Ritorna all'indice de La Voce 39 /-/ Ritorna all'indice completo dei numeri de La Voce


  La Voce 39 del (nuovo)Partito comunista italiano

3 ottobre 2011 - settimo anniversario della fondazione del (nuovo) Partito Comunista Italiano

Il ruolo dei comunisti

Apprendere, assimilare, applicare la concezione comunista del mondo per costruire qui e ora la rivoluzione socialista

 

 La rivoluzione socialista
non scoppia, la costruiamo
passo dopo passo

La rivoluzione socialista per sua natura non è un’insurrezione popolare che scoppia e della quale i comunisti, che vi si sono preparati, si mettono alla testa: è una verità che già F. Engels aveva chiaramente enunciato (1895) e l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria l’ha confermata.

La rivoluzione socialista per sua natura è un guerra popolare rivoluzionaria nella quale i comunisti, campagna dopo campagna, combinando battaglie e operazioni tattiche, mobilitano le masse popolari contro la borghesia e le classi a lei associate, in modo che creino il Nuovo Potere fino a rovesciare il rapporto di forze rispetto allo Stato borghese, eliminare la “dittatura della borghesia” e instaurare la “dittatura del proletariato”: il potere della classe operaia e delle masse popolari organizzate, aggregate attorno al partito comunista a costituire un sistema di democrazia partecipativa, di cui la democrazia sovietica è stata il preludio nelle condizioni concrete della Russia e del mondo di novanta anni fa.

Di giorno in giorno gli avvenimenti mostrano e confermano che la crisi generale in cui il capitalismo ha condotto l’umanità persiste e si aggrava. Gli avvenimenti non solo smentiscono quelli che contro ogni evidenza negavano che ci fosse una crisi (i Berlusconi). Smentiscono anche quegli esponenti e portavoce delle classi dominanti e gli esponenti della borghesia moderata (Bersani, PD & C) e della sinistra borghese (Ferrero, Di Pietro, Vendola & C) che denunciavano i mali della crisi e a gara proponevano le loro cure: questa o quella manovra finanziaria o misura di politica economica. Il governo del nostro paese da tre anni a questa parte è in mano all’“Unto dal Signore”, consacrato dalla Corte Pontificia, dalle Organizzazioni Criminali, dagli imperialisti USA e dai gruppi sionisti che ora, anche se non sono più soddisfatti della sua opera, sono aspramente divisi su come eliminarlo e liberarsene. Però negli ultimi vent’anni il governo del nostro paese è stato per un numero eguale di anni nelle mani del circo Prodi, cioè di quelli che oggi brigano per succedere a Berlusconi: i suoi compagni di merenda di ieri. Inoltre quelle stesse manovre e misure che gli oppositori di Berlusconi non hanno ancora applicato nel nostro paese, le hanno applicate i loro soci in altri paesi e i risultati smentiscono le loro predizioni: la crisi persiste e si aggrava.

 

Mondializzazione dell’economia
reale e capitale finanziario

 La borghesia imperialista ha prodotto negli ultimi trenta anni l’attuale livello di mondializzazione dell’economia reale e ha sviluppato le dimensioni e il ruolo del capitale finanziario al livello attuale per far fronte alla crisi dell’economia reale iniziata negli anni ‘70. Ha potuto farlo perché nei paesi imperialisti il movimento comunista, diretto da Togliatti, Thorez, Carillo, Browder, ecc. nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria non ha compiuto la rivoluzione socialista e, caduti sotto la direzione dei revisionisti moderni (Kruscev, Breznev, Teng, ecc.), i primi paesi socialisti hanno perso slancio, sono arretrati fino a dissolversi o hanno cambiato colore e abbandonato il loro ruolo di base rossa della rivoluzione proletaria mondiale.

Analogamente l’avvento dell’imperialismo (il passaggio dal capitalismo alla fase imperialista) era stata la conseguenza della mancata rivoluzione socialista nei paesi capitalisti alla fine dell’800.

Una a una cadono le illusioni.

Bando alle illusioni!

 

Sono fuori strada anche quelli che sostengono sinceramente che per porre fine alla crisi basta adottare alcune misure più radicali come la cancellazione del Debito Pubblico, l’uscita dall’eurozona, l’assunzione da parte della BCE (Banca Centrale Europea) di funzioni monetarie e anticrisi quali quelle svolte dalle banche centrali USA, giapponese o britannica (con i risultati che si vedono), ecc. Quelli che pensano di risolvere la crisi attuale semplicemente imponendo regole al capitale finanziario, ignorano o dimenticano perché il capitale finanziario è diventato quello che è. Oggi la crisi divampa nel mondo finanziario (borse, banche, società finanziarie, fondi pensione, fondi sovrani, fondi speculativi liberi (hedge funds), mercato finanziario, ecc.) e da qui si ripercuote sull’economia reale e la sconvolge profondamente. I governi si comportano come se gli speculatori del mercato finanziario dettassero legge agli Stati e se ognuno di essi e perfino la rinomata “comunità internazionale” fosse impotente di fronte ad essi. È quindi facile dimenticare e far dimenticare che il capitale finanziario si è sviluppato fino alle dimensioni attuali e ha assunto le forme e il ruolo attuali nel mondo e nei singoli paesi perché già negli anni ’70, nell’ambito della seconda crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale, i capitalisti e i rispettivi governi dovevano far fronte alla crisi dell’economia reale e il movimento comunista, per motivi su cui non mi soffermo in questa sede,(1) non era in grado di portare avanti la rivoluzione socialista, in particolare nei paesi imperialisti.

Le forme attuali della crisi mondiale sono lo sbocco dei vari programmi di privatizzazione, esternalizzazione, finanziarizzazione, liberalizzazione, delocalizzazione e mondializzazione: il “programma comune” che la borghesia imperialista ha seguito da più di trent’anni a questa parte. È con questo “programma comune” che, guidata dalla borghesia imperialista USA, ha approfittato dell’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria, ha fatto fronte alla crisi dell’economia reale a cui i capitalisti erano approdati già alla metà degli anni ’70 e ha eliminato molte delle conquiste democratiche, di civiltà e di benessere che sotto la direzione del movimento comunista le masse popolari le avevano strappato. Ma il tentativo della borghesia imperialista di scongiurare definitivamente il movimento comunista e di prolungare indefinitamente il suo sistema sociale attuando il “programma comune” è naufragato nella fase terminale della crisi, fase esplosa tre anni fa.

 

La crisi in corso non finisce spontaneamente soppiantata da una ripresa degli affari (non è una delle ricorrenti crisi o oscillazioni cicliche dell’economia capitalista) né può essere curata dalle misure economiche o finanziarie delle autorità politiche o delle istituzioni del sistema imperialista mondiale, adottate grazie alle Forme Antitetiche dell’Unità sociale (FAUS).(2) Quelli che hanno analizzato e giustamente compreso la natura della crisi attuale, lo sanno bene. Gli avvenimenti che giorno dopo giorno si succedono, convincono anche persone che hanno una visione superficiale della natura della crisi. Quelli che pensano che “prima o poi la crisi passerà” restano delusi e sconcertati.

La crisi attuale non è una crisi ciclica del meccanismo capitalista. Non è neppure un accidente sopravvenuto in esso per caso o per un errore o un reato commesso da qualche autorità o istituzione del sistema imperialista mondiale che avrebbe turbato il funzionamento di un organismo altrimenti sano. Ovviamente il funzionamento del sistema economico e finanziario è composto di attività, iniziative e decisioni di individui e organismi, ma non sono i comportamenti individuali che hanno portato al cataclisma attuale: essi hanno solo determinato la forma e il momento dei singoli passaggi.

 Economia Reale

Con l’espressione economia reale indichiamo la rete delle attività con cui i capitalisti valorizzano il loro capitale facendo produrre agli operai beni e servizi e con cui i proletari guadagnano il loro salario.

La crisi attuale non è neanche dovuta a un cataclisma naturale, all’esaurimento delle risorse della Terra o al destino, come lasciano intendere i narratori della “crisi energetica”, della “crisi alimentare”, del riscaldamento climatico, ecc. L’umanità non ha mai avuto a sua disposizione tanta ricchezza quanta ne ha oggi. Non ha mai avuto tanta capacità di produrre beni e servizi quanta ne ha oggi. Non ha mai avuto tanta capacità di influire sul comportamento degli individui che la compongono (di educare e di curare) e delle altre specie e agenti naturali. Non ha mai avuto tanta capacità di prevedere e prevenire cataclismi naturali, tanta capacità di conoscere e migliorare l’ambiente in cui viviamo quanta ne ha oggi. Eppure carestie, vecchie e nuove malattie, disoccupazione, miseria, inquinamento, cataclismi vecchi e nuovi, crimini di ogni genere, turbamenti gravi del comportamento individuale e collettivo, depressione e disperazione colpiscono già oggi perfino centinaia di milioni di uomini che nel breve periodo intercorso tra la vittoria delle forze progressiste capeggiate dall’Unione Sovietica sul nazifascismo nella seconda guerra mondiale e la fine degli anni ’70 almeno nei paesi imperialisti avevano iniziato a vivere in modo dignitoso o almeno avevano concepito in massa la fiducia di riuscire a migliorare la loro condizione.

Un sistema di relazioni ancora sostanzialmente barbarico (nel senso che gli uomini lo avevano creato senza conoscere cosa stavano creando, non era stato messo in opera a seguito di una riflessione e decisione, di un piano razionale di obiettivi, strumenti e mezzi che mirava al risultato di fatto prodotto: una storia che gli uomini avevano sì fatto loro stessi, ma all’insaputa di quello che stavano in realtà producendo) teneva assieme milioni di esseri umani a livello dei singoli paesi e miliardi a livello internazionale a formare un’unica società. Era il sistema di relazioni frutto della storia che abbiamo alle spalle, iniziata circa mille anni fa con lo sviluppo del modo di produzione mercantile capitalista in Europa. Con questo sistema gli uomini hanno creato un situazione per la quale questo sistema non è più adeguato. Per questo la crisi si aggrava e si aggraverà. Con questo sistema di relazioni sociali l’umanità non riesce più a riprodursi. Il bambino (l’umanità) è cresciuto a un punto tale che ha bisogno di un modo di comportarsi e di vestiti nuovi. In sintesi e detta con una metafora, questa è la situazione in cui ci troviamo.

 

Per porre fine alla crisi, dobbiamo porre fine al capitalismo!

Per porre fine al capitalismo, dobbiamo instaurare il socialismo! Non c’è altra via!

 

L’umanità deve trasformarsi ed è capace di compiere la trasformazione che ha davanti! Le masse popolari che sono le vittime della crisi, devono scindere le loro sorti dalla borghesia imperialista, dal clero della Chiesa Cattolica Romana strettamente associata al sistema imperialista mondiale e dalle altre classi che per loro natura restano legate al passato, sono per la loro mentalità e la loro concezione del mondo il prodotto di quel passato, sono le classi beneficiarie di quel passato: non concepiscono che sia possibile un mondo diverso dall’attuale se non in un immaginario aldilà; vogliono conservare a ogni costo il mondo attuale che vorrebbero solo liberare dagli ostacoli che ne inceppano il funzionamento (vorrebbero, per dirla all’antica, “la botte piena e la moglie ubriaca”); ricorrono a crimini, a imbrogli, a manovre d’ogni genere e a guerre per imporne la perpetuazione!

Da alcune decine di anni i comunisti sono alla testa delle lotte delle classi oppresse e sfruttate della società borghese. Proprio per questo hanno studiato il sistema di relazioni sociali specifico di questa società. Essi ne hanno messo a nudo le contraddizioni insanabili che avrebbero condotto l’umanità nella situazione attuale. Hanno mostrato che certamente le piaghe della società borghese, in particolare le crisi economiche e il saccheggio del pianeta, si sarebbero aggravate con la crescita della quantità di capitale accumulato, mentre la società borghese non poteva vivere che accumulando una quantità sempre crescente di capitale. Ma hanno anche mostrato che, sulla base delle acquisizioni materiali, intellettuali e sentimentali che in questo percorso raggiungeva, la specie umana creava anche le condizioni per poter sfuggire a quelle piaghe e passare a una fase superiore della sua evoluzione in cui essa non lo solo fa la sua storia, ma la fa consapevolmente: il nuovo mondo del comunismo. Sia pure solo a grandi linee, i comunisti hanno indicato il percorso che l’umanità doveva fare per raggiungere quella fase superiore della sua evoluzione. In più oggi abbiamo a nostra disposizione anche l’esperienza ricca di insegnamenti dei primi paesi socialisti. Benché siano vissuti per poche decine di anni, in paesi capitalisticamente arretrati e in lotta continua con le maggiori potenze mondiali per la propria sopravvivenza, la loro esperienza a chi la studia e a chi l’ha conosciuta dà grandi insegnamenti: proprio per questo la borghesia e il clero cercano in ogni modo di occultarla, deformarla e denigrarla.(3)

I comunisti hanno costruito un patrimonio di conoscenze che ora è a disposizione di chi vuole porre fine al capitalismo: la concezione comunista del mondo. Noi comunisti del secolo XXI conosciamo e assimiliamo quel patrimonio e lo usiamo come guida per la nostra azione e sulla base di essa lo sviluppiamo: la concezione comunista del mondo è una scienza sperimentale. Abbiamo quindi il grande vantaggio di conoscere quali sono il comportamento e il vestito adeguati alla situazione, quelli che l’umanità deve adottare per uscire dal marasma in cui è arrivata e riprendere la via del progresso.

L’umanità deve riorganizzare la propria esistenza, deve costruirsi un nuovo sistema di relazioni sociali a livello mondiale ma a partire dai singoli paesi. Deve anzitutto riorganizzare i rapporti di produzione nei singoli paesi e a livello del mondo intero sulla base della proprietà pubblica dei mezzi e delle condizioni della produzione. La produzione dei beni e dei servizi necessari per la sua vita è già oggi basata principalmente sulla connessione e sulla collaborazione di individui, gruppi, nazioni e paesi a livello dei singoli paesi e del mondo intero.(4) Questa connessione e collaborazione tra individui, gruppi, nazioni e paesi si è costituita negli ultimi cinquecento anni e negli ultimi cento anni si è estesa a tutto il mondo. Il capitale e il mercato delle sue merci sono stati il suo motore e il suo collante. Per questo essa porta mille segni e impronte del contesto barbarico in cui si è formata: il mercato e il capitale. Proprio il capitale e il mercato delle sue merci si rivelano oramai insufficienti come collante: la connessione si disgrega e il motore gira a vuoto quando addirittura non scoppia. Questo è la crisi con le sue mille atroci e tragicomiche manifestazioni attuali.(5)

Nonostante tutti i poteri, i mezzi e le conoscenze di cui dispongono, i capitalisti con la loro concezione e la loro mentalità, con le loro relazioni e i loro procedimenti e con le loro istituzioni non riescono più a dirigere l’umanità a produrre e riprodurre i beni e i servizi di cui ha bisogno: quello che seppure in modo ancora barbarico hanno invece comunque fatto negli ultimi secoli della storia umana. Per questo la grande ricchezza e l’infinita forza di produzione e di trasformazione producono miseria, distruzione, criminalità e guerra. È la loro natura intrinseca, cioè la concezione, la mentalità e la morale formate e consolidate dal ruolo che hanno svolto nella storia, che rende i capitalisti oramai inadatti, stante le dimensioni e le caratteristiche che il processo produttivo ha assunto e li inchioda a un ruolo di conservazione ostinata di relazioni e concezioni storicamente superate.(6) Il loro posto deve essere preso dalle masse popolari organizzate: “al posto della vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi di classe, deve subentrare un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti” (così Carlo Marx, il fondatore della concezione comunista del mondo, caratterizzò 160 anni fa il futuro che l’umanità poteva costruirsi, il comunismo). Le masse popolari devono organizzarsi e dirigersi, a livello dei singoli paesi e a livello mondiale.

L’umanità dispone oggi dei mezzi materiali e delle conoscenze necessari per compiere questa trasformazione. Ma non è una trasformazione che avviene spontaneamente, cioè non può compiersi per opera di individui che non l’hanno pensata e non se la sono posta consapevolmente come obiettivo, che agiscono ognuno per conto suo o a piccoli gruppi isolati organizzativamente se non anche intellettualmente, ognuno sotto la spinta delle condizioni immediate in cui si trova e con la mentalità e le idee che si ritrova.(7) La crisi del capitalismo sconvolge gli attuali modi di essere e le relazioni attuali, dissolve i rapporti e rende impraticabili le abitudini, crea un generale fermento, doloroso e distruttivo. Tutto questo è il livello spontaneo a cui può giungere la rivoluzione. A questo livello avviene la divaricazione. La concezione borghese e la concezione clericale del mondo, trasfuse nel senso comune, spingono a ritornare al passato per uscire dal cattivo presente, generano fantasie criminali e incubi. La concezione comunista del mondo guida a costruire il nuovo mondo: il comunismo. Questa contraddizione determina il cammino delle masse popolari, le due vie che sono aperte oggi davanti all’umanità.

Il nuovo mondo del comunismo non è la semplice estensione o variazione di una base di conoscenze, sentimenti, abitudini, relazioni e procedimenti già acquisiti e radicati. Il capitalismo per l’umanità è diventata una malattia, un marasma doloroso e distruttivo. Da questa malattia l’umanità può sollevarsi più forte di prima e immunizzata per sempre dalla malattia, ma deve affrontare una cura lunga e per molti aspetti dolorosa. Deve imboccare un cammino e compiere un percorso che non ha mai fatto: quindi per molti aspetti sconosciuti e inquietanti. Deve trovare la forza e la determinazione di trasformarsi e deve creare le condizioni sociali necessarie per farlo. Infatti trasformarsi è un’opera possibile, ma è un’opera che richiede coscienza e organizzazione, un’opera che l’umanità può compiere solo collettivamente, sotto la direzione della sua parte più avanzata e più determinata a creare il nuovo mondo. In ogni paese e a livello mondiale quest’opera può essere compiuta solo man mano che almeno una parte importante della popolazione si organizza e si mobilita per realizzare coscientemente il comune obiettivo. Ogni paese che avanzerà sulla via dell’instaurazione del socialismo, renderà più facile percorrere la strada analoga ai popoli degli altri paesi. In questo modo possiamo costruire la nuova futura umanità.

 

Per costruire il nuovo sistema di relazioni sociali bisogna togliere la direzione della società alla borghesia, al clero e alle altre classi a loro associate!

 

Oggi nei paesi imperialisti la direzione della società e il potere sono ancora nelle mani delle classi espressione del vecchio sistema di relazioni sociali, alle classi che da esso derivano il loro potere e i loro privilegi. Nessun tentativo di convincerle con le buone ragioni o indurle con la paura del peggio ad agire diversamente da quello che detta la loro natura, farà un effetto durevole e su grande scala. Esse non sanno fare altro e non concepiscono altra forma di vita. Non è possibile che esse assimilino in massa la concezione comunista del mondo. Per un finanziere non è concepibile che il denaro non frutti altro denaro. Per un banchiere non è concepibile prestare denaro senza interesse. Per un capitalista non è concepibile né ammissibile che un’azienda funzioni senza fare profitti. Per un borghese non è concepibile che un essere umano lavori se non per arricchirsi né che centinaia, migliaia e milioni di uomini e donne si mobilitino assieme in uno sforzo organizzato a compiere un’impresa, senza essere assunti a salario da un capitalista e unificati, organizzati e diretti dalla sua volontà e intelligenza: perfino la guerra che era rimasta l’unica impresa di questo genere è diventata ora opera di mercenari del sistema militar-industriale, addirittura esternalizzata e appaltata a imprese capitaliste. Per un padrone non è concepibile che possa non essere lui a decidere chi, come e quando deve lavorare nelle sue aziende. Per un prete gli uomini si comportano civilmente solo per sottomissione a dio e per paura del suo castigo: “se non esistesse dio, ogni licenza sarebbe lecita”, proclama il Papa di Roma. Dio è la trasfigurazione immaginaria del padrone e il padrone è la sua incarnazione.

La lotta tra le classi è il fattore principale dello sviluppo della società attuale

Il marxismo insegna che da millenni, da quando nell’umanità si sono formate classi sociali di sfruttatori e sfruttati, di oppressori e oppressi, il fattore essenziale e decisivo della vita di ogni società è la lotta tra le classi. Questo è lo spettacolo in cui ogni individuo e gruppo ha il suo ruolo e recita la sua parte, come in uno spettacolo della “commedia dell’arte”. Per comprendere lo sviluppo della società e le vie possibili che essa si trova davanti, bisogna prescindere dal diluvio di frasi, promesse, programmi e futilità quotidiane che ottunde i cervelli. Solo una volta che in base all’analisi di classe (quali classi e quali relazioni tra di esse), si sono comprese quali vie sono possibili, si è in grado di comprendere il senso e il ruolo della libera attività dei protagonisti (personaggi, gruppi, partiti, Stati) e dove essa andrà a parare.

 

Bisogna togliere la direzione della società alla borghesia, al clero e alle classi a loro associate. Sono classi di oppressori e sfruttatori. Sono il residuato del passato barbarico in cui si è costruita la civiltà umana, ma da cui l’umanità per godere dei progressi raggiunti deve liberarsi. Esse sono responsabili dei vari effettivi “crimini contro l’umanità” che ora vengono correntemente commessi su grande scala: guerre, carestie, epidemie, malattie, devastazione dell’ambiente, saccheggio del pianeta, abbrutimento, depressione, criminalità, vandalismo, ignoranza, ecc. Certo questa responsabilità può essere intesa giustamente e affrontata efficacemente solo quando se ne comprende le radici di classe e il significato di classe: non da chi la concepisce individualisticamente secondo la concezione borghese o secondo la concezione clericale del mondo. Non si tratta di un reato individuale, di una “canagliata” da cui ci possiamo liberare riducendo all’impotenza o eliminando l’autore come è efficace fare di fronte al comportamento antisociale di un individuo: è un modo di agire generato dalla situazione e dal ruolo che una classe ha nel meccanismo sociale della produzione. Per liberarsene, bisogna instaurare una struttura economica della società, un sistema di relazioni sociali che non contempla più quella classe e il suo ruolo. Liberarsi del singolo individuo serve a poco o a niente: finché lasciamo in piedi la Chiesa Cattolica Romana, “morto un papa se ne fa un altro”. La situazione economica del borghese è tale, le sue condizioni di esistenza sono tali, il suo ruolo sociale è tale che egli non può che agire come agisce, essere come è.

Il capitalismo si abbatte, non si cambia. Quello che ieri era comprensibile a pochi, sotto l’incalzare della necessità della sopravvivenza sta diventando, e grazie anche all’azione dei comunisti può diventare rapidamente comprensibile a un numero crescente. E posto che bisogna abbattere il capitalismo, per un numero crescente di uomini e donne il problema diventerà come abbatterlo e con cosa sostituirlo. È il compito e il problema che abbiamo visto porsi su grande scala, a milioni di uomini e nel modo più chiaro durante l’interminabile prima guerra mondiale (1914-1918): la guerra stritolava milioni di uomini in un macello che non aveva più obiettivo per nessuno dei popoli che vi erano in massa coinvolti. Perfino il Papa di Roma era arrivato a qualificare pubblicamente e a denunciare come “inutile strage” quello che i suoi vescovi e preti in ogni paese avevano benedetto come sacro dovere di patria. Il Papa nascondeva però che all’inizio la strage sembrava tutt’altro che inutile: i più colti, i più civili e i più devoti gruppi dirigenti del mondo l’avevano incominciata per decidere chi di essi doveva dominare sugli altri. Il compito e il problema di porre fine all’“inutile strage” era posto nel modo più chiaro su tutti i fronti della guerra mondiale, si traduceva in un fermento generale di rifiuti dell’obbedienza, di ammutinamenti, di diserzioni, di ribellioni, di decimazioni, di mercato nero, di reati e di mille altre iniziative individuali e di gruppo, ma restava irresolubile dai gruppi che avevano posto in moto l’“inutile strage”, nessuno poteva compiere il primo passo finché la parte più avanzata del movimento comunista di allora diede in Russia l’esempio di come le masse popolari potevano risolverlo.

 

Le classi dominanti cercano di impedire con ogni mezzo la trasformazione di cui l’umanità ha bisogno!

 

La borghesia, il clero e le altre classi dominanti impediscono con ogni mezzo e senza alcuno scrupolo la trasformazione di cui l’umanità ha bisogno: impediscono con ogni mezzo che le masse popolari raggiungano un livello di organizzazione e di coscienza sufficienti a prendere in mano la situazione e avviare la riorganizzazione della società. Nei paesi imperialisti le classi dominanti non hanno fatto ancora ricorso alla guerra civile e usano ancora con moderazione la repressione, perché per esperienza storica acquisita hanno paura che la guerra civile volga a loro sfavore, ma soprattutto perché per ora gli strumenti più efficaci per conservare l’“ordine”, cioè la sottomissione delle masse, sono ancora la confusione delle idee, la diversione dell’attenzione, l’intossicazione delle coscienze, la demoralizzazione e la rassegnazione che spargono a piene mani, mentre limitano ancora repressione ed eliminazione a pochi individui e organismi irriducibili. Le ONG si sono aggiunte alle vecchie e nuove istituzioni e opere caritative clericali e filantropiche per consolare e alleviare con elemosine e beneficenze l’oppressione e la miseria imposte dai capitalisti con i loro amministratori, con le loro autorità, con i loro uomini politici e con le loro istituzioni statali e private.

 

Quando, per i limiti di noi comunisti nel comprendere le condizioni, le forme e i risultati della lotta di classe e quindi spingerla in avanti con efficacia, si è esaurita la spinta creativa che nel secolo scorso, a partire dalla gloriosa Rivoluzione d’Ottobre del 1917, il movimento comunista era riuscito a imprimere su vasta scala all’intera umanità trascinandola in massa nella prima ondata della rivoluzione proletaria, le classi dominanti ne hanno approfittato per uccidere nelle masse popolari la fiducia di essere capaci di capire e di trasformare il mondo in conformità alle idee più avanzate e ai sentimenti migliori che l’umanità ha elaborato. Il movimento comunista si è esaurito principalmente perché si è esaurito lo slancio creativo, intellettuale e morale, dei suoi gruppi dirigenti nei paesi imperialisti: Gramsci è rimasto un caso isolato e per di più impedito dal carcere fascista di misurarsi con la pratica. Il movimento comunista non può fare a meno di gruppi dirigenti ed essi per forza di cose sono composti di individui formati in larga misura alla scuola della borghesia o del clero, che vivono in massa una condizione personale economica, culturale e morale sostanzialmente borghese. Una condizione però già ben conosciuta, che Lenin aveva già ben illustrato in L’estremismo, malattia infantile del comunismo (1919) e a cui il movimento comunista, ora che è ben conosciuta nei suoi effetti, può porre rimedio con la formazione sistematica dei quadri alla concezione comunista del mondo nell’ambito del partito, con i procedimenti di Critica-Autocritica-Trasformazione (CAT) nel partito, con la lotta tra le due linee nel partito, con il dibattito franco e aperto (DFA) nel partito e nelle organizzazioni di massa, con le epurazioni di massa del gruppo dirigente del partito con l’intervento delle masse.

Dopo la conclusione della seconda guerra mondiale con la vittoria delle forze progressiste capeggiate dall’Unione Sovietica e dal movimento comunista sul nazifascismo, alle classi dominanti dei paesi imperialisti l’opera di diversione riuscì perché paese per paese diedero come concessioni una parte di quello che nell’ambito del movimento comunista l’umanità si riprometteva di fare e realizzava.(8) Le conquiste strappate dalle masse popolari dei paesi imperialisti durante il periodo 1945-1975 sono in larga misura derivazioni, stravolgimenti e adattamenti alle relazioni di classe dei paesi imperialisti, di quello che il movimento comunista si riprometteva e compatibilmente con le condizioni pratiche dei primi paesi socialisti realizzava (diritto universale ai beni e servizi indispensabili per una vita dignitosa, diritto al lavoro, sistemi pubblici e gratuiti di assistenza sanitaria e di istruzione, ecc.) come premessa e condizione della soluzione propria del socialismo delle contraddizioni ereditate dalla società borghese (1. tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, 2. tra lavoro di direzione e organizzazione e lavoro esecutivo, 3. tra dirigenti e diretti, 4. tra uomini e donne, 5. tra adulti e giovani, 6. tra città e campagna, 7. tra paesi, regioni e settori avanzati e paesi, regioni e settori arretrati). Contemporaneamente, a soccorso delle classi dominanti dei paesi imperialisti, una parte dei comunisti (i revisionisti moderni) trasformava dall’interno il movimento comunista in un movimento rivendicativo da movimento rivoluzionario che era. I regimi di controrivoluzione preventiva codificati nelle costituzioni dei paesi europei (“sovietiche” dicono ora con qualche ragione Berlusconi e i suoi portavoce, mentre gli esponenti della destra moderata non osano proclamarla ma a questa tesi conformano la loro opera politica) e nello statuto dell’ONU sanciti alla fine della seconda guerra mondiali furono il risultato.(9) Ma il sistema che le vecchie classi dominanti, gli oppressori e sfruttatori, hanno rimesso in piedi quando si esaurì la prima ondata della rivoluzione proletaria, ora va a pezzi. Una nuova ondata della rivoluzione proletaria avanza in tutto il mondo.

 

L’uovo e la gallina

 

Nei paesi imperialisti e a livello mondiale le leve del potere e dell’azione collettiva oggi sono ancora nelle mani delle classi che si oppongono alla trasformazione di cui le masse popolari hanno bisogno. Per trasformarsi, le masse popolari devono travolgere l’opposizione di queste classi. Finché non l’avranno travolta, la situazione continuerà a incancrenirsi e a peggiorare. Le relazioni sociali saranno caratterizzate in misura crescente in ogni paese e a livello internazionale dal disordine, dalla ribellione individuale e di massa, dalle guerre: un fermento prevalentemente distruttivo, tanto più lungo, doloroso e distruttivo quanto più lenta sarà la rinascita del movimento comunista Solo dopo aver travolto l’oppressione delle classi dominanti almeno in alcuni grandi paesi, le masse popolari potranno iniziare la costruzione del nuovo mondo.

Sembra la storia dell’uovo e della gallina. Le masse popolari, per uscire dall’atroce situazione in cui le classi dominanti le costringono, devono emanciparsi dalle classi dominanti; ma per emanciparsi devono essere già capaci di un’azione sociale indipendente dalle classi dominanti, cioè essersi già emancipate da esse.

Ma solo apparentemente è un vicolo cieco. La via d’uscita è il movimento comunista. È una via d’uscita già in qualche misura sperimentata dall’umanità, ogni volta ovviamente in condizioni locali e internazionali particolari, da cui le forze e le classi reazionarie traggono spunto per intossicare le coscienze delle masse oppresse e creare un’immagine deformata della realtà: il “libro nero del comunismo” diffuso dai Berlusconi e la “successione di errori e di orrori” propagandata dai Bertinotti. La Rivoluzione d’Ottobre, la Rivoluzione Cinese e le rivoluzioni dei paesi più piccoli ci dicono non solo che il socialismo è possibile, ma anche che cose che sembravano impossibili al senso comune, una volta avviato il processo rivoluzionario sono diventate quasi spontanee, quasi semplici a farsi (ragione per cui noi comunisti dobbiamo avere più fiducia nelle masse popolari come forza trasformatrice della realtà, come vera forza che fa la storia, a condizione che noi comunisti svolgiamo il nostro ruolo).(10)

Sta infatti a noi comunisti invertire il corso attuale delle cose portando le masse popolari a rovesciare la loro condizione sociale. Noi dobbiamo appropriarci del patrimonio di conoscenze elaborato dal movimento comunista e svilupparlo oltre i limiti contro cui si è infranta la prima ondata della rivoluzione proletaria. Con questo patrimonio dobbiamo e possiamo condurre le masse popolari alla riscossa, alla seconda ondata della rivoluzione proletaria che introdurrà definitivamente l’umanità nel socialismo, la fase di transizione dell’umanità dal capitalismo al comunismo.

In questo quadro, la crisi del capitalismo è una grande occasione oltre che una disgrazia. Essa induce le masse popolari a iniziare spontaneamente (ossia spinti dalle condizioni immediate in cui si trovano e dalla concezione del mondo con cui si ritrovano, il senso comune) il rivolgimento dell’ordine esistente. Essa  rende impossibile all’umanità continuare nelle vecchie miserabili condizioni in cui trascinava la sua esistenza, quindi la costringe a compiere lo sforzo necessario per superarle e passare a una fase superiore della sua storia. Una comune disgrazia schiaccia una parte crescente della popolazione. Gli attuali modi di vita e le attuali relazioni vengono cancellati ed è impossibile conservarli o ristabilirli. Risultano vani gli sforzi della borghesia di ricrearli in altre forme (ammortizzatori sociali, reddito di cittadinanza, flexysecurity, ecc.) e quelli della sinistra borghese di ricreare il sistema del “capitalismo dal volto umano” o almeno attestarsi sulla difesa del presente e conservare quello che resta dei diritti e delle conquiste strappati nel passato. Il movimento sindacale e rivendicativo sta in piedi solo se diventa movimento ausiliario del rivolgimento politico. Una parte crescente della popolazione, in ogni paese e a livello mondiale, per sopravvivere deve cercare una nuova via, deve fondare un nuovo sistema di relazioni sociali. Il vecchio modo di vivere è intaccato e sarà comunque distrutto dalle stesse classi dominanti e dalle relazioni e abitudini del passato (ogni azienda deve dare profitti, sennò chiude; ogni attività, ogni produzione di beni, ogni servizio si inizia con un investimento di denaro, solo se ci sono prospettive che sia redditizio di denaro e dura solo finché rende denaro; ogni prodotto e servizio è una merce, è fatto per essere venduto; anche la forza lavoro è una merce; ecc.) che esse impongono finché mantengono il potere. Le masse popolari devono togliere loro il potere, la direzione della vita sociale. La strada che noi comunisti indichiamo e promuoviamo è non solo via di sopravvivenza ma anche la via del progresso.

Dobbiamo propagandarla, insegnarla, organizzare quelli che via via la fanno propria. Dobbiamo rompere con la timidezza per cui molti parlano di “altro mondo”, “nuovo mondo”, e non osano dire socialismo, schiacciati dalla cattiva fama e dalla denigrazione dei primi paesi socialisti che i Berlusconi e i Bertinotti hanno reso luogo comune, pregiudizio diffuso che impedisce di applicarsi alla lotta rivoluzionaria. Dobbiamo rompere con i discorsi vaghi, dottamente distaccati, elegantemente ambigui di cui sono fatte le pubblicazioni e i mezzi di propaganda della sinistra borghese, come il manifesto, per indicarne uno dei migliori. Dobbiamo rompere con altrettanto vigore con cui rompiamo con la pratica contemplativa dei militaristi e dei settari che “non si sporcano le mani” nelle lotte correnti, che scartano come “riformiste” perché non concepiscono che bisogna fare di ognuna di esse una scuola di comunismo e come è possibile farlo, che non fanno di ogni lotta un movimento in cui accumulare forze e creare le condizioni per lanciare una lotta di livello superiore. La guerra popolare rivoluzionaria che noi comunisti promuoviamo consiste infatti in questo: con le forze raccolte noi dobbiamo rilanciare di volta in volta a un livello superiore la nostra opera e condurre passo dopo passo una parte crescente delle masse popolari a prendere in mano il proprio destino, rompere i vincoli imposti dalle classi dominanti, organizzarsi, rendersi autonome da esse, sbarazzarsi di esse e costruire il nuovo mondo: il comunismo.

 

Il nuovo mondo non nasce d’un colpo né spontaneamente!

 

Il nuovo mondo non nasce d’un colpo e non nasce spontaneamente. Lo abbiamo ben visto durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, nel secolo scorso. Non è un sistema di regole e di leggi da applicare e nasce solo dove è il programma perseguito a ogni costo e senza riserve da un partito comunista composto da persone che hanno assimilato la concezione comunista del mondo e che comprende nelle sue file gran parte degli operai avanzati. Il nuovo mondo è un nuovo modo di vivere e di lavorare concepito e messo in opera da milioni di uomini e donne sulla base della proprietà comune degli strumenti, delle condizioni e dell’arte della produzione, che si organizzano per agire. Non è democrazia per delega, ma democrazia partecipativa e quindi di masse organizzate. La sua creazione è un’impresa finora ancora mai compiuta nei paesi capitalisticamente più avanzati, benché possa essere completata solo nei paesi che hanno percorso il modo di produzione capitalista fino all’esaurimento delle sue intrinseche possibilità di civiltà e di progresso, di distruzione dei rapporti (paternalisti, schiavisti, clericali, feudali) di dipendenza personale, cioè negli attuali paesi imperialisti. Ma l’umanità ha elaborato i mezzi, le conoscenze e i sentimenti necessari per compierla, oltre che averne bisogno per sopravvivere alla distruzione in cui il capitalismo e le sue classi dominanti la spingono. È una strada nuova che l’umanità può e deve aprirsi, scoprendo via via la soluzione di ogni problema particolare, verificandola, correggendola, affinandola, consolidandola e sulla base di essa procedendo oltre.

 

Il ruolo dei comunisti è grandioso!

 

Immensa e grandiosa è l’opera di noi comunisti, iniziatori e promotori di questa trasformazione. Ciò che oggi fa difetto alle masse popolari per destarsi a quest’impresa è proprio la nostra opera. È il cedimento dei comunisti che ha portato all’esaurimento dello slancio creativo che con la prima ondata della rivoluzione proletaria il movimento comunista aveva impresso a gran parte dell’umanità: a conferma del ruolo indispensabile dei comunisti. Nel generale fermento rivoluzionario sorto spontaneamente tra le masse popolari di tutti i paesi, in particolare in Europa e negli altri paesi imperialisti, a causa delle stragi e delle distruzioni della prima guerra mondiale (1914-1918), la prima ondata della rivoluzione proletaria ha avuto inizio nell’Impero russo dove il partito comunista era più forte in termini di unità sulla concezione del mondo e di legame con gli operai avanzati. Il movimento comunista si è corrotto a incominciare dalla sua testa, dove la testa si è corrotta. Nella rinascita del movimento comunista come movimento di massa, come movimento di trasformazione della società e come seconda ondata della rivoluzione proletaria, noi comunisti dobbiamo per primi trasformarci, renderci più capaci di operare, di aggregare le nuove forze che si rendono disponibili, di incanalare il fermento generale nelle campagne, battaglie e operazioni tattiche più adatte all’accumulazione delle forze rivoluzionarie e a creare condizioni per iniziative di livello superiore, di trovare in ogni circostanza le soluzioni organizzative e tattiche più adatte ed efficaci per portare la guerra popolare rivoluzionaria a un livello superiore.

L’umanità deve trasformarsi, gli individui che la compongono devono stabilire tra loro relazioni diverse da quelle attuali e da quelle del passato, devono formare nuove aggregazioni locali e internazionali approfittando della generale disgregazione, devono organizzare diversamente le loro attività. Quindi gli individui stessi devono trasformarsi, trasformare la loro concezione del mondo, la loro mentalità e la loro personalità, a partire dai più avanzati e più generosi.(11) Non è né impossibile né strano. Tutta la storia della specie umana è storia di trasformazioni. Il Papa di Roma e i suoi preti predicano che l’uomo è stato creato da dio tale quale è oggi, che è sempre stato così: ma non è vero. La loro concezione metafisica del mondo è stata smentita nella pratica già dalla borghesia, che però non ha osato eliminare la Chiesa Cattolica Romana come istituzione sul terreno politico, intellettuale e morale, perché ne aveva bisogno come strumento di dominio e di oppressione del proletariato e delle masse popolari, come creatrice di consenso e di rassegnazione, come mezzo di contrasto al movimento comunista. È dato accertato che nel corso dei secolo gli esseri umani si sono trasformati sul piano fisico e molto più ancora sul piano delle relazioni, delle idee, dei sentimenti e dei caratteri: l’evoluzione della specie umana è un dato innegabile. Vi sono periodi in cui la trasformazione è avvenuta molto lentamente e periodi in cui è stata rapida: la nostra è un’epoca di rapida trasformazione sotto l’incalzare della necessità imposta dalla crisi del capitalismo che precipita e degli immensi problemi che essa pone e sempre più porrà a ogni individuo, a ogni gruppo, a ogni comunità.

 

Il collo della bottiglia

 

In un certo senso oggi in questa trasformazione noi comunisti siamo il collo di bottiglia. Ma lo siamo in un senso ben preciso: nel senso che la trasformazione non può avvenire che attraverso di noi, noi possiamo svilupparla su grande scala, che si produca e in che tempi dipende da noi.

Per costruire il nuovo sistema di relazioni sociali le masse popolari hanno bisogno di esercitare facoltà che le classi dominanti hanno sempre impedito loro di apprendere; hanno bisogno di usare conoscenze che le classi dominanti hanno sempre loro negato. Le classi dominanti del capitalismo, la borghesia, il clero e le vecchie classi a loro associate, hanno tenuto le masse popolari lontano dalle attività specificamente umane, da quelle attività e funzioni che distinguono la specie umana da ogni altra specie animale.(12) Hanno tenuto le classi popolari lontano dalle attività spirituali, il più lontano che lo consentiva il ruolo che le masse popolari dovevano pur svolgere nella produzione, il lavoro che esse dovevano fare per le classi dominanti. Le masse popolari sono state ammesse a imparare a leggere e a scrivere solo quando e nella misura che il loro ruolo nella produzione lo rendeva necessario. “Perché insegnare la filosofia a uno che è destinato a fare lo spazzino?” proclamava senza vergognarsi ancora pochi anni fa Letizia Moratti, ministra della Pubblica Istruzione di uno dei governi Berlusconi. E infatti negli ultimi 20 anni la borghesia ha fatto quanto poteva per riportare la scuola pubblica ad essere nuovamente solo una scuola di mestieri. Il sistema di istruzione pubblica per la formazione della classe dominante che Giovanni Gentile (1923) aveva organizzato con la Chiesa in funzione ausiliaria, era incompatibile con l’accesso universale delle masse popolari all’istruzione imposto alla borghesia per legge nel periodo del “Sessantotto”. La borghesia ha prima lasciato andare in malora la scuola pubblica che non era suo interesse adattare alla nuova funzione e infine l’ha “riformata” ad opera di una serie di ministri della destra estrema e della destra moderata a partire da Luigi Berlinguer.

“Lei non è pagato per pensare. Altri sono pagati per questo!”, ammoniva il celebre ingegner Frederick Taylor rivolto agli operai. “Qui non si fa politica!”, prescriveva il padrone democristiano o liberale che fosse. La conoscenza e le arti necessarie per organizzare e dirigere sono state precluse alle masse popolari. Le normali relazioni della società borghese, e peggio le relazioni delle società più antiquate, relegavano le masse popolari al ruolo di esecutori di quello che i padroni circondandosi di mille segreti prescrivevano. La diversione dell’attenzione e la cultura dell’evasione sono diventati un programma politico nei regimi di controrivoluzione preventiva.(8) Netto è in questo campo il contrasto con il movimento comunista: esso ha costantemente e ovunque promosso l’elevazione culturale e morale dei membri della classe operaia e delle masse popolari. I padroni al massimo tolleravano che i lavoratori discutessero della remunerazione: la distribuzione del reddito era il limite che i sindacati gialli, padronali (la CISL, le altre organizzazioni operaie cattoliche, la UIL, i sindacati fascisti, i sindacati aziendali, ecc.) non superavano mai. “La morale viene da dio e l’uomo deve obbedire ai precetti di dio”, osa ancora oggi proclamare il Papa di Roma e della voce di dio dichiara interprete se stesso più i suoi preti fintanto che sono d’accordo con lui.

Quindi per emanciparsi dalle classi dominanti, le masse popolari hanno bisogno di attitudini, funzioni e conoscenze che le classi dominanti hanno sempre loro precluso.

Ma proprio per la natura del suo sistema sociale, la borghesia non ha potuto impedire che nella stessa società che essa dominava si creassero i germi dell’emancipazione delle masse popolari dal suo sistema sociale. Per sua natura, la società borghese presenta fessure attraverso le quali sfuggire all’oppressione: l’individualismo distingue in positivo la società borghese dalle precedenti più primitive società basate su rapporti di dipendenza personale. E sulla sua base i destini dell’individuo sfuggono in una certa misura al controllo e alla coercizione della comunità. La borghesia (in questo come il clero) deve reclutare i suoi quadri tra le masse popolari, ma la struttura produttiva borghese comporta anche (a differenza del mondo feudale e clericale) l’applicazione crescente del patrimonio culturale e scientifico alla produzione di beni e servizi (di merci): questo comporta una certa formazione culturale e morale su larga scala delle masse popolari in generale e in particolare degli operai. I comunisti sono individui che hanno osato sfidare l’ordine borghese, hanno imparato a usare quelle fessure non per fare carriera nella società borghese, ma per combatterla: sono ribelli all’ordine costituito che si specializzano nel valorizzare le fessure della società borghese ai fini della ribellione. Quelli che provengono dalle classi dominanti, si trasformano aderendo al partito comunista e mettono le loro conoscenze e le loro risorse al servizio della lotta che le masse popolari conducono per emanciparsi. Quelli che provengono dalle masse popolari, si distinguono dal resto delle masse popolari proprio perché approfittano delle contraddizioni della società borghese: un esempio illustro di questo nel movimento comunista italiano è stato Giuseppe Di Vittorio che non a caso la borghesia odia particolarmente: l’amministrazione PdL di Cerignola ha perfino fatto rimuovere il monumento che lo ricordava nella piazza del suo paese natale. I comunisti sono quei membri delle masse popolari che con un particolare sforzo individuale hanno raggiunto un certo livello di conoscenza in tutti i campi necessari per l’organizzazione e la direzione della vita sociale, lo hanno messo al servizio dell’emancipazione delle masse popolari e organizzandosi nel partito comunista hanno riunito le forze e le condizioni necessarie per progredire oltre e svolgere la loro opera. Essi sono un frutto contraddittorio della condizione particolare in cui la borghesia ha dovuto mettere la classe operaia per poterla sfruttare: il movimento comunista è derivato dal movimento operaio, è il punto più alto dello sviluppo del movimento operaio. Il partito comunista è l’avanguardia della classe operaia organizzata sulla base della concezione comunista del mondo. È il partito che promuove la lotta dei lavoratori per emanciparsi dalla borghesia e dal clero e creare il nuovo mondo del comunismo. Il partito comunista, contrariamente alla concezione prevalente ancora nella Seconda Internazionale e conservata dai trotzkisti, non è il partito dei lavoratori. È il partito dei comunisti: il suo carattere di partito della classe operaia che lotta per il potere non è principalmente dovuto alla sua composizione sociologica (tutti o la maggioranza dei suoi membri dovrebbero essere operai), ma alla concezione comunista del mondo che lo guida, di cui è elaboratore, depositario e propagandista e con cui la classe operaia ha una relazione particolare, diversa da quella che hanno le altre classi oppresse.

I comunisti sono l’avanguardia organizzata delle masse popolari, i promotori della lotta che le classi popolari e in primo luogo la classe operaia devono condurre per la propria emancipazione dalla borghesia, dal clero e dalle vecchie classi a queste associate. Per questo la borghesia, il clero e le altre classi privilegiate vedono i comunisti come fumo negli occhi. Li perseguitano e cercano in ogni modo di isolarli, corromperli, infiltrarli, frenarli, scoraggiarli, deviarli, influenzarli, soffocarli, eliminarli. I comunisti sono una componente indispensabile del processo di emancipazione degli operai e del resto delle masse popolari. La condizione indispensabile perché gli operai e le masse popolari si emancipino dal capitalismo è che alcuni di loro diventino comunisti e si costituiscano in partito comunista. La persecuzione con cui la Repubblica Pontificia cerca di soffocare il (n)PCI, è un indizio che il (n)PCI è sulla strada giusta, svolge relativamente bene il compito che è suo proprio.

 

Una parabola

 

Usando una parabola, potremmo dire che l’umanità è cresciuta chiusa in una sala dove era sistemata malamente, con grandi differenze di ruoli e di condizioni: la miseria di molti era la condizione necessaria della ricchezza di alcuni. I capitalisti comandavano, gli operai obbedivano e il resto dell’umanità viveva di riflesso tra le due classi principali. Ora con la crisi in corso i capitalisti stessi, per motivi propri della loro natura, buttano in aria questa sala, ne demoliscono il pavimento, la fanno allagare dalle acque, ne restringono lo spazio abitabile. I capitalisti per loro natura sono legati a quel mondo e non se ne vogliono staccare. Le masse popolari ci stavano male e quindi la crisi è l’occasione per farla finita con quel mondo. Accapigliarsi tra loro per lo spazio residuo non basta comunque più: le masse popolari devono trovare un’altra soluzione. La lotta che già alcuni conducevano per stare meglio, confluisce nella nuova lotta rivoluzionaria: le lotte per le riforme confluiscono nella rivoluzione socialista. È impossibile restare nella situazione disgraziata in cui sono cresciute. Ora non si tratta di sopravvivere nelle circostanze sfavorevoli sopportando peggioramenti provvisori da recuperare quando la condizione diventa propizia. Si tratta che per una parte importante è impossibile sopravvivere. La povertà non è più un fenomeno marginale né vi è prospettiva che lo diventi: al contrario si espande, indirettamente colpisce anche quelli che non ne sono colpiti direttamente, chi non è ancora colpito vede e sente di poterlo essere. La disoccupazione è sempre meno compensabile in qualche misura con l’economia naturale, con attività di nicchia e con lavori provvisori. Bisogna uscire all’aperto dove nessuno però è mai stato finora e vi è un’unica via di uscita, un unico condotto, un unico traghetto. Il deflusso è determinato dalle condizioni del traghetto. Per di più pochi sanno che fuori c’è la salvezza, la maggior parte ignora quello che li attende, molti hanno paura del peggio.

La parabola ha i suoi limiti come ogni parabola, ma serve a darci l’idea della situazione in cui l’umanità si trova e del ruolo che noi comunisti dobbiamo svolgere. Nella situazione attuale creata dalla crisi generale del capitalismo, noi comunisti siamo quel condotto e quel traghetto. Il capitalismo con la sua crisi distrugge le vecchie condizioni di vita delle masse popolari e noi comunisti siamo il passaggio che loro sono obbligate a prendere per salvarsi. Ma la maggior parte delle masse popolari non lo sa e i capitalisti, i loro preti e i loro servi non risparmiano mezzi per convincerle del contrario, per convincerle a sopportare, per indurne una parte a cercare di sopravvivere scagliandosi sul resto: la miseria e l’abbrutimento diffusi offrono mille pretesti e appigli per farlo. Per di più il viaggio d’uscita presenta le sue difficoltà: richiede non solo coraggio, ma anche energia e volontà. Il fatalismo, l’inerzia, la sfiducia in se stessi e gli altri vizi che le classi dominanti favoriscono tra le masse popolari inducono a tirare a campare e “sperare in dio”.

Stando alla parabola, le dimensioni del condotto più che dal numero di noi comunisti, sono limitate dalla nostra qualità. Dipendono dalla nostra capacità di assimilare la scienza della trasformazione della società borghese elaborata finora dal movimento comunista, di farla nostra, di applicarla e di svilupparla. Applicarla vuol dire convincere le masse popolari a imbarcarsi per il condotto di salvezza e convincere i migliori a unirsi a noi nell’opera, a diventare dei nostri, a contribuire ad allargare il condotto e a potenziare il traghetto. Il nostro limite non è quindi il nostro numero: quello può aumentare anche rapidamente se rapidamente con la nostra opera e con le nostre parole convinciamo nuovi elementi delle masse popolari che si uniscono a noi.

La dimensione del collo di bottiglia non è il nostro numero: è la nostra qualità, la nostra capacità di convincere, di traghettare e di mostrare qui e ora, nella pratica che effettivamente organizziamo le masse popolari, risolviamo i problemi e superiamo le difficoltà e gli ostacoli connessi, dirigiamo con successo nella lotta: che la via che noi promuoviamo è effettivamente la via della salvezza, l’unica via possibile, per quanto essa richieda sforzo e sacrifici, per quanto sia difficile da farsi e richieda una trasformazione nelle masse popolari stesse che sono da sempre abituate ed educate a fare quello che i padroni predisponevano e ordinavano, al massimo a rivendicare salari, redditi e migliori condizioni di servizio. Sono da ogni parte dalla borghesia, dal clero e da tutte le persone autorevoli della vecchia società pressate a restare a questo livello.

 

Il ruolo dei comunisti detta la natura del partito comunista!

Il partito comunista non è né una setta né una nuova classe dominante!

È la direzione e l’avanguardia delle masse popolari che si emancipano dalla borghesia e dal clero!

 

Questo è il ruolo dei comunisti e del loro partito, come lo abbiamo imparato dall’esperienza dei 160 anni di lotta del movimento comunista cosciente e organizzato e in particolare dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria nel secolo scorso. Il nuovo Partito comunista italiano e i suoi membri sono impegnati a rendersi capaci di svolgere questo ruolo. Chi vuole venire con noi, chi vuole capire se la strada che noi seguiamo è giusta, deve valutare i suoi singoli aspetti alla luce del ruolo che abbiamo indicato. Chi vuole venire con noi, deve assumere l’impegno di svolgere questo ruolo. Chi non se la sente, non può essere membro del partito comunista. Tuttavia se vuole farla finita col capitalismo, se aspira comunque al socialismo, ha altri ruoli positivi da svolgere nella lotta che non quello di essere membro del partito comunista.

Chi è convinto che le masse popolari non abbiano bisogno dei comunisti e del loro partito, chi è convinto che un altro debba essere il ruolo dei comunisti e del loro partito, troverà certamente fuori luogo molte delle cose che noi facciamo e diciamo. Oggi nel nostro paese, come del resto in altri paesi, i propositi e i tentativi di creare nuovamente il partito comunista si moltiplicano. Questo è un segnale positivo. Le masse popolari sono in moto, la crisi del capitalismo le ha messe in moto spontaneamente, cioè anche dove ancora noi comunisti non siamo arrivati con la nostra opera di propaganda, di mobilitazione, di organizzazione e di direzione. L’agitazione delle masse popolari aumenterà inevitabilmente, aumenteranno le proteste, le rivendicazioni, le rivolte. Centinaia di milioni di esseri umani sono già ridotti a vivere di espedienti, di sotterfugi, di carità e di ammortizzatori sociali: il loro numero crescerà, ma cresceranno anche il numero e l’audacia di quelli che non si rassegneranno. La strada che i primi apriranno, incoraggerà altri a seguirli. Il numero e la qualità dei combattenti cresceranno. Milioni di esseri umani sono vittime ogni anno delle guerre che la “comunità internazionale” degli imperialisti presieduta dal governo di Washington e benedetta dal Papa di Roma scatena in numero crescente e della guerra di sterminio non dichiarata che la borghesia, il clero e le classi ad esse assimilate conducono contro le masse popolari in ogni angolo della terra. Ma la resistenza cresce dovunque e la vittoria delle orde criminali dei mercenari della borghesia imperialista diventa più rara, nonostante la potenza delle armi di cui dispongono.

Molti intellettuali che si salvavano la coscienza ripetendo e ripetendosi che “la colpa è delle masse che non lottano”, che attribuivano alle masse la loro propria impotenza nell’azione a fronte dei mali della situazione su cui spargevano lacrime e denunce (“la masse non ci seguono”), hanno perso il loro paravento. Vedono che le masse si muovono e lottano, solo che non seguono la strada che loro indicano: chi sbaglia? Il bisogno di un’avanguardia che formula la prospettiva per il futuro, che progetta il cammino da fare e si assume il ruolo di centro promotore e organizzatore è largamente avvertito. Noi comunisti non ci limitiamo a ripetere che occorre dare una prospettiva: noi comunisti questa prospettiva la indichiamo e mobilitiamo le forze per realizzarla. Le chiacchiere sulla “morte della forma partito” sfumano man mano che la lotta si fa dura. Sempre più si impone la coscienza che alla guida della lotta è necessaria una forza cosciente e organizzata, una forza che si mette alla testa e che coordina e unisce le forze. Oggi già per molti la lotta si è spostata sul terreno della natura del partito comunista di cui c’è bisogno (della qualità). Fioriscono molte fantasie ma anche idee più o meno serie. Il nostro partito è ancora guardato a distanza. La quantità delle nostre forze e le dimensioni della nostra opera non sono ancora tali da rendere impossibile eludere la questione che noi poniamo a chi per i più vari motivi vuole eluderla. Ma la questione resta là, rimuoverla è impossibile. I fatti sono dalla nostra parte. Non ammettono altra soluzione.

L’esperienza è dalla nostra parte. Noi sfidiamo ogni lettore e ogni persona che si occupa e preoccupa di trovare una via d’uscita dal capitalismo o almeno dalla sua crisi, a trovare la confutazione delle nostre tesi non nelle proprie idee, nelle proprie preferenze, nei suoi gusti e nelle proprie aspirazioni personali, ma nell’esperienza della lotta delle classi della società borghese negli ultimi duecento anni e nel corso attuale delle cose. La concezione comunista del mondo è una scienza sperimentale. L’esperienza la conferma e la arricchisce. La concezione comunista del mondo è la guida per l’azione: per la lotta con cui gli operai e le masse popolari si emancipano dal capitalismo.

Umberto C.

 

Note

 

1. Detto in sintesi, i partiti comunisti sono in grado di mobilitare e guidare gli operai e il resto delle masse popolari a instaurare il socialismo solo se hanno una comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe adeguata al ruolo e ai compiti particolari che devono svolgere. Nel secolo scorso i partiti comunisti dei paesi imperialisti non avevano una simile concezione. In particolare non l’avevano riguardo alla natura della crisi generale nell’epoca imperialista (la crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale), alla strategia della rivoluzione socialista (la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata), alle Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS) e ai regimi di controrivoluzione preventiva instaurati nei paesi imperialisti nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria. Per questo il movimento comunista non ha instaurato il socialismo in nessun paese imperialista durante la prima ondata della rivoluzione proletaria. La questione è trattata in breve ma più analiticamente nell’opuscolo I quattro temi principali da discutere nel Movimento Comunista Internazionale, 2010, www.nuovopci.it/scritti/i4temi/index.html.

Rimando i lettori che vogliono farsi personalmente un’opinione della questione alla lettura di alcuni scritti di Lenin (A proposito dell’opuscolo di Junius, 1916,Opere vol. 22 www.nuovopci.it/classic/lenin/junius.htm, Posizioni di principio sul problema della guerra, 1916, Opere vol. 23 www.nuovopci.it/voce/supplementi/svizesp/leninsvz.html pubblicato anche in La Voce n. 38 e altri scritti di Lenin di quel periodo in Opere vol. 21, 22 e 23 www.nuovopci.it/voce/supplementi/svizesp/leninsvz.html), del Programma dell’“ordine nuovo” e della sezione socialista torinese, aprile 1920, steso da Gramsci, Togliatti e altri www.nuovopci.it/classic/gramsci/progordn.htm; della Risposta di un comunista unitario al compagno Lenin, dicembre 1920 stesa da G.M. Serrati www.nuovopci.it/classic/autvari/index.html; dell’articolo La settima discriminante. Quale partito comunista? in La Voce n. 1 www.nuovopci.it/voce/voce1/la7disa.htm; dell’articolo Pietro Secchia e due importanti lezioni, in La Voce n. 26 www.nuovopci.it/voce/voce26/secchia.html.

 

2. Le FAUS sono trattate nel Manifesto Programma del (nuovo) Partito comunista italiano, Edizioni Rapporti Sociali, via Tanaro 7, 20128 Milano, rapportisociali@libero.it oppure www.nuovopci.it/scritti/mpnpci/indicmp.html, pagg. 57-58, capitolo 1.3.4.

 

3. Sui primi paesi socialisti (Unione Sovietica, Repubblica Popolare Cinese e gli altri) vedi l’opuscolo I primi paesi socialisti, Edizioni Rapporti Sociali, via Tanaro 7, 20128 Milano, rapportisociali@libero.it oppure www.nuovopci.it/voce/voce14/vo14a09.html e Manifesto Programma del (nuovo) Partito comunista italiano (già citato), pagg. 82-97, capitolo 1.7.

 

4. È per questo che non è realizzabile la proposta avanzata dai fautori del “terzo settore”, né capitalista né socialista, costituito da attività locali di produzione e distribuzione di beni e servizi organizzate su basi cooperative, di volontariato o di rapporti personali  tra i protagonisti, come alternativa al capitalismo e alla sua crisi. Il terzo settore è in sostanza un ritorno alla cooperative intese per quello che erano all’origine del movimento cooperativo, nel secolo XIX. A proposito di esse, intese come alternativa al capitalismo, resta pienamente valido, e a maggior ragione oggi dopo che un secolo e mezzo di storia ha portato alla grande produzione attuale e all’attuale ruolo produttivo delle attività di “ricerca e sviluppo”, quello che affermò Marx nello Indirizzo inaugurale dell’Associazione Internazionale degli operai (ottobre 1864): “... l’esperienza del periodo dal 1848 al 1864 ha provato, al di sopra di ogni dubbio, che il lavoro cooperativo, per quanto eccellente sia in pratica, limitato in una stretta cerchia di sforzi parziali di operai isolati, non è in grado di arrestare il progresso geometrico del monopolio, non è in grado di emancipare le masse e neppure è capace di alleviare in modo sensibile il fardello della loro miseria. Probabilmente per questa unica ragione nobili plaudenti, declamatori filantropi della classe media, economisti arditi si sono volti all’improvviso con complimenti nauseabondi al sistema del lavoro cooperativo, che essi invano avevano tentato di diffamare quando era in germe schernendolo come utopia di sognatori o etichettandolo con l’epiteto denigratorio di socialista. Il lavoro cooperativo, per salvare le masse operaie, deve essere sviluppato su scala nazionale [oggi diremmo mondiale, ndr] e conseguentemente sostenuto da mezzi nazionali. Per ciò che riguarda il presente, i padroni della terra e del capitale non vogliono che una cosa: impiegare i loro privilegi politici per difendere e perpetuare i loro monopoli economici. (...) Proprio per questo la conquista del potere politico è diventata il grande dovere della classe operaia.”

 

5. Mille sono non solo le manifestazioni di ferocia, di criminalità e di barbarie, ma anche le evidenti e ridicole assurdità logiche: gli anziani devono lavorare di più (ore supplementari) e per più anni mentre i giovani non possono lavorare; si distrugge in piena coscienza l’ambiente naturale e si sprecano enormi risorse (beni comuni) in omaggio alla speculazione; si producono prodotti certificati come inutili o dannosi che provocano danni irreversibili (obesità, malattie, ecc.) per la vita di miliardi di esseri umani, ma che è del tutto ragionevole e utile produrre perché producono profitti per alcuni milioni di persone aumentando la quantità di soldi di cui già rigurgitano; la ricerca e l’istruzione sono riconosciuti come la fonte potenziale di ogni benessere e di ricchezze illimitate, ma sono trascurate “per mancanza di soldi”; l’educazione dei bambini e dei ragazzi è abbandonata all’arbitrio del mercato dei beni, dei servizi, della cultura, della pubblicità; l’istruzione, la cultura e l’assistenza sanitaria sono trattati come merci; i miglioramenti del pianeta e dell’ambiente tecnicamente possibili o le cui tecniche è notoriamente possibile mettere a punto, sono trascurati “per mancanza di soldi”; ecc.

 

6. Le relazioni mercantili e capitaliste dividono la società in individui e gruppi che hanno interessi antagonisti: il successo di uno ha come contropartita il fallimento dell’altro; lo sviluppo di un settore d’attività ha come contropartita il declino di un altro; ogni individuo e gruppo si afferma nel mercato in contrapposizione con altri. Questo tratto della società borghese è stato un suo fattore di forza e un fattore di progresso per la specie umana finché la storia si è sviluppata principalmente come lotta della borghesia per sostituire il modo di produzione capitalista ai modi di produzione più primitivi. È diventato un fattore di crescente debolezza man mano che il modo di produzione capitalista è diventato preponderante, il proletariato è arrivato a costituire una parte importante dei clienti del capitalista, la connessione e collaborazione tra individui, aziende, gruppi e paesi sono diventate la condizione generale del buon funzionamento dell’economia mondiale; il concorrente è diventato un componente decisivo del mercato e della rete di attività produttive di cui ogni capitalista con la sua azienda fa parte e la sua rovina perturba tutta la rete.

 

7. La concezione da “movimento dei movimenti” proposta e propagandata da Guido Viale, Paolo Cacciari, Pierluigi Sullo & C (“pensare globale e agire locale), è l’espressione più “di sinistra”, più pratica di questo modo di concepire e di porsi. Ma è egualmente impotente. Il terzo settore costituisce un potente strumento di organizzazione popolare e di formazione alla democrazia partecipativa (sovietica, si sarebbe detto quando il termine non era diventato denigratorio). Quindi è una scuola di comunismo, oggi in Italia una componente importante del movimento per costituire il Governo di Blocco Popolare. Ma non vale come alternativa alla produzione su larga scala. Proporla come tale vuol dire proporre di costituire un’economia a nicchie, mentre il mondo moderno ha di gran lunga superato l’isolamento dell’economia cortense (del villaggio, della vallata, della zona), non può più essere fatto principalmente di nicchie, come il gruviera non può essere fatto principalmente di buchi. Il ruolo del terzo settore nella trasformazione che l’umanità deve compiere è analogo per molti aspetti al ruolo del movimento sindacale e rivendicativo. Noi comunisti dobbiamo valorizzare al massimo delle loro potenzialità l’uno e l’altro come scuole di comunismo.

 

8. I regimi di controrivoluzione preventiva sono trattati nel Manifesto Programma (già citato), pagg. 46-56, capitolo 1.3.3.

 

9. La Repubblica Pontificia ha costantemente e sistematicamente eluso e violato la Costituzione del 1947 accettata ipocritamente anche dalla borghesia e dal clero. Mille aspetti del nostro stato attuale sono lì a dimostrarlo: dalla presenza USA sul nostro territorio niente affatto reciproca come prescritto dalla Costituzione, alla partecipazione alle guerre che la Costituzione espressamente ripudia come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, al ruolo dei lavoratori nella vita sociale e sul posto di lavoro. Tutte le forze politiche hanno sistematicamente violato e rinnegato la Costituzione.

Nessuna ha però preteso la sua abolizione o modifica, perché la violazione era tacita e concorde. La banda Berlusconi briga per la modifica perché una parte della classe dominante si fa forte della Costituzione come strumento di lotta contro la banda. Lo scontro tra i gruppi delle classi dominanti quindi non nasce a proposito della modifica della Costituzione. All’inverso, la modifica della Costituzione è un effetto e strumento dello scontro. Esso nasce dalla crisi della Repubblica Pontificia, aspetto politico particolare della crisi generale della società borghese.

 

10. La mancanza di fiducia nella capacità rivoluzionaria delle masse popolari è un tratto caratteristico e fondante dell’ala destra e opportunista del movimento comunista. Togliatti dalla sconfitta della Repubblica nella guerra civile spagnola (1936-1939) trasse la conclusione che in Europa le masse popolari non erano in grado di instaurare il socialismo contro la Chiesa Cattolica Romana e la borghesia europea. Il movimento comunista non aveva una concezione giusta della strategia della rivoluzione socialista (la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata). Da qui principalmente la sconfitta in Spagna. Da questa la conferma della sfiducia nelle capacità rivoluzionarie delle masse popolari europee.

 

11. Ogni individuo è una formazione sociale nel senso in cui si dice che una roccia è una formazione geologica. Quando un compagno è in grado di prendere in mano la propria formazione, quando il Partito prende in mano la formazione di un compagno, il compagno si ritrova con una personalità, una mentalità e una concezione del mondo già strutturate (in proposito vedi Concezione, mentalità e personalità, in La Voce n. 35, pagg. 59-61, www.nuovopci.it/voce/voce35/concez.html). Quando diciamo per “per sua natura” il borghese, il prete, ecc. si comporta nel modo tale e tale, ci riferiamo alle caratteristiche che il ruolo e la funzione (che gli individui in questione esercitano nella vita sociale) formano, confermano e rafforzano in loro: ai tratti della concezione del mondo, della mentalità e della personalità del singolo che il ruolo e la funzione sociali confermano e rafforzano fino a renderli in linea di massima incorreggibili.

 

12. Sulle attività specificamente umane, le attività e funzioni che distinguono la specie umana da ogni altra specie animale, vedasi Manifesto Programma (già citato), pagg. 249-250, nota 2.

 

La Voce n. 39
in formato PDF
in formato Open Office - in formato Word