitare le masse nelle lotte rivendicative e dove era possibile anche nella lotta politica borghese. Confidavano che un giorno o l’altro la rivoluzione socialista sarebbe scoppiata e loro, grazie al lavoro che facevano, sarebbero stati in grado di prendere la direzione. È la linea che segue ancora oggi il Partito Comunista Greco (KKE), per quanto ci risulta. È anche la linea che in Italia seguono organizzazioni come il Partito Comunista dei Lavoratori (PCL), Comunisti Sinistra Popolare-PC e altre che si proclamano comuniste e noi non dubitiamo a priori dell’onestà e della sincerità dei loro propositi. Diciamo solo che sono arretrate. Non hanno imparato dall’esperienza della prima ondata. Perché non hanno imparato? Perché per alcuni di loro il fatto che i partiti comunisti di allora non abbiano instaurato il socialismo non è un problema: la rivoluzione socialista non è scoppiata. Per altri (quelli come il PCL legati almeno in qualche misura al trotzkismo) la risposta è un ritornello: perché i partiti comunisti di allora erano stalinisti, cioè (secondo i trotzkisti) contrari alla rivoluzione. Perché i trotzkisti (che a quei tempi comunque esistevano) non abbiano instaurato il socialismo, questo è un problema che non si pongono neanche perché in nessun paese mai i trotzkisti hanno instaurato il socialismo: perché avrebbero dovuto farlo nei paesi imperialisti? Insomma non imparano dalla storia, non concepiscono e non trattano la concezione comunista come una scienza sperimentale che i comunisti sviluppano e arricchiscono sulla base dell’esperienza. Quelli di loro che aderiscono al marxismo-leninismo vi aderiscono in modo identitario e dogmatico. I trotzkisti sono fermi alle concezioni della seconda Internazionale (1889-1914).

 

L’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria ci assicura che il mondo cambierà. Come questo si svolgerà  e dove sfocerà la crisi attuale, non lo possiamo dire a priori: dipende da quello che faremo noi. La prima volta che l’umanità si imbatté in un processo del genere fu nella prima parte del secolo scorso. Allora il corso delle cose venne determinato dallo sviluppo della rivoluzione socialista nell’impero russo, ad opera del Partito di Lenin e di Stalin. Considerare il corso che ha avuto la prima crisi generale del capitalismo “a prescindere” dalla Rivoluzione d’Ottobre, dalla costituzione dell’Unione Sovietica e dell’Internazionale Comunista e dalla loro azione nel mondo, dalla vittoria della rivoluzione in Cina e dalla costituzione della Repubblica Popolare Cinese, è quello che fanno la borghesia e la sinistra borghese. Ovviamente non ha niente di scientifico. Riflette solo il fatto che gli esponenti della borghesia e quelli che sono ideologicamente dominati dalla borghesia rifuggono dal considerare scientificamente il corso della storia dell’umanità. Noi comunisti impariamo dalla storia. La borghesia e la sinistra borghese (che è sotto la sua influenza) travisano la storia per non vedere quello che essa insegna: che il capitalismo è alla fine e che l’umanità deve instaurare il socialismo. Che il futuro dipende quindi da noi comunisti.

Noi comunisti sappiamo che a determinate condizioni l’umanità è capace di fare la sua storia, di indirizzare la propria esistenza. Quindi lottiamo senza riserve perché essa lo faccia. Che i nostri sforzi siano adeguati al compito, dipende da noi stessi.

La vittoria è possibile. Vinceremo!

Tonia N.

 

 

 

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