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  La Voce 40 del (nuovo)Partito comunista italiano

La concezione comunista del mondo

 

L’evoluzione plurimillenaria della specie umana da uno stato non molto diverso da quello di altre specie animali che corrisponde grosso modo alle tracce più lontane della specie umana che sono state rinvenute, fino allo stato attuale, è un processo che si è svolto e si svolge secondo leggi sue proprie. Ricostruire questo processo e scoprirne le leggi è costruire una scienza: la filosofia della storia. Il marxismo-leninismo-maoismo è questa scienza al livello più alto che essa ha sinora raggiunto. Conoscere il movimento che ha formato il presente aiuta a capire che anche il presente si trasformerà, benché la borghesia imperialista cerchi di farci credere che “la storia è finita”, il suo sistema di relazioni sociali sarebbe troppo forte per poterlo abbattere, sarebbe “naturale”.

È con questa scienza che il partito comunista guida la propria azione pratica di trasformazione rivoluzionaria della società borghese nella società socialista, fase di transizione al comunismo. È grazie a questa scienza che il partito comunista ha individuato che la società attuale deve sfociare nel comunismo, per le contraddizioni che la animano e i presupposti del futuro che essa ha in sé; grazie ad essa ha in una certa misura scoperto le leggi di questa trasformazione e i metodi di lavoro che deve adottare. Si tratta quindi di un corpo di dottrine e di metodi di lavoro (di conoscenza e di azione sociale). Si tratta di una scienza sperimentale, costruita sulla base dello studio dell’esperienza e che si estende grazie all’esperienza, verificabile nei risultati dell’azione svolta coerentemente con essa.

Come ogni altra scienza (la fisica, la chimica, ecc.), anche il m-l-m nasce dall’elaborazione dell’esperienza, si avvale della ricerca, verifica i suoi risultati nella pratica, secondo procedimenti e criteri propri del processo stesso di trasformazione della società borghese di cui il m-l-m è la guida. Come ogni altra scienza ha un suo proprio metodo che è un metodo di ricerca, di verifica e di sperimentazione che nel caso specifico significa trasformazione dello stato di cose esistente. Ma è anche una concezione, che via via fissa alcuni risultati da cui non ritorna più indietro, risultati che servono come base di partenza per ulteriori avanzamenti e che possono essere messi in discussione solo da un ulteriore avanzamento della conoscenza. Il materialismo dialettico e il materialismo storico sono questa scienza e questo metodo. Marx ed Engels ne sono stati i fondatori. Lenin nel 1913 esponeva in un suo scritto (Karl Marx, in Opere Editori Riuniti vol. 21) la scoperta di Marx e di Engels all’incirca nei termini che seguono.

 

La dialettica

 

Marx ed Engels consideravano la teoria della dialettica elaborata da Hegel (1831-1870) come la più completa, la più profonda e la più ricca dottrina dell’evoluzione, come la più grande conquista della filosofia classica tedesca. Tutte le altre formulazioni del principio dello sviluppo, dell’evoluzione, essi le ritenevano unilaterali, povere di contenuto, tali da deformare e mutilare il reale processo di sviluppo nella natura e nella società, un processo spesso contrassegnato da salti, catastrofi, rivoluzioni. “Tutto sommato Marx ed io - scrive Engels - siamo stati i soli a salvare dalla filosofia idealista tedesca” (cioè dalla rovina dell’idealismo, quello hegeliano compreso) “la teoria della dialettica integrandola nella concezione materialista della natura e della storia.” “La natura è il banco di prova della dialettica e noi dobbiamo dire a vanto delle moderne scienze naturali che esse hanno fornito a questo banco di prova un materiale estremamente ricco.” (Da notare che questo Engels lo scriveva prima della scoperta del radio, della trasformazione degli elementi, degli elettroni, della divisibilità illimitata delle particelle, ecc.!) “Questo materiale va accumulandosi giornalmente e di conseguenza esse hanno dimostrato che, in ultima analisi, in natura le cose non corrispondono affatto alla concezione metafisica del mondo, ma sono tutte tra loro connesse e si sviluppano dialetticamente.”

“La grande idea fondamentale - scrive Engels - che il mondo non deve essere concepito come un complesso di cose  compiute, ma come un complesso di processi, in cui le cose in apparenza stabili, non meno dei loro riflessi intellettuali nella nostra testa, i concetti, compiono un ininterrotto processo di origine e di decadenza... questa grande idea fondamentale è entrata così largamente, specie dopo Hegel, nella coscienza comune, che in questa sua forma generale non trova quasi più oppositori”. Questa affermazione valeva ai tempi in cui Engels scriveva, la seconda metà del XIX secolo e valeva ancora all’inizio del secolo XX quando Lenin esponeva il marxismo nel suo scritto. Dopo di allora la borghesia e il clero hanno sistematicamente “lavorato” la “coscienza comune” secondo i criteri della controrivoluzione preventiva, per riportarla verso la metafisica, verso la concezione che “la storia è finita”, per dirla con le parole dell’ideologo borghese Fukuyama o che non è possibile alcuna scienza generale dello sviluppo del mondo. “Ma riconoscerla a parole e applicarla concretamente nella realtà, in ogni campo che è oggetto di indagine e di studio, sono due cose diverse.”

“Per la filosofia dialettica non vi è nulla di definitivo, di assoluto, di sacro. Di tutte le cose e in tutte le cose essa mostra la caducità e null’altro esiste per essa all’infuori del processo ininterrotto del divenire e del perire, dell’ascensione senza fine dal più basso al più alto, di cui essa stessa non è che il riflesso nel cervello pensante.” Secondo Marx, la dialettica è “la scienza delle leggi generali del movimento, sia del mondo esterno sia del pensiero umano”. È alla luce di questa concezione dettata da tutto il corso della storia umana che noi comunisti rigettiamo le tesi di quanti tirano la conclusione dell’impossibilità del comunismo dalle sconfitte subite dal movimento comunista durante la prima ondata della rivoluzione proletaria (non essere riuscito a instaurare il socialismo nei paesi imperialisti) o dal suo esaurimento (e dalla dissoluzione dei primi paesi socialisti); le tesi di quanti tirano la stessa conclusione dalle difficoltà che il movimento comunista deve affrontare e risolvere per avanzare nella sua opera; le tesi di quanti ritengono che i comunisti non hanno futuro perché oggi “sono pochi”, oppure che “è inutile impegnarsi perché siamo pochi”.

Marx accolse e sviluppò questa parte rivoluzionaria della filosofia di Hegel. Il materialismo dialettico “non ha bisogno di nessuna filosofia che stia al di sopra delle scienze” sperimentali. Della precedente filosofia rimane valida “la dottrina del pensiero e delle sue leggi, cioè la logica formale e la dialettica”. E la dialettica, nella concezione di Marx, come anche in quella di Hegel, contiene in sé la teoria della conoscenza o gnoseologia la quale deve però anch’essa considerare il proprio oggetto storicamente, studiando e generalizzando l’origine e lo sviluppo della conoscenza, il passaggio dalla non-conoscenza alla conoscenza.

A cavallo tra il secolo XIX e il secolo XX, nel periodo che ha preceduto la prima ondata della rivoluzione proletaria, l’idea di sviluppo, di evoluzione, era entrata quasi generalmente nella coscienza sociale, ma non tramite la filosofia di Hegel, bensì per altre vie. Tuttavia la formulazione che Marx ed Engels basandosi su Hegel hanno dato a questa idea di sviluppo è molto più completa e ricca di contenuto dell’idea a cui era arrivata la cultura borghese prima della decadenza legata alla controrivoluzione preventiva dell’epoca imperialista. È uno sviluppo che sembra ripercorrere fasi già percorse, ma le ripercorre in modo diverso, a un livello più elevato (“negazione della negazione”); uno sviluppo, per così dire, non rettilineo ma a spirale; uno sviluppo a salti, catastrofico, rivoluzionario: “l’interruzione della gradualità”; la trasformazione della quantità in qualità; gli impulsi interni dello sviluppo, generati dalle contraddizioni, dagli urti tra le diverse forze e tendenze operanti in un dato corpo oppure entro i limiti di un dato fenomeno o all’interno di una data società; l’interdipendenza e il legame più stretto e indissolubile tra tutti i lati di ogni fenomeno (e la storia mette in luce sempre nuovi lati), legame che genera un processo di movimento unico, universale, secondo determinate leggi. Tali sono alcune caratteristiche della dialettica, dottrina dello sviluppo che è più ricca di contenuto delle dottrine a cui è mai arrivata la cultura borghese anche nella sua fase progressista.

 

Il materialismo

 

 Consapevole dell’incoerenza, dell’imperfezione, dell’unilateralità del vecchio materialismo, Marx si convinse della necessità di “mettere d’accordo la scienza della società con la base materialista e di ricostruirla sopra di essa”. Se il materialismo in generale spiega la coscienza con l’essere e non viceversa, applicato alla vita sociale dell’umanità ciò vuol dire che il materialismo esige che si spieghi la coscienza sociale con l’essere sociale. “La tecnologia - scrive Marx - mostra il comportamento attivo dell’uomo verso la natura, l’immediato processo di produzione della sua vita e con essi anche l’immediato processo di produzione dei suoi rapporti sociali e delle idee o teorie che ne scaturiscono”. Chi riflette sugli effetti che ha avuto sulle donne e di riflesso sull’umanità intera un fatto semplice come la diffusione delle lavatrici, nonostante i limiti imposti ai suoi effetti dal contesto capitalista e ancora semiclericale in cui è avvenuta, comprende l’enorme significato pratico oltre che teorico di questa affermazione di Marx.

Una formulazione completa dei principi fondamentali del materialismo, esteso alla società umana e alla storia, è data da Marx nella sua prefazione all’opera Per la critica dell’economia politica (1859) con le parole seguenti: “Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano tra loro in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà: in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, nelle sue linee generali, il processo della vita sociale, politica e spirituale. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza [di conseguenza possiamo ricostruire razionalmente lo sviluppo della loro coscienza solo alla luce dello sviluppo del loro essere sociale, ndr]. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti (o con i rapporti di proprietà che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi si erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. A seguito del cambiamento della base economica, tutta la gigantesca sovrastruttura viene più o meno rapidamente sconvolta. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall’idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente tra le forze produttive della società e i rapporti di produzione”... “A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno, possono essere indicati come epoche che marcano il progresso nella formazione economica della società.”

La scoperta della concezione materialista della storia, o, più esattamente, l’applicazione coerente e l’estensione del materialismo al campo dei fenomeni sociali, eliminò i due principali difetti delle precedenti teorie storiche.

In primo luogo queste, nel migliore dei casi, tenevano conto solo dei motivi ideologici dell’attività storica degli uomini senza ricercare le cause che provocavano questi motivi, senza afferrare le leggi oggettive dello sviluppo del sistema dei rapporti sociali, senza vedere che le radici di questi rapporti si trovano nel grado di sviluppo della produzione materiale.

In secondo luogo, queste teorie trascuravano, per l’appunto, le azioni delle masse della popolazione, mentre il materialismo storico ha dato per primo la possibilità di indagare, con la precisione propria delle scienze naturali, le condizioni sociali della vita delle masse e i cambiamenti di queste condizioni.

La “sociologia” e la storiografia premarxiste, nel migliore dei casi, davano un cumulo di fatti grezzi, frammentariamente raccolti, un’esposizione di aspetti parziali del processo storico. Il marxismo ha aperto la via a uno  studio universale, completo, del processo di origine, di sviluppo e di decadenza delle formazioni economico-sociali, considerando l’insieme di tutte le tendenze contraddittorie, riconducendole alle condizioni esattamente determinabili di vita e di produzione delle varie classi della società, eliminando il soggettivo e l’arbitrario nella scelta di singole “idee direttive” o nella loro interpretazione, scoprendo nella condizione delle forze materiali di produzione le radici di tutte le idee e di tutte le varie tendenze senza eccezione alcuna.

Sono gli uomini stessi che fanno la loro storia; ma da che cosa sono determinati i motivi degli uomini, e precisamente delle masse umane? Da che cosa sono generati i conflitti delle idee e delle correnti antagonistiche? Qual è il nesso che unisce tutti questi conflitti di tutta la massa nelle società umane? Quali sono le condizioni oggettive della produzione della vita materiale, che forma la base di tutta l’attività storica degli uomini? Qual è la legge di sviluppo di queste condizioni? A tutto ciò Marx volse la sua attenzione e aprì la via a uno studio scientifico della storia come processo unitario che si svolge secondo sue leggi, nonostante tutta la sua formidabile complessità e le sue contraddizioni.

Che in ogni società le aspirazioni degli uni cozzino con le aspirazioni degli altri, che la vita sociale sia piena di contraddizioni, che la storia ci mostri la lotta dei popoli e delle società tra di loro e anche la lotta nel loro seno, che, oltre a ciò, la storia ci mostri un avvicendarsi di periodi di rivoluzione e di reazione, di pace e di guerre, di stagnazioni e di rapido progresso o decadenza, sono fatti universalmente noti. Il marxismo ha mostrato un filo conduttore, che permette di scoprire una legge in questo labirinto e caos apparente: e precisamente la teoria della lotta di classe. Solo lo studio dell'assieme delle aspirazioni di tutti i membri di una determinata società, o di gruppi di società, permette di giungere a una determinazione scientifica del risultato di queste aspirazioni. Fonte delle aspirazioni contraddittorie sono la differente situazione e le diverse condizioni di vita delle classi nelle quali ogni società è divisa. Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista del 1848 scrivono: “ La storia di ogni società sinora esistita (1) è storia di lotte di classe. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi, stettero sempre in contrasto fra di loro, sostennero una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte aperta; una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta... La moderna società borghese, sorta dalla rovina della società feudale, non ha eliminato i contrasti di classe. Essa ha soltanto posto nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta in luogo delle antiche. L'epoca nostra, l'epoca della borghesia, si distingue tuttavia rispetto alle altre società perché ha semplificato i contrasti di classe. La società intera si va sempre più scindendo in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente opposte l'una all'altra: borghesia e proletariato.”(2) Dal tempo della grande Rivoluzione Francese, la storia europea ha posto in particolare evidenza, in tutta una serie di paesi, questo substrato reale degli avvenimenti: la lotta delle classi. E già durante la Restaurazione sorse in Francia un gruppo di storici (Thierry, Guizot, Mignet, Thiers) i quali, generalizzando gli avvenimenti, non poterono non vedere nella lotta delle classi la chiave per comprendere la storia della Francia. Ma l’epoca che ha preceduto la prima ondata della rivoluzione proletaria, l’epoca della vittoria politica completa della borghesia sulle classi feudali, delle istituzioni rappresentative, di un largo (ma non universale: le donne ad esempio ne erano escluse) diritto di voto, di una stampa quotidiana poco costosa e diffusa fra le masse, ecc., l’epoca dei potenti e sempre più vasti sindacati operai e sindacati di industriali ecc., ha mostrato con evidenza ancora maggiore (quantunque in forma talvolta molto unilaterale, “pacifica” e “costituzionale”) che la lotta delle classi è il motore degli avvenimenti. Il seguente passo del Manifesto del partito comunista ci mostra quali esigenze di analisi oggettiva della situazione di ogni classe nella società contemporanea, in rapporto con l’analisi delle condizioni di sviluppo di ogni classe, Marx ed Engels hanno posto alla scienza sociale: “Di tutte le classi che oggi stanno di fronte alla borghesia, solo il proletariato è una classe veramente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e periscono con la grande industria, mentre il proletariato ne è il prodotto più genuino. I ceti medi, il piccolo industriale, il piccolo negoziante, l’artigiano, il contadino, tutti costoro combattono la borghesia per salvare dalla rovina l’esistenza loro di ceti medi. Non sono dunque  rivoluzionari, ma conservatori. Ancor più, essi sono reazionari, essi tentano di far girare all’indietro la ruota della storia. Se sono rivoluzionari, lo sono in vista della loro imminente caduta nelle condizioni del proletariato; cioè non difendono i loro interessi presenti, ma i loro interessi futuri, abbandonano il loro proprio modo di vedere per adottare quello del proletariato”. In una serie di lavori storici Marx ed Engels hanno dato dei saggi brillanti e profondi di storiografia materialista, di analisi della situazione di ogni singola classe, e talvolta di vari gruppi o strati che esistono in una classe, mostrando con molta chiarezza perché e come “ogni lotta di classe è una lotta politica”. Nel senso preciso che ogni lotta di classe ha il suo sbocco e il suo coronamento nella rivoluzione politica, nella costituzione di una nuova classe dominante e del suo Stato. Non nel senso volgare, che spesso viene attribuito a questa tesi, di “politicizzare le lotte economiche” o “politicizzare le lotte rivendicative”, cioè di spostare il bersaglio principale della lotta o il destinatario principale della rivendicazione dal capitalista (cioè dal terreno della società civile) allo Stato borghese (cioè al terreno politico): interpretazione che implica che la lotta di classe consista solo o principalmente di lotte economiche e di lotte rivendicative ed esclude la lotta rivoluzionaria.

 1. Ma gli stessi Marx ed Engels chiarirono anche che l’esistenza delle classi è legata soltanto a determinate fasi di sviluppo storico della produzione, infatti nelle società più primitive non vi era divisione in classi. Il corollario è che contrasta con la realtà la tesi dei metafisici che credono in una natura umana fissa e dicono che la divisione in classi è un aspetto di essa.

 

2. Lo sviluppo storico ha completamente confermato questa tesi, ma in forme che permettono agli oppositori del movimento comunista di opporre argomenti in gran numero (l’esistenza e la riproduzione di classi intermedie tra borghesia e proletariato). Se si considera la struttura della società quale si presenta ai fini della lotta oggi in corso, la tesi di Marx ed Engels è pienamente confermata. Per un’illustrazione di dettaglio si veda il Manifesto Programma del (n)PCI, capitolo 2.2.

Il passo sopra citato mostra quale intricato tessuto di rapporti sociali e di gradi transitori da una classe ad un’altra, dal passato all’avvenire, viene analizzato da Marx ed Engels per valutare i risultati dello sviluppo storico nel suo complesso.

La teoria di Marx ed Engels ha trovato la conferma e l’applicazione più profonda, più universale e più particolareggiata nell’analisi della nascita, dello sviluppo, delle contraddizioni e delle tendenze della società borghese fondata sul modo di produzione capitalista, affermatasi in Europa a partire dal secolo XI e da qui imposta a tutto il mondo. Questa analisi è illustrata in Il capitale. A questa dottrina devono rifarsi e ancora oggi si rifanno tutti quelli che vogliono comprendere razionalmente il percorso che ha portato l’umanità allo stato attuale e quali sono gli sviluppi possibili che esso racchiude in sé: tutti quelli che vogliono basare la loro lotta sulle oggettive contraddizioni e leggi della società attuale e non ne sono impediti dai loro interessi di classe.

In particolare Marx con la sua analisi, dettagliata e onnicomprensiva, ha mostrato che il modo di produzione capitalista ha leggi sue proprie che egli ha illustrato in dettaglio. I capitalisti non possono discostarsi da esse e per la loro natura (formata dal loro ruolo sociale, dall’educazione che ricevono e dalla selezione da cui escono) non si discostano da essa, le attuano con iniziativa, con maggiore o minore determinazione, con maggiore o minore intelligenza a secondo degli individui e delle circostanze. Essi sono i “funzionari del capitale”.

Il modo di produzione capitalista è una creatura degli uomini. Essi lo hanno creato senza rendersi conto di quello che creavano, senza averlo prima concepito nella loro testa. Lo hanno creato agendo spontaneamente, rispondendo di volta in volta e di caso in caso a loro bisogni particolari (rifornire le corti feudali che a loro modo avevano accumulato oro o argento, soddisfare le abitudini al lusso e ai riti della Chiesa che rigurgitava d’oro, far fronte alle carestie, impiegare il denaro accumulato in alcune mani in quantità eccedente l’impiego negli scambi, sfruttare ricchezze naturali, mettere a  profitto invenzioni, ecc., ecc.), con azioni particolari che però si combinavano tra loro e si consolidavano ed esaltavano a vicenda. Grazie ad esso gli uomini soddisfacevano meglio ai loro “bisogni di sempre”. Solo più tardi gli uomini si sono fatti la coscienza che vivevano in un nuovo sistema di relazioni sociali. Hanno incominciato ad averla a cose fatte, quando il sistema ha raggiunto una certa forza e diffusione. Nel secolo XVII sorgono i primi economisti borghesi, che con maggiore o minore esattezza dall’uno all’altro illustrano il nuovo sistema di relazioni sociali.

Ma una volta creato e cresciuto, il capitalismo impone le sue leggi agli uomini finché essi restano nel suo ambito, gli restano soggetti. Ogni sua parte, elemento e aspetto è connesso da relazioni determinate con tutte le altre. Non è possibile cambiarne arbitrariamente qualcuna. Gli uomini possono quindi abbattere il capitalismo, eliminare il capitalismo, darsi un altro sistema di relazioni sociali. Mentre non possono farlo essere, in questo o quell’aspetto che loro non garba, fondamentalmente e stabilmente diverso da quello che è, farlo deviare, nel suo percorso pratico, nella sua storia, dalla sua natura e dallo svolgimento proprio di essa, conforme alle sue leggi, se non distruggendolo, creando un contesto in cui esso è soffocato ed eliminato. Non possono migliorarlo in contrasto con le sue proprie leggi, cioè con la sua propria natura. La libertà degli uomini di fronte alla creatura a cui essi stessi hanno dato vita senza saperlo ma rispondendo a propri bisogni e facendo fronte con intelligenza e iniziativa alle circostanze in cui si trovavano, consiste nell’usare le sue stesse leggi per eliminarlo. Questo condanna il riformismo e ogni sogno e progetto di costruire un capitalismo senza “i mali del capitalismo”. Ma mostra anche la via e il modo in cui andare oltre il capitalismo, darsi un sistema di relazioni sociali superiore. Permette anche di capire a grandi linee i tratti del sistema sociale che succederà al capitalismo.

 

Il comunismo e il socialismo

 

Marx deduce l’inevitabile trasformazione della società capitalista in società comunista, il passaggio degli uomini dal capitalismo al comunismo tramite una fase di transizione (il socialismo), interamente ed esclusivamente dalla legge economica che regola il movimento della società contemporanea. La socializzazione del lavoro - che nei 130 anni trascorsi dalla morte di Marx (1883) si è manifestata in migliaia di forme e procede sempre più rapidamente assumendo forme particolarmente evidenti nello sviluppo della grande industria, dei cartelli, dei sindacati e dei trust capitalistici, nelle multinazionali, nella mondializzazione e globalizzazione come pure nel gigantesco sviluppo delle dimensioni e della potenza del capitale finanziario e del capitale speculativo - costituisce la principale base materiale dell’inevitabile avvento del comunismo. Motore intellettuale e morale, artefice fisico di tale trasformazione è il proletariato, educato dal capitalismo stesso. La sua lotta contro la borghesia, che si manifesta in forme diverse e sempre più ricche di contenuto, diviene inevitabilmente una lotta diretta alla conquista del potere politico da parte del proletariato (“dittatura del proletariato”). Senza il passaggio dei mezzi di produzione in proprietà della società, senza la “espropriazione degli espropriatori”, la socializzazione della produzione diventa e sempre più diventerebbe un fattore di abbrutimento, di morte e di distruzione. Con questo passaggio diventerà una forza immensa a disposizione degli uomini e base di una nuova civiltà.

L’enorme aumento della produttività del lavoro, la riduzione della giornata lavorativa, la sostituzione del lavoro collettivo perfezionato alle vestigia, alle rovine della piccola produzione frazionata e primitiva: ecco le dirette conseguenze di questo passaggio. Il capitalismo rompe definitivamente il legame dell’agricoltura con l’industria che esisteva nell’industria domestica delle famiglie contadine del lontano passato e che ha resto stabile nei secoli questa istituzione. Ma al tempo stesso, al suo più alto grado di sviluppo, prepara nuovi elementi per tale legame, per l’unione della industria con l’agricoltura sulla base dell’applicazione cosciente della scienza e della coordinazione del lavoro collettivo e per una nuova distribuzione della popolazione (che metterà termine sia all’isolamento e all’arretratezza delle  campagne, separate dal resto del mondo, sia all’insana agglomerazione di masse gigantesche di uomini nelle grandi città).

Una nuova forma di famiglia, nuove condizioni nella situazione della donna e nell’educazione delle nuove generazioni, sono preparate dalle forme superiori del capitalismo contemporaneo. Il lavoro femminile e infantile, lo sfacelo della famiglia patriarcale ad opera del capitalismo, assumono inevitabilmente nella società moderna forme spaventose, catastrofiche e ripugnanti. Tuttavia “la grande industria crea il nuovo fondamento economico per una forma superiore della famiglia e del rapporto fra i due sessi, con la parte decisiva che essa assegna alle donne, agli adolescenti e ai bambini d’ambo i sessi nei processi di produzione socialmente organizzati al di là della sfera domestica. Naturalmente è altrettanto sciocco ritenere assoluta la forma cristiano-germanica della famiglia, quanto ritenere assoluta la forma romana antica o la greca antica, oppure quella orientale, che del resto formano fra di loro una serie storica progressiva.

È altrettanto evidente che la composizione del personale operaio combinato con individui d’ambo i sessi e delle età più differenti, che nella sua forma spontanea e brutale, cioè capitalista, (dove l’operaio esiste in funzione del processo di produzione e non il processo di produzione per l’operaio) è pestifera fonte di corruzione e schiavitù, non potrà viceversa non rovesciarsi, in circostanze adeguate, in “fonte di sviluppo di qualità umane”. Il sistema di fabbrica ci mostra “il germe dell’educazione dell’avvenire, che collegherà, per tutti i bambini oltre una certa età, il lavoro produttivo con l’istruzione e la ginnastica, non solo come metodo per aumentare la produzione sociale, ma anche come unico metodo per formare uomini di pieno e armonioso sviluppo” (Il capitale, vol. 1, cap. 13).

Anche i problemi della nazionalità e dello Stato, Marx ed Engels li posero sul terreno storico, non soltanto per spiegare il passato, ma per prevedere arditamente il futuro e per condurre un’audace azione pratica diretta a realizzarlo. Le nazioni sono un inevitabile prodotto e una forma inevitabile dell’epoca borghese dello sviluppo sociale. La classe operaia stessa non poteva irrobustirsi, maturarsi, costituirsi, senza “costituirsi in nazione”, senza essere “nazionale” (“benché non nel senso della borghesia”). Infatti lo sviluppo del movimento operaio e la formazione da esso del movimento comunista avvennero alla fine del secolo XIX e nel secolo XX con la formazione di partiti in ogni singolo paese. Ma lo sviluppo del capitalismo abbatte sempre più le barriere nazionali, sopprime il particolarismo nazionale, e, in luogo degli antagonismi nazionali, pone quelli di classe. È perciò assolutamente vero che, nei paesi capitalisti sviluppati, “gli operai non hanno patria” e che “l’azione unita” degli operai, almeno nei paesi capitalisti avanzati, è “una delle prime condizioni dell’emancipazione del proletariato” (Manifesto del partito comunista).

Lo Stato, che è violenza organizzata, una forma particolare di repressione a uso della classe dominante, è sorto come fatto inevitabile a un certo grado di sviluppo della società, allorché questa si divise in classi inconciliabili e non avrebbe potuto continuare a esistere senza un potere che avesse l’apparenza di essere al di sopra della società e fino a un certo punto acquistasse una personalità indipendente da essa. Sorto dalle contraddizioni di classe, lo Stato diviene “lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un nuovo strumento per tener sottomessa e per sfruttare la classe oppressa. Come lo Stato antico fu anzitutto lo Stato dei proprietari di schiavi al fine di mantener sottomessi gli schiavi, così lo Stato feudale fu l’organo della nobiltà per mantenere sottomessi i contadini, servi o vincolati e lo Stato rappresentativo moderno è lo strumento dei capitalisti per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale” (Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, in cui sono esposte le opinioni sue e di Marx). Persino la forma più libera e progressiva dello Stato borghese, la repubblica democratica, non elimina affatto questa realtà: ne cambia soltanto la forma (legame dello Stato con la borsa, corruzione diretta e indiretta dei funzionari statali e della stampa, compenetrazione degli organismi statali con i consigli di amministrazione delle grandi imprese e istituzioni finanziarie, monopolio dell’informazione e della formazione culturale, capitalismo monopolistico di Stato). La lotta di classe nella moderna società borghese conduce per forza di cose alla “dittatura del proletariato”. Lo Stato borghese viene spezzato e distrutto. Al suo posto come  “particolare forza di repressione” subentra lo Stato proletario. Il proletariato organizzato come Stato che è la forma dell’organizzazione politica della società nella fase transitoria del socialismo. Il socialismo, conducendo alla scomparsa delle classi, conduce però, per ciò stesso, anche alla scomparsa dello Stato. Lo Stato proletario si estingue e con la sua estinzione finisce l’esistenza di una forza repressiva particolare distinta dalle altre forme di organizzazione della società. “Il primo atto con cui lo Stato si presenta realmente come rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome della società, è ad un tempo l’ultimo suo atto “indipendente” in quanto Stato. Successivamente l’intervento di una forza statale nei rapporti sociali diventa superflua in ogni campo e in definitiva viene meno da se stesso.(3) Al posto del governo sulle persone appare l’amministrazione delle cose e la direzione dei processi produttivi. Lo Stato [proletario] non viene "abolito": esso si estingue” (Engels, Antidühring). “La società che riorganizza la produzione in base a una libera ed eguale associazione di produttori, relega l’intera macchina statale nel posto che da quel momento le spetta, cioè nel museo delle antichità accanto alla rocca per filare e all’ascia di bronzo” (Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato).

3. I primi paesi socialisti, benché costituiti in paesi capitalisticamente arretrati (dove quindi ancora prevalevano sistemi sociali basati su rapporti di dipendenza personale), hanno per molti versi confermato la dottrina di Marx ed Engels. In proposito la loro esperienza fornisce insegnamenti illuminanti a chi la studia. La borghesia imperialista e il clero hanno sistematicamente e programmaticamente deformato questa esperienza come arma della loro lotta contro il movimento comunista. Non potevano entusiasmare le masse popolari illustrando quello che esse vivevano, quindi hanno cercato di spaventarle a proposito di quello che esse avrebbero fatto se instauravano il socialismo. La sinistra borghese (e in essa si sono distinti i gruppi trotzkisti) li ha aiutati a diffondere tra le masse popolari un’immagine caricaturale della lotta di classe nei primi paesi socialisti. In proposito consiglio la lettura dell’opuscolo I primi paesi socialisti di Marco Martinengo, Edizioni Rapporti Sociali, 2003.

 

Infine, circa la posizione del socialismo verso i piccoli contadini (e gli altri produttori autonomi dal capitale) che ancora esisteranno all’epoca dell’espropriazione degli espropriatori (come ancora oggi esistono in gran numero in larghe zone arretrate dei paesi oppressi dal sistema imperialista mondiale), è necessario rammentare una dichiarazione di Engels, che esprime anche il pensiero di Marx: “Allorché ci impadroniremo del potere statale, non penseremo ad espropriare violentemente (non importa se con o senza indennizzo) i piccoli contadini, ciò che saremo invece obbligati a fare con i grandi proprietari di terre. Il nostro compito nei confronti dei piccoli contadini consisterà prima di tutto nel fare sì che la loro proprietà e produzione privata si trasformino in proprietà e produzione associata; non con mezzi violenti, ma con l’esempio e con l’offerta dell’aiuto sociale a tale scopo. Allora naturalmente possederemo i mezzi sufficienti per mostrare al contadino tutti i vantaggi di tale trasformazione, vantaggi che devono essergli illustrati fin d’ora” (Engels, La questione contadina in Francia e in Germania).

 

La strategia e la tattica della lotta di classe del proletariato.

 

Fin dal 1844-1845 Marx ed Engels dichiararono che uno dei difetti fondamentali del vecchio materialismo, era che non era riuscito a comprendere le condizioni né ad apprezzare l’importanza dell’azione pratica rivoluzionaria. Il materialismo privo di questo lato era giustamente considerato da essi come monco, unilaterale, privo di vita. All’incirca una trasposizione della metafisica dal cielo alla terra. Solo emancipandosi dalla borghesia oltre che dalle vecchie classi dominanti e diventando arma del proletariato, il materialismo ha superato questo limite. I lavori teorici di Marx ed  Engels sono strettamente connessi all’elaborazione dei problemi della strategia e della tattica della lotta di classe del proletariato nella loro epoca. Questo tratto del marxismo teorico va particolarmente tenuto presente ai nostri giorni: infatti quegli esponenti della sinistra borghese che si dichiarano marxisti, si caratterizzano come contemplatori e interpreti delle manovre compiute dalla borghesia imperialista per far fronte alla crisi del capitalismo e hanno rinunciato a fare della loro attività teorica la rappresentazione, l’elaborazione e la guida della lotta per instaurare il socialismo. Ma il marxismo teorico è per sua natura guida dell’azione. Rinunciando a questo suo aspetto, è inevitabile fare di esso una caricatura, un mostro eclettico di tesi unilaterali o dogmatiche.

D’altra parte bisogna tenere presente che Marx ed Engels svolsero la loro opera in un’epoca in cui anche in Europa la borghesia stava ancora compiendo la sua rivoluzione politica, anche nei più avanzati paesi capitalisti le due principali condizioni oggettive per l’instaurazione del socialismo non erano ancora presenti, la classe operaia si stava formando come forza politica indipendente dalla borghesia. Queste condizioni portarono per molti anni Marx ed Engels a concepire la rivoluzione socialista a immagine delle rivoluzioni borghesi che avevano conosciuto e che in parte si stavano ancora compiendo.

Solo nel 1895, nella sua Introduzione all’opuscolo di Marx Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 Engels fece il punto sulla questione arrivando alla conclusione che la rivoluzione socialista non poteva avere la forma di un’insurrezione popolare nel corso della quale i comunisti, il partito più capace di farsi portavoce politico delle aspirazioni di tutte le masse popolari e che più aveva contribuito a preparare l’insurrezione, prendeva il potere. Per sua natura essa doveva avere la forma di un’accumulazione delle forze rivoluzionarie che il partito comunista compiva operando sotto il regime borghese, nonostante le manovre con cui la borghesia avrebbe cercato di impedirla.

L’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria che si è svolta nella prima parte del secolo scorso ha confermato e precisato questa tesi di Engels. La rivoluzione socialista ha la forma della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Il Partito comunista costruisce nella società borghese il Nuovo Potere aggregando attorno a sé le masse popolare organizzate, fino a rovesciare il rapporto di forza rispetto alla borghesia, distruggere il suo Stato e sostituire ad esso lo Stato proletario. La teoria della guerra popolare rivoluzionaria è uno dei cinque principali apporti universali del maoismo al patrimonio del movimento comunista.(4)

4. In proposito rimando all’opuscolo L’ottava discriminante - Sul maoismo, terza superiore tappa del pensiero comunista, Edizioni Rapporti Sociali, 2003.

Chi rifiuta questa forma che la rivoluzione socialista deve per forza di cose assumere, lo voglia o no, lo dichiari apertamente o lo neghi, di fatto riduce le lotte presenti delle masse popolari alle lotte rivendicative e alle proteste, mentre il Partito comunista invano attende la sua ora: che gli eventi gli consegnino il potere per attuare il suo programma. Ai candidati che recluta, un tale partito chiede l’accettazione del suo programma, che è un dogma, infatti l’adesione ha conseguenze solo organizzative (disciplinari e gerarchiche): il lavoro di massa continua a limitarsi a promuovere lotte rivendicative e proteste e a parteciparvi. È la pratica a cui si riducono ancora oggi organismi che pur si dichiarano comunisti, come il Partito Comunista dei Lavoratori (PCL). Basta spostare l’attenzione dalle loro dichiarazioni alla pratica del loro lavoro di massa per vederlo chiaramente.

 

Marx ed Engels attribuirono grande importanza alla concezione del mondo. In particolare lo fece Engels che ebbe modo di partecipare più a lungo (morì del 1895) alla lotta di classe e addirittura di partecipare alla formazione dei partiti nei principali paesi europei. Egli sostenne con forza il ruolo della teoria nella costituzione del Partito e dichiarò ripetutamente che la classe operaia doveva condurre la sua lotta non solo sul terreno economico e sul terreno politico, ma anche sul terreno teorico, per affermare la concezione comunista del mondo.

 Tuttavia le condizioni della lotta di classe nella loro epoca e i compiti che essa poneva erano tali che Marx ed Engels non fissarono in tutta la sua ampiezza il ruolo che il Partito comunista avrebbe assunto nella rivoluzione socialista né attribuirono alla concezione comunista del mondo il ruolo che essa avrebbe assunto come fondamento e collante del partito comunista: i due principali apporti universali del leninismo al patrimonio del movimento comunista.

Proprio il rifiuto di questi due apporti del leninismo risaltano se si considerano i gruppi in qualche modo di ispirazione trotzkista come il Partito Comunista dei Lavoratori. Nelle dichiarazioni programmatiche, nelle denominazioni e nelle parole d’ordine (la pratica non sempre si adatta alle idee, quando queste sono sbagliate) l’elemento fondante è il riferimento alla classe operaia in termini sociologici, non alla concezione comunista del mondo: partito dei lavoratori, governo dei lavoratori, governo operaio, ecc. La fedeltà al marxismo è diventata fedeltà alla formula e rifiuto dell’insegnamento dell’esperienza della rivoluzione.

 

Gli errori e i limiti dell’elaborazione di Marx ed Engels sopra indicati si riflettono nelle argomentazioni che essi hanno dato a proposito delle linee, degli schieramenti e delle operazioni che essi patrocinarono nel movimento comunista. Ma in esse si riflette anche la comprensione superiore delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe che la concezione comunista del mondo permise ad essi di raggiungere, per guidare il movimento comunista ad adempiere ai compiti propri della loro epoca. Esse forniscono ancora oggi a noi grandi e indispensabili insegnamenti.

 

Infatti Marx ed Engels elaborarono il compito fondamentale della strategia del proletariato in rigoroso accordo con tutte le premesse della loro concezione materialista dialettica del mondo. La valutazione oggettiva di tutto l’insieme dei rapporti reciproci di tutte le classi di una data società, senza eccezione, e, di conseguenza, anche la considerazione del grado di sviluppo oggettivo di quella società e dei rapporti reciproci fra essa ed altre società, devono servire di base a una giusta strategia della classe d’avanguardia.

Inoltre tutte le classi e tutti i paesi devono essere considerati non in una situazione statica, ma dinamica, ossia non in stato di immobilità, ma in movimento (movimento le cui leggi derivano dalle condizioni economiche d’esistenza di ogni classe).

Il movimento non deve essere considerato solo sulla base della sua storia (ma avere “senso storico” è fondamentale: la natura del presente è risultato del passato), ma anche di quello del suo avvenire e non al modo degli evoluzionisti (riformisti) che vedono solo le trasformazioni lente, graduali, ma dialetticamente: accumulazione di trasformazioni quantitative che giunta a un certo livello dà luogo a un salto qualitativo. La lotta di classe è una guerra civile sotterranea, senza dispiegamento di armi in certi periodi, aperta e con l’uso delle armi in altri. Il marxismo combina mezzi pacifici e mezzi militari in una unica lotta politica. La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. La tattica del proletariato deve tener conto di questa inevitabile dialettica oggettiva della storia.

Come si combinano lotte rivendicative e lotta per instaurare il socialismo è una questione su cui vi è sempre stato e continua a esservi scontro nel movimento comunista. A ragione, perché in questa combinazione si riflette il passaggio della classe operaia dalla sua condizione di classe della società borghese a classe che dirige la rivoluzione socialista e costruisce il futuro. Il marxismo combina in ogni campo le lotte anche minute che sviluppano la coscienza e l’organizzazione delle masse (scuola di comunismo), con l’obiettivo dell’instaurazione del socialismo di cui la coscienza e l’organizzazione delle masse sono le due principali condizioni soggettive. Da qui la grande importanza che attribuisce alla lotta economica, alle rivendicazioni, alla lotta e all’organizzazione sindacale e alla lotta rivendicativa politica, cioè nei confronti dello Stato borghese (per strappare riforme e imporre l’approvazione di leggi favorevoli alle masse). E dall’altra la distinzione netta tra lotte rivendicative, rivolte verso il capitalista o il suo Stato per ottenere da esso questo o quello e lotta rivoluzionaria per instaurare il proprio Stato (lo Stato proletario) e distruggere lo Stato  borghese, che è il punto di partenza della fase socialista. Mai e poi mai il marxismo riduce l’attività politica (e il ruolo politico del partito comunista) a fare da “sponda politica alle lotte rivendicative”, al modo che Rete dei Comunisti (Contropiano) erige a propria bandiera e propria parola d’ordine. Ridurre la lotta politica a fare da portavoce e da sostenitore delle lotte rivendicative nelle istituzioni politiche della borghesia, vuol dire lasciare senza organizzazione e senza direzione la lotta rivoluzionaria, cioè soffocarla e negarla.

Marx ed Engels definirono i termini generali dei compiti dei comunisti in campo politico con una formula che, se si tiene conto (la verità è sempre concreta) che la enunciarono nel 1848 (Manifesto del partito comunista), è ricca di insegnamenti anche per il presente: “I comunisti lottano per raggiungere gli scopi e gli interessi immediati della classe operaia, ma nel movimento presente rappresentano in pari tempo l’avvenire del movimento stesso”. È il principio a cui dobbiamo riferirci per comprendere giustamente la linea del Governo di Blocco Popolare che il nuovo Partito comunista persegue in questo periodo.

 

Con questa scienza, il movimento comunista ha guidato la classe operaia a emanciparsi dalla borghesia e ha promosso il superamento della società borghese con gli antagonismi della sua produzione mercantile capitalista e la divisione dell’umanità in classi che aveva ereditato dal passato e a suo modo perpetuato. Guidato da questa scienza il movimento comunista ha preparato e condotto la prima ondata della rivoluzione proletaria che ha creato i primi paesi socialisti e ha formato partiti comunisti praticamente in ogni paese. Con questa scienza il movimento comunista si era posto a un livello superiore rispetto alla borghesia, al clero (esso costrinse persino la Chiesa Cattolica Romana ad addivenire - con il Concilio Vaticano II - a un tentativo di aggiornamento per non essere travolta dall’avanzata del movimento comunista) e a ogni altra classe dominante, un livello che lo rendeva irresistibile. Eliminare questa scienza era per la borghesia imperialista questione di vita o di morte.

L’umanità è a una svolta
radicale della sua storia.

Sono le circostanze
in cui si pongono problemi di fondo.

Gli uomini non sono né
buoni né cattivi: evolvono.

La storia ci mostra il cambiamento continuo e progressivo di comportamenti, di costumi, di sentimenti e di idee, fatta salva la possibilità di temporanee e circoscritte regressioni. Gli individui sono formati dalle circostanze della loro vita e dall’educazione che ricevono. Fatte salve le trasformazioni che un individuo compie con un particolare e consapevole impegno e sforzo personali (noi membri del Partito comunista li chiamiamo processi di CAT - Critica, Autocritica, Trasformazione), per cambiare in massa comportamenti, sentimenti e idee degli individui, bisogna cambiare le circostanze della loro vita e l’educazione impartita ai bambini.

Porsi la questione se gli uomini sono per natura buoni o cattivi, è porsi da un punto di vista metafisico. Cioè prescindere dalla storia, dalle trasformazioni, dalla realtà. Fa parte della concezione clericale-feudale del mondo secondo cui ogni cosa è quello che è, fissa, sempre eguale a se stessa, “come dio l’ha creata”. Se vi sono cambiamenti, si tratta della ripetizione di un circolo, sempre eguale a se stesso: come il succedersi delle stagioni. Niente di nuovo sotto il cielo.

 La borghesia e il clero cercarono in ogni modo di demolire, di confutare e di travisare il marxismo. La morte del marxismo è stata annunciata e proclamata centinaia di volte. Invano. Ma era un’opera che poteva essere fatta con qualche risultato dall’interno del movimento comunista, approfittando delle sue debolezze. Per mettere al bando il marxismo la borghesia ha infatti approfittato della debolezza del movimento comunista che non ha saputo sviluppare quella scienza in misura adeguata al compito di instaurare il socialismo nei paesi imperialisti. È riuscita ad imporre un pensiero che rifugge dalla filosofia della storia; fa del contingente e dell’individuale il suo punto di forza; fa fronte all’esigenza pratica della specie umana di pensare comunque se stessa, con narrazioni fantastiche raccontate da preti, contastorie e affabulatori alla Nichi Vendola. Il “pensiero debole” nega che possa esistere una scienza dell’evoluzione umana. Nega che la storia umana è un processo che si svolge secondo sue proprie leggi che noi dobbiamo scoprire. Nega che in ogni epoca l’umanità ha in se stessa, costruiti dalla sua stessa storia, i motivi e gli strumenti della sua ulteriore trasformazione. Da qui il proliferare del “pensiero debole” sostenuto da una mitologia metafisica, la mancanza di filosofia della storia e nello stesso tempo il pullulare di nuove religioni e di nuove chiese ai bordi e frammiste alla religione cristiana cattolica che è divenuta la religione dell’impero e che ha nella Corte Pontificia e nella sua Chiesa mondiale la sua amministratrice. I revisionisti moderni prima e la sinistra borghese poi sono la personificazione del “pensiero debole”. La nave affonda, la borghesia non può farci niente, ma trascina con sé l’umanità. La sinistra borghese balla al suono della sua musica mentre la catastrofe si avvicina. Questa è la situazione che noi comunisti oggi dobbiamo rivoltare. Per questo dobbiamo impadronirci del marxismo-leninismo-maoismo. Per questo il dogmatismo è il nostro nemico principale perché impedisce di adeguare la nostra scienza ai compiti che dobbiamo svolgere. Per questo non possiamo accettare l’economicismo che è un agitarsi a vuoto in difesa di conquiste che certo è possibile difendere, ma solo se riprendiamo la marcia verso il comunismo e quindi le sviluppiamo.

La storia mondiale, costruita tramite lo sviluppo del capitalismo in Europa e la sua espansione nel mondo intero fino a costituire il sistema imperialista mondiale, ci ha condotto a dover far fronte a un mondo retto da una combinazione di potere ben rappresentata alcuni anni fa dalla coppia Ronald Reagan e Karol Woityla in lotta contro il comunismo.

Da una parte l’amministrazione federale USA con la succursale sionista che copre tutto il mondo con una rete di controllo e oppressione: le sue agenzie internazionali (FMI, BM, NATO, Comunità Internazionale, G8, G20) e i suoi apparati militari che dal Pentagono stendono in tutto il mondo una rete di basi militari, di flotte, di comandi regionali e di agenzie spionistiche per il controllo e le operazioni coperte e speciali. Dall’altra la Chiesa Cattolica che dalla Corte Pontificia di Roma stende in tutto il mondo i suoi tentacoli e svolge la sua opera di inquinamento delle coscienze con idee reazionarie e precetti morali avulsi dalle relazioni che gli uomini vivono oggi e attinti alla tradizione, alla storia di altri tempi, a puntello ideologico dell’impero mondiale che ha il suo centro a Washington. Il pensiero debole prolifera sostenuto dalla mitologia metafisica.

 

Noi comunisti possiamo guidare l’umanità a uscire dal marasma in cui la borghesia imperialista l’ha condotta. Per farlo dobbiamo anzitutto riprendere pieno possesso della filosofia della storia che il movimento comunista ha elaborato a sua guida e comprendere la trasformazione che l’umanità deve compiere. La capacità di compiere la trasformazione, la nostra libertà, dipende dalla comprensione della necessità: della natura della trasformazione che dobbiamo compiere e delle leggi secondo le quali si compie, le leggi che dobbiamo applicare. L’instaurazione del socialismo e la trasformazione della società capitalista in società comunista è il passaggio che l’umanità deve compiere per sopravvivere e continuare la sua evoluzione. È la trasformazione dettata dalle contraddizioni della società attuale, per compiere la quale la storia che abbiamo alle spalle ha fornito gli strumenti materiali, intellettuali e morali. Dobbiamo assimilarli e usarli per l’opera nostra.

Umberto C.

 

La Voce n. 40
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