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  La Voce 39 del (nuovo)Partito comunista italiano

I comunisti devono avere fiducia nella capacità
rivoluzionaria delle masse popolari italiane!

Non è un atto di fede: è l’insegnamento della storia

 

Lo scopo della nostra attività è instaurare il socialismo in Italia nell’ambito della seconda ondata della rivoluzione proletaria che si sta sviluppando in tutto il mondo sotto l’incalzare della rinascita del movimento comunista e della crisi generale (economica, ambientale, intellettuale, morale e sociale) a cui il sistema imperialista mondiale ha condotto l’umanità. Il nostro obiettivo è possibile. Nell’articolo che La Voce 38 dedica all’anniversario della Comune di Parigi ho spiegato perché l’instaurazione del socialismo nei paesi imperialisti è possibile e ho indicato i motivi per cui finora il movimento comunista non l’ha fatta, motivi che sono del tutto comprensibili e rimediabili. Ma raggiungeremo il nostro obiettivo solo con una lotta accanita e con un lavoro di grande livello.

Il ruolo che il (n)PCI con tutta la sua carovana si è assunto, ci obbliga ad un lavoro creativo, a continue verifiche di quello che facciamo, alla combinazione di tattiche a prima vista opposte e incompatibili, a frequenti cambiamenti di tattica: ogni volta che ci rendiamo conto che gli avvenimenti prendono una piega diversa da quella sulla base della quale abbiamo definito la tattica che stiamo seguendo o che la tattica che seguiamo è sbagliata, non corrisponde alla situazione. Per questo molti hanno da ridire sulle nostre tattiche. Noi teniamo conto delle critiche (si impara sempre qualcosa), ma decidiamo in base alla nostra concezione del mondo e alla nostra analisi della situazione e delle forze in campo. Come fa chi è responsabile di un’impresa e vuole arrivare al suo compimento.

La concezione comunista del mondo che ci guida e la definizione della linea sono le questioni chiave per la nostra vittoria. Noi comunisti abbiamo chiaro che la storia non è fatta né da sette, né da individui per quanto di buona volontà ma che agiscono ognuno per conto suo: il comunismo nasce dai presupposti creati dalla società borghese; la società borghese ha creato l’individuo superando le relazioni di dipendenza personale, ma il comunismo non è l’universalizzazione e l’estremizzazione dell’individuo (ogni essere umano è un individuo e agisce arbitrariamente). Le masse e solo le masse possono fare la storia. Le idee diventano una forza materiale che trasforma il mondo, ma solo se diventano guida dell’azione delle masse e per essere autori coscienti della loro storia le masse devono essere organizzate. A loro volte, le idee gli uomini le elaborano dall’esperienza (Da dove vengono le idee giuste? di Mao, esprime in modo classico la nostra concezione in proposito). Questo per noi comunisti è scontato, provato e riprovato dall’esperienza.

Invece nel corso della lotta degli anni passati noi comunisti dei paesi imperialisti non si siamo attenuti (con l’eccezione di A. Gramsci) al principio che le idee gli uomini non le maturano spontaneamente dall’esperienza:(1) le devono ricavare, elaborare dall’esperienza con un’attività specifica. Le relazioni della società borghese, come quelle della altre società divise in classi, escludono le masse popolari da questa attività, o almeno limitano fortemente la loro partecipazione a questa attività: anche nei più ricchi paesi capitalisti, un individuo delle masse popolari vi accede solo se ha una particolare forza di volontà e compie un particolare sforzo individuale in campo intellettuale, se le circostanze della vita individuale lo aiutano (le buone occasioni!). Creare le condizioni perché tutti i membri delle masse popolari partecipino a questa attività è uno dei compiti del socialismo. Le contraddizioni tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, lavoro di progettazione e organizzazione e lavoro esecutivo, tra dirigenti e diretti rientrano tra le 7 grandi contraddizioni che saranno trattate su grande scala nel corso della transizione dalla società attuale al comunismo, cioè nel socialismo. Oggi noi comunisti possiamo essere all’altezza del nostro ruolo solo se, come Partito, elaboriamo dall’esperienza concezione del mondo, analisi, linea. La concezione comunista del mondo è la scienza sperimentale della trasformazione del mondo: bisogna apprenderla, assimilarla, applicarla e svilupparla.

 

Quali sono i caratteri particolari con cui si pone nel nostro paese questa questione universale?

 

Il presente del nostro paese è fortemente segnato dal ruolo che esso ha avuto nella storia europea e mondiale come sede del centro della Chiesa Cattolica Romana, la maggiore istituzione del potere delle classi dominanti in Europa dall’inizio del secondo millennio (da papa Gregorio VII (1020-1085) per capirci) fino a quattro secoli fa e una delle maggiori istituzioni del potere delle classi dominanti del mondo intero nei secoli successivi (quando l’Europa invase e coinvolse nel suo percorso il resto del mondo).

Le classi oppresse e sfruttate del nostro paese non sono mai riuscite a liberarsi da questa struttura feudale. Il massimo a cui la borghesia arrivò fu un compromesso con la Corte Pontificia e la sua Chiesa Cattolica Romana. All’epoca del Risorgimento, la borghesia era da tempo, a causa dell’evoluzione storica precedente compiuta dal nostro paese (vedi Il futuro del Vaticano www.nuovopci.it//voce/voce23/futvtint.html e Saluto del CC del (n)PCI alla CMD Caracas 2011 www.nuovopci.it/voce/voce37/controvat.html) troppo in opposizione con i contadini per condurre una lotta a fondo contro la Chiesa ed eliminare la Corte Pontificia. In sostanza concluse la sua opera (l’unificazione politica dell’Italia) più sulla linea definita da Vincenzo Gioberti che su quella definita da Camillo Benso conte di Cavour.

Nel nostro paese il proletariato (i nullatenenti dipendenti dalla borghesia) ha assunto un ruolo autonomo nella lotta politica (lotta per la definizione della composizione del governo del paese e della sua linea di condotta) da circa cent’anni. Ma non è riuscito finora a scuotere il giogo della santa alleanza borghesia-clero risultata dal Risorgimento. Noi abbiamo cercato di capirne le ragioni.

La causa principale sta nelle caratteristiche dei gruppi che hanno diretto le lotte del proletariato.

Anzitutto il proletariato e le masse popolari che lottano per instaurare il socialismo o anche solo lottano contro la borghesia e il clero hanno sempre avuto un gruppo dirigente e non possono farne a meno. La differenza sta tra i dirigenti che si assumono la responsabilità del loro ruolo e almeno di fatto si sottomettono al giudizio dei proletari attivi e in particolare di quelli organizzati, e quelli che sono dirigenti, esercitano in tutto o in parte le funzioni dei dirigenti, ma le esercitano a tempo libero, arbitrariamente, parzialmente (è un atteggiamento tipico nell’Autonomia Organizzata; è una concezione riproposta oggi ad esempio da Guido Viale e da altri fautori del “movimento dei movimenti”; era un tempo pratica corrente nel vecchio partito socialista).

Per il ruolo che devono svolgere, i dirigenti del movimento comunista devono essere persone colte (è quello che ha messo ben in chiaro Lenin nel Che Fare?) - capitolo 2a - www.nuovopci.it/classic/lenin/chefare.htm). Ma nella nostra società la cultura è patrimonio e terreno d’attività riservati alla borghesia e al clero. Quindi i dirigenti del movimento comunista si formano alla “scuola” (intesa in senso lato) della borghesia e del clero. È quindi comprensibile che essi sono imbevuti del pregiudizio che le masse popolari del nostro paese sono incapaci di compiere una rivoluzione come ne è stata incapace la borghesia; che le considerino più con preoccupazione per l’arretratezza in cui sono tenute che con fiducia nelle loro potenzialità; che non abbiano una visione dialettica della realtà; che, come persone colte, tendano alla metafisica (il contrario del materialismo dialettico).

Durante gli anni del predominio del revisionismo moderno, anche compagni nati e cresciuti tra le masse popolari e membri del PCI, solo casualmente e tardi hanno capito che per diventare comunisti sul serio dovevano imparare dall’esperienza dell’ambiente proletario e semiproletario in cui erano nati e cresciuti oltre che dalla “scuola” a cui erano andati fino allora. Spesso hanno considerato l’esperienza delle masse popolari come cosa arretrata da dimenticare, “le mie università” di Gorki.

Nella sua Risposta di un comunista unitario al compagno Lenin (dicembre 1920, www.nuovopci.it/classic/autvari/index.html) G.M. Serrati (1876-1926), uno tra i dirigenti del PSI personalmente più coraggiosi e morto membro del PCd’I, mostra quanto fosse profonda questa sfiducia anche nei migliori dirigenti del movimento comunista (e quanto individualmente moralistica e non materialista-dialettica fosse la concezione del partito: cosa che conferma quanto il PSI fosse incapace di costruire la rivoluzione socialista).

Togliatti dalla sconfitta subita dal movimento comunista nella guerra di Spagna (1936-1939) ricavò la convinzione profonda che le masse popolari italiane erano incapaci di fare la rivoluzione (invece che ricavare la lezione illustrata nel libro del PCE(r) che noi abbiamo pubblicato, La guerra di Spagna, il PCE e l’Internazionale Comunista): credo sia stato un passaggio decisivo della sua trasformazione in revisionista.

Contrariamente alle opinioni predominanti nella cultura borghese e clericale, ai fini del futuro conta più quello che non è (ma è possibile) che quello che è (ma va a finire, ha esaurito il suo ruolo): il non essere è l’essere, l’essere è il non essere. Non è per la sua attuale arretratezza culturale che il proletariato diventerà la classe dirigente (invece Bakunin & C pensavano che fosse il carattere primitivo che ne faceva la classe rivoluzionaria), ma per la posizione che occupa nella società borghese che oltre che culturalmente arretrato lo fa essere capace di organizzarsi, di assimilare la concezione comunista del mondo e di costruire il nuovo mondo in base ad essa.

L’esperienza ha mostrato che la classe operaia e le masse popolari del nostro paese hanno un grande capacità rivoluzionaria. La borghesia è venuta a patti con la Chiesa Cattolica Romana durante il Risorgimento e poi ha fatto ricorso al fascismo per farci fronte. La nostra storia negli ultimi cento anni è caratterizzata da un fermento delle masse popolari che ripetutamente è sfociato in movimenti rivoluzionari (i ripetuti e isolati movimenti contadini per la terra, il Brigantaggio, i Fasci Siciliani, i Moti del Macinato, la Settimana Rossa, il Biennio Rosso, il Sessanta, gli anni Settanta e altri - ometto volutamente la Resistenza che, rispetto a quelli citati, è movimento di livello superiore, più legato alla direzione del movimento comunista cosciente e organizzato) che però non hanno raggiunto la vittoria, non hanno superato un livello elementare per la mancanza di gruppi dirigenti adeguati all’opera di svilupparne le potenzialità, di costruire sui risultati di ogni lotta una lotta di livello superiore.

Tra gli intellettuali dirigenti del primo Partito comunista italiano, solo Gramsci si stacca da questo quadro. Se la formazione che i dirigenti del movimento comunista ricevono alla “scuola” della borghesia e del clero non viene corretta con un’opera specifica mirata allo scopo (ed è quello a cui sono dirette le nostre scuole di Partito, in particolare i corsi MP), se i dirigenti del movimento comunista non si educano a studiare le condizioni, le forme e i risultati della lotta delle classi oppresse con il metodo del materialismo dialettico per trarne lezioni su cosa fare per spingere in avanti la lotta di classe (di questo si parla anche in La Voce n. 1 Quale partito comunista? in particolare a pag. 26 e 27), quei gruppi dirigenti anziché scoprire e indicare la via per elevare e sviluppare la lotta di classe fino alla vittoria, le operazioni con cui in ogni circostanza “far montare la maionese” della lotta di classe, di fatto sistematicamente scoraggiano, smorzano, disperdono, confondono, soffocano, denigrano (a volte svendono al nemico - come oggi Luca Casarini che al G8 2001 di Genova concorda con la Polizia la messinscena delle tute bianche, come ieri Filippo Turati che concordava a priori con l’avversario dove sarebbero arrivate le masse che lui eccitava con i suoi discorsi che lo confermavano nel ruolo di capo) le lotte di cui sono tuttavia i dirigenti, riconosciuti come tali anche dai combattenti stessi. Simili dirigenti del movimento comunista sono in realtà dei filantropi, degli umanitari, degli “amici del popolo” (quando non sono delle quinte colonne del nemico). Nei casi migliori sono dei sindacalisti e dei promotori di lotte rivendicative, nei casi peggiori sono dei mestatori, arruffapopolo e arrampicatori sociali. Non sono dei generali e degli uomini politici, promotori, animatori e dirigenti della guerra delle classi oppresse per instaurare il socialismo e andare verso il comunismo: quindi persone tese a scoprire le campagne da condurre, le battaglie da fare, le operazioni da mettere in campo: le forme e i metodi della guerra popolare rivoluzionaria.

Gramsci è rimasto un esempio luminoso e importante, ma isolato nei paesi imperialisti. Un esempio di dirigente che ha cercato di elaborare l’esperienza di lotta delle classi oppresse per trovare la via della loro emancipazione. Il gruppo dirigente del primo PCI nella sostanza si è appoggiato parassitariamente al partito comunista sovietico e ha vissuto del suo prestigio e della sua ispirazione, nonostante le ripetute esortazioni di Lenin e poi di Stalin a trovare la propria via per instaurare il socialismo in Italia.

Avendo chiaro questo, noi cerchiamo le vie e i modi per “fare montare la maionese” delle lotte delle masse popolari, per fare in modo che ogni lotta ne generi una superiore, che ogni lotta oltre a raggiungere l’obiettivo suo proprio crei anche, nel paese, le condizioni perché la lotta successiva sia superiore, rafforzi le altre lotte contemporaneamente in corso, si combini con esse per dare luogo a una fase superiore della guerra di classe. Quindi studiamo le condizioni, le forme e i risultati delle lotte e ne traiamo lezione.

 

Mobilitare le masse popolari a partecipare alla lotta, promuoverne l’organizzazione, reclutare al partito gli elementi migliori!

 

La partecipazione delle masse popolari all’attuazione della trasformazione della società borghese, alla progettazione della trasformazione, alla direzione dei lavori, è per forza di cose uno dei risultati da ottenere. Non è una delle premesse da cui partire. Non si inizia perché “siamo in tanti” o quando siamo in tanti, non si attende di essere in tanti per incominciare. Per noi comunisti “essere in tanti” è un obiettivo che dobbiamo raggiungere nel corso della rivoluzione. Per concludere la rivoluzione socialista bisogna essere diventati tanti: non è solo una questione di forza contro i nemici, ma anche una condizione perché il socialismo svolga efficacemente il suo compito di “transizione al comunismo”.

Chi immagina che le masse popolari siano ansiose di partecipare e fiduciose di saperlo fare, vive di desideri e fantasie campate in aria. Nella società borghese (e peggio ancora nelle precedenti), la massa della popolazione non partecipa alla vita politica, non ha gli strumenti né la formazione per partecipare, è anzi volutamente esclusa dalle conoscenze necessarie (segreto politico, segreto militare, segreto commerciale, segreto industriale, ecc.). Non ha il tempo e le condizioni necessarie per partecipare, non è incoraggiata a partecipare, anzi è scoraggiata e distolta dal partecipare. Non ha volontà di partecipare, non ha fiducia di poter combinare qualcosa partecipando, non ha convinzione che ne valga la pena. Per sviluppare la partecipazione bisogna che i promotori partano dagli elementi più avanzati, li coalizzino e motivino e partendo da essi sviluppino un processo a valanga. I progetti di democrazia partecipativa sviluppati attualmente nell’ambito delle Amministrazioni Locali d’Emergenza devono tener conto di queste condizioni per promuovere processi reali e non risolversi in progetti e statuti di carta, delusioni e maggiore sfiducia nelle masse.

Per promuovere la partecipazione bisogna partire dalle situazioni più favorevoli, dove è più facile raggiungere qualcuno dei risultati a cui le masse aspirano. Bisogna riunire i mezzi, rompere tutti i segreti, dialogare quanto necessario (fino a che quelli che hai di fronte o sono convinti o rinunciano comunque loro a dialogare), consultare frequentemente senza delegare decisioni che quelli che consulti non hanno i mezzi per prendere, insegnare (formare, anche qui a valanga, partendo dai più generosi, volonterosi e dotati, formare i formatori), non porre le masse di fronte a decisioni che esse non hanno le basi per prendere in maniera ragionevolmente giusta (come invece fanno i demagoghi e i populisti). Incoraggiare in ogni modo il controllo di massa sull’operato degli organismi che prendono decisioni e che dirigono. Costruire 1. un sistema di assemblee (raggruppamenti provvisori, temporanei, aleatori), 2. un sistema di organizzazioni di massa (a partecipazione volontaria ma larga, a cui possano partecipare tutti quelli che lo vogliono, ma con impegni, divisione dei compiti, gerarchia, ecc.), 3. un sistema di organizzazioni stabili e impegnative di persone selezionate e unite saldamente da una concezione comune (organizzazioni ideologiche, quasi come il partito, costituite da persone che si sottomettono a un processo di formazione, compiono individualmente uno sforzo straordinario rispetto alla massa), persone sottoposte al controllo delle masse e dell’organismo stesso, ma selezionate dall’organismo, quindi non riunite sulla base che “basta volerlo per essere ammessi”. Chi dirige deve presentare progetti, proporre scelte, illustrare le motivazioni, come se fosse in una scuola. Fare l’animatore sociale, con grande disponibilità e sensibilità a lasciar crescere gli altri, a lasciar spazio alla loro iniziativa e sostenerla con la propria maggiore esperienza.

 

Ernesto V.

 

Note

 

1. In questo contesto con spontaneo intendo ciò che gli uomini compiono in base a idee già correnti (senso comune) e a sentimenti già diffusi nella società attuale tra le masse popolari, con i mezzi normalmente disponibili nella società attuale tra le masse popolari e le prassi correntemente praticate dai membri delle masse popolari, senza che siano in essere rapporti che danno a ognuno la ragionevole certezza che anche altri fanno quello che lui sta facendo (che sarebbe inutile se fosse fatto solo da lui e da pochi altri): un legame organizzativo, la convocazione di un centro autorevole, ecc.

  

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